Il legislatore, accanto all’adozione legittimante, ha introdotto un altro istituto volto a tutelare il diritto del minore ad avere una famiglia che è l’adozione in casi particolari, disciplinata dal titolo IV della legge 184/1983. Questo istituto si applica in ipotesi circoscritte e tassativamente individuate dalla legge in cui, pur non ricorrendo tutti i presupposti per disporre l’adozione legittimante, l’inserimento del minore in un nuovo nucleo familiare pare essere la soluzione più opportuna85. Si prevede dunque un’ulteriore forma di adozione accanto quella piena, con effetti meno intensi rispetto all’istituto tradizionale, ma il cui scopo rimane sempre il perseguimento del preminente interesse del minore86. In questi casi i minori possono essere adottati anche se non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 7 co. 1 l. ad., non è quindi necessaria una dichiarazione di adottabilità né una situazione di abbandono. L’adozione particolare si distingue da quella legittimante non solo per l’ambito di applicazione più ristretto, per la procedura più semplificata da seguire e per gli effetti più limitati che essa produce, ma anche per le regole più elastiche in tema di legittimazione ad adottare.
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L’articolo 22 della legge 184/1983 dispone che “il tribunale per i minorenni, in base alle indagini effettuate, sceglie tra le coppie che hanno presentato domanda quella maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore”.
85 A. Giusti “L’adozione dei minori di età in casi particolari” in “Trattato di diritto
di famiglia” di G. Bonilini, Utet, Torino, 2016; E. Urso “L’adozione dei minori in casi particolari” in “Il nuovo diritto di famiglia. Filiazione e adozione” di G.
Ferrando, Zanichelli, Bologna, 2007; G. Collura “L’adozione in casi particolari” in
Trattato di diritto di famiglia di P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2012.
86 Secondo alcuni sarebbe stato sufficiente prevedere una disciplina meno rigida per
presupposti e condizioni, tenendo conto delle diversità delle singole situazioni sostanziali, ma senza escludere un’unitarietà di regolamentazione di fondo. Vedi Bessone e Ferrando “Minori e maggiori di età (adozione dei)” in Novissimo Dig., Torino 1984; A. e M. Finocchiaro “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei
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L’articolo 44 l. ad. individua quattro casi tassativi in cui è possibile ricorrere a questa forma di adozione. Il primo caso, previsto alla lettera
a) del medesimo articolo, è quello del minore orfano che può essere
adottato da un parente entro il sesto grado o da persone estranee con cui abbia però instaurato un rapporto stabile e duraturo prima della perdita dei genitori e in tal modo il legislatore vuole evitare di allontanare il minore dalla sua cerchia familiare o comunque da un ambiente in cui si sono già creati legami affettivi.
La seconda ipotesi di adozione in casi particolari, disciplinata dalla lettera b) dell’articolo 44 l. ad., è quella dell’adozione da parte del coniuge del figlio legittimo, naturale o anche adottivo, dell’altro coniuge. Si risponde così all’esigenza di dare un riconoscimento dal punto di vista giuridico a un rapporto affettivo che di fatto si è venuto a instaurare tra il minore e il coniuge del proprio genitore, collegato a una situazione di convivenza87, agevolando l’inserimento del minore nel nuovo nucleo familiare che il genitore ha ricostruito. La finalità che si vuole attuare è il consolidamento dell’unità familiare88, anche se l’instaurazione di questo nuovo rapporto non deve provocare la rottura di quello che lega il minore con l’altro genitore biologico. L’adozione del figlio del coniuge è l’unica ipotesi tra quelle elencate dall’articolo 44 l. ad. in cui non è consentita l’adozione da parte del convivente
more uxorio, ma soltanto da parte del coniuge (art. 44 co. 3 l.
184/1983). Tale divieto richiama quello posto alle coppie che aspirano a un’adozione legittimante, ma da tale similitudine non ne consegue che il periodo triennale di convivenza debba sussistere anche nell’adozione in casi particolari.
87 Secondo M. Dogliotti “Adozione in casi particolari” in “Filiazione, adozione e
alimenti” di T. Auletta”, Giappichelli, Torino, 2011, è necessario che il coniuge sia
affidatario del minore. Tuttavia Cass. 19.10.2011 n. 21651 in Famiglia e diritto 2012, c. 729 ss afferma che non può escludersi sempre e comunque l’adozione del figlio del coniuge ai sensi della lettera b) motivando sull’intervenuta separazione dei coniugi nelle more della procedura qualora si sia instaurata una relazione positiva tra l’adottando e il coniuge richiedente. Il giudice dovrà valutare caso per caso.
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La novella del 2001 ha inserito un nuovo caso di adozione particolare alla lettera c) dello stesso articolo: quello del minore, orfano di padre e di madre, che si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 389 della legge 5.2.1992, n. 104, legge quadro sull’assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. È chiara l’intenzione del legislatore di agevolare la categoria dei minori portatori di handicap, soggetti per cui potrebbe risultare più difficile procedere ad adozione legittimante e che sarebbero così costretti a vivere in istituti fino alla maggiore età. Sempre in virtù di questo favore legislativo si prevede, ai commi 2 e 3 dell’articolo 44 l. ad., che l’adozione del minore in questo caso sia consentita anche da parte di chi non è coniugato e anche se il divario di età tra adottante e adottato è inferiore a diciotto anni. Tuttavia questa fattispecie risulta per certi versi problematica. Innanzitutto la nozione di “handicap” contenuta nella legge è ampia e generica e questo comporta il rischio che la deroga venga applicata in modo troppo estensivo, anche verso ragazzi che non presentano gravi difficoltà. Inoltre la fattispecie del minore orfano portatore di handicap poteva essere ricompresa già nella originaria lettera c), che contemplava i casi di “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, e secondo parte della dottrina90 si sarebbe così garantito maggiormente il minore poiché in questo modo si prevedeva almeno un tentativo di adozione piena senza percorrere subito la via dell’adozione non legittimante.
Infine, secondo la lettera d) dell’articolo 44 l. ad., l’adozione in casi particolari è consentita quando vi sia la “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. Questa vaga indicazione normativa ha suscitato notevoli incertezze a livello applicativo e interpretativo.
89 Ai sensi di questa disposizione “è persona handicappata colui che presenta una
minorazione fisica o psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione, di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
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Vedi M. Dogliotti, La riforma dell’adozione, in Famiglia e diritto, 2001; C. A. Moro “Manuale di diritto minorile”, Zanichelli, Bologna, 2002.
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Innanzitutto ci si è chiesti se il richiamo che la norma fa al concetto tecnico di “affidamento adottivo” comporti la necessità che in questi casi venga previamente dichiarato lo stato di adottabilità del minore, a differenza delle altre ipotesi previste all’articolo 44 l. ad.. Si è osservato91 infatti che il riferimento alla “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” rimarrebbe privo di contenuti in mancanza della declaratoria di adottabilità, senza la quale è, a stretto rigore, sempre giuridicamente inattuabile tale constatazione. Si è discusso a lungo sul senso da dare all’espressione di “impossibilità”, se cioè si debba intendere come una nozione obbiettiva oppure se si debba far coincidere con la non opportunità, con l’impossibilità in senso soggettivo. Una parte della dottrina92 afferma che l’adozione particolare sia un rimedio a carattere eccezionale e tassativo e ritiene necessario il previo accertamento dello stato di abbandono in quanto con la previsione della lettera d) si vuole impedire che il minore dichiarato adottabile sia lasciato in uno stato di definitiva istituzionalizzazione, anche quando vi sia qualcuno che, seppur sprovvisto dei requisiti per l'adozione piena, sia disposto a prendersene cura. Già in sede di lavori preparatori della legge 184/1983 erano stati prospettati, come giustificativi di questa previsione, quei casi in cui la coppia si rifiutava di prendere in affidamento preadottivo il minore a causa di alcune sue caratteristiche, come ad esempio l’età nel caso di adolescenti vicini ai diciotto anni. Si voleva dunque trovare una soluzione a queste situazioni in cui il minore, pur essendo dichiarato adottabile, non riusciva ad essere affidato ed aveva come unica alternativa la permanenza presso istituti; tuttavia queste ipotesi non sono le uniche riconducibili al significato della disposizione. Innanzitutto da tempo ormai si è stabilito che si
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P. Morozzo della Rocca “Sull’adozione in casi particolari del minore straniero già
presente in Italia” in Famiglia e diritto 1996.
92 V. M. Caferra “Famiglia e assistenza”, Zanichelli, Bologna, 1984; A. e M.
Finocchiaro “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, Giuffrè, Milano, 1983.
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debba tenere conto non solo delle ragioni che determinano l’impossibilità di dar luogo fin dall’inizio all’affidamento preadottivo, ma anche a quelle che si sono rilevate in concreto inidonee a seguito di un affidamento non andato a buon fine93. Vi è invece un’altra parte94 della dottrina che, pur ritenendo necessario che il minore versi in una situazione certa di abbandono da parte dei genitori naturali, non richiede però la sussistenza della dichiarazione di adottabilità, almeno quando il minore abbia instaurato forti legami affettivi con soggetti disposti a prendersene cura. Quindi l’impossibilità di procedere all’affidamento preadottivo potrebbe derivare da fattori peculiari, come il fatto che il minore si sia affezionato all’affidatario a seguito del suo inserimento in quel nucleo familiare grazie ad un provvedimento di affidamento temporaneo. In questo caso l’interruzione del rapporto affettivo e il distacco del minore da quel contesto familiare potrebbe rivelarsi pregiudizievole per lo stesso, provocandogli un ulteriore trauma. La stessa Corte Costituzionale nel 199995 ha ritenuto non necessario il previo accertamento dello stato di abbandono del minore
quando l'adozione in casi particolari risulti
comunque opportuna nel suo esclusivo interesse. Ma soprattutto si registra una tendenza dei giudici minorili ad interpretare in senso ampio la nozione di impossibilità, fino a ricomprendervi tutte le situazioni in cui l’affidamento preadottivo sia di fatto in contrasto con
93 C. Ebene Cobelli in Commentario sub art. 44 l. 184/1983 a cura di M. C. Bianca,
F. D. Busnelli, G. Franchi, F. Schipani, Cedam, Padova, 1984; G. Cattaneo voce “Adozione” in Digesto civ. Torino 1987.
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In dottrina vedi G. Carlini, “Adozione nei casi di constatata impossibilità di
affidamento preadottivo ( art. 44, lett. c), l. 4 maggio 1983 n. 184” in Giur. merito,
1984. V. Loiacono ( «Nell'interesse del minore: adozione ex articolo 44, lett. c),
della legge 184/1983 in luogo di delibazione non consentita, per difetto del requisito dell'età, di adozione straniera», in Dir. fam. pers., 1988) afferma in modo
ancora più netto che il legame affettivo che il minore ha instaurato deve essere salvaguardato disponendo adozione particolare anche quando si riscontra il carattere intenzionalmente abusivo o illegittimo dell’affidamento.
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l’interesse del minore96
. Infatti la rottura dei legami affettivi che il minore ha instaurato con soggetti, i quali per svariati motivi non possono ricorrere all’adozione piena, provocherebbe un grave pregiudizio per il minore costretto ad abbandonare un contesto familiare a cui ormai si sente appartenere97. Il pericolo a cui si può andare incontro ampliando eccessivamente i casi ricompresi nell’ambito di efficacia dell’articolo 44 lettera d) è che l’adozione particolare diventi uno strumento per aggirare la normativa sull’adozione piena, magari a copertura di operazioni di mercato di bambini.
Come abbiamo già accennato i requisiti degli adottanti sono assai meno rigidi rispetto all’adozione legittimante. La legge non richiede infatti che gli adottanti siano uniti da vincolo matrimoniale, ma anzi l’adozione particolare è consentita, oltre che da parte dei coniugi, anche da parte della persona singola. Non si richiede nemmeno che gli adottanti, se coniugati, siano uniti in matrimonio da un certo periodo di tempo. Fa eccezione il caso del figlio del coniuge in cui appunto l’adottante deve essere coniugato e non separato, non essendo ammissibile l’adozione da parte del convivente more uxorio del genitore. Si prevede tuttavia che se colui che aspira all’adozione è coniugato e non separato il minore deve essere adottato da entrambi i coniugi. Si richiede quindi un impegno solidale della coppia per la crescita armoniosa del minore poiché l’adozione da parte di uno solo dei coniugi potrebbe apparire come un rifiuto dell’altro che potrebbe pregiudicare il bambino. Si vuole così garantire un contesto familiare armonioso e completo al minore, ma solo laddove questo sussista nella
96 Vedi Trib. min Roma 02.07.1987, in Giur. it, 1988, c. 700 ss; Trib. min. Roma
18.03.1985 in Dir. Fam. Pers. 1985, p. 620 ss; Trib. min. Genova 14.10.1995 in
Famiglia e diritto , 1996, p. 349 ss.
97 Trib. min. Roma 8.01.2003 in Giur. di merito, 2003 p. 1122 ss con nota di M.
Orlandi “Bimbi contesi tra famiglie biologiche e famiglie degli affetti: due situazioni
difficili risolte secondo buon senso”; Trib. min. Salerno 19.07.2002 in Famiglia e diritto 2003, p. 606 ss con nota di Sacchetti.
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realtà, infatti tale previsione non si applica nel caso in cui i coniugi siano separati, anche di fatto.
Per quanto riguarda il requisito dell’età degli adottanti non si contempla un limite massimo per l’adozione in casi particolari98, a differenza di quanto previsto per quella piena. Diversamente, il comma 4 dell’articolo 44 l. ad. dispone che l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella dell’adottando. Il testo originario di questa previsione era caratterizzato da una certa rigidità, infatti non era prevista alcuna deroga a tale limite e questo sempre secondo una logica di ”imitazione della natura”. La disposizione aveva l’intento di simulare quel divario di età che normalmente intercorre tra genitori e figli. La legge 149/2001 ha tuttavia novellato la previsione in quanto il limite minimo dei diciotto anni non è più prescritto per tutte le ipotesi elencate all’articolo 44 l. ad., ma solo per il caso di adozione pronunciata a favore di persone unite al minore, orfano di entrambi i genitori, da vincolo di parentela entro il sesto grado o da rapporto stabile e duraturo ( lett. a) ) e nel caso di constatata impossibilità di affidamento preadottivo ( lett. d) ). Negli altri due casi ( lett. b) e c) art. 44 l. ad.) la differenza di età tra adottanti e adottando può essere inferiore a diciotto anni, pur dovendo sussistere un divario naturale. Il legislatore apporta queste modifiche per adeguarsi alle indicazioni che erano state espresse alcuni anni prima dalla Corte Costituzionale, la quale aveva ritenuto irragionevole l’assoluta inderogabilità della previsione originaria, ridimensionando così il principio dell’adoptio
imitatur naturam.
Era stata sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 30 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’articolo 44 l. ad. nella parte in cui prevedeva come irrinunciabile la differenza di almeno diciotto anni tra
98 La giurisprudenza esclude tuttavia l’opportunità di ammettere l’adozione nei
confronti di persone molto avanti con gli anni. Vedi Cass. 16.02.2002, n. 2303 in Riv.
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adottanti e adottato. Innanzitutto il giudice a quo ravvisa nella disposizione una disparità di trattamento tra coloro che aspiravano all’adozione ai sensi dell’articolo 44 l. ad. e coloro che intendevano riconoscere o legittimare un figlio99, per i quali era stabilito un divario minimo di età di sedici anni. Quindi mentre un minore al compimento del sedicesimo anno sarebbe stato in grado di assumere la responsabilità genitoriale a seguito di riconoscimento del figlio naturale o di legittimazione, con i notevoli doveri che ne derivano, tutto ciò era invece negato nel caso in cui si trattava di formalizzare un legame affettivo forte e duraturo mediante adozione. Nel caso di specie che ha dato origine alla pronuncia della Corte Costituzionale colui che aspirava all’adozione del minore, figlio naturale della propria moglie il quale non era mai stato riconosciuto dal padre biologico, seppur consapevole di avere una differenza di età con il bambino inferiore ai diciotto anni, eccepiva l’illegittimità della norma in virtù del profondo legame affettivo che lo univa al minore stesso. La mancata adozione avrebbe escluso per il minore un vincolo familiare con colui che considerava come un padre e lo avrebbe emarginato da quel nuovo nucleo familiare costruito dal genitore, con conseguente pregiudizio per il ragazzo, tenendo anche conto che dal matrimonio della madre era nata una bambina che invece aveva acquisito un pieno status di figlia legittima.
La Corte con un’elaborata sentenza del 1990100 dichiara l’incostituzionalità del vecchio comma 5 dell’articolo 44 l. ad., discostandosi però in parte dall’argomentazione proposta dal giudice
99 Art. 250 e 284 c.c. 100
Corte Cost. 02.02.1990, n. 44 in Foro it. 1990, c. 353 e ss, con nota di I. Cividali “L’art. 44 comma 5 della legge n. 184/1983 ed il principio dell’unità familiare: una
sentenza esemplare” in Dir. fam. pers. 1990. Nel caso concreto la richiesta era stata
presentata dalla seconda moglie di un vedovo, padre di due figli, nati dal suo matrimonio precedente, quando costoro erano entrambi minorenni. Nel corso del procedimento uno dei due aveva raggiunto la maggiore età. La Corte di appello di Milano aveva rigettato la sua impugnazione affermando che sussistono profonde diversità tra l’adozione speciale e quella ordinaria. La Cassazione ribalta la decisione affermando che la famiglia dell’adottando coincide con quella dell’adottante.
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che aveva sollevato la questione di legittimità. Infatti esclude la violazione del principio di uguaglianza contenuto all’articolo 3 della Costituzione poiché non è possibile fare una comparazione tra l’età richiesta per adottare un bambino e quella richiesta a chi intenda riconoscere un figlio o legittimarlo, essendo queste delle situazioni non omogenee ciascuna delle quali si ispira a una diversa ratio. Non è sufficiente infatti che queste fattispecie richiamate a confronto abbiano a denominatore comune con la norma impugnata l’acquisto di uno
status familiare di filiazione riconosciuta, legittimata o adottiva. E
secondo la Corte questa erronea impostazione deriva da una non corretta interpretazione del principio dell’ “imitatio naturae”, che normalmente si richiama per giustificare la differenza di età tra adottante e adottando. Innanzitutto si nega al criterio dell’imitatio
naturae la valenza di un principio giuridico, rifiutando così l’idea
secondo cui l’istituto dell’adozione deve essere regolato come una
species artificiale della filiazione naturale e modellarsi sugli stessi
presupposti, tra i quali la maturità fisiologica alla generazione. La Corte afferma invece che “la fissazione della distanza d’età in diciotto anni deve intendersi storicamente101 dettata da ragioni di opportunità sociale ponderate dal legislatore, senza giustificazioni naturalistiche esterne alla sua volontà”. Si precisa come il legislatore del 1983, nello stabilire la distanza minima di età, si sia adeguato alla Convenzione di Strasburgo in quanto sommando i tre anni di matrimonio richiesti dall’articolo 6 l. ad. per inoltrare la domanda di adozione ai diciotto anni previsti per acquisire la capacità matrimoniale si raggiunge il limite dei ventuno anni stabilito dall’articolo 7 della Convenzione europea. La Consulta dichiara la questione non fondata in riferimento all’articolo 3 Cost. non solo perché il divario dei diciotto anni, completamente svincolato da riferimenti naturalistici esterni, non
101 Si precisa come l’indicazione del divario di diciotto anni di età sia stato imposto
per la prima volta da Giustiniano e come questo sia stato un dato costante nella legislazione italiana. Lo ritroviamo infatti nel codice sardo, in quello unitario del 1865 e in quello del 1942, fino ad arrivare alla legge del 1967 e quella del 1983 .
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integra una lesione del principio di uguaglianza, ma nemmeno risulta valido a fondare una valutazione di non ragionevolezza del sistema. Il criterio dell’ adoptio imitatur naturam, liberato da riferimento biologici ed opportunamente collegato con usi sociali trova la sua traduzione moderna nell’articolo 8 della Convenzione. La Corte dichiara invece fondata la questione con riferimento all’articolo 30, commi 1 e 3, della Costituzione che esprimono il preminente valore dell’unità familiare. Il giudice delle leggi prende atto della rivoluzione che l’istituto familiare ha subìto nel corso del tempo, prima con la riforma del diritto di famiglia e poi con la legge sul divorzio, tenendo conto che oggi il matrimonio di un coniuge già con prole è un fenomeno molto diffuso. Di fronte a siffatti cambiamenti della struttura familiare è necessario tutelare innanzitutto il minore, che deve essere coperto da uno status familiare e non deve in nessun modo sentirsi escluso o emarginato. L’adozione particolare prevista alla lettera b) dell’articolo 44 l. ad. ha come scopo quello di consolidare l’unità familiare. La Corte Costituzionale osserva dunque che non consentendo al giudice di derogare alla norma che fissa la differenza