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6. La Guerra del Vietnam

6.2 I corrispondenti americani

La prima spedizione dei reporters americani non fu molto seguita dalla stampa, che solo pochi anni dopo si interessò veramente della guerra in Vietnam. Il

“New York Times”, l'“Herald Tribune” e altri quotidiani inviarono i propri corrispondenti, in collaborazione con le agenzie stampa.

La dittatura infatti, perseguitava gli avversari politici, e i giornali solo successivamente ammisero il reale ruolo svolto dai soldati americani.

I corrispondenti furono messi in crisi dalle funzioni del comitato militare per l'assistenza degli Stati Uniti, il quale intendeva celare o minimizzare il ruolo dell'America nel conflitto, contando sulla complicità degli inviati, che in caso di eccessiva autonomia venivano snobbati ed emarginati. Solo successivamente i giornali ammisero il reale e fondamentale coinvolgimento dei soldati americani nella cruenta guerra che si andava combattendo.

La questione non piacque molto ai corrispondenti, tra cui, Homer Brigart del

“New York Times”, il quale dichiarò:

Sembra che la missione americana ci consideri tanti strumenti della politica estera del nostro paese.

Quelli che non stanno al gioco finiscono per restare un po isolati, perchè sia i funzionari americani che quelli vietnamiti diffidano di loro6.

Il governo Diem reagì con ordini di espulsione per alcuni corrispondenti, poi revocati successivamente. Gli inviati americani erano consci del fatto che le loro informazioni non corrispondevano al vero, in quanto erano suggerite dal loro stesso governo desideroso di battere i comunisti a tutti i costi.

L'amministrazione americana,allora presieduta da Kennedy, fece di tutto per

5 R.Benotti, Viaggio nel New Journalism americano, Roma, Aracne editrice, 2009.

6 “Times Talk”, aprile 1962.

nascondere al popolo americano, il drammatico conflitto, in cui il paese era coinvolto, come dimostrato dal Cablogramma7 di 1006, il quale:

suggeriva di non fornire mezzi di trasporto ai corrispondenti per la partecipazione a missioni militari, che potessero avere per conseguenza la redazione di articoli indesiderabili, e di avvertire i giornalisti che qualsiasi critica rivolta al regime Diem avrebbe ostacolato il mantenimento di relazioni amichevoli tra gli Stati Uniti e il governo sudvietnamita8.

A ciò va aggiunto che durante la guerra del Vietnam, a differenza di altre guerre, i corrispondenti non furono ufficialmente assoggettati ai rigori della censura.

Al contrario, ad essi, non di rado accreditati come militari, venne concessa un' ampia libertà, in termini di trasporto e non solo:

Chiunque arrivava a Saigon con una lettera di presentazione di qualsiasi giornale del mondo veniva accreditato e nominato formalmente maggiore dell'esercito americano, così che, da giornalista, poteva andare in ogni settore del fronte e avere la dovuta priorità sugli aerei militari ed elicotteri.9

I reporters venivano ospitati e protetti dai soldati, con l'obiettivo di fornire al popolo americano un'immagine positiva del conflitto. Avvenne così che i quotidiani statunitensi riportarono, sempre in maniera marginale, le notizie relative alle stragi di innocenti vietnamiti, compiute dai soldati americani.

L'inizio delle corrispondenze

Nondimeno, quando intorno agli anni '60 il conflitto entrò nel vivo, si scoprì tuttavia, che il governo americano aveva mentito sulla reale presenza dell'esercito statunitense sul territorio vietnamita:

Finora, gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto ufficialmente ...che le truppe americane non partecipano a missioni di guerra nel Vietnam ad ecezione dei casi in cui i militari americani che esercitano la funzione di consiglieri non incappano nel fuoco. Ora, un comunicato vietnamita della scorsa domenica afferma che una sessantina di guerriglieri sono stati uccisi nel corso di attacchi sferrati dall'aviazione vietnamita. Un'attenta verifica ha appurato che solo i secondi piloti degli aerei

7 Prevalentemente impiegato per inviare i messaggi in codice non intercettabili tra le varie sedi diplomatiche, il cablogramma è stato ampiamente utilizzato durante i due conflitti mondiali, per poi essere perlopiù abbandonato all'inizio del XX secolo in favore delle trasmissioni via radio. Il primo cablogramma fu inviato nel 1858, grazie al progetto dell'imprenditore americano Cyrus West Field (cfr. citazione tratta da Studentville.it, consultato il 4 dicembre 2021).

8 P. Knightley, La guerra e le fake news, cit., p. 411-412.

9 T. Terzani, Pol Pot tu non mi piaci più, in “La Repubblica”, 29 marzo 1985.

erano vietnamiti. I piloti erano americani10.

Nel 1964, le corrispondenze vennero fortemente condizionate dagli uffici di public Information11.

I reporters statunitensi, a differenza di quelli inglesi, continuarono a mentire su ciò che avveniva in Vietnam. Coloro che mettevano in dubbio la capacità del governo americano, venivano espulsi. Sconfitte come quella di Mekong, da parte dell'esercito americano, non fecero altro che aggravare le relazioni tra i corrispondenti e i responsabili della spedizione. Tuttavia, i corrispondenti sapevano, che cosa la missione americana pensava di loro, e a proposito di ciò, subirono diverse critiche per via delle loro cronache di guerra:

non avevano più bisogno delle fonti ufficiali per ottenere informazioni: il Vietnam era pieno di gente sconfitta dalla maniera in cui andavano le cose e fin troppo propensa a raccontare ai corrispondenti ciò che si sapeva12.

Evento cruciale fu l'attacco sferrato dal regime Diem: ai monaci buddisti, documentato dai quotidiani americani, grazie al ruolo svolto dal fotografo Browne.

All'inizio, comunque, i quotidiani americani dovettero allinearsi al regime Diem e gli articoli che descrivevano come negativa la situazione nel Vietnam, venivano tagliati, oppure cancellati . In seguito, alcuni corrispondenti partiti per il Vietnam, notarono tuttavia, che la guerra dal punto di vista statunitense, stava andando bene. Tutt'al più gli inviati americani avevano dubbi sulla bontà delle conseguenze utili dell'intervento del loro governo, ma non sull'opportunità della linea politica che esso assecondava. E questo ancorchè non vedessero di buon occhio il regime dispotico di Diem. Sheehan, per esempio arrivò in Vietnam convinto che fosse giusto sposare la causa statunitense, onde aiutare il Vietnam del Sud: “a costruire uno stato nazionale vitale e indipendente e a sconfiggere i guerriglieri comunisti, che volevano sottoporli a una dura tirrania”13.

La differenza con i corrispondenti inglesi

10 “Daily Telegraph”,10 Marzo 1962.

11 O. Bergamini, Specchi di guerra, cit., p. 162.

12 P. Knightley, la guerra e le fake news, cit., p. 414.

13 “New York Times Magazine”, 9 ottobre 1966.

I corrispondenti inglesi, anche se meno informati, si trovarono in una posizione migliore dal punto di vista politico, per descrivere la guerra, anche se talvolta i quotidiani britannici non si impegnarono molto. Infatti, salvo alcune eccezioni, i giornali raramente inviarono i propri corrispondenti sul territorio. Lo fecero soprattutto in occasioni importanti, e soprattutto dopo la metà degli anni '60.

Secondo John Pilger, la guerra era: “impossibile da descrivere se uno non vi partecipa; e quando si partecipa a qualcosa, bisogna decidere da che parte schierarsi”14. Il giornalista, in seguito, dovettere subire alcune critiche per le sua posizione sulla guerra.

I corrispondenti inglesi a differenza di quelli americani erano indipendenti e la loro durata sul territorio non durò molto.

A ciò va aggiunto, che sia i corrispondenti inglesi, che quelli americani, trascurarono un aspetto non poco importante ovvero la corruzione. Questo perchè molti giornalisti vennero coinvolti, in irregolari scambi di denaro.