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I NEURONI SPECCHIO

Nel documento ENERGIA DEL BUON UMORE (pagine 24-27)

Come mai veniamo contagiati dalle risate altrui o dal sorriso di uno sconosciuto che incrociamo per strada? Come mai un film può coinvolgerci così tanto che ab-biamo la sensazione di essere noi i protagonisti della scena d’amore sullo scher-mo? Come mai scendendo dietro la scia di un maestro di sci impariamo più ve-locemente a sciare (non è un gioco di parole)? Come mai ciò che ci rimane di una profonda esperienza spirituale non sono tanto le parole che uno si sente dire, quanto invece il modo in cui sono dette, i gesti, gli sguardi, i silenzi, i lampi di luce di un sorriso, di un pensiero che ci scalda il cuore, che noi facciamo nostri per sempre?

Immedesimarci nelle azioni degli altri è qualcosa che facciamo ogni giorno, au-tomaticamente e senza neppure rendercene conto. È il nostro cervello a occu-parsene, grazie ad alcune cellule nervose chiamate neuroni specchio. Scoperti nel cervello delle scimmie, i neuroni specchio dell’uomo controllano processi molto sofisticati, come la comprensione di azioni, intenzioni ed emozioni altrui, l’imita-zione, l’apprendimento e il linguaggio. Comprendere questo meccanismo ci aiuta a prevedere, capire e imitare quello che fanno, provano e dicono gli altri.

Si tratta di una tipologia di neuroni la cui esistenza è stata rilevata per la prima volta verso la metà degli anni ‘90 da Giacomo Rizzolatti e il suo team di scienziati presso il dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma. Una scoperta di importanza storica. Vilayanur Ramachandran, professore di neuroscienze e

psi-cologia all’Università della California di San Diego e direttore del Center for Brain and Cognition, dice: “I neuroni specchio sono per le neuroscienze ciò che il DNA è stato per la biologia”.

Utilizzando come soggetti sperimentali dei macachi, questi ricercatori osserva-rono che alcuni gruppi di neuroni si attivavano non solo quando gli animali erano intenti a determinate azioni, ma anche quando guardavano qualcun altro compie-re le stesse azioni.

Studi successivi, effettuati con tecniche non invasive, hanno dimostrato l’esisten-za di sistemi simili anche negli uomini. Sembrerebbe che essi interessino diverse aree cerebrali, comprese quelle del linguaggio.

I neuroni specchio permettono di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di metterci in relazione con gli altri. Quando osserviamo un nostro simile compiere una certa azione si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione.

Essi ci permettono di capire al volo che cosa sta facendo chi ci sta di fronte, senza che sia necessario fare un ragionamento complesso. Inoltre, preparano il nostro sistema nervoso a imitare le azioni degli altri e a entrare in empatia con i nostri interlocutori.

Esistono due tipi di neuroni specchio: quelli che riconoscono una determinata azione – per esempio afferrare una tazza di caffè – e quelli che riconoscono l’in-tenzione del gesto: afferrare la tazza per berla è diverso dall’afferrarla per spa-recchiare. Il tipo di gesto e il contesto – per esempio la tavola appena preparata piuttosto che disordinata – permettono a questi neuroni di attivarsi sulla base dell’azione prevista. La quantità di neuroni specchio che si attivano per l’intenzio-ne è maggiore di quelli che si attivano per l’aziol’intenzio-ne. Il nostro sistema sembra cioè più sviluppato per cogliere le intenzioni altrui che le azioni pure e semplici. Que-sta scoperta dimostra che noi siamo in grado di capire immediatamente quello che un altro fa o ha intenzione di fare, cioè che non ci comporta nessuno sforzo immedesimarci negli altri. È un meccanismo che si è mantenuto e perfeziona-to perché si è rivelaperfeziona-to evolutivamente vantaggioso. La biologia ci ha selezionaperfeziona-to per essere animali sociali. L’empatia e la tendenza all’imitazione sono presenti in maniera molto forte nell’essere umano fin dalla nascita. Istintivamente neonati e genitori si imitano tra di loro: quando il neonato contrae involontariamente le

labbra all’insù e i genitori rispondono a loro volta con un sorriso, i neuroni spec-chio stanno gettando le basi per l’empatia e per la comprensione reciproca degli stati emotivi.

Noi capiamo istintivamente le espressioni emozionali altrui perché le riviviamo dentro di noi.

Nelle situazioni sociali tendiamo inconsciamente a imitare gli altri, i loro gesti, le loro espressioni fisiche e verbali perché questo ci aiuta a capire il loro stato d’ani-mo: è quello che gli psicologi chiamano “effetto camaleonte”. Questa capacità di capire gli altri in modo immediato, istintivo, senza ragionamenti di alcun tipo, è do-vuta ai neuroni specchio, che interagiscono con le aree classiche emotive del cer-vello, come l’insula e l’amigdala, per produrre empatia. È a causa di queste cellule che, quando vediamo una scena che ci fa ridere, veniamo istintivamente e senza alcun ragionamento contagiati. Allo stesso modo, quando guardiamo lo sport allo stadio o anche semplicemente in TV, partecipiamo letteralmente alle performan-ce degli atleti: spesso ne assumiamo inconsciamente le posture e le espressioni del viso e ci poniamo in un atteggiamento di tensione muscolare, come se ne con-dividessimo lo sforzo.

Si può dire che noi viviamo gli altri dentro di noi, e quindi che, in un certo senso, noi e gli altri siamo “la stessa cosa”. Negli altri, attraverso i neuroni specchio, vediamo noi stessi. Queste cellule sono il collante che ci lega insieme. Gli ultimi studi delle neuroscienze hanno aperto la strada a nuove interpretazioni sul con-cetto del sé, che non sembra essere così distaccato da quello dell’altro. Questo ci fa pensare che il sé sia più una costruzione sociale che innata, e che il senso del NOI venga prima del senso del sé. Questa è una scoperta non da poco, che potrà dare una spinta a un nuovo modo di pensare e di produrre. Su questa scia, infatti, si stanno muovendo delle scuole di pensiero che parlano di WEgeneration, la generazione del NOI, di WEconomy, l’economia del NOI, che basa il suo sviluppo non tanto sulla competizione, quanto sulla condivisione e il cui slogan è “Chi divide perde, chi condivide vince!”. Da parte mia ho coniato il termine WEnergy, l’energia del NOI, che si sviluppa attraverso la condivisione di momenti forti sul piano dell’esperienza.

Dal punto di vista evolutivo, i neuroni specchio potrebbero aver preceduto le cel-lule che ci servono per parlare. Il loro ruolo potrebbe essere stato quello di

trasfor-mare le azioni del nostro corpo in linguaggio. Paradossalmente il dialogo, benché strutturalmente più complesso, ci risulta più naturale. Durante una conversazione i due interlocutori si uniformano l’uno con l’altro, imitano reciprocamente i gesti e il modo di esprimersi, un meccanismo che funziona anche al telefono e nelle chat.

Il monologo invece, per la maggior parte delle persone, è più difficile da sostene-re. Chiedetelo a chi deve parlare in pubblico… I neuroni specchio in questo caso interagiscono con il pubblico nel suo insieme e la cosa è certo più problematica e impegnativa.

Forse non è un caso che un tempo, per divulgare la conoscenza, ci si serviva so-prattutto della forma letteraria del “dialogo”: lo usavano Socrate e Platone, lo ha usato Galileo, nel dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, per ribaltare la con-cezione antropocentrica del mondo. Oggi questo sistema si è un po’ perso, tranne forse nelle interviste giornalistiche, mentre nelle conversazioni quotidiane si è im-poverito, sostituito spesso dalle e-mail e dai messaggi sui social, un modo meno naturale di connetterci con gli altri. La video call è già una bella conquista perché vedo le espressioni della faccia e la gestualità del corpo. Ma la forma più potente di comunicazione resta pur sempre quella di due persone che sono fisicamente a tu per tu e dialogano mettendo in atto tutta una gamma di emozioni, vibrazioni e messaggi sottili fatti a volte di poesia, sentimento e spiritualità, che nella re-altà virtuale spesso sfuggono o sono meno efficaci e potenti. Vista la tendenza all’allargamento della comunicazione in remoto per vari motivi, l’ideale sarebbe un giusto mix tra la comunicazione reale e quella virtuale, altrimenti perdiamo per strada una parte importante della nostra umanità come persone.

Nel documento ENERGIA DEL BUON UMORE (pagine 24-27)

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