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Vicende della Siena raccontata dal Vignali

Se quello di Pietro Aretino è un nome frequentemente associato alla letteratura oscena e consacrato dalla fortuna dei Sonetti lussuriosi, meno familiare sicuramente suona alle nostre orecchie quello di Antonio Vignali, autore di una altrettanto scandalistica e dissacrante opera: La Cazzaria. Eppure questo autore, contemporaneo dell’Aretino, a sua volta contribuisce in maniera non indifferente alla delineazione del genere e resta, soprattutto per molti autori del XVI e XVII secolo, una fonte nota. Le ragioni della sua popolarità sono espresse in poche parole, ad esempio, da Carlo Caporali, nipote nonché commentatore delle poesie di Cesare Caporali (1531-1601):

Autore Accademico Intronato di grand’ingegno. Scrisse in prosa, e in versi; ma legò vetro in oro. Al suo stile polito, e concettoso non corrisponde l’honestà alla materia. Scripsit Cazzeidem304.

Sulla sua vita possediamo poche essenziali notizie305. Antonio Vignali nasce nel

novembre del 1500 a Siena, dalla famiglia Bonagiunta, appartenente alla fazione cittadina del Monte dei Nove. Caratteristica che lo penalizza sin da piccolo è il fatto di avere un corpo deforme, ma se la prestanza fisica non è tra le sue qualità, non altrettanto si può dire del suo estro letterario e del suo ingegno piuttosto vivace; a soli 19 anni, infatti, compone un epigramma ironico per il fabbro Mariano, che l’artigiano farà poi imprimere all’interno della sua commedia Il Vitio muliebre306. Successivamente

Antonio si dedica agli studi in giurisprudenza, una passione che congiungerà all’amore profondo per gli studi umanistici. Nel 1525, inaspettatamente, lo vediamo coinvolto in

304 Cesare Caporali, Rime di Cesare Caporali perugino diligentemente corrette, colle osservazioni di Carlo Caporali (In questa nuova edizione si aggiungono molte altre rime inedite dello stesso poeta, e la sua vita), Stamperia Augusta di Mario Riginaldi, Perugia 1770, p. 195.

305 Le informazioni desunte sulla biografia di questo personaggio sono tratte principalmente da Antonio Vignali, La Cazzarìa (presentazione), a cura di E. Mori, Bolzano 2017, edizione digitalizzata www.mori.bz.it, pp. 3-6.

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un efferato omicidio: alcuni atti ufficiale del Comune di Siena, infatti, lo dichiarano responsabile, insieme a un certo Niccolò figlio di Bonaventura Berti, dell’uccisione di Lucrezia, figlia di Mariano Berti e giovane sposa di Francesco Cennini, avvenuta la notte del 21 febbraio di quell’anno: le ragioni dell’uccisione restano ignote, tuttavia, Antonio verrà in un primo momento bandito dalla città307. Successivamente, il 22

maggio, a causa di qualche probabile intervento esterno, la decisione dei giudici viene annullata e Antonio viene nuovamente chiamato in tribunale e assolto con una pena ora decisamente più mite, ovvero l’esilio temporaneo dalla città. Durante questo periodo lo vedremo intento a proseguire gli studi giuridici a Pisa presso il professor Rinaldo Petrucci, fino a che la condanna verrà in ultimo definitivamente assolta il 22 febbraio 1526, all’annuncio della pace conclusa tra Carlo V e Francesco I308.

Parallelamente a queste vicende il Vignali risulta essere, tra il 1525 ed il 1527, tra i principali fondatori dell’Accademia degli Intronati, all’interno della quale assumerà lo pseudonimo di Arsiccio Intronato309.

Proprio in quegli anni, tra il 1524 e il 1530, Siena si trova a vivere una situazione politica e sociale piuttosto delicata dovuta soprattutto alle tensioni interne310. Fino agli

ultimi anni del Quattrocento la città era riuscita ad evitare di cadere sotto il dominio di un singolo o di una sola famiglia, ma alle soglie del Cinquecento assistiamo prima all’affermarsi, poi all’affievolirsi della signoria di Pandolfo Petrucci (1452-1512) e dei suoi eredi, esponenti dell’ordine del Monte dei Noveschi311.

307 ASS, Uffiziali di Custodia 16, f. 23. I documenti a cui facciamo riferimento sono citati in L. Kosuta, Notes et documents sur Antonio Vignali (1500-1559), in «Bullettino Senese di Storia Patria», LXXXIX (1982), pp. 119-155, pp. 122-123.

308 ASS, Balia 271 (lupinario, f. 125v: «[25.2.1525] Item liberorno dal residuo del confino lo figliuolo di Alexandro Vignali (voix 14/0)»

309 Secondo quella che è l’usanza dell’Accademia, tutti i membri assumono degli appellativi che possono essere elogiativi o anche ironici. Per fare alcuni esempi tratti dagli elenchi delle tavole locate nella sede attuale dell’Accademia, citiamo Claudio Tolomei, chiamato il Sottile, Fabio Piccolomini, lo Sciapito, Girolamo Gigli, l’Economico, Ippolito Petrucci, l’Imbrunito. Non mancano nomi di donne, quali Maria Fortuna l’Armonica e Maria Luisa Cicci, l’Incognita. (cfr. “Storia dell’Accademia” in www.accademiaintronati.it).

310 Le informazioni sulle vicende politiche e sociali di Siena sono desunte da A. K. Chiancone Isaacs, Popoli e monti nella Siena del primo Cinquecento, in «Rivista Storica Italiana», LXXXII (1970), pp. 32-80. 311 I Monti nient’altro sono che gruppi di governo ereditari sui quali si basa la struttura sociale della città; ai primi del Cinquecento si contano cinque Monti: i Gentiluomini, i Noveschi, i Dodici, i Riformatori e il Monte del Popolo.

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Quest’ordine, ai primi del nuovo secolo, si identifica in una politica tendenzialmente oligarchica e filomedicea, mentre i Riformatori, i Dodici ed il Monte del Popolo propendono più per un governo a larga partecipazione e di simpatia imperiale; tuttavia, nonostante le divergenti ideologie, sotto l’egemonia di Pandolfo Siena conosce un periodo di prosperità, destinato, purtroppo, ad esaurirsi in breve a causa della sua morte, avvenuta nel 1512. Il suo diretto erede, Fabio (1505-1529), sale al potere supportato da Clemente VII (il quale spera di poter disporre del governo senese) e dai fuoriusciti dal Monte dei Nove, che vedono in lui uno strumento per opporsi a coloro che sostengono al governo un altro dei figli di Pandolfo.

Fabio, tuttavia, non si dimostra un governatore abile, il che gli fa subito guadagnare un certo disprezzo tra la popolazione e lo conduce a perdere l’appoggio di una parte consistente della fazione dei Noveschi; del resto, Siena è una città tradizionalmente ghibellina ed antimedicea, ragione per cui l’alleanza tra Fabio e Clemente VII non fa che esasperare la cittadinanza312. Tutto ciò conduce, nel settembre

del 1524, all’attuazione di una congiura volta ad eliminare l’erede di Pandolfo dalla scena politica: l’attentato è architettato dalla parte dei Noveschi dissidenti, dal Monte del Popolo (i cui membri sono anche chiamati i Libertini) e supportato dai Riformatori. Per tutta risposta, i patteggiatori dalla parte di Fabio passano alle armi pochi giorni dopo, ma hanno la peggio, il che conduce in breve alle trattative di pace tra le due parti. Fabio, tuttavia, preferisce la fuga e abbandona la città la sera stessa dello scontro, abbandonando la suprema autorità di nuovo in mano ai consigli comunali313.

A questo punto, ai Monti resta da accordarsi sulla politica da perseguire, il che si rivela essere più difficile del previsto, poiché mentre i Noveschi mirano al tradizionale governo oligarchico, i Libertini aspirano al ripristino di un ordinamento di tipo comunale. Una disputa che si protrarrà fino al 1527, quando il Monte del Popolo

312 A coronamento della loro alleanza, Clemente cede a Fabio la Mano di una sua parente, Caterina, figlia di Galeotto de’ Medici. Un matrimonio che si prospetta piuttosto impopolare a Siena, come riferisce un cronista anonimo: «Nullo pacto placere populo id matrimonium: nihil ex eo, nisi funestum patriae, ac malo publico nasci posse: in periculo versari republicam, in periculo libertatem […]» (cfr. Bellum Julianium, a cura di F. Polidori, in «Archivio storico italiano», appendici tomo 8 (1850), p. 264).

313 La sera del 18 settembre il notaio del Concistoro, Ser Sigismondo Trecerchi, annota con soddisfazione gli avvenimenti del giorno sotto la rubrica Espulsio Tiranni, mettendo Fabio dalla parte del torto.

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riuscirà ad avere la meglio. Inoltre, se al suo interno Siena si trova ad essere dilaniata dai conflitti, non di meno i suoi confini subiscono le pressioni dell’esercito della Lega Santa che, su mandato di Clemente VII, vuole piegare l’atteggiamento filo-imperiale della città, fino a che, nel 1530, le truppe imperiali si vedono costrette ad attuare un’occupazione militare, ponendo fine alla repubblica.

Sullo sfondo di queste vicende, spettatore all’interno dell’alveo del suo modo accademico, il Vignali compone la Cazzaria, la sua opera di maggiore successo, ma anche quella che gli costerà maggiore danno, poiché parodiando gli eventi politici coevi, lo scrittore finirà per attirare su di se il potere intransigente della censura. Proprio nel 1530, infatti, decide di allontanarsi dalla città e di intraprendere un lungo viaggio che si trasformerà in un esilio volontario lungo un quarto di secolo. La peregrinazione lo porterà, tra il novembre 1540 e il marzo 1541, a Siviglia e, in seguito, per lungo tempo alla corte di Filippo II, fino a che non sceglierà come residenza definitiva Milano, dove morirà il 2 aprile 1559.

L’Arsiccio Intronato e l’Accademia

A differenze delle scarse informazioni biografiche che possediamo sull’Arsiccio, la sua presenza tra i padri fondatori della cerchia degli Intronati è confermata da vari testimoni, ricavati soprattutto all’interno dell’epistolografia senese, oltre che dalla spiegazione che l’Accademia stessa dà a proposito del suo logo314. Nello specifico,

Niccolò Franco indirizza al nostro scrittore una lettera nel 1538, all’interno della quale lo designa come «uno dei principali membri dell’Accademia»315, mentre Marcantonio

Raimondi in persona, nel commentare le Rime di Luca Contile (1505-1574) pubblicate

314 Dalla pagina web (https://www.accademiaintronati.it/storia-dellaccademia/) : «Fu uno dei fondatori degli Intronati, Antonio Vignali detto l´Arsiccio, autore della scandalosa Cazzaria e figura spesso accostata dalla bibliografia a François Rabelais, a dare all´Accademia un´impresa […]».

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nel 1560, a lui allude come all’«inventore dell’Accademia degli Intronati di Siena e gentiluomo di quella patria»316.

Prima di scendere nel dettaglio circa la storia e il carattere di questa rinomata cerchia di studiosi, è bene considerare che Siena è una delle città maggiormente investite dal fenomeno rinascimentale del diffondersi delle Accademie; nella città se ne contano, infatti, oltre trenta, alcune delle quali ritracciabili già all’ultimo scorcio del Quattrocento. Inoltre, la partecipazione a più Accademie della stessa o di altre città è cosa frequente tra i letterati e permette la creazione di una vivace rete di scambi intellettuali e di legami encomiastici. Nella cittadina toscana, ad esempio, vediamo che l’Intronato Scipione Bargagli si firma in tre dei suoi sonetti come “Accademico Acceso” e, dunque, risulta appartenere anche all’Accademia degli Accesi, fondata nel 1558. A pochi anni di distanza nasce, poi, la Congrega dei Rozzi, la quale si caratterizza per una produzione teatrale rustica e popolaresca, oltre che per essere formata da artigiani, mentre l’Accademia delle Assicurate, invece, è l’unica istituzione al femminile di cui si ha notizia, seppure nata ben più tardi, sul finire del XVII secolo317.

Nel propagarsi di questa rete di centri culturali, la cerchia degli Intronati trova i suoi natali, e vanta tra i suoi fondatori, i sex viri nobiles senenses tra i quali è l’Arsiccio, anche l’arcivescovo Francesco Bandini Picoclomini (lo Scaltrito), Francesco Sozzi (l’Importuno), Alessandro Marzi (il Cirloso), Giovan Francesco Franceschi (il Moscone) e Marc’Antonio Piccolomini (il Sodo), ciascuno dei quali, come possiamo vedere, è accompagnato dallo specifico appellativo accademico. Sulla data della fondazione dell’Accademia, invece, non siamo ancora in grado di dare certezze. La tradizione vuole che abbia avuto luogo a Siena il 1 maggio 1525, basandosi sulle testimonianze di Mino Celsi, Alessandro Piccolomini e Girolamo Bargagli318; tuttavia,

sulla base di quanto abbiamo precedentemente visto a proposito delle vicende

316 Cit. in Kosuta, Notes et documents sur Antonio Vignali, cit., p. 129.

317 Per un più dettagliato approfondimento a proposito delle accademie senesi si rimanda a: S. Testa, Le Accademie senesi e il network intellettuale della prima età moderna in Italia (1525-1700). Un progetto online, in Italian Academies Themed Collection Database (1525-1700), con introduzione di J. Everson,Oxford, 2016 pp. 616- 640.

318 Mino Celsi, In haereticis coercendis quatenus progredi liceat, Poems Corrispondance, a cura di Peter G. Bietenholz, Napoli-Chicago, 1982, pp. 539-540; per le testimonianze di Piccolomini e Bargagli vedi: BCS, ms. C.VI.9., f 45 e BCS ms. P.IV.27, fasc. 13, f. 10.

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giudiziarie che interessano il Vignali all’altezza del 1525, viene da sospettare che tale data sia poco veritiera. Una fonte desunta dalle Lezioni dell’Accademia del 1558 colloca la fondazione nel 1524: «[…] queste tali considerazioni, signori intronati, già trenta quattro anni sonno mossero i vostri maggiori a fondare questa honorevole Academia»319. Se così è, è più probabile che il Vignali, ancora a Siena nel 1524, abbia

prima fondato quella che in origine è una compagnia teatrale di sei membri320, l’abbia

in seguito in parte ricostruita a Pisa tra il 1525 e il 1526, per consacrarla, infine, allo statuto di una vera e propria Accademia al suo rientro a Siena, nel 1527.

Stabilito ciò, passiamo ora a vedere più nello specifico quali sono le caratteristiche distintive dell’Accademia e dei suoi membri. Simbolo di questa peculiare cerchia è rappresentato da una zucca sormontata da due pestelli figuranti una croce di sant’Andrea e dalla scritta Meliora latent, citazione tratta da Ovidio321, successivamente

integrata da una seconda scritta che recita Sic sapere prudentia est. Il primo significato della zucca è chiaro: essa ha lo scopo di conservare, nella sua veste rustica e umile, il sale della sapienza triturato e raffinato dai pestelli, ovvero, dall’intelligenza e dallo studio. Tuttavia, la zucca ed i pestelli, nel folklore che accomuna molte popolazioni, sono da sempre considerati simboli degli organi sessuali, tanto più che Priapo, divinità legata alla sessualità, è anche il protettore dei giardini e delle coltivazioni di zucca; oltre ogni dubbio, dunque, è il ricercato doppio senso del logo, come testimonia anche il Domenichi (1515-1564)322.

In ogni caso l’allegoria della zucca delinea già alcuni dei tratti essenziali dell’Accademia, quali la volontà di celare la sapienza dietro un’apparenza non raffinata, oltre che, come indica la citazione ovidiana, al riparo dalle controversie della società. Il nome stesso di “Intronati”, infatti, indica lo sbigottimento provato dai letterati difronte ai fatti ed eventi che li circondano, quasi restino come storditi «dai rumori del mondo»,

319Lezione nel Natale dell’Accademia 1558, ms. autografo di Lorenzo Griffoli (cfr. BCS, ms. H. X. 5, f. 35). 320 Sei è il numero sacro per la costituzione di una troupe teatrale e per la formazione di una compagnia carnevalesca.

321 Ovidio, Le Metamorfosi, a cura di G. Faranda V., ed. BUR, Milano 1994, I, 502.

322 Ludovico Domenichi, Dialoghi di m. Lodouico Domenichi; cioè, D'amore, Della uera nobiltà, De' rimedi d'amore, Dell'imprese, Dell'amor fraterno, Della corte, Della fortuna, Et della stampa. Al molto magnifico et nobilissimo signore, m. Vincentio Arnolfini gentiluomo lucchese, appresso Gabriel Giolito De' Ferrari, Vinegia 1562, p. 172: «Fu poi questa eccellentissima Impresa contra fatta da alcuni emuli loro per burla insieme col motto: il quale in cambio di pestelli figurarono due membri virili co testicoli dentro nella Zucca […]»

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ragione per la quale il loro motto è «De mundo non curare». Per meglio comprendere questa aspirazione all’otium letterario vale la pena riportare qui l’efficace descrizione degli accademici delineata da Angelo Venturi nella dedica a Onorata Pecci che accompagna il testo del Sacrificio:

[…] et par che questi principalmente non curavano come s’andassino le cose del mondo, piacque loro di chiamarsi Intronati, quasi come dal tuono della voce della virtù fusseno stati si ingombri et intormentiti che non sentisseno cosa alcuna che fuor di quella fussi. Et per coprire questa lor bella intenzione la velorono con questo così rozzo nome; et per insegna si preseno una zucca piena di sale, chiudendo la sapientia con quella scorza così ruvida et si vile. Questo fu il nome et l’impresa generale323.

La volontà di non curare «come s’andassino le cose del mondo» lascia presupporre un distacco anche dalle vicende politiche e sociali della Siena del tempo che, a ben guardare, non viene attuato a pieno: le sorti dell’Accademia, in realtà, sono strettamente connesse al destino della città, e poiché, come abbiamo visto, le circostanze storiche senesi del primo Cinquecento sono in balia di incertezze ed instabilità, anche la vita dell’istituzione, specialmente nei suoi primi decenni dalla fondazione, appare caratterizzata da discontinuità e bruschi cambi di direzione324.

Per comprendere il rapporto stretto che intercorre tra il potere e l’Accademia basta osservare come esso si rifletta all’interno delle opere: le occasioni teatrali più note sono sempre caratterizzate da un chiaro sigillo politico: così è per i Prigioni, ad esempio, che sono da considerarsi un rifacimento della commedia plautina all’interno di un delineato contesto storico, pregno di allusioni al trascorso più recente di Siena325; così

è anche l’ordine rispettoso delle gerarchie di potere in cui sono presentati gli accademici nel corso del rito del Sacrificio; così è, lo vedremo tra breve, la satireggiante allegoria politica insita nella seconda parte del dialogo della Cazzaria del Vignali.

323 Ms. C.2.972, BnF, f. 2-3

324 F. Tomasi, L’Accademia degli Intronati e Alessandro Piccolomini :strategie culturali e itinerari biografici, in M.-F. PIiéjus, M. Plaisance, M. Residori, Alessandro Piccolomini (1508-1579).Un siennois à la croisée des genres et des savoirs. Actes du Colloque International (Paris 23-25 septembre 2010), CIRRI, Parigi 2011, pp. 27-28.

325 I Prigioni di Plauto tradotti de l’Intronati di Siena, a cura di Nerida Newbigin, Accademia senese degli Intronati, Siena, 2006

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Nonostante tutto, appare programmaticamente risoluta la dichiarazione degli Intronati di non volersi immischiare in questioni politiche e volersi dedicare esclusivamente all’otium letterario, tanto più che il XV capitolo dell’Accademia punisce con l’interdizione perpetua chi si rivolgesse a «cose degli Stati»326. Le manifestazioni

culturali che derivano dagli Intronati, in effetti, ruotano soprattutto attorno questioni letterarie e linguistiche. Uno degli argomenti immancabili è la promozione del volgare a lingua degna di occupare tutti i campi della cultura e della vita sociale; un intento che si palesa nella realizzazione di volgarizzamenti, esercizi volti a conferire dignità al moderno e ad ampliarne le possibilità di sperimentazione327. Un’altra pratica usuale

dell’Accademia consiste nella lettura e nell’interpretazione di testi per lo più lirici; a tale scopo vengono allestite delle vere e proprie “lezioni accademiche”, di cui è un esempio emblematico la Veglia di Marcello Landucci328.

Alla tematica più specificamente amorosa, invece, vengono dedicate opere di giocosa parodia come anche di più seria trattazione filosofica: basti pensare alle note “questioni amorose”, le quali si sviluppano in dialoghi che coinvolgono per lo più interlocutrici femminili329; o alle numerose dissertazioni sui temi dell’amicizia, del

sentimento e dell’elezione amorosa. Una serie di manifestazioni culturali, quelle appena elencate, che sono sì dominanti all’interno dell’Accademia, ma che del resto fanno tendenza in molti degli altri circoli culturali della città.

326 Cfr. L. Constantini Petracchi, L’Accademia degli Intronati di Siena e una sua Commedia, La Diana, Siena 1928, p. 34.

327 Tomasi, L’Accademia degli Intronati, cit., p. 25.

328 Il testo inscena, all’interno di un struttura narrativa di stampo boccacciano (tuttavia, pregna di rimandi politici) la lettura, da parte di una donna, dello strambotto Deh levati la stringa da lo petto, componimento popolareggiante dal doppio senso osceno. La donna è chiamata a nobilitare il testo dello strambotto adornandolo di una dotta esposizione, il che accende un dibattito tra gli astanti. F. Glénisson-Delannée, Une veillée intronata inédite (1542) ou le jeu littéraire à caractère politique d’un diplomate: Marcello Landucci, in «Bullettino senese di storia patria», XCVIII, (1991), p. 63-101.

124 Cazzària o Cazzarìa

Il significato del singolare titolo dell’opera del Vignali ci è suggerito dal sonetto di Niccolò Franco che accompagna La Priapea, all’interno del quale gli ultimi tre versi recitano: «E per far la Cazzaria ben fornita/ Vi sono i cazzi a millioni, e quanti/ Pietro Aretino n’ha provati in vita»330; i versi suggeriscono l’idea, potremmo dire, di una

“bottega”, dunque Cazzaria può voler dire verosimilmente “luogo dove si raccolgono cazzi”, ipotesi sul quale si pronuncia anche Mori: «Non è ben chiaro il significato del titoli Cazzaria […] potrebbe significare o un libro sui cazzi o magazzino di cazzi»331.

Non solo: nel medesimo passo Mori avvisa che il termine è «da leggersi quasi certamente «Cazzarìa, con l’accento sulla i». Lo stesso verso «E per far la Cazzaria ben fornita», infatti, non preclude ritmicamente nemmeno la possibilità che la parola sia parossitona e, dunque, che il titolo possa essere di tipo aggettivale, come molti altri dei titoli che ricorrono specialmente nelle commedie cinquecentesche sulla base del modello plautino, come ad esempio l’Asinaria, ovvero “commedia di asini”, o l’Aulularia, “commedia della pentola”. Tra i tanti titoli coevi non può non risultare

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