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ENERGIA DEL BUON UMORE

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Academic year: 2022

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ENERGIA DEL

BUON UMORE

Come mantenerla nel tempo con la Terapia della Risata

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ENERGIA DEL

BUON UMORE

Come mantenerla nel tempo con la Terapia della Risata

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Vendite: tel. 0239090440, fax 0239090335 e-mail: vendite-libri@tecnichenuove.com www.tecnichenuove.com

ISBN 978-88-481-4196-3

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso dell’editore.

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Disegno di copertina: Yoshiko Kubota

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Introduzione ... 5

Parte prima Da dove viene l’energia del buon umore ... 7

La relazione tra la risata e il ben-essere ...7

Che cosa succede a livello fisiologico? ...8

Che cosa succede a livello psicologico? ...9

Una cattiva consigliera che fabbrica veleno: la rabbia ... 12

Un’altra cattiva consigliera: la paura ...14

Il bicchiere mezzo pieno ... 17

L’ottimismo responsabile ...18

Contagiati dall’umore ...20

I neuroni specchio ... 22

Contrastare lo stress e la depressione ... 25

Parte seconda Come generare l’energia del buon umore ... 27

Alcune buone pratiche ... 27

La Terapia della Risata ... 33

Pillole della felicità ... 38

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Tutto canta e grida di gioia

(Salmo 64, 14)

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Cari lettori, se arriverete fino in fondo a questo Instant Book potrete vivere insieme a me un RISVEGLIO che è un INNO ALLA GIOIA, un INNO ALL’OTTIMISMO, per vivere intensamente atteggiamenti che anticipano e preparano futuri successi e fare della nostra vita un capolavoro, un vero e proprio “fuoco d’artificio”!

Cercherò di sperimentare insieme a voi che le cellule del nostro corpo sono state programmate per gioire, tanto è vero che, se frapponiamo un ostacolo a questo progetto, le nostre cellule tendono ad ammalarsi, mentre se sono sollecitate a pro- vare questo tipo di emozione, entrano in risonanza tra di loro in un crescendo che è un vero e proprio grido liberatorio, una standing ovation attesa da tempo, come una eco del Salmo sopra citato.

E lo faremo attraverso un percorso che vede la Risata di Cuore come protagonista principale.

Una risata che risale alla notte dei tempi… è il “riso originario”, quello prorompen- te, trascinante, un po’ folle, surreale, esplosivo di cui si parla nel libro dei Proverbi, dove Saggezza dice di essere stata a fianco con Dio nei momenti emozionanti della creazione, sottolineando ogni fase della creazione con uno scoppio di risata di approvazione: “E io fui le allegrie giorno per giorno, ridendo a lui davanti in ogni punto. Ridendo nel mondo sulla terra.” (Prv. 8, 30-31)

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In oriente invece si racconta la storia di tre monaci-giullari-zen dell’antica Cina. I loro nomi non vengono ricordati perché non li rivelarono mai a nessuno. Per cui in Cina sono conosciuti semplicemente come i tre monaci che ridono.

Non facevano altro che ridere: entravano in un villaggio, si mettevano in mezzo alla piazza e iniziavano a ridere. I bambini, che sono i primi ad andare a nozze con questo tipo di cose, cominciano a razzolare tra le gambe di questi monaci dagli oc- chi puri e il cuore puro, saltano, corrono, ridono come dei matti… Pian piano altre persone venivano coinvolte da quella risata, finché si formava una piccola folla, e il semplice guardare quelle persone faceva scoppiare a ridere tutti i presenti. Alla fine tutti gli abitanti venivano coinvolti.

Quando avevano raggiunto l’obbiettivo di cambiare l’energia di quel luogo, i tre monaci prendevano su le loro povere cose e si spostavano in un altro villaggio a fare la stessa cosa. La risata era la loro unica predica, il solo messaggio. Non inse- gnavano nulla, si limitavano a creare quella situazione.

Erano amati e rispettati in tutta la Cina: nessuno aveva mai fatto sermoni simili. E non ridevano di qualcosa in particolare. Che avessero scoperto il segreto dell’u- niverso?

Quei monaci diffusero gioia infinita in tutta la Cina, senza usare una sola parola.

Con il passare degli anni anche loro invecchiarono e in un villaggio uno di loro morì.

Prima di morire aveva detto ai suoi amici: “Ho riso tanto nella mia vita che nes- suna impurità si è mai accumulata vicino a me. Non ho raccolto polvere: la risata è sempre giovane e fresca. Per cui, non mi lavate e non cambiatemi le vesti come prescrivono le tradizioni”.

Per rispetto, non gli cambiarono l’abito. E quando il corpo fu messo sulla pira, all’improvviso si accorsero che nei vestiti aveva nascosto dei fuochi artificiali!

Pum, pum, pam! L’intero villaggio si mise a ridere, e gli altri due monaci dissero:

“Furfante! Ti sei fatta l’ultima risata!”.

La risata, lo humor, l’autoironia, la capacità di cogliere il lato comico delle cose:

ecco l’arte più preziosa da coltivare. Non per sfuggire ai problemi, non per nascon- dere lo sporco sotto il tappeto, ma anzi per tirarlo fuori. Per ricaricare le batterie, per non identificarsi nelle difficoltà della vita e farsene sopraffare. E anche per un altro motivo: per non prendersi troppo sul serio, per ruotare il nostro punto di vista in altre posizioni, per liberarsi da una visione asfittica della realtà.

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LA RELAZIONE TRA LA RISATA E IL BEN-ESSERE

“Un cuore contento è una buona medicina, uno spirito abbattuto inaridisce le ossa.”

(Proverbi 17, 22)

“Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di canti di gioia.” (Salmi 126, 2)

“Godete sempre dell’allegria.” (San Paolo – Lettera ai Filippesi)

“Perciò vi farà bene disporre la mente a letizia e allegria, che scacciano mille mali e allungano la vita.” (Shakespeare – La bisbetica domata)

“La medicina non è divertente, ma c’è molta medicina nel divertimento.” (L. e M.

Cowan)

La relazione tra riso e benessere è conosciuta da sempre.

I cinesi, cinquemila anni avanti Cristo, dicevano che la risata è un’esplosione di energia yang dallo shen del cuore. Dante Alighieri diceva più o meno la stessa cosa… diceva che il riso è il lampeggiare della gioia dell’anima. San Francesco par- lava della perfetta letizia. I grandi uomini sono spesso stati degli ottimi umoristi.

“Ridere a crepapelle” è una metafora che lascia intuire come l’atto del ridere sia uno scoppio di energia libidica che rompe le barriere simboliche (la pelle) del no- stro Io, riempiendo di allegria tutto l’ambiente circostante e “contagiando” chi si

Da dove viene l’energia

del buon umore

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trova attorno a noi. In questo senso il riso diventa qualcosa che travalica il singolo (contenuto nella sua pelle) per immergere il gruppo in un’unica atmosfera di al- legria dove i confini individuali si fanno sempre più esili o addirittura inesistenti.

Saper ridere, pensiero positivo, auto-ironia sono risorse sempre più importanti che ci aiutano a vivere e ad affrontare avvenimenti complessi e difficili.

Tirar fuori il lato brioso della vita può essere una mossa molto azzeccata che ci permette di trovare nuove soluzioni, nuove vie di uscita.

Occorre cercare di far riaffiorare il fanciullo interiore che è dentro a ciascuno di noi, di concedergli libera uscita, con tutta la sua carica di freschezza ed entusia- smo, lasciandoci anche un po’ andare alla giocosità e alla letizia. Occorre solleci- tare con opportuni esercizi e stage esperienziali il dialogo interno con la nostra parte profonda, tenuta accuratamente ai margini dai gendarmi della razionalità, seppellita da montagne di convenzioni e autocensure. Quel bambino interiore che vive in noi e che spesso si esprime in modo negativo (anche gli adulti infatti fanno i capricci, hanno paura…) va fatto riemergere con la sua vitalità, spontaneità, ener- gia positiva e capacità espressiva.

Dove c’è corpo c’è riso. All’umorismo cerebrale di certe battute fredde, basate su giochi di parole, non si risponde mai con una risata piena. Mentre il corpo, in osmosi con lo spazio che lo riempie e da cui viene riempito, è l’elemento essenzia- le del riso: tutte le sue funzioni, dal mangiare, al dormire, al sesso, all’evacuare, allo star male, al gesticolare, possono essere fonte inesauribile di ilarità e legate allo scoppio di risata. Il corpo non può nascondere niente, né perfezione, né deformità, quindi può essere “smascherato” facilmente in chiave comica. Più una persona è in vista e si atteggia a sentirsi superiore agli altri, più è facile che, anche semplice- mente soffiandosi il naso, precipiti nel ridicolo.

CHE COSA SUCCEDE A LIVELLO FISIOLOGICO?

Il nostro cervello contiene più di dieci miliardi di cellule nervose le quali sono delle centraline (neuroni) da cui partono centinaia di connessioni (sinapsi) che le col- legano con altre centraline per trasmettere informazioni, formando così una rete incredibilmente ampia e potente. L’impulso funziona come uno spruzzo composto da sostanze chimiche che colpisce la membrana della cellula collegata, la quale reagisce emettendo a sua volta un altro spruzzo e così via, di neurone in neurone,

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a grande velocità, calcolabile in qualche millesimo di secondo. Questi spruzzi sono costituiti da neuro trasmettitori come, tra l’altro, l’adrenalina e l’endorfina che si possono definire come messaggeri biochimici tra sistema nervoso e sistema im- munitario.

Che cosa succede nel nostro organismo quando riceviamo una brutta notizia? Si provoca una reazione a catena: la midollare del surrene si attiva, attraverso le fibre nervose del sistema simpatico; il midollo inizia a produrre adrenalina, noradre- nalina, dopamina e queste sostanze causano delle alterazioni biologiche: sale la pressione sanguigna, il cuore pulsa con maggiore frequenza, le difese immunitarie si abbassano rendendoci più vulnerabili alle malattie.

Se invece abbiamo riso di cuore per una battuta di spirito o per una situazione esilarante, al termine dello scoppio del riso si ha un rilascio di endorfina che è un oppioide endogeno, cioè uno “stupefacente” prodotto dal nostro stesso corpo, con effetto calmante, antidolorifico, euforizzante e immunostimolante.

In più c’è da sottolineare che se noi ci abituiamo a reagire in un certo modo di fron- te a una notizia o un evento è anche dovuto al fatto che fisiologicamente, a forza di continui stimoli di un certo tipo, i punti di contatto tra neuroni aumentano di volu- me e di sensibilità, accorciando distanza e tempo di trasmissione del messaggio.

In pratica più sono i passaggi, più il sentiero diventa autostrada e più diventiamo abitudinari, in quanto più è facile passare di lì, meno fatica si fa.

La risata, in sintesi, a livello fisiologico provoca la seguente serie di fenomeni:

aumenta il rilassamento;

la circolazione sanguigna è più abbondante;

la capacità dei polmoni aumenta;

contribuisce alla guarigione da malattie da stress (cuore, pressione, insonnia).

CHE COSA SUCCEDE A LIVELLO PSICOLOGICO?

Da un punto di vista psicologico, il riso, come dice Sigmund Freud, è uno starnuto mentale in grado di liberare la mente; la battuta istituisce un canale di sfogo molto utile a liberare l’energia che impegniamo nel tenere sotto controllo qualche nostro contenuto inconscio (paure, preoccupazioni, ecc.). Questa liberazione dalla ten- sione e il rilassamento che ne consegue provocano piacere.

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Dopo aver riso o anche dopo aver pianto, non importa se per il troppo riso o per sofferenza e dolore psichico, ci sentiamo meglio. Il valore comunicativo e socia- le del ridere è anche dimostrato dagli organi e apparati coinvolti. Infatti si ride sempre a bocca aperta, emettendo aria, grazie all’azione di espirazione della cas- sa toracica, mentre il piangere è costituito da una serie di inspirazioni interrotte continuamente da contrazioni improvvise diaframmatiche. Quindi il ridere è una sorta di estroversione della libido, mentre il pianto ne rappresenta l’introversione.

Potremmo postulare, in un’ottica psicoanalitica, che il ridere come meccanismo di piacere e le lacrime successive all’eccesso del riso rappresentino una ripetizione del piacere e della sofferenza provati nel nascere.

Ridendo stiamo bene, e affrontiamo con spirito positivo e con risultati più bril- lanti i numerosi impegni quotidiani; questo è comprensibile se pensiamo che, come scriveva Freud, “col riso viene a un tratto resa disponibile dell’energia che era impegnata, fino a quel momento, per controllare alcune condizioni psico- logiche intime”. Ci pensate che cosa significa disporre di maggior energia? È ovvio che possiamo dare il meglio di noi stessi nei vari campi della vita. Di tutti gli esempi a disposizione, prendiamo quello riguardante l’apprendimento e la memoria. Per lo studente molto ansioso, l’umorismo ha proprietà ansiolitiche e fa quindi migliorare in modo notevole i risultati degli esami. Ma il ridere può avere altre applicazioni nel campo dell’insegnamento e dell’apprendimento, sia- no essi impiegati nella scuola, nel lavoro, in casa o in qualsiasi altra circostanza;

le ricerche effettuate in questi ultimi anni dimostrano che l’uso dell’umorismo ottimizza l’apprendimento, la memoria e la creatività. Si può ritenere che questo risultato sia dovuto ad almeno due motivi. Il primo è che, se l’allievo è ansioso, la sua attenzione viene assorbita, distratta dalla tensione e non è quindi disponibi- le per agire come dovrebbe; il ridere fa scaricare l’ansia e libera l’attenzione, per- mettendo un lavoro efficiente e soddisfacente. Il secondo motivo è che l’umori- smo serve in un primo tempo a risvegliare l’attenzione dell’allievo, stimolandone la curiosità sulle nozioni da apprendere e poi a mantenerla costante. Quando l’attenzione è risvegliata e mantenuta costante, si hanno maggiori probabilità di trattenere nella memoria il materiale da imparare. L’umorismo in campo scola- stico migliora il rapporto insegnante-allievo in quanto mantiene vivo l’ascolto e l’apprendimento.

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Se si pensa poi a quali effetti relazionali, comunicativi, psicosomatici e spirituali è in grado di scatenare la risata, si avrà il quadro completo del valore assolutamente prioritario e irrinunciabile di questa modalità espressiva.

L’umorismo, la comicità e il riso che ne scaturisce sono potentissimi elementi di ristrutturazione del campo interno, una formidabile opportunità per ribaltare si- tuazioni problematiche e ansiogene.

Quando una nuova esperienza, un nuovo apprendimento sono associati a uno sta- to emotivo particolare, come quello di una persona che ride, le nozioni, i rapporti, le situazioni restano incisi molto in profondità; in sintesi, ridendo, l’apprendimento si rafforza moltissimo.

L’aver relegato la comicità e l’umorismo tra i generi minori dell’arte, con la scusa che si ride soprattutto della corporeità e quindi degli istinti più bassi, è stata un’o- perazione culturale grandemente miope. Si pensa: “Il riso è associato al “basso”, al corpo, e quindi è lontano dalle sublimi vette dello spirito…”. Eppure se qualcuno sa far ridere si dice appunto che è spiritoso…

La radice della parola, guarda caso, è la stessa.

La risata quindi è un’ottima medicina!! Ed è gratuita… non c’è bisogno neanche di pagare il ticket.

A livello psicologico:

mette in uno stato mentale positivo;

migliora l’abilità di gestire situazioni difficili, perché accorcia le distanze tra le persone;

rende più estroversi;

migliora l’autostima e fa diminuire la timidezza;

sviluppa il senso dello humor; se mi concedo il lusso di qualche risata in più mi apro ad altre angolazioni (Riccardo Bacchelli, che quanto a humor era un tipo allenato, soleva dire: “Gli stupidi impressionano sempre, non fosse altro che per il loro numero”);

è una forma di meditazione perché quando si ride non si pensa a nient’altro:

il ridere aiuta a fermare il continuo flusso di pensieri e fa essere presenti nel momento presente;

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e poi ridere aiuta anche a porsi le grandi questioni della vita… (“Uomini! Avete in mano il futuro della specie umana!”, scritta di anonimo su un muro di un orinatoio pubblico londinese).

Bisognerebbe aggiungere una beatitudine in più al discorso della montagna: “Beati coloro che sapranno ridere di se stessi, perché si divertiranno moltissimo”.

“Ridi, e saprai di più di te stesso” diceva il grande Marziale.

Questo ci allena a recuperare visceralmente quello che definirei il SORRISO IN- TERNO, cioè quell’atteggiamento di pensiero positivo nei confronti della vita. Per cui scatta un circolo virtuoso, un riflesso condizionato: se io continuo a ripetere a me stesso che sono un infelice… sarò un infelice!!!

Al contrario se mi alleno a vedere gli aspetti positivi della realtà potrò aprire la mente ad altri punti di vista.

Le persone più ottimiste normalmente sono quelle che godono di ottima salute.

Attraverso la risata e il buon umore si innesca il circolo virtuoso sopra descritto, per cui a risata risponde risata e quindi atteggiamento positivo nei confronti della vita: sorridi e il mondo ti sorriderà… è l’uovo di Colombo, a pensarci bene! Ma allora perché il mondo è così pieno di “musoni”?

UNA CATTIVA CONSIGLIERA CHE FABBRICA VELENO: LA RABBIA

Un’emozione cronicamente covata all’interno di noi stessi come la rabbia aumen- ta il rischio di contrarre malattie. Per esempio le malattie cardiovascolari tendono a manifestarsi in soggetti che vivono sempre sotto pressione e cercano di ottenere dalla vita molto di più di quanto siano disposti a dare.

Da ciò nasce la rabbia e tutte le altre emozioni negative che sottopongono a un superlavoro il sistema cardiocircolatorio. Va notato che sia i malati di cancro sia i malati di cuore sono quasi sempre persone che hanno perduto la capacità di ridere e sorridere; sono talmente esausti, nervosi e preoccupati che proprio non ci rie- scono. Solo pochi minuti di allegria li aiuterebbero a normalizzare le loro funzioni corporee, ma non ci pensano nemmeno. La sola idea che si possa combattere una malattia ridendo sembra loro ridicola, invischiati come sono nel circolo vizioso di preoccupazione e paura che d’altra parte essi stessi hanno creato. Tutti tendiamo a sviluppare schemi di comportamento disarmonici e tutti, prima o poi, soffriamo

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di qualche disturbo; nessuno ne è immune. Nasciamo in un mondo imperfetto e, quando diventiamo adulti e ci rendiamo conto della realtà che ci circonda, spesso reagiamo in modo negativo, diventando preda dell’ira, dell’avidità e dell’infelicità.

Invece di trovare una forza interiore che ci aiuti ad affrontare situazioni negative che vediamo intorno a noi, permettiamo che le circostanze avverse prendano il sopravvento sulla nostra vita e ci lasciamo influenzare dalle azioni e dalle opinioni negative altrui.

Ad esempio ci arrabbiamo quasi sempre quando troviamo le code in autostrada o quando veniamo sorpresi da uno sciopero selvaggio dei mezzi pubblici. Sappiamo benissimo che neppure tutta la rabbia del mondo potrebbe sbloccare le code o far rientrare lo sciopero, ma non riusciamo proprio a trattenerci. Se invece di agitarci per eventi totalmente al di fuori del nostro controllo riuscissimo a sorridere o a ridere di queste disavventure, arriveremmo a destinazione ugualmente in ritardo ma più calmi e lucidi. Allo stesso modo ci arrabbiamo molto quando gli altri ci deludono o tradiscono le nostre aspettative; forse ci aspettiamo troppo dal pros- simo, e se una persona non riesce a mantenere la parola è un problema suo, non nostro. Arrabbiarsi non cambia nulla.

Al contrario, riderci sopra tende a sdrammatizzare e a mettere in circolo delle energie positive che ci fanno superare l’empasse con vantaggio sia per noi stessi e la nostra salute, sia per coloro con cui veniamo in contatto quotidianamente, i quali spesso non c’entrano nulla con le nostre disavventure e che non sarebbe giusto condizionare negativamente con i nostri “bronci”.

L’insegnamento evangelico del “porgi l’altra guancia”, se visto in questa nuova prospettiva, è non solo un gesto “eroico” ma un “buon affare” per entrambi. Va a vantaggio prima di tutto di chi porge la guancia scaricando la tensione insita nel conflitto, e poi di chi, dopo aver schiaffeggiato, riceve, sia pure indirettamente, una risposta spiazzante che gli apre improvvisamente una via di uscita da una spirale di vendette e ripicche che quando si instaura può “nuocere gravemente alla salute”, come scritto sui pacchetti di sigarette.

Senza contare l’impatto “rivoluzionario” che porta con sé un nostro atteggiamento di perdono quando l’effetto non è solo quello di rompere un circolo vizioso ma, con il nostro atteggiamento misericordioso, di rilanciare spiritualmente chi ha sbaglia- to facendogli cambiare rotta nelle sue scelte morali; la grandezza degli uomini spiritualmente evoluti sta proprio nel considerare un avvenimento apparentemen-

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te negativo (es. un torto subito) una grande opportunità di “riscatto” morale e rilancio spirituale.

A tale proposito sono illuminanti le pagine de I Miserabili di Victor Hugo nell’epi- sodio della conversione di Jean Valjean ricercato dalla polizia: scappando, entra nella canonica fingendosi un poveraccio che chiede aiuto; il curato, dopo aver- lo accudito, si accorge che quell’uomo gli ha rubato degli oggetti preziosi; dopo che la polizia lo arresta e lo conduce al canonico per un confronto risolutivo sulla provenienza della refurtiva, il canonico risponde che sì, glieli ha donati lui… e qui nel cuore indurito del delinquente fa irruzione un fatto clamoroso, un comporta- mento inaudito, che squarcia improvvisamente i nuvoloni neri per far intravedere un raggio di luce nuova e abbagliante; è l’inizio della conversione di un’anima, è l’universo intero che gioisce ridendo e si rigenera.

La risata di cuore è un ottimo strumento per allenare il nostro cuore a imparare a guardare lontano al di là delle apparenze e delle contingenze; favorisce un at- teggiamento di salutare auto-ironia; fa vedere l’aspetto umoristico delle cose e degli avvenimenti; ingenera ed evoca in chi ci sta vicino un senso di benessere e di allegria contagiosa, di liberazione dalla paura, di fiducia, di ottimismo, di apertura, la sensazione che tutto è possibile, basta cominciare a crederci.

È una questione di applicazione! La risata di cuore con l’allegria che si porta dietro è un grande farmaco, un “anti-infiammatorio” naturale che riduce e sgonfia i nostri momenti di ansia, disperazione, rabbia.

UN’ALTRA CATTIVA CONSIGLIERA: LA PAURA

Un’altra brutta “bestia” che imperversa alla grande in questa nostra era dell’in- certezza e della precarietà è la paura. Perché non ridiamo e non sorridiamo più?

Fondamentalmente perché abbiamo paura. Abbiamo paura della vita, del pros- simo, delle malattie e tutte queste tensioni e preoccupazioni ci portano a essere costantemente seriosi. Spesso ci sentiamo spaventati anche senza motivo. È una forma di inquietudine esistenziale latente che diventa norma costante e crea la base di un normale malumore che ci si porta avanti anche per una vita intera senza un perché ben preciso.

Quella che chiamiamo malattia è in realtà uno stato di disarmonia fisico e men- tale. Quando siamo infelici non siamo nel nostro elemento naturale. La stragran-

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de maggioranza delle malattie può essere ricondotta a schemi di pensiero errati divenuti ormai abituali. Un modo di pensare negativo ha l’effetto di indebolire il sistema immunitario e di rendere quindi il corpo vulnerabile ad attacchi interni ed esterni. Uno dei più grandi nemici della salute è il permanente senso di insoddisfa- zione. Certe persone non sono mai contente e hanno il desiderio insaziabile di una casa più grande, di un’auto più bella o di più denaro; insomma vogliono sempre di più dalla vita, ma non vedono quasi mai la necessità di dare tanto quanto hanno ricevuto. Chi ride e sorride spesso invece dona continuamente qualcosa di sé.

La malattia non salta fuori dal nulla, ma è il risultato di infelicità, tensioni e conflitti divenuti ormai cronici, conflitti che sembrano spesso impossibili da risolvere. La mente ha un ruolo molto più importante nella comparsa delle malattie di quanto molti riescano a immaginare.

“La mente può fare del paradiso un inferno e dell’inferno un paradiso.” (John Milton) Perché l’amore apre, la paura chiude; l’amore unisce (la parola simbolo deriva dal greco sun-ballo = “ciò che unisce”), la paura divide (in greco dia-ballo è “ciò che divide” da cui la parola diavolo); l’amore guarisce, la paura fa ammalare.

È la paura il contrario dell’amore! La paura oggigiorno è un sentimento molto più diffuso dell’odio, soprattutto nel mondo ricco e benestante, ed è la causa di innu- merevoli guai.

Ci irritiamo molto quando non riusciamo a comprendere noi stessi e gli altri e con l’andar del tempo finiamo per temere le nostre reazioni ostili a ciò che ci circonda, finché paure e preoccupazioni si intrecciano e portano alla malattia.

Quando ci si ammala il futuro appare incerto e si nutrono timori per le cure medi- che, per eventuali operazioni, per i problemi finanziari e per la famiglia, timori che tendono ad aggravare i sintomi del paziente e a ostacolare il processo di guarigione.

Si temono le malattie in gran parte perché se ne sa poco ma, quando si capisce esattamente di che cosa si tratta e quali ne sono le cause, la paura svanisce len- tamente. Quando la paura svanisce del tutto, si potrà combattere con successo la malattia. Una volta che si è riusciti a ridere dei propri disturbi e delle condizioni a cui ci si è venuti a trovare, si riuscirà a spezzare il circolo vizioso della paura e a mettere in moto il processo di guarigione.

Molti medici oggi ritengono che, se il paziente è fiducioso e rilassato, qualsiasi cura medica o chirurgica ottiene risultati migliori; ci sono minori probabilità di

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complicazioni e il periodo di convalescenza si abbrevia, mentre l’ansia già di per sé sottopone il corpo a superlavoro.

Anche uno stato d’animo positivo accresce notoriamente l’efficacia di qualsiasi medicina o operazione chirurgica. Chi ha fiducia nel suo medico in generale o in un particolare trattamento ne trarrà senz’altro beneficio. Tale effetto è molto co- nosciuto sotto il nome di “effetto placebo”, ma fino a poco tempo fa non godeva di alcuna considerazione. In realtà il corpo fa spesso quello che la mente gli impone di fare; si potrebbe paragonare il corpo a un’automobile e la mente all’autista che lo guida in una direzione o nell’altra o lo costringe ad arrestarsi. Tutte le malattie partono in teoria dalla mente, ma anche la guarigione.

Poiché qualsiasi tipo di ansia favorisce le malattie, è essenziale liberarsi dalla pau- ra; infatti quelli che affrontano la vita con atteggiamento timoroso tendono co- stantemente ad ammalarsi. Ciò avviene perché la paura “congela” letteralmente alcune parti del corpo impedendo l’afflusso di sangue, ormoni ed elementi nu- tritivi; il riso e il buon umore invece favoriscono il “disgelo” e la ripresa del fun- zionamento. Timori profondi legati a una particolare area del corpo modificano l’afflusso di sangue a quella determinata area. Per esempio, le donne che temono il sesso, o una gravidanza indesiderata o non si sentono sicure di sé, possono sof- frire di disturbi ginecologici.

La mente taglia letteralmente fuori una parte del corpo che pensa di non poter amministrare e, quando l’afflusso di sangue diminuisce, l’organo interessato inizia ad atrofizzarsi e diventa più vulnerabile alle infezioni esterne o sviluppa cellule maligne al suo interno, in quanto non può funzionare bene senza il giusto riforni- mento di sangue.

Paure di lunga data, a volte risalenti all’infanzia, possono portare a cattive abitu- dini respiratorie. Molti hanno effettivamente paura di respirare nella maniera giu- sta e ciò significa che i polmoni non possono svolgere bene il loro lavoro. Anni e anni di respirazione sbagliata però possono portare a squilibri nella composizio- ne chimica del sangue e questo è un esempio eclatante di come la paura giunga a influenzare addirittura il funzionamento di tutto il corpo quando la respirazione diventa cronicamente superficiale. Il respiro profondo, invece, associato al rilas- samento e alla calma, è uno degli effetti secondari positivi del riso, perché non si può ridere e respirare superficialmente allo stesso tempo.

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Quando la paura raggiunge il massimo livello, il cuore reagisce “andando su di giri”

e accelerando i battiti per facilitare la fuga, nel caso in cui esista una possibilità di scampo. Ma quando tale possibilità non esiste perché la paura è insita nella mente, il cuore rimane costantemente “su di giri”, pronto ad affrontare un attacco che non avverrà mai. Chi è costantemente in preda all’angoscia e all’ansia, anche quando non c’è nulla da temere, tende ad avere un eccesso di adrenalina in circo- lazione; in questi casi il corpo finisce spesso per dichiarare lo stato di emergenza e costringe al riposo soccombendo a una malattia.

Più lo stress è grave e di lunga data, più seria è l’eventuale malattia. Il nostro corpo infatti reagisce allo stress emotivo come a una minaccia fisica, perché il sistema ner- voso autonomo, che controlla l’emissione di adrenalina, non fa distinzione tra i due.

IL BICCHIERE MEZZO PIENO

Il riso e il sorriso ci aiutano a vivere la vita, facendoci vedere il famoso bicchiere mezzo pieno.

Del resto, per vederlo mezzo pieno ’sto bicchiere, non dobbiamo pagare alcuna tassa! È un modo gratuito di vedere, così come lo è il fatto di vederlo mezzo vuoto.

Ma la realtà è sempre la stessa: il bicchiere con dentro un liquido che occupa la metà del suo volume. Eppure in termini psicologici e di conseguenze sulla nostra salute abbiamo visto che fa una grande differenza.

Esistono dei pregiudizi intrinseci a essere ottimista o pessimista. Gli ottimisti sono generalmente guardati con un po’ di sospetto, quasi fossero degli illusi allo sbaraglio in questa valle di lacrime. Per contro i pessimisti si portano dietro uno scuro alone, un marchio che appare indelebile. Moltissimi studi recenti (l’ultimo pubblicato nel 1998 a cura del Journal of Personality and Social Psychology che ri- porta uno studio dell’UCLA) hanno sostanziato che avere un approccio ottimistico alla vita fornisce alla persona dei vantaggi non indifferenti: si rende molto di più nel lavoro, nello studio, nello sport; ci si ammala molto meno (effetto preminente sul sistema immunitario); si invecchia meglio con un’aspettativa di vita più lunga;

se posto in competizione con un pessimista, generalmente l’ottimista prevale. Al contrario, il pessimista è più incline alla depressione e, di conseguenza, a una serie di eventi negativi a essa legati.

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Il pessimista, davanti a un fallimento, ritiene che tutto abbia congiurato contro di lui e che questo “malocchio cosmico permanente” pervada tutte le vicende della sua vita. Se ottiene un successo lo attribuirà alla casualità, poiché il suo livello di autostima è, per forza di cose, vicino allo zero.

Invece l’ottimista, davanti al fallimento, tende generalmente a leggerlo come una sfortunata parentesi, frutto di una congiuntura temporanea e passeggera, sfrut- tando tale esperienza quale lezione che gli può fornire nuovi strumenti per affron- tare le prossime sfide.

Come spesso accade, questi atteggiamenti si formano nella prima infanzia e sono una conseguenza del livello di amore e di attenzione di cui siamo oggetto in quell’età cruciale per lo sviluppo della personalità.

Il pessimista tende a generalizzare nel tempo e nello spazio i suoi insuccessi; con- siderando come eterni e universali i suoi fallimenti, in un certo qual senso il pes- simista si de-responsabilizza, dato che nessuno può combattere sempre contro tutto e tutti.

L’ottimista invece tende a dimensionare con più realismo gli insuccessi. È in grado di tenere a freno la reazione a catena che l’avvenimento negativo può innescare, dando giusto peso a essa. Alcune volte invece si assiste alla minimizzazione che, come altri eccessi, può portare parimenti alla de-responsabilizzazione.

L’OTTIMISMO RESPONSABILE

Tutte le nostre paure non sono naturali e invincibili, ma frutto di condizionamenti della nostra mente e di comportamenti acquisiti nel tempo che possono e devono essere eliminati.

Tra le tecniche molto potenti che ci aiutano a prendere coscienza di queste dina- miche, a eliminare atteggiamenti ed emozioni negative e a migliorare le nostre performance, vi sono quelle basate sulle visualizzazioni, tecniche usate da alcuni medici e terapeuti per curare i loro pazienti, che personalmente utilizzo per indur- re un cambiamento nel modo di percepire la realtà e se stessi.

Ecco, per esempio, una tecnica molto efficace: dopo aver eseguito alcuni esercizi di concentrazione per abbassare le onde cerebrali, si visualizzano, sullo schermo dei nostri occhi tenuti chiusi, delle scene di vita vissuta, come fossero un film che

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rappresenta una situazione in cui non ci siamo affatto piaciuti, in cui siamo rima- sti un po’ delusi di noi stessi. Questa scena negativa la strappo e la sostituisco con un’altra che mi rappresenta nella stessa situazione, in cui però me la cavo egregiamente. Se noi ripetiamo per almeno tre settimane, tutti i giorni, due volte al giorno, questo esercizio, possiamo ottenere un ribaltamento di tendenza, un miglioramento in alcuni aspetti del nostro carattere.

In modo particolare gli esercizi di rilassamento e le pratiche meditative associati a momenti di pace e di silenzio nel corso della giornata sono strumenti preziosis- simi che possono veramente cambiare la nostra vita e metterci in contatto con

“mondi infiniti”; richiedono motivazione, determinazione e una grande costanza nel tempo. Quante volte, nella mia esperienza personale, mi è capitato di avere un problema da affrontare e di sentirmi impotente a risolverlo; dopo mezz’ora di meditazione profonda che ti calma e nello stesso tempo ti ricarica, il problema lo vedi già in maniera diversa e riesci più facilmente ad accedere al magazzino delle soluzioni e delle risorse che non vedevi e che invece erano lì a portata di mano. Se si è “contratti” non si riesce a comunicare con l’“universo” dentro di noi e circostante a noi e la nostra creatività si impoverisce. L’“universo”? Ma quale

“universo”!? Che sia quello che Dante chiama con sintesi poetica “L’Amor che move il sole e l’altre stelle”?

Se imparassimo semplicemente a ridere di più, le nostre paure comincerebbero a diminuire gradualmente e si aprirebbe la porta anche alla calma e alla serenità interiore.

Il riso è un’arma potente contro la paura ed è propedeutico alla meditazione in quanto è esso stesso, in un certo senso, una forma di meditazione. Il riso infatti ci apre al nostro vero sé e al mondo, oltre a bloccare momentaneamente il continuo chiacchiericcio dei nostri pensieri e distrazioni. Tanto è vero che dopo una risata di cuore ci sentiamo bene, appagati, liberati, con una visione degli ostacoli meno drammatica. “Paura un giorno bussò alla porta. Coraggio e fiducia andarono ad apri- re… ma non c’era nessuno.” (Johann Wolfgang von Goethe).

Al noto invito di Sant’Agostino “Ama e fai quello che vuoi”, affiancherei volentieri quello più specifico di “Ama e ridi”.

“Canta che ti passa!”, “Ridi che ti passa!” sono detti popolari vecchi come il mondo, ma sempre efficaci nella loro semplice verità. Sono in fondo un modo per darsi

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coraggio nei momenti di passaggio; quando il sole è calato, sul fare dell’imbrunire ci sentiamo più vulnerabili, più piccoli, più soli e abbiamo bisogno di scaldarci, di stare insieme, di scambiarci le confidenze, sapendo che poi il buio della notte por- ta con sé, insieme al sonno, anche un ingigantimento dei nostri problemi.

Ma è solo un passaggio… con le prime luci i timori già si smorzano, per poi svanire quasi completamente con la prima grande risata della natura: il sorgere del sole.

“Dio sorride e il saggio lo ricambia” (non è una citazione ma un mio esempio di dialogo non verbale che rivela familiarità con l’Infinito).

L’effetto terapeutico del riso va al di là della logica, della giustizia e di tutti gli aspetti seri della vita; aiuta a trovare la verità, che in fondo è soltanto questa:

niente è poi così “importante”, come a volte appare. C’è spesso un’illusione ottica che la risata aiuta a smascherare. A ogni giorno basta il suo peso… Ma noi ci osti- niamo a portare il peso dei giorni passati e anche di quelli futuri. Così facendo ci trasciniamo faticosamente lungo un cammino penoso.

Questo della pesantezza esistenziale è un tema che personalmente mi sta molto a cuore, tanto che ho messo in piedi una performance dal titolo “La leggerezza”, che faccio eseguire al pubblico nei miei WorkShow (spettacoli interattivi molto coinvolgenti), che aiuta a liberarsi dei fardelli inutili attraverso un gioco molto co- lorato e divertente a ritmo di musica incalzante, in cui viene fuori il nostro fanciullo interiore: questo è un esempio di visualizzazione a occhi aperti.

Chi ha paura non riesce a ridere, ma, una volta imparato a farlo, trionfa su se stes- so e sulla propria malattia. Se si è costretti a rimanere in ospedale, si può benis- simo fare di tutto per stare allegri e rinfrancare i propri compagni di sventura; la tristezza infatti non abbrevia la degenza e, anzi, potrebbe allungarla. È sempre possibile trovare il lato buono della vita. Quella santa di mia nonna diceva sempre:

“È tutto per il meglio!”.

CONTAGIATI DALL’UMORE

Oggi sappiamo che le condizioni degli organi interni mutano a seconda delle emo- zioni e che, ad esempio, la mucosa dello stomaco può letteralmente diventare rossa di rabbia.

L’aspetto più importante della cura consiste sì nel seguire con fiducia le prescri- zioni mediche, ma anche nel modificare le proprie emozioni. Solo mutando i nostri

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sentimenti possiamo cominciare a stare meglio. Il corpo risponde alle emozioni positive e in particolar modo all’allegria.

Ricerche scientifiche recenti dimostrano che il ritornello di una vecchia canzone da music-hall “metti tutti i problemi in un sacco e sorridi, ridi e sorridi” è fondamen- talmente valido. La felicità non è semplicemente uno stato d’animo, ma si incarna anche nei muscoli e negli ormoni, e per questo atteggiare i muscoli del volto a espressione di gioia può avere effetti profondi sul sistema nervoso. Paul Ekman, il principale ricercatore nel campo, ritiene che la meccanica dei movimenti musco- lari del volto sia strettamente legata al sistema nervoso autonomo che controlla il battito cardiaco, il respiro e altre funzioni non controllate dalla coscienza. È stato dimostrato che il solo fatto di mettere in bocca tra i denti una matita, costringendo i muscoli facciali a un atteggiamento che si avvicina a quello del sorriso (un sor- riso forzato, indotto meccanicamente dall’oggetto matita tra i denti), fa sì che si produca uno stimolo a livello ormonale che muta il nostro atteggiamento interiore da imbronciato a benevolo.

Sorridere e ridere anche quando non ne abbiamo alcuna voglia può influenzare l’umore di chi ci circonda; le ricerche condotte indicano infatti che tendiamo a mimare l’espressione degli altri, e se qualcuno ci accoglie alla porta con un sorriso generalmente lo ricambiamo; se invece veniamo accolti da un volto imbronciato e triste, tendiamo ad assumere anche noi la medesima espressione.

Noi tutti restiamo contagiati dall’umore delle persone con cui viviamo; ad esem- pio, se il nostro partner è arrabbiato, spesso finiamo per esserlo anche noi. Ciò significa che nel rapporto con gli altri e nel rapporto di coppia in particolare, oc- corre investire molto in tal senso, occorre molto impegno per mostrare la nostra

“miglior faccia”, per apparire il più possibile sereni, sapendo quanto enormemente ciò abbia influenza sull’ambiente circostante e quindi sulla nostra stessa felicità e qualità di vita.

“Sorridi e l’universo ti sorriderà” dice un vecchio adagio planetario.

Uno dei motivi per cui ci piacciono tanto gli spettacoli buffi è che i volti sorridenti dei comici influenzano l’attività del nostro sistema nervoso autonomo. Quando osserviamo l’espressione del volto altrui, non ci limitiamo a ricevere un’informa- zione, ma proviamo le stesse emozioni. Ciò potrebbe avere grande importanza per il trattamento dei pazienti negli ospedali e per il nostro atteggiamento globale nei

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confronti della malattia. Sono verità note da sempre, ma dimenticate in questa era tecnologica.

I grandi scrittori hanno sempre conosciuto il potere delle espressioni del volto. Nel suo racconto La lettera rubata Edgar Allan Poe scrive che, quando vuole scoprire quanto una persona sia saggia, stupida, buona o cattiva, o che cosa stia pensando in quel momento, assume la medesima espressione che vede sul volto dell’altro.

“Imito il più accuratamente possibile la sua espressione e poi aspetto di vedere quali pensieri e sentimenti nascano nel mio cuore o nella mia mente”. Poe pro- babilmente non sapeva nulla di vie ormonali o chimiche, ma era giunto alla verità per intuizione.

Tutto ciò ha a che fare con i neuroni specchio. Vediamo di che cosa si tratta.

I NEURONI SPECCHIO

Come mai veniamo contagiati dalle risate altrui o dal sorriso di uno sconosciuto che incrociamo per strada? Come mai un film può coinvolgerci così tanto che ab- biamo la sensazione di essere noi i protagonisti della scena d’amore sullo scher- mo? Come mai scendendo dietro la scia di un maestro di sci impariamo più ve- locemente a sciare (non è un gioco di parole)? Come mai ciò che ci rimane di una profonda esperienza spirituale non sono tanto le parole che uno si sente dire, quanto invece il modo in cui sono dette, i gesti, gli sguardi, i silenzi, i lampi di luce di un sorriso, di un pensiero che ci scalda il cuore, che noi facciamo nostri per sempre?

Immedesimarci nelle azioni degli altri è qualcosa che facciamo ogni giorno, au- tomaticamente e senza neppure rendercene conto. È il nostro cervello a occu- parsene, grazie ad alcune cellule nervose chiamate neuroni specchio. Scoperti nel cervello delle scimmie, i neuroni specchio dell’uomo controllano processi molto sofisticati, come la comprensione di azioni, intenzioni ed emozioni altrui, l’imita- zione, l’apprendimento e il linguaggio. Comprendere questo meccanismo ci aiuta a prevedere, capire e imitare quello che fanno, provano e dicono gli altri.

Si tratta di una tipologia di neuroni la cui esistenza è stata rilevata per la prima volta verso la metà degli anni ‘90 da Giacomo Rizzolatti e il suo team di scienziati presso il dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma. Una scoperta di importanza storica. Vilayanur Ramachandran, professore di neuroscienze e psi-

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cologia all’Università della California di San Diego e direttore del Center for Brain and Cognition, dice: “I neuroni specchio sono per le neuroscienze ciò che il DNA è stato per la biologia”.

Utilizzando come soggetti sperimentali dei macachi, questi ricercatori osserva- rono che alcuni gruppi di neuroni si attivavano non solo quando gli animali erano intenti a determinate azioni, ma anche quando guardavano qualcun altro compie- re le stesse azioni.

Studi successivi, effettuati con tecniche non invasive, hanno dimostrato l’esisten- za di sistemi simili anche negli uomini. Sembrerebbe che essi interessino diverse aree cerebrali, comprese quelle del linguaggio.

I neuroni specchio permettono di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di metterci in relazione con gli altri. Quando osserviamo un nostro simile compiere una certa azione si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione.

Essi ci permettono di capire al volo che cosa sta facendo chi ci sta di fronte, senza che sia necessario fare un ragionamento complesso. Inoltre, preparano il nostro sistema nervoso a imitare le azioni degli altri e a entrare in empatia con i nostri interlocutori.

Esistono due tipi di neuroni specchio: quelli che riconoscono una determinata azione – per esempio afferrare una tazza di caffè – e quelli che riconoscono l’in- tenzione del gesto: afferrare la tazza per berla è diverso dall’afferrarla per spa- recchiare. Il tipo di gesto e il contesto – per esempio la tavola appena preparata piuttosto che disordinata – permettono a questi neuroni di attivarsi sulla base dell’azione prevista. La quantità di neuroni specchio che si attivano per l’intenzio- ne è maggiore di quelli che si attivano per l’azione. Il nostro sistema sembra cioè più sviluppato per cogliere le intenzioni altrui che le azioni pure e semplici. Que- sta scoperta dimostra che noi siamo in grado di capire immediatamente quello che un altro fa o ha intenzione di fare, cioè che non ci comporta nessuno sforzo immedesimarci negli altri. È un meccanismo che si è mantenuto e perfeziona- to perché si è rivelato evolutivamente vantaggioso. La biologia ci ha selezionato per essere animali sociali. L’empatia e la tendenza all’imitazione sono presenti in maniera molto forte nell’essere umano fin dalla nascita. Istintivamente neonati e genitori si imitano tra di loro: quando il neonato contrae involontariamente le

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labbra all’insù e i genitori rispondono a loro volta con un sorriso, i neuroni spec- chio stanno gettando le basi per l’empatia e per la comprensione reciproca degli stati emotivi.

Noi capiamo istintivamente le espressioni emozionali altrui perché le riviviamo dentro di noi.

Nelle situazioni sociali tendiamo inconsciamente a imitare gli altri, i loro gesti, le loro espressioni fisiche e verbali perché questo ci aiuta a capire il loro stato d’ani- mo: è quello che gli psicologi chiamano “effetto camaleonte”. Questa capacità di capire gli altri in modo immediato, istintivo, senza ragionamenti di alcun tipo, è do- vuta ai neuroni specchio, che interagiscono con le aree classiche emotive del cer- vello, come l’insula e l’amigdala, per produrre empatia. È a causa di queste cellule che, quando vediamo una scena che ci fa ridere, veniamo istintivamente e senza alcun ragionamento contagiati. Allo stesso modo, quando guardiamo lo sport allo stadio o anche semplicemente in TV, partecipiamo letteralmente alle performan- ce degli atleti: spesso ne assumiamo inconsciamente le posture e le espressioni del viso e ci poniamo in un atteggiamento di tensione muscolare, come se ne con- dividessimo lo sforzo.

Si può dire che noi viviamo gli altri dentro di noi, e quindi che, in un certo senso, noi e gli altri siamo “la stessa cosa”. Negli altri, attraverso i neuroni specchio, vediamo noi stessi. Queste cellule sono il collante che ci lega insieme. Gli ultimi studi delle neuroscienze hanno aperto la strada a nuove interpretazioni sul con- cetto del sé, che non sembra essere così distaccato da quello dell’altro. Questo ci fa pensare che il sé sia più una costruzione sociale che innata, e che il senso del NOI venga prima del senso del sé. Questa è una scoperta non da poco, che potrà dare una spinta a un nuovo modo di pensare e di produrre. Su questa scia, infatti, si stanno muovendo delle scuole di pensiero che parlano di WEgeneration, la generazione del NOI, di WEconomy, l’economia del NOI, che basa il suo sviluppo non tanto sulla competizione, quanto sulla condivisione e il cui slogan è “Chi divide perde, chi condivide vince!”. Da parte mia ho coniato il termine WEnergy, l’energia del NOI, che si sviluppa attraverso la condivisione di momenti forti sul piano dell’esperienza.

Dal punto di vista evolutivo, i neuroni specchio potrebbero aver preceduto le cel- lule che ci servono per parlare. Il loro ruolo potrebbe essere stato quello di trasfor-

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mare le azioni del nostro corpo in linguaggio. Paradossalmente il dialogo, benché strutturalmente più complesso, ci risulta più naturale. Durante una conversazione i due interlocutori si uniformano l’uno con l’altro, imitano reciprocamente i gesti e il modo di esprimersi, un meccanismo che funziona anche al telefono e nelle chat.

Il monologo invece, per la maggior parte delle persone, è più difficile da sostene- re. Chiedetelo a chi deve parlare in pubblico… I neuroni specchio in questo caso interagiscono con il pubblico nel suo insieme e la cosa è certo più problematica e impegnativa.

Forse non è un caso che un tempo, per divulgare la conoscenza, ci si serviva so- prattutto della forma letteraria del “dialogo”: lo usavano Socrate e Platone, lo ha usato Galileo, nel dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, per ribaltare la con- cezione antropocentrica del mondo. Oggi questo sistema si è un po’ perso, tranne forse nelle interviste giornalistiche, mentre nelle conversazioni quotidiane si è im- poverito, sostituito spesso dalle e-mail e dai messaggi sui social, un modo meno naturale di connetterci con gli altri. La video call è già una bella conquista perché vedo le espressioni della faccia e la gestualità del corpo. Ma la forma più potente di comunicazione resta pur sempre quella di due persone che sono fisicamente a tu per tu e dialogano mettendo in atto tutta una gamma di emozioni, vibrazioni e messaggi sottili fatti a volte di poesia, sentimento e spiritualità, che nella re- altà virtuale spesso sfuggono o sono meno efficaci e potenti. Vista la tendenza all’allargamento della comunicazione in remoto per vari motivi, l’ideale sarebbe un giusto mix tra la comunicazione reale e quella virtuale, altrimenti perdiamo per strada una parte importante della nostra umanità come persone.

CONTRASTARE LO STRESS E LA DEPRESSIONE

Da tutte queste scoperte penso che tutti quanti abbiamo da imparare tantissimo.

Per quanto riguarda la nostra vita sociale, possiamo far molto per migliorare l’am- biente in cui viviamo, ricordandoci di sorridere e ridere più spesso, contribuendo ad allontanare il rischio di restare intrappolati nel circolo vizioso della depressione e della disperazione. Si pensa che sia difficile, ma di fatto non lo è. Si tratta solo di fare un po’ di esperimenti pratici, cominciando da piccole cose quotidiane, e di vedere l’effetto che fa. Poi si comincia a prenderci gusto, constatando che questo circolo virtuoso funziona e comincia a prendere il volo.

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Una volta compreso e constatato che le espressioni del volto influenzano effet- tivamente le emozioni, cominceremo a mettere in pratica la terapia del sorriso e della risata.

Ciò aiuta a combattere anche l’eccesso di stress, tipico dei giorni nostri, con i di- sturbi che ne derivano. Molte cose possono provocare lo stress: il dolore fisico, la sofferenza psichica o l’angoscia; anche la noia o la mancanza di scopi, la solitudine o un grande dolore, così come il timore di fallimenti personali. Lo stress comunque deriva per la maggior parte da paure e conflitti, che in breve si manifestano come veri e propri disturbi fisici. Anche uno stress leggero può provocare tensione, af- faticamento, agitazione, irritabilità o insonnia, oltre a mal di testa, mal di schiena, ulcere gastriche e palpitazioni cardiache. Se la condizione di stress permane, vi sono molte probabilità di arrivare a una malattia vera e propria. Per affrontare il problema si possono prendere degli ansiolitici per “mettere una sordina” alla pro- pria ansia; oppure si può cercare di prendere coscienza del problema e affrontarlo;

lo spirito di allegria ingenerato dal sorriso e dalla risata aiutano questo processo.

Non si deve necessariamente ridere del problema che sta alla base delle proprie angosce; l’ilarità in generale, indipendentemente dalla causa, può avere effetti be- nefici, alleggerendo la tensione. D’altra parte il riso come il pianto, dal punto di vista fisiologico, sono degli “esercizi” respiratori, costituiti da una serie di respiri rapidi e profondi emessi spasmodicamente attraverso le corde vocali semichiuse e coinvolge i muscoli del volto, delle spalle, del tronco e del torace, oltre al dia- framma. Ridendo (e piangendo) diamo sfogo alle lacrime, rilassiamo i vasi sangui- gni superficiali e riduciamo la pressione; il riso è dunque un rilassante muscolare.

Negli ultimi anni, essendo stato riconosciuto lo stress come causa principale di morte in Occidente, sono stati consigliati diversi metodi di rilassamento, come certe forme di meditazione, lo yoga o altre discipline dolci. Non sempre però que- ste pratiche sono alla portata dei più e anche pratiche più di massa come la ginna- stica, il jogging o l’aerobica possono avere l’effetto opposto.

Ridere e sorridere invece fa bene a tutti ed è impossibile non trarne piacere e be- neficio.

L’unica controindicazione è che si può “morire dal ridere”!

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Come generare l’energia del buon umore

ALCUNE BUONE PRATICHE

Per liberarsi dalla tirannia dell’ego: avere molta pazienza, dolcezza e amore verso noi stessi, ma anche molta fermezza. Mettere sempre un pizzico di hu- mor negli ingredienti della nostra ricetta. Nella vita quotidiana lo humor dà leggerezza, è come un palloncino che sale, come un ascensore che ci porta a vedere le cose da altre prospettive. Lo humor è una grande qualità in grado di cambiare i punti di vista sulla realtà; aiuta a destrutturare vecchie abitudini e a ristrutturarle, a disidentificarsi da stati problematici, a dimorare nel flusso della vita, cioè nel qui e ora. Se parte dal cuore è una forma di meditazione sotto forma di un lampo, il lampo di una risata risanante. Quando si ride si

“stacca la spina” e si lasciano andare i pensieri ricorrenti. In tal modo con- cediamo libera uscita al fanciullo interiore con la sua freschezza e creatività.

Per creare veramente cose preziose che durano nel tempo, prima di passare all’azione con l’intento di produrre circostanze favorevoli, entriamo nel nostro cuore e lasciamoci condurre e consigliare dalla sua saggezza e dal suo talento;

ora sappiamo, ce lo dicono anche gli scienziati, di avere in mano il software giusto.

In ogni frangente della vita quotidiana, anche in presenza di situazioni e con- trattempi spiacevoli o addirittura drammatici, se imbocchiamo la via delle emozioni superiori ci lasceremo trasportare dal fiume della vita; il che non

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significa essere passivi o inattivi; significa semplicemente scegliere di non opporre resistenza e di avere un atteggiamento di fiducia in ciò che ci riserva la vita nel momento presente. Così un contrattempo o una difficoltà diventa una occasione di creatività, di apertura agli altri, di sorprese e perfino l’oppor- tunità per farsi due risate; un insieme di sincronicità favorevoli trasformano in modo positivo il corso degli avvenimenti. Siamo nel regno della coerenza.

La strategia è vincente, di tipo win-win (vinco io – vinci tu); tutti ne esco- no vincenti. C’è una frase che amo dire ai partecipanti dei miei workshop a conclusione della performance o di una giornata di formazione: “La vita è uno specchio, se sorridi ti sorriderà!”.

Ogni volta che una persona riattiva in noi un’emozione negativa, invece di lasciarci travolgere dal risentimento, dalla collera o dal biasimo, adottiamo consapevolmente un atteggiamento diverso: scegliamo di “benedirla”, se non altro perché ci ha offerto un’occasione preziosa di osservare le nostre reazio- ni, di correggere i nostri errori e di poter migliorare di conseguenza la nostra performance.

Imparare a scegliere i propri pensieri: numerose forme-pensiero ingombra- no il nostro inconscio e limitano o addirittura avvelenano la nostra esistenza.

Soprattutto il biasimo, così diffuso anche tra persone che si ritengono molto avanti sul cammino spirituale, è particolarmente devastante in quanto crea separazione e divisione, con tutta la sofferenza che ne consegue; è un males- sere di fondo di cui si è persa la causa; andiamo avanti per forza di abitudine;

stiamo male, ma non sappiamo perché.

Smettere di pretendere che gli altri cambino i loro comportamenti, ma partire da noi stessi a trasformare la nostra vita cominciando a “resettare” la mente,

“cestinare” i pensieri dannosi e a tenere pulito il nostro cuore come si pulisce una casa per renderla accogliente e luminosa.

Ecco due esempi di vie percorribili e in sinergia tra di loro per liberarci dalle sofferenze causate dall’ego:

–La via del pensiero positivo

La fisica ci insegna la legge di “azione=reazione”. Essa significa semplice- mente che se, ad esempio, esercito una pressione di 10 kg contro una pa- rete, anche la parete esercita la stessa pressione di 10 kg su di me. Poiché

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tutto è vibrazione/energia, anche un pensiero è vibrazione/energia. Quanto più potente è il nostro modo di pensare (azione), tanto più grande è la pos- sibilità che i nostri pensieri si realizzino (reazione). La gioia e l’entusiasmo sono ad esempio pensieri carichi di energia che producono, di rimbalzo, corrispettivi risultati positivi. Al contrario, nell’atteggiamento di critica verso una persona (qui si intende quella mossa dai meccanismi di paura, piacere, potere del nostro ego e non della critica “costruttiva” che viene dalla nostra anima, finalizzata al bene dell’altro), il nostro pensiero torna a noi nella medesima qualità; non è detto che si venga criticati dalla stessa persona, ma forse da altre persone o comunque si viene colpiti da qualcosa di negativo che ritorna di rimbalzo dall’ambiente e dal clima di energia ne- gativa che noi stessi abbiamo in qualche modo contribuito a creare.

–La via delle esperienze energetiche

La scienza ci dice che la maggior parte delle nostre attività quotidiane è governata dai meccanismi dell’inconscio ed elaborata in maniera molto ra- pida (quaranta miliardi di bit al secondo), mentre siamo consapevoli solo di una percentuale molto piccola delle nostre attività, con una capacità di elaborazione molto più lenta (duemila bit al secondo). Ecco perché approc- ci non mentali ma energetici, come, tra l’altro, la Terapia del sorriso e della risata, unita ad alcune forme di meditazione, visualizzazione, respirazione, tecniche teatrali, musico-terapia, cominciano ad acquisire dignità, non solo perché possono ormai essere confermati scientificamente, ma anche per- ché i loro risultati, sempre più evidenti e noti, si sono rivelati potentemente benefici.

Il più spesso possibile nel corso della giornata permettere al cuore di aprirsi e dare respiro all’anima. L’anima trae piacere da tutto, semplicemente perché vivere è il suo grande piacere. Mentre il piacere che deriva dai meccanismi automatici dell’ego fa star bene sul momento, ma alla fine ci lascia ancor più vuoti di prima, nell’apertura del cuore, invece, più proviamo piacere, più ab- biamo energia. Non è vero che chi si dedica alle cose alte perde i “piaceri della vita”; è proprio vero il contrario. Se aumenta l’energia spirituale, questa pervade tutte le sfere della nostra vita, anche nelle sue espressioni materia- li, aumentandone la qualità e l’intensità. Nei miei workshop esperienziali ho coniato un acronimo che sintetizza e incarna questi concetti ed è la parola

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inglese CHANGE (cambiamento) che si sviluppa così: Choose Harmony ANd Gain Energy, ossia se scegli la via dell’armonia, ci guadagni in energia, aumen- ti l’energia creativa, e così trovi altre vie, soluzioni nuove a problemi vecchi.

Il fatto di vivere la quotidianità alla luce dell’anima non soltanto procura il grande piacere di vivere, ma fa anche sì che questo piacere sia indipendente dalle circostanze.

Far uscire il fanciullo che è in noi, concedergli ogni tanto libera uscita! I bam- bini nella loro innocenza, da cui spesso trapela la saggezza dell’anima, sanno ricordarci che la vita è infinitamente bella e gioiosa.

Saper lasciare andare e investire sulla fiducia. Il dubbio nasce dal pensiero di testa e limita la nostra intelligenza universale. Il dubbio è il contrario del- la fiducia; e senza fiducia non possiamo attivare la nostra intelligenza. La- sciar andare significa aver fiducia. Pensate al meccanismo del nostro respiro:

ogni volta che espiro lascio andare l’aria; questo in fondo è un atto di fiducia, perché noi molliamo qualcosa di assolutamente vitale per noi, confidando di avere altra aria in cambio. Anche la risata è un atto di fiducia in cui, con i miei sussulti e scuotimenti, svuoto i polmoni di aria, rischiando addirittura di “mo- rire dal ridere”, e quando riprendo a inspirare dopo una bella risata, sembra di respirare gioia pura, balsamo di pienezza e di benessere. Ecco perché la risata di cuore è un inno alla vita!

Chi invece non ha fiducia nella vita, non può aspettarsi che la vita lo sostenga.

Chi vuole raggiungere un obbiettivo e contemporaneamente dubita di riuscir- ci veramente, non ha grandi probabilità di farcela, il dubbio blocca il flusso della vita. E se nonostante ciò si raggiunge l’obbiettivo, ci si riesce solo con un gran dispendio di energie e di tempo.

La fiducia attiva l’infinita intelligenza presente nell’Universo e, quindi, in ogni essere umano e gli conferisce vero potere. Come si legge in Matteo 17, 14-19:

“Se avrete fede nulla vi sarà impossibile”.

Provare riconoscenza e gratitudine per tutti i gesti di amore che ci hanno fatto crescere.

Uno dei grandi doni della gratitudine è l’abbondanza, secondo la legge fisica di azione=reazione. Se infatti siamo in uno stato di riconoscenza e di pienezza, l’abbondanza si può manifestare pienamente, come un’immagine riflessa da uno specchio o come una calamita che attrae un oggetto simile. Se viviamo

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nella perenne sensazione di qualcosa che manca e per questo siamo sempre ansiosi, frustrati, invidiosi, induciamo nel campo quantico una risonanza che risponde a questo tipo di vibrazioni, e la vita risponde in funzione di ciò che emettiamo, ossia la mancanza. Al contrario, quando pratichiamo la gratitu- dine e la riconoscenza, attiviamo la saggezza del cuore e l’abbondanza può venirci incontro più facilmente.

Non prendersi mai troppo sul serio, neanche nella ricerca delle cose più alte.

Il nostro atteggiamento interiore può essere impeccabile, la nostra visione la migliore che possa esserci, ma se manca duttilità, fluidità, leggerezza e so- prattutto piacere, divertimento, giocosità e humor, facciamo molta più fatica e probabilmente non riusciremo a centrare l’obbiettivo. Prendere contatto con il centro del nostro cuore e ridere, ridere, ridere! Non importa di che cosa;

facciamolo e basta, anche a costo di sembrare un po’ matti ai nostri stessi occhi. Serve tantissimo per cambiare orizzonte, relativizzare la nostra situa- zione e sgonfiare tante illusioni ed esagerazioni che deformano la realtà. I veri maestri spirituali, pur nel loro rigore, sono persone dotate di spiccato senso dell’umorismo e di auto-ironia (i Maestri zen e i Padri del deserto con le loro burle e facezie ne sono un esempio; ma anche Francesco d’Assisi che amava definirsi “giullare di Dio”).

Per poter ottenere qualcosa, occorre allo stesso tempo desiderarlo e tutta- via non essere attaccati al suo ottenimento. Questo è il segreto per fare del nostro agire quotidiano un capolavoro. Come nel teatro di Eduardo De Filip- po, il quale era meticoloso fino all’eccesso nel perfezionismo di ogni singolo frammento della recitazione, respiro, pausa, ritmo, e poi la battuta principale, sulla quale si regge l’intera commedia, te la butta quasi via come se non fosse importante. Qui sta la grandezza del vero artista.

Riuscire a ottenere qualcosa che ci sta a cuore significa anche sperimentare il desiderio come se si fosse già realizzato, ossia creare interiormente l’espe- rienza di ciò che desideriamo come se essa esistesse già. Questa è una pra- tica seguita dai saggi di tutte le epoche per ottenere cambiamenti e favorire le guarigioni personali e collettive. I fisici contemporanei parlano in termini di influenza del campo quantico sulla materia.

Nel campo della Terapia della Risata è proprio questo il “principio attivo”. The motion creates emotion, ossia l’azione crea l’emozione. Riproduci dentro di te,

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attraverso il sorriso e la risata, un ambiente lieto, sereno, felice. Questo è un modo intelligente per chiamare a esistere da subito queste emozioni positive, a prescindere dalle circostanze esterne: “sarò felice se troverò il lavoro che mi piace”, “sarò felice se potrò avere un bambino, sarò felice se divento ricco e famoso, se guarisco dalla malattia, se troverò il fidanzato giusto, se, se, se…”.

Così si rimanda sempre e la vita sfugge di mano. Consiglio di ricordarsi spesso questo a prescindere. È una parola un po’ strana della lingua italiana, ma rende l’idea. Ecco un bel compito da darsi: essere felici a prescindere. Questo non è egoismo. Anzi è proprio il contrario: in una realtà intorno a noi piena di “cel- lule malate”, cominciamo noi stessi a essere una “cellula sana” che contagia le altre in un processo di cura e guarigione. Con umiltà, non attaccamento, dono di sé e amore autentico. E nella ricetta non dimenticate mai un pizzico di humor… mi raccomando!

Quello qui descritto è, concettualmente, molto simile ai metodi psiconcolo- gici in cui ai malati di cancro vengono proposte delle visualizzazioni a occhi chiusi nelle quali essi vedono sé stessi, la loro faccia, il loro corpo in stato di buona salute e il loro spirito nutrire speranza e gioia di vivere, facilitando così il processo di guarigione. La malattia viene vissuta come un’occasione di cre- scita interiore, in cui ci si allena anche all’idea di poter morire da un momento all’altro, possibilità che ognuno di noi dovrebbe mettere in conto.

Estote parati, “siate preparati” dice il motto degli scout che ho imparato quan- do ero ragazzo (altra bella scuola di vita dalla quale sono riaffiorati tanti spun- ti e giochi che faccio fare ai partecipanti e team di lavoro nei miei seminari esperienziali).

Alcune frasi utili su ego e saggezza del cuore:

L’ego complica, il cuore semplifica.

I piaceri dell’ego alimentano la dipendenza, quelli dell’anima la libertà.

L’ego divide, il cuore condivide.

Chi divide perde, chi condivide vince. Ecco un bello slogan per cambiare il futuro del mondo.

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LA TERAPIA DELLA RISATA

Studi recenti affermano che da bambini si ride in media 400 volte al giorno, da adulti 15. Che cosa è andato storto? Dove sono tutte le risate che ci siamo persi per strada? Recuperiamone un po’. Ridiventiamo fanciulli, leggeri, flessibili, creati- vi. Prendiamola sul ridere. Anche senza motivo.

Ma come faccio a ridere senza nessun motivo? Spesso non riesco a ridere nean- che di fronte ai comici della TV, tante barzellette non mi fanno ridere, se poi apro il giornale o mi guardo intorno mi passa proprio la voglia di ridere.

Invece c’è una risata esterna da riscoprire, che porti dentro di te, che c’è sempre, che solo tu puoi risvegliare e spargere intorno a te. Il “trucco” consiste proprio nel ritrovare e tirare fuori questo ridere interno. Come? Con esercizi da fare in gruppo o anche da soli. Sono facili? Sì. Funzionano? Sì. Già il giorno dopo di un seminario si ride molto di più, e con più naturalezza.

E come è nata questa intuizione? È stato il giornalista americano Norman Cousin il primo a scuotere la classe medica per aver sperimentato personalmente i po- teri benefici della risata. Egli soffriva di un incurabile disturbo alla spina dorsale:

“spondilite anchilosante”. Era paralizzato dal panico e la scienza medica moderna aveva fallito nell’offrirgli i suoi rimedi. Egli sperimentò il potere benefico e curativo della risata guardando film comici. Il suo panico quasi scomparve, i suoi sintomi si placarono fino alla completa guarigione. Ha pubblicato un libro “Anatomy of an illness” nel 1978. Dopo questo episodio, scienziati di tutto il mondo conferma- rono gli effetti delle risate sui vari sistemi del corpo. Ispirandosi agli esperimenti di Norman Cousin, il medico indiano Madan Kataria ha deciso di sperimentare tutto questo praticamente. È andato in un giardino pubblico di Munbai esponendo alle persone presenti il suo progetto e come prima reazione esse risero di questa strana idea e così cominciò una prima seduta di risate a ruota libera; ma quando i salutari effetti di questa pratica furono evidenti, diventarono molte le persone che si interessarono e le attese cominciarono a crescere. All’inizio i partecipanti formavano un cerchio, qualcuno veniva invitato al centro per fare giochi o per rac- contare storielle umoristiche e barzellette. Ma dopo che l’assortimento di questi scherzi finì, gli stessi divennero a mano a mano triti e ritriti e anche un po’ pesanti.

Allora gli scherzi furono banditi e si decise di andare avanti provando a ridere sen- za alcuna causa scatenante. All’inizio molti membri trovarono difficile ridere senza

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