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LA TERAPIA IMMUNOSOPPRESSIVA

2.2 I farmaci immunosoppressor

La ciclosporina è il farmaco che ha garantito l’attuale grado di successi di sopravvivenza a lungo termine dell’organo trapiantato(103). La ciclosporina, così come il tacrolimo, esercita un effetto di tipo inibitorio sul segnale di attivazione dei linfociti T, andando in questo modo a sopprimere la risposta immunitaria cellulo-mediata precoce a stimoli di natura antigenica o regolatoria(104). Attraverso il legame con la ciclofillina (proteina citoplasmatica), la ciclosporina determina la formazione di un complesso in grado a sua volta di legare la calcineurina, bloccandola. In questo modo viene meno l’attività enzimatica serina-treonina fosfatasica della calcineurina stessa, necessaria per la traslocazione della componente citosolica del Fattore Nucleare dei linfociti T attivati (NF-Atc) verso il nucleo cellulare: a questo livello, a seguito dell’interazione con la componente nucleare (NF-Atn), avviene il legame con la regione promoter del gene dell’interleuchina 2, con conseguente attivazione

31 della trascrizione genica. La mancata produzione di interleuchina 2 impedisce la differenziazione e la successiva proliferazione delle cellule T citotossiche dirette contro il trapianto.

Il tacrolimo (FK 506) è stato introdotto più recentemente nella pratica clinica(104,105). Il farmaco, strutturalmente diverso dalla ciclosporina, è un macrolide prodotto dallo Streptomyces Tsukubaensis; esso lega, sempre a livello citoplasmatico, un recettore (FK 506 Binding Protein) venendo così a creare un complesso capace di associarsi alla calcineurina, bloccando (come la ciclosporina) la cascata di eventi intracellulari ed intranucleari culminante nella trascrizione del gene dell’interleuchina 2(106).

Sia ciclosporina che tacrolimo causano insulino-resistenza(107). Nel caso della ciclosporina, tale effetto sembra mediato da un difetto post-recettoriale dell’azione insulinica. Più importanti sembrano essere gli effetti sulla secrezione di insulina. La ciclosporina interferisce con la sintesi della pro-insulina e il successivo clivaggio e rilascio dell’ormone. Il farmaco sembra inibire il trasporto intracellulare dell’ormone dal sito di sintesi ai granuli di secrezione. In vitro, l’esposizione di isole pancreatiche umane al farmaco provoca una riduzione nella secrezione insulinica associata ad un concomitante aumento del contenuto residuo insulinico. A livello molecolare, il farmaco agisce attraverso i canali del calcio e dello cAMP, coinvolgendo la fosfodiesterasi calciomodulina dipendente e le proteine regolatorie Gs e G1.

L’effetto del tacrolimo sulla funzione della beta-cellula è stato ben caratterizzato da un punto di vista morfologico(108): è stata infatti osservata la presenza di degranulazione e vacuolizzazione del reticolo endoplasmatico rugoso, dell’apparato di Golgi e dei mitocondri. Il farmaco sembra in grado di inibire la trascrizione del gene dell’insulina provocando in ultimo una riduzione della sua sintesi e secrezione. In uno studio pubblicato recentemente, Bugliani

32 ha dimostrato che beta-cellule pancreatiche umane esposte a tacrolimo vanno incontro a degranulazione, ridotta secrezione insulinica e aumentata apoptosi(109). Inoltre, il farmaco ha indotto numerose alterazioni a livello di espressione genica. Tali effetti sono risultati significativamente più marcati rispetto a quelli causati dalla ciclosporina.

Se i risultati delle esperienze condotte in vitro indicano un chiaro effetto sulla funzione della beta-cellula, in vivo i risultati appaiono controversi. Studi condotti in cani sottoposti ad autotrapianto intrasplenico di isole pancreatiche suggerirebbero un effetto dose-dipendente della ciclosporina. Al contrario, recenti studi eseguiti in pazienti con trapianto di fegato indicherebbero che nè la monoterapia a lungo termine con ciclosporina nè con tacrolimo svolgerebbe effetti deleteri sulla sensibilità insulinica, sulla prima fase di secrezione insulinica e sulla sintesi di insulina(110).

Per quanto riguarda gli effetti degli inibitori della calcineurina sul metabolismo lipidico, in numerosi studi(111,112) la terapia con ciclosporina è stata associata ad aumentati livelli di colesterolo totale, LDL e trigliceridi. Tali effetti sembrerebbero correlati alla concentrazione del farmaco nel sangue(113). Le concentrazioni dei lipidi nel plasma aumentano durante i primi tre mesi dal trapianto, per poi ridursi successivamente senza mai raggiungere i livelli pre- trapianto.

Meno frequente è l’associazione tacrolimo e iperlipidemia(114,115). Studi comparati hanno dimostrato che il tacrolimo influisce in misura minore sul metabolismo lipidico rispetto alla ciclosporina(116,117); inoltre, se sostituito alla ciclosporina nello schema di terapia, è in grado di ridurre le concentrazioni di colesterolo e trigliceridi(118).

Tuttavia, l’evidenza che nei pazienti in terapia con ciclosporina la dose di prednisone era generalmente più elevata rispetto all’associazione

33 tacrolimo/steroidi ha focalizzato l’attenzione sul ruolo degli steroidi nel determinare le alterazioni del metabolismo lipidico nei pazienti trattati con ciclosporina(119-124).

A tal proposito, diversi studi in pazienti trapiantati di rene e pancreas hanno dimostrato che la conversione dello schema terapeutico da ciclosporina- prednisone a ciclosporina-azatioprina, oppure la sospensione dell’assunzione dello steroide, determinava generalmente una riduzione dell’incidenza di ipertensione e diabete (o della necessità di terapia anti-ipertensiva o anti- diabetica), nonché un miglioramento del profilo lipidico. In uno studio(123) si è dimostrato che la cessazione del prednisone aveva effetti positivi anche nei pazienti che assumevano tacrolimo.

Quindi, sembrerebbe ragionevole cercare di ridurre il più possibile la dose di steroidi o, in alternativa, ricorrere a farmaci con minori effetti collaterali(124). Tuttavia, se da un lato la sospensione del trattamento con prednisone offre numerosi vantaggi metabolici, dall’altro può aumentare il rischio di rigetto e deve essere quindi attentamente ponderata(125).

L’incremento dei livelli di colesterolo durante il trattamento con ciclosporina riconosce diverse cause. In studi su modelli animali, si è visto che il farmaco può agire riducendo la secrezione dei lipidi biliari(126) (questi effetti non sono però stati confermati in pazienti trapiantati di fegato(127)). Può determinare una riduzione del catabolismo delle LDL, probabilmente come effetto dell’inibizione della sintesi del recettore per queste lipoproteine(128) piuttosto che per un’aumentata sintesi da parte del fegato di lipoproteine contenenti Apo B(129). Alcuni autori hanno inoltre osservato, in pazienti trapiantati di rene, un effetto della ciclosporina di riduzione dell’attività lipolitica post-eparinica sia a livello epatico che a livello periferico(130), sebbene recenti evidenze non supportino questa osservazione(131).

34 Per quanto riguarda il tacrolimo, non è stato ad oggi effettuato nessuno studio per dimostrare i meccanismi alla base degli effetti del farmaco sui livelli plasmatici di lipidi.

Gli steroidi rappresentano a tutt’oggi una pietra miliare nella terapia immunosoppressiva dei pazienti trapiantati(104).

Il loro meccanismo d’azione nel controllo del rigetto è complesso e multiforme: esercitano un blocco diretto sull’interleuchina 1 e indiretto sulle interleuchine 2, 6 e 15, inibiscono la presentazione dell’antigene e l’attivazione dei linfociti T, inibiscono la migrazione di cellule immuni sul sito e hanno un effetto antiinfiammatorio.

Sono farmaci di prima scelta nel trattamento del rigetto acuto ed impiegati costantemente nei primi mesi del trapianto. Tuttavia, a causa dei numerosi effetti collaterali legati alla loro somministrazione e grazie alla disponibilità di nuovi e potenti farmaci, la loro importanza è ridimensionata.

In un paziente con glicemia a digiuno normale sottoposto a terapia steroidea, l’effetto che si osserva è quello di una variabile associazione di difetti nell’utilizzazione del glucosio dopo carico. L’analisi dei test di tolleranza dopo somministrazione di steroidi rivela un aumento dei livelli plasmatici di insulina accompagnato da un incremento variabile dei livelli glicemici. Questo pattern, caratterizzato da aumento dei livelli glicemici in concomitanza con un aumento dei livelli insulinemici, è caratteristico degli stati di insulino-resistenza.

Vari meccanismi sono stati proposti per spiegare la riduzione nell’azione dell’insulina: aumentata produzione epatica di glucosio, ridotto effetto soppressivo dell’insulina, ridotta utilizzazione insulino-mediata di glucosio a livello dei tessuti periferici (muscolo e tessuto adiposo).

I glucocorticoidi aumentano l’attività degli enzimi chiave della gluconeogenesi ed il rilascio dei precursori gluconeogenetici dai tessuti periferici (aminoacidi e

35 lattato). Il trattamento cronico con steroidi determina anche un aumento dei livelli circolanti di glucagone che a sua volta contribuisce ad aumentare la produzione epatica di glucosio. L’insulino-resistenza periferica indotta dallo steroide è la conseguenza di un’inibizione del legame recettoriale dell’insulina e della riduzione dei trasportatori insulino-dipendenti del glucosio (GLUT4).

Sia la terapia corticosteroidea che gli inibitori della calcineurina, oltre ad avere effetti negativi sull’omeostasi glucidica, sono strettamente correlati con lo sviluppo di ipertensione arteriosa e dislipidemia, tutti fattori che contribuiscono ad aumentare l’incidenza di malattia cardiovascolare nel paziente sottoposto a trapianto.

Il sirolimo (Rapamicina) è un potente farmaco immunosoppressivo recentemente introdotto nella pratica clinica(132).

Mentre ciclosporina e tacrolimo inibiscono la produzione di citochine da parte dei T-linfociti, questo farmaco inibisce la risposta dei T linfociti alle citochine. Il sirolimo agisce infatti a livello di una tappa post-recettoriale dell’interleuchina 2 bloccando il ciclo di replicazione cellulare del T-linfocita a livello della fase S. Il farmaco è ben tollerato e gli unici effetti metabolici sembrano essere sul metabolismo lipoproteico, associati a una maggior tendenza alla trombocitopenia.

L’associazione sirolimo, ciclosporina e steroide ha ridotto, nel trapianto renale, l’incidenza di rigetto acuto a meno del 10% suggerendo la possibilità di limitare al minimo il trattamento con steroidi(133).

Il micofenolato mofetile, derivato sintetico organico ottenuto dalla fermentazione naturale del Penicillum, la cui forma biologicamente attiva è rappresentata dall’acido micofenolico, è un inibitore selettivo dell’enzima Inosina Monofosfato Deidrogenasi, in grado di determinare dunque il blocco della sintesi purinica de novo(134). Lo stop della sintesi purinica produce l’arresto

36 in fase S del ciclo cellulare dei linfociti, sia B che T, che non possono ulteriormente proliferare. La sua tossicità sul midollo osseo può causare episodi di neutropenia, trombocitopenia ed anemia, ma sono segnalati anche effetti collaterali sul tubo gastroenterico (crampi addominali, nausea, anoressia).

Al momento attuale la terapia immunosoppressiva vive momenti di grandi aspettative grazie a nuovi farmaci ormai prossimi alla sperimentazione clinica. Queste nuove molecole agiscono su diverse vie che mediano il legame cellula- cellula con il comune scopo ultimo di ottenere un’efficace immunosoppressione con quanti meno effetti collaterali, soprattutto a lungo termine (ad esempio, l’insorgenza di neoplasie).

L’ultima frontiera in campo trapiantologico è il raggiungimento e il mantenimento della tolleranza intesa come non-responsività immunologica in assenza di terapia immunosoppressiva. A partire dagli studi pioneristici di Medawar del 1950, sono stati fatti passi da gigante verso l’induzione della tolleranza immunologica in modelli sperimentali di trapianto(133). Anche se gli intimi meccanismi non sono ancora del tutto noti, l’induzione della non- reattività dei cloni di T linfociti rappresenta l’obiettivo finale che si sta cercando di ottenere attraverso azioni sul timo (tolleranza di tipo centrale) o sul sistema immune periferico (tolleranza di tipo periferico), con l’attivazione/induzione di apoptosi e con l’attivazione di cellule immunocompetenti ad attività regolatoria/soppressiva.

L’aspettativa è che la crescente disponibilità di nuove molecole possa permettere una più fedele individualizzazione e personalizzazione del trattamento, riducendo sensibilmente anche l’incidenza di diabete dopo trapianto.

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