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I limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrion

3. LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA NELLA LEGGE N 40 DEL

3.4. I limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrion

3.4.1. Il divieto di soppressione e crioconservazione degli embrioni

L’articolo 14, comma 1, della legge n. 40 prevede che “è vietata la crioconservazione91 e la soppressione degli embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194”.

Il divieto di soppressione si può considerare opportuno e tale da garantire anche un giusto contemperamento degli interessi in gioco: infatti, precedentemente all’impianto nell’utero materno, non si potrebbe garantire alcuna tutela all’embrione e ciò contrasterebbe con il dettato della legge, che attribuisce pari diritti a tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito, e con il dettato della legge n. 194/1978, che impegna la Repubblica a tutelare la vita umana “fin dal suo inizio”. L’assenza di distinzioni nella legge e il riferimento ad una nozione generica di embrione porta a considerare questo divieto come riferito al concepito fin dal momento della fecondazione. L’accostamento dei due termini, soppressione e crioconservazione, rende evidente che il legislatore faccia riferimento all’embrione generato in vitro e nel caso in cui sia iniziata la gravidanza in seguito al trasferimento degli embrioni nell’utero materno, la norma applicabile non è più la legge n. 40 ma quella sull’aborto volontario, richiamata dall’inciso dell’articolo 1492. La previsione di un divieto di soppressione è stato criticato in sede parlamentare, perché si riteneva che fosse attribuita maggior tutela all’embrione rispetto al feto,

91 Con il termine crioconservazione si intende la conservazione di gameti, embrioni e pre-

embrioni in azoto a -196° con lo scopo di conservarli inalterati per periodi indeterminati.

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Problemi interpretativi circa l’applicabilità della legge n. 194/1978 possono essere risolti facendo riferimento ai lavori preparatori dai quali emerge che l’emendamento con cui fu introdotto l’inciso, che richiama la legge sull’aborto, era motivato dall’esigenza di evitare limitazioni nell’applicazione della stessa; quindi si può dire che il divieto di soppressione non incide sulla legge n. 194 e questa non trova applicazione per la situazione dell’embrione in vitro.

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considerato che il primo non può essere soppresso mentre il secondo, in base alla legge sull’aborto, sì. Il tempo previsto per l’applicazione dell’articolo 14, comma 1, è piuttosto ristretto, perché, successivamente all’impianto nell’utero materno, trova applicazione la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza.

La tecnica della crioconservazione trova giustificazione nella difficoltà di conservare gli embrioni e nell’esigenza di disporre di un numero elevato di embrioni, dei quali utilizzare solo una parte, riservandosi di trasferire gli altri se non abbiano avuto successo i precedenti tentativi di ottenere una gravidanza. Questi embrioni crioconservati possono quindi essere utilizzati, ma quelli superflui possono essere oggetto di sperimentazione oppure distrutti. La ratio di questo divieto, introdotto dalla legge n. 40, è quindi quella di evitare un’offesa alla dignità umana, che sarebbe insita nel congelamento degli embrioni. La necessità di tutelare la vita umana fin dal suo inizio, che giustifica il divieto di soppressione, non sembra invece giustificare quello di crioconservazione, in quanto non è dimostrato che questa tecnica sia sicuramente e immediatamente nociva per la salute del nascituro, considerato anche l’alto numero di nati a seguito di PMA con embrioni crioconservati. Anche questo divieto è stato ridimensionato nella sua portata in quanto il legislatore ha indicato come lecito il ricorso alla crioconservazione quando il trasferimento nell’utero dell’embrione “non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione”93. Questa possibilità è prevista per garantire la tutela del concepito quando la PMA extracorporea richieda una distanza temporale tra la fecondazione e il momento del trasferimento degli embrioni nell’utero materno. La liceità del congelamento degli embrioni deriva quindi da uno stato di necessità e la legge definisce tassativamente

93 Articolo 14, comma 3, legge 19 febbraio 2004, n. 40.

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i casi per i quali è ammesso il ricorso alla crioconservazione. Il trasferimento deve essere impedito infatti da forza maggiore, con cui si intende una difficoltà insuperabile, relativa allo stato di salute della donna, che può essere anche psichico; questa deve essere determinata da una causa grave e documentata, non essendo quindi sufficiente la semplice affermazione della donna, non prevedibile prima della fecondazione. Solamente in questo caso descritto, la crioconservazione è consentita dalla legge.

3.4.2. Il numero massimo nella produzione degli embrioni, il loro unico e contemporaneo impianto e il divieto di riduzione delle gravidanze plurime L’articolo 14, comma 2, della legge n. 40 prevede che “le tecniche di

produzione degli embrioni non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”94. Questa norma trova il proprio fondamento nella situazione precedente l’introduzione della disciplina legislativa, in cui erano presenti molti centri, nei quali si praticavano le tecniche di procreazione medicalmente assistita, che erano soliti produrre il maggior numero di embrioni per ogni coppia, destinati poi ad essere crioconservati. La produzione soprannumeraria di embrioni permetteva di procedere ad una loro successiva selezione attraverso il ricorso alla diagnosi genetica pre-impianto; inoltre, questa era considerata necessaria anche al fine di disporre di nuovi embrioni da impiantare qualora il primo impianto nell’utero materno non avesse avuto buon esito. Gli embrioni

94 L’articolo 14, comma 2, della legge n. 40 del 2004 raccoglie le indicazioni della Risoluzione

del Parlamento europeo sulla fecondazione artificiale in vivo e in vitro del 16 marzo 1989 nel prevedere la necessità di procedere ad un unico impianto degli embrioni prodotti; la produzione limitata degli stessi, al fine di evitare di generare embrioni superflui, era già stata auspicata nella Risoluzione del Parlamento europeo sulla clonazione umana del 7 settembre 2000, che prevedeva l’utilizzo delle tecniche più idonee per questo fine.

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prodotti e non utilizzati potevano poi essere usati per una seconda gravidanza, ma spesso venivano abbandonati e anche distrutti. Coerentemente con l’introduzione di un divieto di crioconservazione, la legge si è preoccupata di evitare la produzione di embrioni soprannumerari, cioè in numero superiore a quello che è possibile impiantare in un’unica volta nell’utero materno e così risolvere in via preventiva il problema della loro destinazione. Il numero cui si fa riferimento è il numero massimo di embrioni producibili; in questo senso, il medico potrà utilizzare anche un numero inferiore, ma è obbligato sempre a procedere al loro contemporaneo trasferimento. Questa disciplina ha introdotto una novità nella prassi medica e ha posto dei problemi sul piano del bilanciamento di interessi contrapposti, in quanto la tutela dell’embrione può determinare un pregiudizio per altri interessi costituzionalmente rilevanti, come la salute della donna che decide di sottoporsi a queste tecniche. Il limite introdotto, infatti, comporta la necessità di sottoporsi ad un numero elevato di cicli di PMA per aumentare le possibilità di sviluppo di una gravidanza, determinando così, non solo un incremento dei costi, ma anche dei rischi per la salute. Tale disposizione è stata oggetto di forti critiche, in quanto, considerata l’impossibilità di stabilire con certezza il numero di embrioni necessario per portare a compimento con successo questa operazione, si è ritenuto che il legislatore avrebbe dovuto prevedere la possibilità di produrre un numero di embrioni anche superiore a tre. La necessità di procedere contemporaneamente all’impianto degli embrioni prodotti può comportare ulteriori rischi per la salute della donna, ma anche per i feti nel caso di gravidanze plurigemellari.

L’articolo 14, comma 4, prevede che “ai fini della presente legge sulla procreazione medicalmente assistita è vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n.

194”. Il limite dei tre embrioni trasferibili dovrebbe impedire che si sviluppino gravidanze plurime, in cui la riduzione embrionaria si configuri come necessaria per porre rimedio a rischi per la madre o gli altri embrioni. La legge mira quindi a garantire una piena coincidenza tra il minimo degli embrioni prodotti e quelli destinati ad un unico e contemporaneo impianto. Nonostante questo limite, si potrebbero sviluppare gravidanze plurigemellari, e proprio in riferimento a questa situazione, il legislatore ha enunciato il divieto di riduzione di gravidanze plurime, subito limitato dall’inciso “ai fini della procreazione assistita”, che quindi fa immaginare che per altri fini non sussista questo divieto. La riduzione embrionaria è inoltre consentita “nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194”, cioè nelle ipotesi in cui vi sarebbero rischi per la salute della donna, che si è sottoposta a queste tecniche di procreazione assistita.

La violazione di questo divieto, al pari degli altri limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni, previsti dall’articolo 14, è punito con la reclusione e con una multa.95

95 Articolo 14, comma 6: “La violazione di uno dei divieti e degli obblighi di cui ai commi

precedenti è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro”.

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4. LA LEGGE SULLA PROCREAZIONE ASSISTITA AL VAGLIO