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La posizione della Corte costituzionale sulle misure a tutela dell’embrione nella sentenza n 151 del

4. LA LEGGE SULLA PROCREAZIONE ASSISTITA AL VAGLIO DELLA GIURISPRUDENZA NAZIONALE ED EUROPEA

4.1. La posizione della Corte costituzionale sulle misure a tutela dell’embrione nella sentenza n 151 del

L’intervento della Corte costituzionale sui limiti stabiliti per le tecniche di impianto degli embrioni nella legge n. 40 del 2004, recante “Norme in

materia di procreazione medicalmente assistita”, ha determinato un

primo forte ridimensionamento dei presupposti applicativi della legge e ha rappresentato un approdo nel percorso di scardinamento della legge n. 40 e delle relative Linee Guida ministeriali, iniziato a livello di giurisprudenza ordinaria e amministrativa96.

La questione di legittimità costituzionale originava da tre distinte

96 Per un commento di questa sentenza, si rimanda, tra gli altri, a Chinni, La procreazione

medicalmente assistita tra “detto” e “non detto”. Brevi riflessioni sul processo costituzionale alla legge n. 40 del 2004, in Giurisprudenza italiana, 2010, 1, p. 289 e ss; Trucco, Procreazione assistita: la Consulta, questa volta, decide (almeno in parte) di decidere, in Giurisprudenza italiana, 2010, 1, p. 281 e ss; Agosta, Dalla Consulta finalmente una prima risposta alle più vistose contraddizioni della disciplina sulla fecondazione assistita (a margine di Corte cost., sent. n. 151 del 2009), in www.forumcostituzionale.it, 19 settembre 2009; Costantini, Prime osservazioni al dispositivo della sentenza della Corte costituzionale che dichiara l’illegittimità costituzionale parziale della legge n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita,

in www.federalismi.it, 8 aprile 2009.

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ordinanze, emesse dal Tar del Lazio e dal Tribunale ordinario di Firenze, con le quali ben cinque disposizioni della legge n. 40 del 2004 erano sospettate di incostituzionalità97. Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubitava della legittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 2 e 3, della legge n. 40 del 2004 rispetto agli articoli 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui prevedeva un numero massimo di embrioni producibili, non superiori a tre, da impiantare contestualmente, e permetteva la crioconservazione degli stessi solo nelle ipotesi di grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna, prevedendo comunque che il trasferimento degli embrioni nell’utero materno dovesse avvenire il prima possibile.

Il Tribunale ordinario di Firenze riteneva che il divieto di crioconservazione e il conseguente obbligo di creazione di un numero massimo di embrioni da impiantare contemporaneamente nell’utero materno non fossero conformi al combinato disposto degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione: infatti non solo così non sarebbero state considerate le condizioni cliniche della madre, prevedendo quasi un protocollo sanitario unico, ma la stessa sarebbe stata costretta anche a subire un sorta di trattamento sanitario obbligatorio, non volto a tutelare la salute propria

97 Nel procedimento di fronte al Tar del Lazio, ricorrente era la WARM, associazione che

gestiva e organizzava gli interessi dei centri di procreazione assistita, che aveva fatto ricorso al TAR del Lazio per chiedere l’annullamento delle Linee guida ministeriali; nel corso del procedimento, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale relativamente all’articolo 14, comma 2 e 3 della legge n. 40 per contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione. Nel secondo procedimento, ricorrente era una coppia che, autorizzata dal Tribunale a procedere alla diagnosi genetica pre-impianto con la crioconservazione degli embrioni affetti dalla malattia di cui la madre era portatrice sana, faceva presente l’iniquità dell’articolo 14, comma 2, che, predeterminando il numero di embrioni da impiantare, dimostrava di non considerare la salute della ricorrente, messa in pericolo dall’obbligo di impiantare embrioni malati, dall’impossibilità di disporre un numero maggiore di embrioni e dal divieto di crioconservazione; ciò era considerato in contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione. Nel terzo procedimento, ricorrente era una coppia affetta da una malattia genetica, che, sottopostosi alla diagnosi genetica pre-impianto, aveva scoperto che la possibilità di trasmissione della malattia al feto era del 50% ed aveva espresso quindi la necessità di produrre un numero di embrioni superiori a tre per assicurare maggiori possibilità di successo dell’intervento; in questo senso, chiedeva al Tribunale di impartire questo ordine al centro di procreazione assistita o, in caso contrario, di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 1, 2 e 3 della legge n. 40 per violazione degli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione.

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o della collettività. Dubbi di costituzionalità erano stati sollevati dallo stesso Tribunale anche in riferimento all’articolo 6 della legge n. 40 del 2004 sul consenso informato, affermando che il divieto di revoca del consenso prestato successivamente alla fecondazione sarebbe stato in contrasto con l’articolo 32, comma 2, della Costituzione, nella parte in cui quest’ultimo impedisce trattamenti sanitari obbligatori, se non imposti per legge, e richiede il rispetto della dignità umana.

Lo stesso Tribunale ordinario di Firenze, con successiva ordinanza, sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 2, della legge n. 40, limitatamente alle parole “ad unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. I giudici inoltre censuravano l’articolo 14, comma 3, nella parte in cui prevedeva la possibilità di procedere eccezionalmente alla crioconservazione degli embrioni solo “qualora il loro trasferimento in utero non risult[asse] possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione”, ritenendolo in contrasto con gli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione. Essi sottolineavano, inoltre, come l’articolo 14, comma 4, nel prevedere un divieto di riduzione embrionaria delle gravidanze plurime, avrebbe costretto la madre a reiterati interventi, lesivi del principio di dignità umana. Anche questi giudici avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge n. 40 rispetto agli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione.

Questi tre provvedimenti contenevano questioni coincidenti e quindi sono stati riuniti e decisi con un’unica sentenza.

La Corte costituzionale è partita dal principio per cui, sia nella gravidanza naturale che nella procreazione assistita, è insito il sacrificio di alcuni embrioni; questa ha sottolineato, però, come l’articolo 14, comma 2,

prevedendo un limite nella produzione degli embrioni e l’obbligo del loro contemporaneo impianto, rendesse questo sacrificio vano tutte le volte in cui il numero di embrioni prodotto non fosse sufficiente a provocare una gravidanza. La Corte ha rilevato poi che “la tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze della procreazione98” e, in questo modo, è stato aggirato lo scoglio dell’assolutezza della tutela da accordare all’embrione, lasciando spazio anche alla garanzia del diritto alla procreazione di chi sceglie di sottoporsi alle tecniche di PMA. Secondo la Corte, questo limite legislativo avrebbe determinato inoltre la necessità di moltiplicare i cicli di fecondazione perché, fissando un limite rigido di embrioni da impiantare, non veniva preso in considerazione il numero realmente necessario per il buon esito della procedura di procreazione assistita, condizionata da varie variabili come la qualità degli embrioni e le condizioni soggettive della donna; in questo modo, si potevano avere anche maggiori rischi di insorgenza di malattie, legate all’iperstimolazione ovarica. L’articolo 14, comma 2, è stato ritenuto in contrasto anche con il principio di gradualità e minor invasività, da seguire nell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, espresso dall’articolo 4, comma 2, della stessa legge n. 40 del 2004. La Corte ha evidenziato poi come il limite di questa disciplina legislativa consistesse nel sottrarre alla valutazione del medico la possibilità di individuare, caso per caso, il numero idoneo di embrioni da impiantare sia ad assicurare un tentativo serio di procreazione assistita che a ridurre al minimo il rischio per la salute della donna e del feto; in questo modo, è rilevato un contrasto con quanto affermato dalla precedente giurisprudenza costituzionale, per la quale, “in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la

98 Corte cost., sentenza 8 maggio 2009, n. 150.

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responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali99”. La ragione ultima della decisione della Corte è quindi da ricercare nella contraddittorietà del protocollo sanitario unico, previsto dall’articolo 14, comma 2, che poteva recare pregiudizi non solo per la salute della donna, ma anche degli embrioni100. La Corte ha dichiarato infine che “la previsione della creazione di un numero di embrioni non superiore a tre, in assenza di ogni considerazione delle condizioni soggettive della donna che di volta in volta si sottopone alla procedura di procreazione medicalmente assistita, si pone[va], in definitiva, in contrasto con l’art. 3 Cost., riguardato sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza, in quanto il legislatore riserva[va] il medesimo trattamento a situazioni dissimili; nonché con l’art. 32 Cost., per il pregiudizio alla salute della donna – ed eventualmente [..] del feto – ad esso connesso”101. La pronuncia della Corte costituzionale è di parziale accoglimento perché è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 2, ma limitatamente alle parole “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”, per cui è rimasta la parte della disposizione che prevede che “le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell’evoluzione tecnica, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario”. Questa sentenza ha avuto l’effetto, da un lato, di ridurre il protocollo imposto dal legislatore, che si è ristretto al divieto di creare un numero di embrioni maggiore di quello

99 Ibidem. Il riferimento è alle sentenze n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002 della Corte

costituzionale.

100

Manetti, La sentenza sulla pma, o del legislatore che volle farsi medico, in www.costituzionalismo.it, 2/2014, p. 2 evidenzia come ciò che la Corte va a colpire sia proprio la pretesa del legislatore di sostituirsi al medico in valutazioni che possono spettare solo a quest’ultimo; il legislatore si deve limitare a fissare i principi generali che disciplinano la materia della PMA, ma il bilanciamento tra la tutela degli embrioni e la salute della donna deve spettare al medico, che è l’unico che può applicare le indicazioni “della migliore pratica medica” al caso concreto, rendendo tangibile le aspettative di una gravidanza e salvaguardando così contemporaneamente la coppia e l’embrione.

101 Corte cost., sentenza 8 maggio 2009, n. 150.

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necessario e, dall’altro, di rimettere alla responsabilità medica, oltre alla scelta di produrre un numero di embrioni superiori a tre, se necessari, anche la decisione di non procedere ad un unico impianto. La Corte ha sottolineato poi come, con questa pronuncia, fosse introdotta una deroga al principio di crioconservazione degli embrioni, contenuto nell’articolo 14, comma 1, conseguenza appunto della scelta medica di produrre embrioni, ma di non impiantarli e quindi di procedere alla loro crioconservazione. L’ampia deroga al divieto di crioconservazione non è stata tale da inficiarne l’operatività, in quanto esso è rimasto per i motivi personali che possono condurre a chiedere la crioconservazione, ma “non vige invece ex articolo 32 della Costituzione nei confronti del medico, nella misura in cui la decisione di non procedere all’impianto degli embrioni, lungi dall’essere arbitraria, può e deve essere dettata esclusivamente da ragioni sanitarie”102. Diretta conseguenza del percorso logico seguito dalla Corte per censurare l’articolo 14, 2 comma, è stata la declatoria di incostituzionalità del comma 3 dello stesso articolo, “nella parte in cui non prevede[va] che il trasferimento degli embrioni, da realizzare appena possibile, come previsto in tale norma, [dovesse] essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna”103; la Corte si è limitata quindi ad applicare l’articolo 32 della Costituzione, in base al quale sono rimesse al medico tutte le scelte sanitarie relative alla PMA, che non può essere applicata recando pregiudizio al paziente. Questa pronuncia ha inciso sul significato originario della disposizione, che prevedeva la possibilità di interrompere momentaneamente il trattamento qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni fosse stato impossibile “per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione”104, ma

102 Manetti, opera citata, pagina 4.

103 Corte cost., sentenza 8 maggio 2009, n. 150. 104 Articolo 14, comma 3, legge n. 40 del 2004.

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chiedeva che questo trasferimento si realizzasse “non appena possibile”105 e quindi non era in grado di impedire che l’impianto degli embrioni avvenisse. Tale disposizione è stata modificata dalla Corte, che arriva a prevedere la possibilità di una interruzione definitiva del trattamento quando questo sia sconsigliato dal medico, sulla base di cause di salute, non solo eccezionali e imprevedibili, ma anche ordinarie. La Corte ha dichiarato infine la manifesta inammissibilità delle altre questioni di legittimità costituzionale, sollevate rispetto all’articolo 14, commi 1 e 4, e all’articolo 6 della legge n. 40 del 2004.

La sentenza n. 151 del 2009 ha quindi rimesso al medico le scelte sul protocollo sanitario da applicare in materia di PMA, sia in vista dell’efficacia della terapia che in relazione alla salute della donna, che sceglie di ricorrere a queste tecniche. La Corte inoltre ha ricollocato al centro della decisione del trasferimento degli embrioni la salute della donna in linea con la precedente giurisprudenza costituzionale, per la quale “non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione, che persona deve ancora diventare”106. Altro aspetto da considerare di questa sentenza è lo spazio riconosciuto all’esigenze della procreazione, che devono essere bilanciate con la tutela dell’embrione e che sono maggiormente garantite proprio dalla limitazione alla discrezionalità legislativa in materia di PMA.

105 Ibidem.

106 Corte cost., sentenza 18 febbraio 1975, n. 27.

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4.2. La sostanziale disapplicazione del divieto di diagnosi genetica