2. La Prima Guerra Mondiale
2.2 Il ruolo dei corrispondenti di guerra
La prima guerra Mondiale fu un periodo molto difficile per il giornalismo e, di conseguenza, per giornalisti. I quotidiani erano strumenti di propaganda e le notizie venivano filtrate attraverso una censura serrata: i governi non volevano permettere che la popolazione venisse a conoscenza di ciò che realmente avveniva sui campi di battaglia. “No person shall by word of mouth or in writing spread reports likely to cause disaffection or alarm among of His Majesty's forcesor among the civilian population”9, così recitava la Defence of the realm Act (Dora) che venne approvata nel Regno Unito l'otto agosto 1914, quattro giorni dopo che il paese era
7 F. Orlando, 1914 la neutralità tormentata, in “La Stampa”, 18 gennaio 2014.
8 L.G. Manenti e L. Zuccolo, Neutralisti/Interventisti, in “studi storici”,: www.studistorici.com (6 ottobre 2021).
9 Defence of the Realm (N°. 2) Regulations, 1914,at “No. 28887”. “The London Gazette”
(Supplement). 1 September 1914, pp. 6968-6969.
entrato in guerra.
In questa fase i quotidiani, secondo lo storico Mario Isnenghi, subirono un effetto molto particolare, ovvero, “meno sono credibili, più li si cerca, tale è il bisogno di sapere e la speranza, comunque di riuscire a leggere fra le righe delle 'verità ufficiali' qualche brandello almeno di notizia”.10
Il rapporto tra il paese e il fronte era caratterizzato dalle domande e risposte, che entrambi si scambiavano, il militare voleva fa sentire la sua presenza, aveva paura di essere dimenticato.
Negli Stati europei che erano in guerra la censura iniziò con l'aprirsi delle ostilità e, pur allentandosi gradualmente, rimase sufficentemente rigida da esercitare un occhiuto controllo sulla diffusione delle notizie. In questo la complicità di potenti proprietari di testate giornalistiche favorevoli alla guerra ebbe grande influenza. A dire il vero in Inghilterra ci fu un tentativo, da parte dei quotidiani inglesi di accorpare nell'esercito britannico in Francia, alcuni corrispondenti di guerra, ma tutto fu prontamente bloccato da Lord Kitchener, il quale non aveva particolare ammirazione per gli inviati di guerra e disprezzava apertamente i giornalisti, che non esitava a definire “ubriaconi”. Dopo essere stato icona della propaganda nel Regno Unito con il proprio inconfondibile volto caratterizzato da un paio grossi baffi neri stampato su migliaia di manifesti, imitati negli Stati Uniti con il leggendario Zio Sam e il motto “I want you”, Horatio Herbert Kitchener morì nel 1916 nel mare del Nord su cui viaggiava, colpita da una mina tedesca. Solo alla sua morte il governo del Regno Unito decise di consentire a cinque giornalisti di lavorare nelle zone di guerra come corrispondenti ufficiali.
La censura imposta agli ai corrispondenti, riguardò anche la Russia e la Germania. Nella stessa Gran Bretagna, del resto, anche Winston Churchill condivideva l'opinione di Kitchener sugli inviati di guerra, dicendo espressamente:
“Su una nave da guerra in combattimento non c' è posto per i giornalisti”11.
In Italia il 23 maggio 1915, poche ore prima dell'entrata in guerra, un decreto vietò ai giornali di diffondere notizie che andassero oltre i comunicati ufficiali su
10 M. Isnenghi, La grande guerra. L'immensa ferita d'Europa, Firenze-Milano, Giunti editore, 2019( prima ed. 1993), p. 78.
11 P. Knightley, La guerra e le fake news, cit., p.92.
argomenti come numero di morti e feriti, assegnazioni e avvicendamenti negli alti comandi, andamento delle operazioni militari. Dal 24 maggio venne attivata un Ufficio Stampa del Comando militare supremo, con sezioni distaccate in tutte le città.
L'accesso dei giornalisti al fronte fu sostanzialmente vietato (con poche eccezioni) dal comandante supremo, il generale Cadorna, che detestava i cronisti e consentiva loro possibilità di movimento minime.
Un'attenzione particolare venne riservata alla stampa “antagonista”, in particolare all'“Avanti!”, che spesso dovette uscire con intere colonne in bianco al momento di andare in tipografia. I principali giornali misero in campo i loro inviati, nomi celebri come Luigi Barzini del “Corriere della Sera”, Gino Piva del “Il Resto del Carlino”, Rino Alessi del “Secolo”, Achille Benedetti del “Giornale d'Italia”, ma a parte casi isolati i loro articoli rimasero ben dentro gli argini della fedeltà patriottica, senza sollevare alcun dubbio o critica sulla conduzione delle operazioni e sulla gestione della logistica12.
Alcuni corrispondenti di guerra, nonostante tutto, riuscirono ad avere successo: uno su tutti, è stato Granville Fortescue, che permise al “Daily Telegraph”
di pubblicare la notizia, della dichiarazione di guerra della Gran Bretagna alla Germania, per aver invaso il Belgio.
Altri giornalisti non riuscirono ad avere la stessa fortuna, e finirono in prigione. Come Geoffrey Pyke corrispondente della Reuters a Copenhagen, “che convinse il Daily Chronicle a lasciargli compiere il tentativo di introdursi clandestinamente in Germania”13. In seguito venne addirittura minacciato di fucilazione, per poi essere mandato in un campo di internamento. Dopodichè riuscì a scappare e diede le proprie dimissioni in seguito a incomprensioni col direttore della testata.
La vicenda di Keith Murdoch e Ashmead-Bartlett
Un giornalista australiano di nome Keith Murdoch, nel 1915 a soli ventinove
12 R.Coaloa, Giornalismo, propaganda e censura nella prima guerra mondiale: conseguenze nei rapporti tra Chiesa e guerra, in “Passato e Presente”, 11 maggio 2018, cap. III.
13 P. Knightley, La guerra e le fake news, cit., p. 94.
anni, venne inviato a Londra, ma prima di raggiungere la capitale, fece tappa al Cairo. In questa sede, inviò una lettera al capo Sir Ian Hamilton, per ottenere l'autorizzazione a visitare il fronte. Quest'ultimo accettò la richiesta. In seguito, Hamilton tentò di far firmare a Murdoch la seguente dichiarazione:
la dichiarazione di prammatica imposta ai corrispondenti di guerra, nella quale si impegnavano a non servirsi per l'inoltro della corrispondenza, di altre vie o mezzi all'infuori di quelli ufficialmente autorizzati e permettevano di non comunicare, per tutta la durata della guerra,informazioni militari di natura confidenziale, senza il preventivo controllo da parte del capo della censura sul teatro di operazioni14.
Murdoch, venne influenzato dal corrispondente del “Daily Telegraph”, Ashmead-Bartlett, con il quale scrisse un resoconto sulla guerra in Inghilterra.
Murdoch, una volta arrivato a Londra, prese in mano lo scritto, e si accorse che in realtà era una lista di accuse rivolte a Hamilton e all'esercito britannico, in riferimento ai problemi emersi nella battaglia di Gallipoli. Di tali accuse, Ashmead-Bartlett era il principale responsabile. Allora Murdoch, su ordine di Lloyd George, inviò una copia della lettera al premier inglese Asquith, allegando un documento personale, nel quale tentava di riappacificare i rapporti. Quando poi Bartlett, arrivò a Londra, confermò a Hamilton, tramite un articolo da lui stesso firmato , che apparve nel “Times” , quanto era scritto nella lettera. In seguito Gallipoli venne pian piano evacuata, e la campagna si trasformò in un vero e proprio fallimento.
Nonostante la censura e il controllo rigido del corpo di spedizione britannico, i due inviati, Murdoch e Bartlett, riuscirono comunque a far sentire la propria voce su ciò che stava succedendo.