VII) e in seguito spoliata (Periodo VI) a partire dal VI-VII secolo Tali operazioni funzionali al recupero d
2.1.4. Modena Piazza Roma
2.1.4.6. I reperti archeobotanic
Nello studio delle UUSS 134, 310, 1078 e 1227 finalizzato alla comprensione delle pratiche igieniche nella città di Modena si è prestata attenzione non solo ai manufatti, ma si è voluto indagare anche parte della componente organica del contesto, nello specifico i resti archeobotanici108. È ormai noto come lo studio dei resti carpologici possa infatti fornire preziose informazioni non solo sull'ambiente in cui l'uomo del passato viveva, ma anche sulla sua dieta, le sue abitudini, in alcuni casi persino il suo livello di ricchezza e, infine, sulle dinamiche di formazione del deposito archeologico analizzato109.
Metodologia
La terra prelevata dai diversi contesti è stata conservata in sacchi chiusi ermeticamente per mantenere le giuste condizioni di umidità e scarsa ossigenazione, tenendo separato il materiale proveniente dalle diverse UUSS. Il terriccio proveniente da ogni strato è stato posto in acqua per ammorbidirlo e sciogliere eventuali grumi. Il materiale è stato poi setacciato tramite ripetuti lavaggi con acqua corrente utilizzando tre setacci in acciaio impilati, aventi maglie a taglia decrescente, rispettivamente di 10 mm, 0,5 mm, 0,2 mm (fig.
17-19). Il materiale così setacciato è stato poi fatto asciugare separatamente e quindi posto in diverse buste siglate, una per ogni setaccio e distinto per UUSS.
In seguito il materiale è stato analizzato con l'ausilio di uno stereomicroscopio binoculare (ingrandimenti tra i 6x ed i 20x) per isolare i resti carpologici (nello specifico semi e frutti) dalla matrice.
Dalla quantità iniziale si è scelto di analizzare dei subcampioni, secondo la seguente tabella.
108
L'analisi della componente carpologica dei contesti di piazza Roma si è svolta all'interno del Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica - Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Modena e Reggio Emilia (MO), dove ho avuto l'opportunità di apprendere e sperimentare personalmente la metodologia da seguire per l'analisi di questo tipo di reperto, dalla setacciatura alla separazione dalla matrice dei reperti archeobotanici, ed ho potuto assistere al riconoscimento dei taxa rinvenuti nelle diverse UUSS.
109 M
ERCURI,BOSI,MARCHESINI 2003.
Fig. 17. I tre setacci (in alto) e le operazioni di setacciatura tramite lavaggi con
120 US Litri iniziali I setaccio I setaccio analizzato II setaccio II setaccio analizzato
III setaccio III setaccio analizzato
134 85 l 8 l 8 l 5 l 750 ml 5 l 350 ml
310 40 l 3 l 3 l 800 ml 800 ml 1,4 l 50 ml
1078 35 l 2 l 2 l 1 l 500 ml 1,6 l 225 ml
1227 10 l 1,5 l 1,5 l 600 ml 100 ml 750 cl 3 cl
Non tutti i campioni sono stati analizzati con lo stesso livello di approfondimento. Nello specifico per quanto riguarda le UUSS provenienti dal pozzetto, US 134 e US 310, si è scelto di analizzare una buona percentuale di materiale della US 134 e del secondo setaccio di US 310, ma si è tralasciato in parte il terzo setaccio di quest'ultima US in quanto, osservando una piccola quantità di materiale, ci si è resi conto che le sue componenti erano identiche a quelle della US 134. Della US 1078 si è scelto di analizzare la metà del secondo setaccio e 225 ml dal terzo setaccio, mentre il materiale proveniente dalla setacciatura della US 1227 è stato solo parzialmente osservato: il livello di conservazione dei resti archeobotanici al suo interno era infatti tale da non permetterne praticamente il riconoscimento.
I reperti così individuati sono stati poi identificati con l'utilizzo dello stereomicroscopio110 e con l'ausilio di atlanti. Da tutti i campioni di setacciatura esaminati alcuni resti non sono stati determinati per la perdita dei caratteri dovuta essenzialmente alla loro mal conservazione.
Semi e frutti dai contesti
I taxa riconosciuti all'interno dei contesti sono solamente 20. Per ogni US si sono indicati i taxa presenti, la tipologia di reperto rinvenuto (seme, cariosside, endocarpo,…) e, eventualmente, l'attestazione di un processo indicato con "carbonizzazione". I taxa sono stati raggruppati in categorie: Frutta (coltivata e spontanea (1), Ortive s.l. (2), Cereali e Legumi (3), Ruderali s.l. (4), Piante di ambiente umido (5), Altre piante (6).
US 1078
I e II setaccio III setaccio
Sparganium erectum endocarpo 5 tav. 11.1 Gramineae spontanee cariosside 4 Agrostemma githago seme 4 tav. 11.2-4 Chenopodiaceae interno di achenio 4 Convolvulus sp.
seme 4 tav. 11.5-6 Ficus carica interno di
achenio
1
Fumaria sp. seme 4 Brassica
rapa/Sinapsi alba cf.
seme 2 tav. 11.20-21
Vitis vinifera vinacciolo 1 tav. 11.7-12
Prunoideae seme 1 tav. 11.13
Pomoideae seme 1 tav. 11.14-16
Triticum sp. cariosside
(carbonizzazione)
3 tav. 11.17
Linum sp. cf. seme 6 tav. 11.18-19
110
Si ringraziano per l'identificazione la dott.ssa Giovanna Bosi, la dott.ssa Rossella Rinaldi e la prof.ssa Marta Bandini Mazzanti del Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica.
121
US 1227
I e II setaccio III setaccio
Gramineae spontanee
cariosside 4 Chenopodiaceae interno di
achenio
4
Vitis vinifera vinacciolo 1 tav. 11.22-24 Valerianella
dentata
nucula 4
Pomoideae seme 1 tav. 11.25-26 Ficus carica interno di
achenio
1
Vicia sp. seme
(carbonizzazione)
3 tav. 11.27 Urtica dioica seme 4
US 134
I e II setaccio III setaccio
Setaria sp. cariosside 4 tav. 12.1-3 Chenopodiaceae interno di
achenio 4 fig. 18 Prunoideae indeterminabile, seme 1 tav. 12.4-6 Valerianella dentata nucula 4 Prunus sp. interno di endocarpo
1 tav. 12.4-6 Setaria sp. cariosside 4
Vitis vinifera vinacciolo 1 tav. 12.7-11 Urtica dioica achenio 4
Ficus carica interno di
achenio
1 fig. 18
Morus nigra cf. endocarpo 1 fig. 19
Rubus sp. interno di endocarpo 1 Conium maculatum mericarpo 4 US 310
I e II setaccio III setaccio
Vitis vinifera vinacciolo 1 tav. 12.12-15
Prunoideae seme 1 tav. 12.16-17
Prunus domestica subsp. insititia
endocarpo 1 tav. 12.18
Pomoideae seme 1 tav. 12.19-20
Le piante di piazza Roma
Nonostante il tipo di conservazione111 abbia permesso in molti casi di arrivare solo ad un livello molto generico di determinazione, i reperti carpologici presenti nei contesti di Piazza Roma consentono di fornire alcune informazioni utili per l’interpretazione finale dei contesti112.
111
Vd. infra.
122 Innanzitutto sono ben rappresentate le
piante legnose (arboree o arbustive) che potevano fornire frutta sia coltivata che da raccolta sullo spontaneo. La vite (Vitis vinifera) è presente in tutte le UUSS analizzate, con un numero abbastanza rilevante di vinaccioli; tali reperti, nonostante siano fortemente mineralizzati e sclerificati, appartengono quasi sicuramente a vite coltivata e testimoniano ancora una volta l’importanza in periodo medievale di tale taxon anche nei centri urbani e non solo nelle aree rurali. Il fico (Ficus carica; fig.
18), riconoscibile nonostante sia presente
con acheni fortemente rovinati (quasi solo interni degli stessi), è un altro taxon
attestato in quasi tutte le UUSS esaminate e come la vite è un elemento che caratterizza le strutture di scarico urbane di periodo medievale113. Sono poi presenti diversi reperti riconducibili alle Prunoideae e alle Pomoideae, ma solo in un caso per la prima categoria possiamo arrivare al livello addirittura sottospecifico, con la prugna damascena (Prunus domestica subsp. insititia); per il resto, possiamo ipotizzare la presenza di altre Prunoideae (come prugnolo, ciliegio, amareno,…) e di mele e/o pere (Pomoideae). Nell’US 134 sono inoltre testimoniate le more di rovo (Rubus sp.) e quelle di gelso nero (Morus nigra; fig. 19), entrambi piccoli frutti raccolti e mangiati interi, ma spesso utilizzati anche in cucina114.
Tra i cereali è evidente solo una cariosside carbonizzata attribuibile al grano (Triticum sp.); un altro reperto carbonizzato, ovvero un seme parziale di generica veccia (Vicia sp.), è invece ascrivibile ai legumi.
Rare le testimonianze di piante ortive s.l.: qui possiamo includere solamente una brassicacea d’incerta attribuzione (Brassica rapa/Sinapis alba) e, con minore sicurezza, un generico lino (Linum sp.), coltivato sia per il seme che come pianta tessile. È però interessante notare che fra le ruderali s.l. attestate, diverse potrebbero essere le piante che accompagnano orti, vigneti e piccole parcelle coltivate: il gittaione comune (Agrostemma githago), il convolvolo (Convolvolus sp.), la cicuta maggiore (Conium maculatum), la fumaria (Fumaria sp.), la
gallinella dentata (Valerianella dentata), oltre ad
alcune graminee spontanee. Inoltre altri reperti testimoniano piante tipiche di terreni fortemente azotati, tipici dei contesti di discarica e di accumuli di materiale fecale, come l’ortica comune (Urtica
dioica) o varie chenopodiacee115 (fig. 20).
113 B
ANDINI MAZZANTI et alii 2005.
114
BANDINI MAZZANTI et alii 2009.
115 P
IGNATTI, 1982; ALESSANDRINI et alii 2010; IERANÒ et alii 2014.
Fig. 20. Interni di acheni di Chenopodiaceae.
Fig. 18. Interni di acheni di Ficus carica.
Fig. 19.
Morus nigra.
123
Infine tra le piante di ambiente umido l'unica presente (probabilmente per la robustezza dei suoi endocarpi che la rende più resistente di altre specie al deterioramento) è il coltellaccio maggiore (Sparganium
erectum), un’idrofita radicante che accompagna fossi e canali con acque calme116, attestata non a caso
all'interno del riempimento del fognolo (US 1078).
Conservazione dei macroresti carpologici e formazione del deposito: alcune riflessioni
La formazione di un deposito archeologico117 con l'inclusione di determinati materiali, e quindi anche di semi e frutti, può avvenire grazie ad un trasporto naturale (per l'azione dell'acqua, vento o animali) o come conseguenza di un'azione antropica (che può essere a sua volta di tipo intenzionale o casuale. Ricade in questo caso per esempio l'abbandono di rifiuti), così come gli strati stessi possono essere di origine naturale o artificiale. L'assemblaggio carpologico, ovvero l'insieme di semi e frutti che entrano a far parte di un determinato contesto e sono generalmente coevi tra loro, può essere pertanto di formazione naturale (paleobiocenosi), ed in questo caso rappresenta l'immagine della vegetazione in prossimità del punto di formazione dello strato preso in considerazione, o antropica (tanatocenosi), ovvero essersi formato da vegetali depositati dopo la loro morte come frutto delle azioni umane, e riflette in questo secondo caso le attività antropiche in quella data area.
Per quanto riguarda i tre contesti qui presi in esame, l'assemblaggio si è formato attraverso il concorso di più eventi e fattori e la loro tipologia è perciò mista: l'insieme dei semi e frutti qui rinvenuti quindi riflette in parte l'ambiente che circondava gli strati oggetto di studio, ma anche le azioni umane intercorse nel periodo di formazione degli stessi.
La conservazione dei macroresti botanici dipende dallo stato in cui essi arrivano nel deposito (ovviamente semi e frutti già deteriorati hanno meno possibilità di conservarsi), ma è soprattutto legata a fattori che creano o meno condizioni e ambienti favorevoli all'attività di funghi e batteri responsabili della decomposizione della materia organica. Può avvenire pertanto in quelle situazioni in cui l'attività demolitrice è inibita e ciò si verifica normalmente per:
Carbonizzazione: conseguenza di un processo di combustione avvenuto lentamente in ambiente povero d'ossigeno. Tale fenomeno rende inattaccabile la materia organica da parte degli agenti demolitori.
Sommersione: negli ambienti umidi (terreni paludosi, torbiere, pozzi, canali bonificati, …) si crea un ambiente anaerobico completamente inadatto alla sopravvivenza di batteri o funghi e che permette pertanto la buona conservazione di semi e frutti, che mantengono un aspetto molto simile a quello del materiale fresco.
Mineralizzazione: sostituzione parziale o totale della materia organica da parte di sali minerali che può verificarsi sia per l'azione di prodotti di ossidazione dei metalli, ferro e rame, sia soprattutto per la precipitazione da soluzioni di fosfati, carbonati o silicati. La mineralizzazione è un processo discontinuo, localizzato su superfici limitate dei reperto. il materiale organico viene sostituito totalmente o in parte da sali minerali come carbonati, solfati o silicati.
Mummificazione: si verifica in ambienti caratterizzati da estrema siccità ed in regioni aride e non interessa generalmente i depositi archeologici del Nord Italia.
116
ALESSANDRINI et alii, 2010
117 Le informazioni in questo paragrafo sono desunte da M
124
La mineralizzazione
Mentre la mineralizzazione per l'azione dei prodotti dell'ossidazione dei metalli necessita per l'appunto della presenza di tali materiali all'interno del deposito e si verifica in prossimità o a contatto di essi, la mineralizzazione con fosfati, carbonati o, più raramente, silicati avviene più tipicamente in ambienti dove si è in presenza di una scostante presenza d'acqua e di accumuli con abbondanti rifiuti organici come ossa, resti vegetali e feci, donatori di carbonati e fosfati, condizioni spesso presenti in contesti di smaltimento di rifiuti o latrine. Tale fenomeno può avvenire però anche in ambienti aperti con abbondante presenza di materiale organico in decomposizione ed una falda soggetta a fluttuazioni118. Il riconoscimento e lo studio di un processo di mineralizzazione può fornire pertanto preziose indicazioni sulla dinamica di formazione del deposito archeologico.
In contesti dove i macroreperti botanici si siano conservati grazie ad un processo di mineralizzazione, i reperti mostrano una elevata variabilità, con resti molto simili nell'aspetto a quello del materiale fresco fino a reperti totalmente degradati, quasi irriconoscibili. Il processo di mineralizzazione non è spesso uniforme, ma prevede una serie di diversi livelli di conservazione della materia organica originale che dipendono dalle variabili ambientali che condizionano questo processo. Si possono per esempio formare degli pseudomorfi, con una sostituzione completa della sostanza organica con sostanze inorganiche. Il reperto può al contrario conservare in parte le componenti organiche con una sostituzione parziale, per esempio dell'endosperma. Gli studi condotti sui processi di mineralizzazione hanno messo in luce come i sali minerali principalmente interessati in questo processo siano il fosfato di calcio (Ca(PO4)6(OH)2)
119
, il carbonato di calcio (CaCO3) 120
o i silicati. Nel primo caso le principali fonti di fosfati sarebbero feci, ossa di pesci e mammiferi e resti vegetali, mentre la calce funge da donatrice di calcio; nel secondo caso si sono individuati nelle ossa animali, conchiglie, gusci d'uovo e resti vegetali e ancora calce le principali fonti di calcio. Per quanto riguarda infine i silicati, questi provengono principalmente dalle ceneri derivanti dalla pulizia dei focolari e dalla degradazione di tessuti di origine vegetale121. Si è notato infine come anche la matrice, se ricca di rocce carbonatiche (come marmi, travertini e calcari) o silicee (principalmente le rocce magmatiche come i graniti) possa essere una fonte di carbonati o silicati.
È interessante che proprio tutti questi elementi si trovano solitamente all'interno degli scarichi di rifiuti e, solo in parte, nelle latrine122, il che spiega il perché sia proprio in tali contesti che si ritrovano più frequentemente i resti botanici mineralizzati123. In particolare quindi i siti ideali per la conservazione di
118 S
CANTAMBURLO 2003/2004. Nella tesi sono stati analizzati diversi siti databili dall'età del bronzo al medioevo in cui sono stati rinvenuti resti archeobotanici mineralizzati. La studiosa ha constato come in alcuni siti, quali Povegliano (VR; MOTELLA DE CARLO 1997), il Castellaro di Vhò (CR; ROTTOLI 1997, ROTTOLI 2001) e Roccagloriosa (SA; COSTANTINI, FITT 1990) la mineralizzazione non sia avvenuta in contesti chiusi, ma in maniera diffusa per tutto il sito, dove in presenza di una falda fluttuante che inondava periodicamente le stratigrafie, la costante presenza di materiale organico per scarichi diffusi e abbondanza di carbonato di calcio o silicati presenti nel substrato roccioso ha permesso quei processi che hanno portato alla mineralizzazione di una grande percentuale di reperti. Tuttavia anche in quei casi è stato possibile registrare dei picchi in prossimità di cumuli si scarico ricchi di materiali organici e manufatti.
119
GREEN 1979.
120 KŐRBER-G
ROHNE 1991. Il processo grazie al quale avviene la mineralizzazione con carbonato di calcio necessita di anidride carbonica, la cui concentrazione aumenta in seguito all'attività batterica legata alla decomposizione, e acqua. Dall'unione delle due sostanze si forma infatti così l'acido carbonico (H2CO3). Questo intacca il carbonato di calcio
(CaCO3) liberando in soluzione bicarbonato di calcio (2HCO3) e ioni di calcio. CaCO3 + H2O + CO2 2HCO3
+ Ca++ La reazione è reversibile quindi a contatto con aria, il bicarbonato può perdere l'anidride carbonica che si ricombina con il calcio per creare di nuovo carbonato di calcio che precipita. Quindi finché lo strato è sommerso si ha una soluzione con alte concentrazioni di bicarbonato e ioni di calcio; quando il livello d'acqua cala si crea un ambiente saturo di calcite che, di conseguenza, precipita.
121
SCANTAMBURLO 2003/2004, pp. 70-76.
122 G
REIG 1981.
123 Nella succitata tesi (S
CANTAMBURLO 2003/2004) vengono analizzati una serie di siti italiani in cui tali reperti sono stati rinvenuti in contesti di smaltimenti di rifiuti e latrine. Nello specifico si tratta dell'Esedra Crypta Balbi, dove sono state individuate una fossa per lo scarico dei rifiuti databile tra fine XII e inizio XIII ed una seconda struttura per lo
125
questa tipologia di reperti sono quei contesti di smaltimento misti in cui accanto ad un apporto di materiale fecale, comunque non indispensabile, vi sia abbondanza di materiale organico (ossa animali, lische di pesci, molluschi, gusci d'uova, resti vegetali anche combusti, tessuti ovvero donatori di calcio, fosfati e silicati) ed una limitata o comunque periodica presenza d'acqua.
Inoltre all'interno di un deposito la varietà di materiali, in grado quindi di donare diversi elementi alla soluzione, fa si che il processo di mineralizzazione possa non interessare esclusivamente un solo componente cristallino, ma generare varie sostanze124.
La presenza di soluzioni ricche di fosfati, carbonati o silicati sembra prediligere la conservazione di semi e noccioli con caratteristiche istologiche tali da renderli più resistenti ai processi di degrado, come i vinaccioli, acheni ed endocarpi legnosi. I cereali ed i legumi sono invece penalizzati e non si conservano generalmente per mineralizzazione, ma solitamente per carbonizzazione. Al contrario Vitis vinifera e Ficus carica sembrano essere le specie i cui reperti si ritrovano più frequentemente "fosfatizzati". Questo però può essere legato sia alle caratteristiche istologiche del reperto, ma anche ed eventi precedenti alla formazione del deposito stesso, ovvero grazie per esempio al largo consumo che si faceva del taxon in oggetto (es. l'uva era utilizzata in grandi quantità per la vinificazione, che comportava oltretutto una notevole quantità di scarti). Al contrario i cereali arrivavano spesso nelle case già trasformati (ovvero ridotti in farina) e la loro presenza può essere imputabile ad incidenti di cucina che ne hanno comportato la combustione.
Per quanto riguarda i semi e frutti rinvenuti nei contesti di piazza Roma, la quasi totalità di essi non presenta tracce di carbonizzazione, ad esclusione di un frammento di cariosside di Triticum sp. ed un seme di Vecia sp. (tav. 11.17, 27), e si può totalmente escludere che si siano conservati grazie alla sommersione. Confrontando infatti i reperti qui analizzati con semi e frutti rinvenuti per esempio all'interno di un canale bonificato nel centro di Modena (scoperto al di sotto del palazzo del Vescovado), sicuramente conservatisi per sommersione, è evidente come questi ultimi si siano preservati meglio ed abbiano mantenuto tessuti e caratteri peculiari in parte persi dai semi e frutti di piazza Roma (fig. 21)125.
scarico di rifiuti, a pianta rettangolare, databile alla prima metà del XIV secolo (SAGUÌ 1990b; FITT, GIORGI 1990); Palazzo Vitelleschi a Tarquinia (VT), dove sono state rinvenute buche per lo scarico di rifiuti domestici, con 4 contesti di metà XII-fine XIV secolo e 11 buche di XIV-XV secolo (CLARK et alii 1990); Monastero della Visitazione (VC), dove è stata scavata una fossa di scarico di fine XV-inizio XVI secolo (NISBET 1996); Udine, Casa della Confraternita (UD), con l'indagine di una fossa di forma cubica databile al XIV secolo (CASTIGLIONI, ROTTOLI 2003) ed infine la latrina del Mastio del Castello Federiciano di Monselice, vero e proprio oggetto della tesi, contesto di XIII-XIV secolo. In generale comunque la presenza di semi mineralizzati è tipica di contesti misti, di scarico di rifiuti e deiezioni
124 È il caso appunto della latrina del Mastio di Monselice, dove accanto a fosfati è stata registrata una presenza non
indifferente di silicati: SCANTAMBURLO 2003/2004.
125 Le foto del materiale proveniente dal canale del palazzo del Vescovado sono tratte da B
ENATTI 2008/2009.
Fig. 21. Confronto tra i materiali provenienti dal canale rinvenuto sotto al palazzo del Vescovado (a sinistra) e quelli
126
Questi ultimi hanno invece subito un processo di mineralizzazione che ne ha alterato le caratteristiche e ne ha permesso una conservazione non uniforme all'interno del campione. I vinaccioli in particolare appaiono particolarmente alterati, in alcuni casi presentano un aspetto come "sclerificato" e mostrano evidenti differenze in merito alla colorazione, che va da bianco al marrone con la presenza anche di maculazioni (fig.
22). Per altre tipologie di reperto, si nota come si sia conservato solamente l'interno degli acheni,
completamente mineralizzato, come nel caso del Ficus carica e delle Chenopodiaceae (fig. 18, 20), e si segnala la perdita totale o parziale dell'endocarpo nelle Prunoideae, sempre con la mineralizzazione del seme interno (fig. 23).
Per quanto riguarda l'US 1078 la natura del deposito, ricco di ossa animali e resti di pasto, ha favorito il processo di mineralizzazione, che, in questo caso, ha permesso persino la conservazione di un piccolo frammento di tessuto (fig. 24)126. Anche in US 134 e 310 sono state rinvenute alcune ossa, ma probabilmente in questo caso la mineralizzazione è da imputare
alla presenza forse di materiale fecale e di vinaccie. In US 1227 invece le condizioni di conservazione dei reperti era tale da far ipotizzare un massiccio utilizzo di calce che ha portato alla quasi completa degradazione dei resti, probabilmente in assenza di acqua che permettesse la formazione delle soluzioni di sali.
Non sono state effettuate analisi per verificare quali composti siano stati responsabili del processo di mineralizzazione avvenuto nei contesti modenesi. Sarebbe tuttavia interessante poter compiere tali verifiche e confrontarne i risultati con analisi sui processi di degradazione delle "maioliche arcaiche", le cui superfici mostrano chiari segni di devetrificazione degli smalti conseguenti alle condizioni di giacitura.
Conclusioni
Il panorama offerto dall'assemblaggio carpologico rimanda ad un ambiente in cui gli spazi verdi, come