• Non ci sono risultati.

L'adozione dei minori e l'età degli aspiranti genitori adottivi: soluzioni normative e criticità del caso concreto

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'adozione dei minori e l'età degli aspiranti genitori adottivi: soluzioni normative e criticità del caso concreto"

Copied!
150
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

“L’ADOZIONE DEI MINORI E L’ETÀ

DEGLI ASPIRANTI GENITORI

ADOTTIVI: SOLUZIONI NORMATIVE E

CRITICITÀ DEL CASO CONCRETO”

Il Candidato: Il Relatore:

Martina Pierucci Prof.ssa Caterina Murgo

(2)

2

(3)

3

Indice

Pag.

Introduzione

………..6

Capitolo 1

L’adozione: evoluzione storica, culturale e

legislativa dell’istituto

1.1 L’evoluzione del concetto di adozione nella storia

…….10

1.2 I diritti del minore nelle norme di diritto

internazionale

……….17

1.3 La legge n. 184 del 4 maggio 1983 e la riforma del

2001

………..…20

1.4 Tipologie di adozione

...27

1.5 L’adozione dei minori: i presupposti

...28

1.5.1 L’età e il consenso del minore………..28

1.5.2 Lo stato di abbandono………..30

1.5.3 Il ruolo sostitutivo dei parenti………..38

Capitolo 2

I requisiti ai fini dell’adozione e il limite d’età tra

adottanti e adottando

2.1

I requisiti degli adottanti nell’adozione

legittimante

………..40

2.2

I requisiti degli adottanti nell’adozione in casi

particolari

...50

(4)

4

2.3

I requisiti degli adottanti nell’adozione

internazionale

……….60

2.4

Il requisito dell’età: la rigidità dell’articolo 6 della

legge 184/1983

………...67

2.5

L’evoluzione giurisprudenziale

……….72

2.5.1 La sentenza della Corte Costituzionale n. 148 del 1 aprile 1992………72 2.5.2 Le sentenze della Corte Costituzionale n. 303 del 24

luglio 1996 e la n. 349 del 9 ottobre 1998………77 2.5.3 La sentenza della Corte Costituzionale n. 283 del 9

luglio 1999………...88 2.5.4 La giurisprudenza della Corte di Cassazione………...92 2.5.5 Due importanti sentenze della Corte di

Cassazione…...95

2.6

Il requisito dell’età nella disciplina attuale

……...102

Capitolo 3

L’influenza dell’età nella valutazione di idoneità

dell’adottante

3.1 Esame del caso di specie

………105

3.1.1 Idoneità all’adozione e idoneità alla procreazione

medicalmente assistita………106 3.1.2 Il lungo iter giudiziario e la decisone finale della Corte di Cassazione………..112

Conclusioni

………126

Bibliografia

………129

(5)

5

Giurisprudenza

...142

Ringraziamenti

...149

(6)

6

Introduzione

Il presente elaborato si prefigge l’obbiettivo di esaminare il requisito dell’età richiesto dalla legge a coloro che aspirano a divenire genitori adottivi, cercando di indagare quanto tale elemento possa incidere sulla valutazione di idoneità degli stessi.

L’indagine ha inizio con una breve panoramica sull’istituto dell’adozione. Riportando le principali leggi in materia è stata analizzata l’evoluzione subìta dal concetto stesso di adozione nel corso del tempo. In particolare è la legge n. 431 del 1967 che per la prima volta si pone in un’ottica del tutto inedita per il nostro ordinamento, presentandosi esclusivamente dalla parte del fanciullo, nella prospettiva di un’incisiva protezione dei suoi interessi. La legge realizza uno spostamento del centro di gravità dell’adozione dall’interesse dell’adottante a quello dell’adottato e ciò rappresenta una netta rottura con la tradizione. L’istituto non era più una risposta al desiderio degli adottanti ad avere un erede a cui trasmettere il nome e il patrimonio familiare, bensì uno strumento di politica sociale volto a garantire il diritto ad avere un’adeguata sistemazione familiare ai minori che ne sono privi o che non ne hanno una idonea, per permettere un armonico sviluppo della loro personalità.

L’evoluzione dell’istituto, che verrà completata con la legge n. 184 del 1983, tuttora in vigore, è espressione di una progressiva conformazione della legislazione ordinaria in materia ai principi costituzionali e trova ulteriore fondamento nei numerosi documenti emanati in ambito internazionale a partire dagli anni 60 del ‘900 in tema di diritti dei minori. Lo scopo primario dell’adozione diviene dunque l’interesse esclusivo del minore, considerato preminente rispetto ad ogni altra posizione in gioco. Sono stati successivamente analizzati i presupposti del provvedimento di adozione, soffermandosi in particolare sullo stato di abbandono in cui il bambino deve versare per poter essere dichiarato

(7)

7

adottabile, uno degli aspetti più rilevanti e delicati dell’istituto. Il legislatore non ha intenzionalmente definito in modo rigido e preciso la nozione di abbandono, preferendo utilizzare una sorta di norma in bianco e rimettendo così la valutazione del caso concreto alla discrezionalità del giudice, il quale deciderà con maggiore aderenza alle diverse realtà che gli si presentano davanti, in considerazione delle specifiche esigenze di ogni singolo minore. Si rende necessario un accertamento in concreto estremamente rigoroso di tale situazione. L’adozione infatti, a differenza delle altre misure, comporta la conseguenza più grave, vale a dire lo scioglimento di ogni legame con la famiglia di origine, per questo potrà essere pronunciata soltanto in presenza di una situazione familiare grave e irreversibile tale da compromettere lo sviluppo psicofisico del minore. Emerge l’idea dell’adozione come extrema ratio, da applicare solo in via residuale quando la famiglia di origine non sia in grado di garantire quel minimo di cure materiali e morali indispensabili per una crescita normale ed equilibrata del bambino. Occorrerà allora tentare anzitutto un preventivo recupero della famiglia di origine, in virtù del diritto del minore a crescere nell’ambito della propria famiglia: tale diritto tuttavia, per quanto prioritario e preferenziale, non sarà da intendere in senso assoluto, essendo recessivo rispetto all’obbiettivo preminente della tutela degli interessi del minore.

La seconda parte dell’elaborato affronta il tema dei requisiti personali degli aspiranti adottanti, previsti dall’articolo 6 della legge 184/1983 al fine di assicurare al minore l’inserimento in un nucleo familiare il più possibile idoneo. Dapprima è stato svolto un confronto tra i requisiti richiesti per l’adozione legittimante, l’adozione in casi particolari e l’adozione internazionale. Si rileva come nell’adozione particolare, rispetto a quella piena, i requisiti siano maggiormente elastici e flessibili, trattandosi di una misura con effetti più limitati; mentre invece per quanto riguarda l’adozione internazionale, il legislatore

(8)

8

richiede i medesimi requisiti di cui all’articolo 6 l. ad., volendo in questo modo assicurare una parità di trattamento tra minori italiani e minori stranieri.

La parte principale dell’opera si incentra tuttavia su un’analisi dettagliata del requisito dell’età, che ha la funzione di offrire al minore genitori adottivi non dissimili da quelli biologici dal punto di vista del divario generazionale, quindi né troppo giovani né troppo vecchi, secondo il principio dell’imitatio naturae. Inizialmente, il testo originario dell’articolo 6 della legge 184/1983 stabiliva limiti di età fissi ed inderogabili, ma tale disposizione, nel corso degli anni 90 del ‘900, è stato oggetto di una serie di sentenze manipolative della Corte Costituzionale che hanno smussato notevolmente la rigidità del dato normativo, affermando la possibilità di derogare ai limiti d’età in particolari situazioni, in considerazione del preminente interesse del minore. Ciò che appariva contestabile era il fatto di non aver previsto alcuna eccezione o temperamento a questi limiti. In particolare erano stata sollevate critiche in ordine al divario massimo di età, fissato dalla normativa previgente in quarant’anni, ritenuto inopportuno in quanto aveva l’effetto di escludere dalla domanda di adozione coppie ancora pienamente idonee e capaci di svolgere le funzioni genitoriali, tenuto conto anche dei profondi cambiamenti che si sono registrati all’interno della società nel corso degli ultimi anni, come l’allungamento della vita media grazie agli enormi progressi in ambito medico e l’innalzamento dell’età a cui le persone contraggono matrimonio e soprattutto generano figli.

La novella del 2001 tiene conto di questa opera di adattamento compiuta dalla Consulta e vi si allinea, elevando il divario massimo di età a quarantacinque anni e prevedendo un sistema di deroghe assai ampio, andando addirittura oltre le indicazioni della giurisprudenza costituzionale. Fondamentale si è rivelata anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione la quale, recependo le direttive di rango

(9)

9

costituzionale, ha contribuito ad individuare i presupposti di fatto in presenza dei quali può essere ammessa una deroga ai limiti di età fissati dalla legge.

Nella terza ed ultima parte della tesi è stata esaminata una recente vicenda, che è stata oggetto di un acceso dibattito e su cui si è pronunciata la corte di Cassazione. Nel caso di specie la figlia naturale nata mediante fecondazione eterologa da due genitori in tarda età è stata dichiarata adottabile, in quanto i coniugi sono stati ritenuti inadatti a svolgere le funzioni genitoriali e incapaci di comprendere i bisogni etico affettivi e pratici della bimba. La vicenda giudiziaria è durata ben sette anni ed è finita per tre volte davanti alla Cassazione, che alla fine ha confermato l’adottabilità della bambina, senza però fare riferimento all’età avanzata dei genitori nelle sue argomentazioni, a differenza di quanto avvenuto nei gradi di giudizio precedenti. Ci si chiede allora: qual’è il punto di rottura superato il quale è possibile togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia? Quanto l’età influisce su questa valutazione?

(10)

10

Capitolo 1

L’adozione: evoluzione storica, culturale e

legislativa dell’istituto

1.1 L’evoluzione del concetto di adozione nella storia

Quello dell’adozione è un istituto che ha origini molto lontane nel tempo e che ha subìto nel corso dei secoli una profonda evoluzione culturale e giuridica1. Le prime notizie relative a questa pratica si ritrovano già nel vicino Oriente alla fine del III secolo a.C. nel famoso Codice babilonese di Hammurabi, anche se all’istituto erano attribuite finalità totalmente differenti rispetto ai giorni nostri. All’epoca l’adozione assolveva a funzioni sociali ed economiche, in particolare quella di permettere a coloro che non avevano figli di perpetuare il cognome e di trasmettere il proprio patrimonio ereditario e i propri beni. A causa di questo processo di trasformazione che l’istituto ha affrontato nel corso degli anni il concetto di “adozione” è venuto a denotare fenomeni molto diversi tra loro così che non è stato facile darne una definizione precisa. Tuttavia l’elemento comune di tutti gli istituti che si sono susseguiti nel tempo sotto questo nomen è il vincolo di filiazione di natura giuridica che l’adozione fa sorgere tra soggetti che non sono legati tra loro da rapporti biologici.

Tale istituto conosce il suo massimo sviluppo nell’età romana2, dove era possibile estendere lo status di filius a persone estranee alla cerchia familiare attraverso due diversi procedimenti. Si conoscevano infatti due tipologie di adozione: l’adoptio, ovvero l’adozione vera e propria a carattere privato, e l’abrogatio, ovvero un’arrogazione a carattere pubblico. Con la prima si aveva il trasferimento di un individuo dalla

1

Vedi M. C. Rossi, Figli d’elezione, Carocci, Roma, 2014.

2

(11)

11

patria potestà di un pater familias a quella di un altro3; mentre con la seconda un pater familias modificava il suo status, perdendo quello di soggetto sui iuris e assoggettandosi alla patria potestà di un altro pater

familias. Presso la popolazione romana venne quindi attribuita

all’istituto una notevole rilevanza, ma questo non è in alcun modo paragonabile all’adozione moderna visto che aveva come unico scopo quello di evitare l’estinzione della famiglia.

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente l’istituto dell’adozione perse importanza e cadde in desuetudine per tutto il periodo medioevale. Se è vero che l’istituto cominciò a riaffiorare già verso la fine del settecento, essendo accolto in tutte le principali codificazioni europee e restando ignoto soltanto agli ordinamenti di common law nei quali è stato regolato solo più recentemente, in questi anni l’adozione continua ad ispirarsi a logiche molto diverse rispetto a quelle odierne. Fece infatti la sua riapparizione dapprima in Francia nel

Code Napoléon, preso poi come esempio da molti Paesi europei, in

cui l’adozione si presenta ancora come una risposta agli interessi degli adottanti, uno strumento per consentire loro la prosecuzione della stirpe e la perpetuazione dei possedimenti familiari. Lo stesso codice civile italiano del 1865, che mutuò quasi alla lettera la disciplina del Codice Napoleonico, limitava drasticamente le condizioni alle quali l’adozione poteva essere attuata e ne consentiva l’applicazione solo verso maggiori di età. Si prevedeva per gli adottanti un limite di età minimo molto elevato poiché in questo modo ci si voleva assicurare che essi avessero ormai superato l’età fertile visto che l’adozione era concessa soltanto a coloro che non avevano figli legittimi. Emerge chiaramente il fatto che in queste codificazioni il fine di assistere ed educare il minore è soltanto uno scopo marginale, secondario, mentre la funzione primaria consiste nel soddisfacimento di un desiderio

3

Era prima necessario estinguere la patria potestà del padre originario mediante una vendita fittizia dell’adottando.

(12)

12

dell’adottante. L’adozione si configurava quindi come un rimedio sussidiario a disposizione di coloro che non hanno avuto figli e che probabilmente non potranno più averne, in grado di perseguire il loro interesse a crearsi una discendenza. Prevalse all’epoca una concezione contrattuale dell’istituto secondo cui l’atto di adozione consiste appunto in un contratto che l’adottante stipulava con l’adottando, destinato a soddisfare interessi privati4. Inoltre non venivano recisi in alcun modo i rapporti dell’adottato con la sua famiglia di origine, in modo che s’instaurasse un rapporto civile che si andava soltanto ad affiancare a quello naturale con la famiglia biologica.

Nemmeno il testo originario del codice civile del 1942 si discosta da questo modello e continua a disciplinare una figura di adozione di antica tradizione, la cui struttura e le cui funzioni restano immutate5. Infatti sebbene venga introdotta per la prima volta la possibilità di adottare minori di età, la dottrina maggioritaria ritiene comunque che restino sconosciute le preoccupazioni legate all’interesse e alla tutela del minore che accompagnano la normativa attuale.

Solo nella seconda metà del ‘900 si inizia a diffondere un nuovo tipo di adozione che va progressivamente a soppiantare il precedente modello e differisce da questo sia dal punto di vista della pienezza degli effetti sia dal punto di vista delle finalità. In Italia in particolare è con la legge n. 431 del 5 giugno 1967 (legge Dal Canton), preceduta di pochi mesi dalla Convenzione europea in materia di adozione dei minori6 firmata a Strasburgo, che si ha una vera e propria svolta legislativa in materia. Con questa si realizza un capovolgimento di prospettiva che comporta uno spostamento del fulcro essenziale dell’istituto dell’adozione

4 G. Cattaneo, Adozione, in Digesto delle discipline privatistiche, Torino, 1987. 5 Vedi L. Campagna, Famiglia legittima e famiglia adottiva, Giuffré, Milano, 1966. 6

Ratificata dall’Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357. La Convenzione, a cui aderirono gran parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa, proclama l’interesse prevalente del minore adottato all’art. 8 che prevede: “l’autorité competé tante ne

pronuncera une adoption que si elle a acquis la conviction que l’adoption assurera le bien de l’enfant”.

(13)

13

dall’interesse dell’adottante a favore di quello dell’adottato ad avere un’adeguata sistemazione familiare7

. Si afferma così una nuova concezione che guarda all’adozione come uno strumento di politica sociale con finalità assistenziali, volto in prima battuta a garantire il diritto alla famiglia ai minori che ne sono privi o che non ne hanno una idonea. L’adozione non era più finalizzata a dare un erede a una coppia, bensì una famiglia al minore abbandonato. Questa diviene la funzione preminente dell’istituto, il cui raggiungimento deve essere promosso da parte dei poteri pubblici. La legge 431 introduce accanto a quella “ordinaria” del codice civile, un’adozione denominata “speciale”8

, caratterizzata da una funzione “assistenziale” e da “effetti legittimanti”, mentre va a scomparire quella concezione contrattuale che guarda all’istituto come un atto concordato tra soggetti adulti e fondato su reciproche utilità. La disciplina dell’adozione speciale era consentita solo a coppie unite in matrimonio da almeno cinque anni e non separate nemmeno di fatto, nei confronti di minori di almeno otto anni in stato di abbandono e per questo privi di assistenza morale e materiale da parte di genitori o parenti9. L’età degli adottanti doveva superare di almeno venti anni e non più di quarantacinque l’età dell’adottato: questi limiti erano stati posti dal legislatore per assicurare al minore una famiglia adottiva adeguata e capace di svolgere le funzioni genitoriali, simile a quella che avrebbe dovuto avere se non fosse stato privato nel corso della vita della sua famiglia originaria. Il nuovo istituto viene anche denominato “adozione legittimante” o “piena” perché il legislatore, sempre al fine di garantire l’interesse del minore, da un lato investe il giudice del potere di recidere qualsiasi legame tra l’adottato e la sua famiglia di origine qualora questa si dimostri inadeguata a soddisfare le esigenze del

7

A. Giusti, “L’adozione dei minori di età”, in G. Bonilini “Trattato di diritto di

famiglia”, vol. IV Utet, Torino, 2016.

8 Inserisce tale istituto nel codice civile aggiungendo all’art 314 gli artt. dal 314/2 al

314/28.

9

(14)

14

bambino; dall’altro prevede che l’adottando acquisisca lo status di figlio legittimo degli adottanti, introducendolo così a tutti gli effetti nella nuova famiglia, instaurando con questa un rapporto di filiazione basato su un vincolo non di sangue, bensì civile.

Con questa legge si ha per la prima volta un’importante attuazione dei principi costituzionali in materia minorile10, che verrà successivamente completata dalla legge 184 del 1983. La nostra Carta Costituzionale contiene pochi principi con riferimento specifico ai minori e ai loro diritti, anche se di estrema importanza. Per avere una tutela piena del minore è dunque necessario collegarsi ad altri principi fondamentali che la Costituzione indirizza a tutti gli individui, in particolare quelli degli articoli 2 e 3 che vengono a costituire la struttura portante di tutta la carta. Il primo garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, mentre il secondo assicura la libertà e l’uguaglianza tra i cittadini, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona. Ma se lo sviluppo della personalità umana è uno scopo primario nel nostro ordinamento, ancora di più lo sarà in riferimento al fanciullo, essendo questo un soggetto la cui personalità è in formazione11. La Costituzione mira dunque a garantire i diritti fondamentali del minore e un adeguato processo educativo, indispensabile per lo sviluppo della sua personalità, a cui attribuisce una preminenza rispetto a tutti gli altri

10 Vedi P. Morozzo della Rocca, “L’adozione dei minori e l’affidamento familiare”

in G. Ferrando “Il nuovo diritto di famiglia. Filiazione e adozione” vol. III, Zanichelli, Bologna, 2007; M. Dogliotti , “Principi generali”, in T. Auletta

“Filiazione, adozione e alimenti”, Giappichelli, Torino, 2011; A. Giusti, “L’adozione

dei minori di età”, in G. Bonilini “Trattato di diritto della famiglia: la filiazione e l’adozione” vol. IV, Utet, Torino, 2016.

11Sul punto R. Nicolò, “La filiazione nel quadro dell’art 30 Cost.” in Democrazie e

diritto, 1960, II; M. Bessone “Personalità del minore, funzione educativa dei genitori e garanzia costituzionale dei diritti inviolabili” in Giur. merito 1976, I, 346; M.

Bessone P. Martinelli e A. Sansa “Per una ricerca sul diritto minorile: rilievi di

(15)

15

interessi in gioco12. Alla luce di questi principi si devono rileggere quelle norme che si riferiscono in modo specifico al minore, che acquisiscono così maggior significato.

Si richiama in particolare l’articolo 30 della Costituzione che stabilisce il “dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli” a prescindere da quale sia il loro status filiationis. Significativo anche il secondo comma del medesimo articolo che prevede il dovere del legislatore di intervenire nel caso in cui i genitori si mostrino incapaci di svolgere i compiti e le funzioni connessi al loro ruolo. Solo nel caso in cui la famiglia di origine abbia carenze talmente gravi da compromettere il diritto del minore ad essere mantenuto, istruito ed educato la legge deve prevedere una famiglia in funzione sostitutiva di quella di sangue in grado di assicurare tali funzioni, che sono irrinunciabili per il minore. Sarà perciò sempre necessario riscontrare con rigorosi accertamenti lo stato di abbandono del minore. I doveri genitoriali di cui all’articolo 30 della Costituzione vanno inoltre intesi in senso oggettivo: la reazione dell’ordinamento ad un loro eventuale inadempimento prescinderà quindi dall’elemento della colpevolezza, essendo la realizzazione dell’interesse del minore lo scopo preminente da perseguire. E allo stesso tempo tale disposizione impone in caso di abbandono di ricercare una famiglia adottiva adeguata per minore, scegliendo tra tutte la coppia ottimale per questo, quella che dimostri stabilità, capacità di esercitare le funzioni genitoriali e che risponda ai requisiti individuati per legge. All’articolo 31 il costituente ha previsto invece in via programmatica aiuti e agevolazioni per le famiglie (in particolare quelle numerose) e per l’adempimento dei relativi compiti. Si tratta di un progetto ampio e complesso che interessa tutta la società,

12Vedi M. Bessone “Valore precettivo dell’art 30 c. 1° Cost.” in Foro pad. 1975, III,

p. 52; A. Procida Mirabelli Di Lauro “Le adozioni dei minori nei sistemi italiano e

francese”, Esi, Napoli, 1988, p.33; M. Dogliotti “Affidamento e adozione” in Trattato di diritto civile e commerciale A. Cicu F. Messineo L. Mengoni, Giuffrè Milano,

1990; M. Bessone G. Branca “Commentario della Costituzione”, Zanichelli, Bologna, 1977.

(16)

16

volto a sostenere le famiglie in difficoltà e a collaborare soprattutto per l’assolvimento di quei doveri che derivano da un rapporto di filiazione. Nell’ambito dei diritti riconosciuti in capo al minore la legge del 1967 dà particolare rilievo al diritto ad una famiglia13, che rappresenta un ambiente imprescindibile per lo sviluppo della personalità di questo. La famiglia svolge infatti le funzioni di una comunità educatrice e socializzante: accompagna il minore nel suo processo di crescita durante il quale acquisisce le capacità proprie di ogni cittadino e i valori che lo caratterizzeranno in età adulta. Inoltre la famiglia permette al bambino di inserirsi progressivamente in formazioni sociali più ampie, essendo questa la “ cellula primaria della vita sociale”14, la prima forma di relazione intersoggettiva che il bambino viene a conoscere.

Queste nuove tendenze introdotte dalla legge Dal Canton vengono rafforzate ulteriormente dalla riforma del diritto di famiglia del 197515 con la quale si sostituisce a un modello di famiglia gerarchico, dominato dalla figura del marito e padre e caratterizzato da vincoli formali e coercitivi, un nuovo modello fondato sugli affetti, dove ciascun componente conferisce il proprio contributo in modo responsabile. Tuttavia la dottrina più attenta16 aveva sottolineato già in passato come la coesistenza delle due figure di adozione, ordinaria e speciale, fosse fonte di numerosi inconvenienti e disfunzioni che, insieme alla macchinosità e alla eccessiva complessità che caratterizzavano la procedura, comportavano conseguenze negative in primo luogo per i minori. Idea questa avallata anche dalla Corte

13 F. Ruscello “Diritto alla famiglia e minore senza famiglia” in Famiglia e diritto,

2003; C.M Bianca “Diritto civile 2. La famiglia”, Giuffrè Milano, 2005.

14 L’espressione è di A. C. Moro, “L’adozione speciale”, Giuffrè, Milano, 1976, p. 2

e ss.

15

Legge 19 maggio 1975, n. 151

16

(17)

17

Costituzionale17 che nel 1981 da un lato ritiene contrario ai principi costituzionali la prevalenza accordata all’atto di adozione ordinaria, e dall’altro auspica a un’opera di coordinamento in tema di adozione per far confluire le discipline della Costituzione e della Convenzione europea garantendo così un’unità di sistema e eliminando quelle problematiche che derivano dalla profonda diversità strutturale tra le due forme di adozione.

1.2 I diritti del minore nelle norme di diritto

internazionale

Numerose sono le fonti di diritto internazionale relative ai diritti fondamentali a contenuto personale facenti capo al minore. La questione relativa alle misure da approntare in favore di minori abbandonati o privi di una famiglia idonea è stata più volte oggetto di attenzione da parte dell’O.N.U.. Da un punto di vista più generale richiamiamo innanzitutto la “Convenzione dei diritti del fanciullo” approvata all’unanimità dall’assemblea dell’O.N.U. il 20 novembre del 1959 le cui disposizioni prevedono una serie di veri e propri diritti che devono essere riconosciuti in capo a tutti i minori senza discriminazioni. Tra questi ritroviamo il diritto allo sviluppo armonioso della personalità e a crescere in un ambiente familiare idoneo. Tale Convenzione non ha carattere giuridico e quindi non è vincolante per i legislatori nazionali, ma veniva comunque a costituire un’indicazione importante per i vari ordinamenti e un criterio ermeneutico nell’interpretazione della normativa interna, vista l’autorevolezza della fonte e l’importanza degli stessi contenuti delle previsioni. Le disposizioni della convenzione vengono quindi a

17

Con la sentenza 10.02.1981, n. 11 (in Foro it. 1982, I, c. 28 ss) la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 314/17c.c. nella parte in cui anche quando l’adozione ordinaria è pronunciata da giudice diverso da quello competente per l’adozione speciale, disponeva che lo stato di adottabilità cessasse per adozione ordinaria.

(18)

18

costituire la base pregiuridica di ciascun ordinamento18. Al contrario il “Patto internazionale sui diritti economici , sociali e culturali” approvato dall’O.N.U. il 16 dicembre del 196619 impone dei veri obblighi giuridici agli Stati firmatari che devono adeguare le loro normative interne. Il patto sviluppa e specifica le indicazioni già presenti nella Dichiarazione dei diritti del fanciullo; prevede misure protettive per i minori e assistenza per le famiglie in difficoltà, soprattutto quelle che devono provvedere al mantenimento e all’educazione dei figli. Nel prevedere questi aiuti il patto presenta un carattere programmatico che lo avvicina alla formulazione dell’articolo 31 della nostra Costituzione. A seguito dei cambiamenti culturali che si verificano in quegli anni soprattutto tra i giuristi dei paesi occidentali secondo cui i minori non erano più soltanto oggetto di tutela, ma titolari di una serie di diritti fondamentali come quello ad essere ascoltati, avendo quindi riguardo alle loro opinioni e scelte di vita, l’O.N.U. approva il 20 novembre 1989 la “Convenzione internazionale sui diritti del bambino” (anche conosciuta come Convenzione di New York)20. Si tratta di una sorta di statuto dei diritti dell’infanzia, a cui si deve riconoscere un aiuto e un’assistenza particolare21. Questa Convenzione influirà molto sugli ordinamenti degli Stati contraenti. In ambito regionale invece viene emanata la “Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori”, approvata a Strasburgo nel 1996. Questa intende promuovere i diritti processuali dei minori, prevedendo quindi il diritto di questi ad essere informati, ascoltati e rappresentati nei procedimenti giudiziali. Il diritto del minore ad essere ascoltato è

18 M. Dogliotti, “Adozione di maggiorenni e minori”, Giuffrè, Milano, 2002. Vedi

anche A. Saccucci, “Riflessioni sulla tutela internazionale dei diritti del minore”,

Giur. it. 2000.

19

L’Italia ha ratificato il patto con l. 25/10/1977, n. 881.

20 L’Italia l’ha ratifica e la rende esecutiva con l. 27/05/1991, n. 176. Fu ratificata da

quasi tutti gli Stati del mondo ad eccezione degli USA e della Somalia.

21

Per una visione generale della Convenzione vedi M. Dogliotti “I diritti del minore

(19)

19

divenuto un principio generale del nostro ordinamento e ha apportato novità rilevanti anche nella disciplina dell’adozione.

Vi sono poi altri documenti internazionali che più specificatamente si occupano di adozione e affidamento. A partire dagli anni 80 del ‘900 l’O.N.U. invita gli Stati membri ad avviare consultazioni per cercare di elaborare dichiarazioni su queste materie22 e così venne approvata nel 1986 la “Dichiarazione sui principi sociali e legali riguardo alla protezione e alla sicurezza sociale dei bambini, con particolare riferimento all’affidamento familiare e all’adozione nazionale e internazionale”. Nel documento si affermano alcuni principi generali importanti, come: il diritto del minore di vivere nella propria famiglia d’origine finché sia possibile e quindi il sostegno da dare a quest’ultima in caso di difficoltà; il ricorso agli istituti dell’adozione o dell’affidamento in caso di inidoneità della famiglia naturale; la prevalenza dell’interesse del minore sopra tutti gli altri. Riguardo all’adozione si prevede un inserimento definitivo dell’’adottato nella famiglia sostitutiva e un’accurata valutazione di quest’ultima. Ancora più rilevante però è la “Convenzione di Strasburgo in materia di adozione” elaborata dal Consiglio d’Europa e approvata il 26 aprile 196823, che costituisce una vera e propria fonte di diritto per gli ordinamenti nazionali, le cui normative interne non dovranno dunque contrastare con questa. La Convenzione affronta questioni più specifiche e prevede garanzie concrete da assicurare al minore.

22

Sui lavori preparatori vedi L. Fadiga, “Adozione ed affidamento: gli interventi

sostitutivi della famiglia negli studi e nei progetti di dichiarazione delle Nazioni Unite”, in Beghè loreti, “L’adozione dei minori nelle legislazioni europee”, Giuffrè,

Milano, 1986.

23

(20)

20

1.3 La legge n. 184 del 4 maggio 1983 e la riforma del

2001

Visti i gravi inconvenienti provocati dalla contemporanea esistenza dei due istituti dell’adozione speciale e ordinaria il legislatore intraprese un’azione volta a revisionare l’intera materia che, a seguito di un lungo

iter parlamentare, sfocia nella legge 4 maggio 1983, n. 184, novellata

successivamente dalla legge 28 marzo 2001, n.149, e tuttora in vigore. Si ha così una riforma organica dell’istituto adottivo che consente di superare le ambiguità che derivavano dalla normativa previgente, rafforzando però i propositi che erano emersi da questa, continuando quindi a porre al centro della disciplina l’interesse del minore. Con questa legge si va a disciplinare la precedente “adozione speciale”, ora denominata semplicemente “adozione” ed estesa a tutti i minori senza limiti di età, abrogando gli articoli introdotti dalla legge Dal Canton. È ancora prevista invece nel codice civile l’adozione tradizionale, oggi riservata esclusivamente alle persone maggiori di età.

Inoltre la legge 184 ha introdotto l’adozione internazionale, che regola le ipotesi di adozione di un minore straniero da parte di cittadini italiani o cittadini stranieri residenti in Italia, nonché l’ipotesi di adozione di un minore italiano da parte di soggetti residenti all’estero, situazioni che si vogliono ricondurre sotto il controllo e la salvaguardia dell’ordinamento. Se è innegabile che questo sia un istituto apprezzabile, in questi anni si assiste a uno sviluppo consistente del fenomeno dovuto a varie ragioni, talvolta non così lodevoli, come la sproporzione tra minori italiani abbandonati e aspiranti all’adozione, che spingevano quest’ultimi a richiedere l’accesso all’adozione internazionale. Se da una parte la legge richiedeva per gli adottanti i medesimi requisiti per l’adozione di minori italiani e stranieri, per cercare di garantire all’adottato una famiglia quanto più idonea e onde evitare aggiramenti della normativa, dall’altra una volta ottenuta una

(21)

21

dichiarazione di idoneità questi potevano autogestire autonomamente la vicenda. Il controllo pubblico era quasi del tutto assente e il rischio era quello che con l’adozione si ponesse in essere una sorta di espropriazione dei minori dai paesi poveri, favorendo così il fenomeno del mercato dei bambini. Problematico era anche l’accertamento dello stato di adottabilità del minore che avveniva nel territorio estero e a cui la legge del 1983 non poneva attenzione. Tuttavia l’istituto in questione ha subìto profonde modifiche con la legge 31 maggio 1998, n. 476, con cui si è resa esecutiva la Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. Questa legge attua una ripartizione delle competenze, e attribuisce le funzioni più propriamente giurisdizionali e relative alla tutela dei diritti al tribunale dei minori, mentre affida rilevanti funzioni soprattutto a carattere politico ad una “Commissione per le adozioni internazionali”, costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Spetta alla Commissione autorizzare l’ingresso e la residenza permanente del minore in Italia, sempre che questo risponda al superiore interesse del minore stesso, ma il tribunale dei minori detiene comunque un potere di controllo che ha come fine quello di accertare che l’adozione pronunciata dallo Stato estero non sia contraria ai principi cardine che sono posti alla base del nostro diritto della famiglia.

Da ultimo la legge 184 sopprime l’istituto della “affiliazione”, disciplinando invece la figura dell’affidamento dei minori, istituto a carattere temporaneo, che ha il compito sì di assicurare il mantenimento, l’educazione e l’istruzione del minore, ma anche quello di promuovere il reinserimento del minore nella sua famiglia di origine. Si tratta dunque di uno strumento utile per quelle situazioni di temporanea difficoltà della famiglia biologica.

Un’altra importante evoluzione legislativa si realizza con la legge 28 marzo 2001, n. 149. Da diversi anni infatti erano state sollevate

(22)

22

numerose questioni, molte delle quali sottoposte al giudizio della Corte Costituzionale, da cui emergeva l’eccessiva rigidità della legge 184 in quanto imponeva limiti e divieti eccessivi, sulla scia anche dei rilevanti documenti internazionali in materia di adozione che erano stati emanati dopo il 1983. In realtà la riforma del 2001 non ha attuato una rivoluzione della materia come è avvenuto nel 1983; piuttosto ha introdotto numerose modifiche alla disciplina previgente soprattutto di dettaglio e ispirate a logiche differenti tra loro. Viene novellato innanzitutto il titolo della legge 184, da “disciplina dell’adozione” a “diritto del minore ad una famiglia” per evidenziare ancora di più la centralità attribuita all’interesse del minore. Alcuni hanno affermato l’inopportunità di questa modifica, lamentando una mancanza di sobrietà24. È però necessario precisare che, nonostante il nuovo nomen si incentri sui diritti del minore, la tutela dello stesso non può attuarsi in astratto, ma bensì in concreto e quindi in rapporto con gli altri soggetti coinvolti (genitori naturali e affidatari, eventuali altri parenti etc.).

Notevolmente ampliato e modificato anche l’articolo 1 della legge, che contiene oggi i principi fondamentali alla luce dei quali si deve guardare l’istituto dell’adozione e tutte le disposizioni che lo regolano. Si ribadisce, rafforzandolo ulteriormente, il diritto del minore “di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”, e ancora si stabilisce che “il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento”25

. Se è vero che la legge è

24 A. Finocchiaro “Il minore al centro della riforma (che lo lascia fuori dal

processo). Nella nuova disciplina principi solenni ma norme mal formulate”, in Diritto e Giustizia, 2001. Sempre A. Finocchiaro con M. Finocchiaro, in “Adozione e affidamento dei minori: commento alla nuova disciplina”, Giuffré, Milano, 2001,

ritengono probabilmente più corretto il titolo originario della legge.

25

(23)

23

finalizzata a garantire a tutti i minori che ne sono privi un nucleo familiare idoneo in grado di assicurare uno sviluppo armonico della loro personalità, si riconosce tuttavia una priorità al diritto del bambino di crescere ed essere educato innanzitutto nella propria famiglia di sangue, anteponendo quindi i legami familiari naturali. La famiglia biologica è quella a cui il minore è legato da rapporti affettivi e personali e per questo non vi deve rinunciare, a meno che non lo richieda il suo stesso interesse. Gli istituti trattati dalla medesima legge trovano dunque applicazione solo in via subordinata. Dalla disposizione emerge ancora di più rispetto al passato come sia indispensabile tentare in prima battuta un recupero della famiglia di origine, considerata come l’ambiente naturale del minore, e l’idea dell’adozione come extrema ratio, da pronunciare solo in presenza di un stato di abbandono del minore26. Si rende necessaria una valutazione in concreto estremamente rigorosa di tale situazione che si verifica qualora la famiglia non sia capace di garantire al fanciullo quella soglia minima di cure morali e materiali per lui indispensabili, mancanze queste che possono compromettere gravemente la sua crescita e la sua educazione27. La giurisprudenza stessa ha sottolineato che con l’istituto dell’adozione non si intende dare al minore uno

status più vantaggioso, ma evitare per lui uno stato di abbandono che

possa pregiudicarlo. Opera quindi un principio di residualità dell’adozione.

26 Cass. 30.12.2003 n. 19862 CED Cassazione 2004.

27 Cass. 26.05.2014, n. 11758, CED Cassazione, 2014 ” la Corte qui ha cassato la

sentenza di merito con cui, in ragione di patologie di carattere mentale e dello stato di tossicodipendenza dei genitori biologici, si era erroneamente dichiarato lo stato di adottabilità dei figli, omettendo di valutare l’idoneità dei nonni paterni a provvedere all’assistenza e alla cura dei nipoti, in violazione del diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia; Cass. 18/.12.2013, n. 28230, Massima

redazionale, 2013: occorre valutare con rigore lo stato di adottabilità “che non può

fondarsi di per sé su anomalie non gravi del carattere e della personalità dei genitori, incluse eventuali condizioni patologiche di natura mentale che non compromettano la capacità di allevare ed educare i figli senza danni irreversibili per il loro relativo sviluppo ed equilibrio psichico.

(24)

24

Al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia viene attribuita un’impronta solidaristica in quanto al comma 2 dello stesso articolo 1 della legge in materia di adozione si precisa che tale diritto non viene meno solo a causa delle condizioni di indigenza in cui versa la famiglia, ma in tal caso dovranno essere predisposti a favore della stessa interventi di sostegno e di aiuto da parte dell’autorità pubblica, in modo da ovviare alle carenze poste in essere nei confronti della prole e consentire quindi al minore di vivere nel suo ambiente naturale28. Il legislatore vuole sottolineare che lo stato di povertà in cui si trova la famiglia non è di per sé un motivo sufficiente per inserire il minore in un diverso nucleo familiare. Soprattutto nei casi in cui la famiglia manchi solo di risorse materiali per il mantenimento dei figli si prevedono al comma successivo una serie di interventi a vario contenuto, volti ad evitare eventuali disgregazioni familiari. Questi sono di competenza dello Stato, regioni ed enti locali, i quali però devono attuarli nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse economiche disponibili. Emerge con chiarezza il carattere astratto della previsione e la difficoltà che questa si realizzi a causa della complessità di tali interventi, del mancato coordinamento tra le attività dei vari soggetti competenti, ma soprattutto della non facile reperibilità di nuovi finanziamenti.

Se il diritto del minore a crescere nella propria famiglia trova di regola applicazione, tuttavia va posto a questo un limite: quando la famiglia di origine non è più in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minore è necessario inserire il bambino in una famiglia sostitutiva in grado di assolvere a tale compito, e lo si fa mediante i due istituti dell’affidamento nel caso di famiglie in temporanea difficoltà, e dell’adozione quando invece si accerta oltre

28 G. Cassano, Adozione in “Il diritto di famiglia nei nuovi orientamenti

giurisprudenziali”, Giuffré, Milano, 2006; A. Finocchiaro e M. Finocchiaro,

“Adozione e affidamento dei minori: commento alla nuova disciplina”, Giuffré, Milano, 2001; M. Dogliotti, La riforma dell’adozione, in Famiglia e diritto, 2001.

(25)

25

ogni ragionevole dubbio uno stato di abbandono che per la sua gravità possa seriamente compromettere la crescita della prole29. L’obbiettivo primo da perseguire con l’istituto dell’adozione rimane sempre il diritto del minore ad una famiglia adeguata, capace di garantire l’assistenza morale e materiale di cui egli ha bisogno, che sia questa quella di sangue o una sostitutiva. Il rapporto tra famiglia naturale e sostitutiva si ispira all’idea di sussidiarietà e non di contrapposizione. Con la novella del 2001 viene confermata la necessità del consenso del minore ultraquattordicenne all’adozione, quale attuazione di quei diritti del minore che ritroviamo in Costituzione. Si introduce invece un vero e proprio obbligo di audizione del minore anche di età inferiore ai dodici anni, in considerazione della sua capacità di discernimento. Si intende così dare rilievo alla volontà dell’adottando che abbia raggiunto una certa maturità per realizzare meglio i suoi interessi, pur non essendo il suo parere vincolante per il giudice.

Significativi cambiamenti si sono avuti per quanto riguarda i requisiti soggettivi degli adottanti richiesti dall’articolo 6 della legge sull’adozione, anche se di questo argomento ci occuperemo meglio nel secondo capitolo. Si continua a richiedere come condizione necessaria per adottare la sussistenza del vincolo matrimoniale tra gli aspiranti genitori e identica rimane la durata del matrimonio che deve essere di tre anni. Rispetto alla precedente disciplina si introduce la possibilità di computare nei tre anni il tempo vissuto dalla coppia in una convivenza stabile e continuativa prima delle nozze. Per quanto concerne il requisito dell’età il testo originale della legge 184/1983 era stato oggetto di una serie di sentenze additive della Corte Costituzionale e perciò la riforma del 2001 ha inciso pesantemente su questo aspetto per adeguare il dato normativo alle indicazioni dei giudici. La legge aumenta da 40 a 45 anni l’età massima che può intercorrere tra gli

29

(26)

26

aspiranti genitori e il minore, ma non si limita a questo. Si va infatti a smussare parecchio la rigidità del vecchio articolo 6.

La legge 149/2001 introduce altre importanti novità che possiamo così sintetizzare:

- Dal punto di vista processuale si esclude innanzitutto il carattere ufficioso del procedimento, eliminando la possibilità della declaratoria d’ufficio dello stato di adottabilità. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minori diviene l’unico soggetto legittimato a chiedere al giudice di aprire la procedura di adottabilità. Per altro verso si rafforza il diritto di difesa delle parti, prevedendo che il procedimento deve svolgersi, fin dall’inizio, con l’assistenza legale del minore, dei genitori o degli altri parenti;

- Si introduce la possibilità dell’adottando che abbia compiuto i 25 anni di età di ottenere informazioni sulle proprie origini, a meno che il genitore biologico non abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominato;

- Si inserisce all’articolo 44 della legge sull’adozione una nuova ipotesi di adozione particolare nel caso di minore orfano di entrambi i genitori e portatore di handicap.

L’istituto subisce alcuni ritocchi minori con il d. lgs. 154 del 2013, emanato in attuazione della delega contenuta nella legge 10 dicembre 2012, n. 219, con l’intento di eliminare le residue discriminazioni tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio. Si precisa che si concretizza una situazione di abbandono qualora i genitori rifiutino ingiustificatamente gli interventi di sostegno azionati dai servizi dell’ente locale e che si ha l’avviamento della procedura nel caso in cui si dimostri l’irrecuperabilità delle capacità genitoriali per provvedere ai propri figli. Si dispone anche che il giudice segnali ai comuni le

(27)

27

situazioni di indigenza di famiglie che necessitano di aiuti onde evitare situazioni di abbandono per i minori.

1.4

Tipologie di adozione

A fronte di ciò che abbiamo detto possiamo affermare che il nostro ordinamento oggi conosce più figure di adozione30:

- L’adozione dei maggiorenni (o adozione civile), che ritroviamo disciplinata nel codice civile. La legge 184/1983 aveva infatti soppresso l’adozione ordinaria dei minori di età, ma l’istituto era stato mantenuto per i maggiorenni. Ciò che infatti era stato criticato in passato era la commistione tra due tipologie di adozione molto diverse per funzioni, requisiti ed effetti per i minori. La finalità di assicurare all’adottante la trasmissione del nome e del patrimonio e i conseguenti vantaggi patrimoniali per l’adottando derivati dallo status di figlio adottivo sono di per sé leciti e meritevoli di considerazione. Ma accanto a questa funzione tradizionale sono emerse considerazioni di tipo diverso nel corso del tempo. L’adozione dei maggiorenni si connota oggi per motivazioni e significati nuovi, ponendosi scopi solidaristici a contenuto nuovo. Ad esempio in taluni casi si è voluto rispondere all’esigenza di dare una veste giuridica al rapporto personale e affettivo costituitosi col figlio del proprio coniuge.

- L’adozione dei minori, all’interno della quale distinguiamo a sua volta tra adozione legittimante e adozione particolare. Poiché l’adozione legittimante ha degli effetti pieni, essendo reciso ogni legame con la famiglia di origine del minore e acquisendo questo lo status di figlio legittimo dei genitori adottivi, si richiedono per gli adottanti dei requisiti più rigidi e

30

T. Auletta, “Adozione e affidamento”, in Il diritto di famiglia, Giappichelli, Torino, 2016.

(28)

28

si aziona un procedimento più complesso per la scelta degli stessi. L’adozione particolare può invece essere pronunciata solo in casi eccezionali tassativamente elencati all’articolo 44 della legge 184/1983, in cui non ricorrono tutti i elementi necessari per quella legittimante. La ratio dell’adozione particolare risiede nella volontà del legislatore di assicurare un contesto familiare armonico al minore anche quando non sia possibile per svariati motivi pronunciare adozione piena, potendo così derogare ai rigidi requisiti richiesti da quest’ultima. Produce effetti più deboli, infatti il minore acquista qui lo status di figlio adottivo, come nell’adozione di maggiorenni, pertanto restano in vita i rapporti con la famiglia di origine.

Accanto a queste tipologie si affianca l’adozione internazionale, come abbiamo già visto, caratterizzata dalla diversa cittadinanza tra adottante e adottato.

1.5

L’adozione dei minori: i presupposti

1.5.1 L’età e il consenso del minore

La dichiarazione di adozione viene preceduta da un iter processuale composto da una prima fase che è il procedimento che porta alla dichiarazione di adottabilità e una seconda che è costituita dal procedimento volto a disporre l’affidamento preadottivo. Per dare avvio a questa procedura è però necessario rispettare una serie di presupposti richiesti dalla legge. L’adozione può essere pronunciata a favore di tutti i minori di età che si trovano in una situazione di abbandono. La soppressione del limite di otto anni richiesto dalla disciplina previgente è stata una delle innovazioni più significative

(29)

29

della legge del 198331. Questa dilatazione dei soggetti che possono essere dichiarati adottabili da una parte è stata imposta dalla necessità di adeguare la normativa interna alla Convenzione di Strasburgo32, dall’altra era richiesta dal principio di uguaglianza in quanto era disdicevole e dannoso continuare a prevedere una diversità di trattamento tra minori che avessero compiuto o meno l’età di otto anni. Per altro verso l’età massima per poter essere adottati è fissata a diciotto anni e questo limite non deve essere superato, non solo al momento della dichiarazione di adottabilità, ma anche quando viene pronunciata l’adozione vera e propria. Questa conclusione sembra confermata dall’impianto della normativa; si può infatti escludere che l’adozione piena possa adempiere la sua funzione tipica, che è quella di dare una famiglia ad un minore abbandonato, dopo che l’adottando abbia raggiunto la maggiore età33.

La legge oggi favorisce una partecipazione attiva del minore, o quanto meno dell’adolescente ormai dotato di giudizio e ragionevolezza e capace di esercitare i suoi diritti fondamentali, in quelle decisioni che andranno a cambiare tutto il corso della sua vita. Ai sensi dell’articolo 7 comma 1 l. ad. il minore che ha compiuto gli anni quattordici non può essere adottato se non ha prestato il suo consenso. Dalla norma ne deriva che tale consenso non può essere liberamente apprezzato dal giudice, ma sarà indispensabile il suo rilascio per procedere all’adozione e sarà revocabile dal minore fino alla pronuncia definitiva. Si prevede poi un obbligo di audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni di età. Il ragazzo in questo caso è chiamato a esprimere un parere. Con l’audizione del minore si vuole assicurare l’emersione delle sue istanze in ordine ad una specifica vicenda che lo coinvolge. I provvedimenti nell’interesse del minore verranno stabiliti

31

L. Sacchetti, “Il commentario dell’adozione e dell’affidamento”, Maggioli, Rimini, 1986.

32 L’articolo 3 della Convenzione parla di “adozione del minore che non abbia ancora

raggiunto l’età di diciotto anni”.

33

(30)

30

in base alle sue concrete esigenze che potranno emergere solo tramite un colloquio con il diretto interessato34. Queste indicazioni dovranno tuttavia essere valutate dal giudice il quale potrà anche prendere una decisione contraria alla volontà manifestata dal minore.

Con la riforma del 2001 si introduce la possibilità di audizione del minore infradodicenne anche se a determinate condizioni: in particolare la persona minore d’età sarà sentita in considerazione della sua capacità di discernimento.

Per quanto riguarda il consenso richiesto al minore quattordicenne precisiamo che si tratta di un atto personalissimo e quindi non si può desumere implicitamente dal contesto ma deve essere “espresso” e non potrebbe ammettersi la rappresentanza35. Alla volontà del minore non si deve attribuire una rilevanza “negoziale” richiamando una concezione privatistica dell’istituto diffusa in passato, bensì si tratta di un’attuazione dei diritti fondamentali del fanciullo previsti in Costituzione e sulla scia delle Convenzioni internazionali già viste che avevano riservato particolare attenzione a questi aspetti36. Questa disposizione si pone l’intento di assicurare una certa rilevanza ai desideri e alle richieste del minore in una vicenda che lo vede protagonista.

1.5.2 Lo stato di abbandono

Presupposto essenziale per procedere all’adozione del minore è la situazione di abbandono, che ai sensi dell’articolo 8 della legge

34 Cass. 23.07.1997, n. 6899, in Famiglia e diritto 1997, 523 con nota di B. Lena,

“Adozione: diritto del minore ad essere ascoltato”, in Famiglia e diritto, 1997; nota di G. Manera “Osservazioni sulla pretesa necessità dell’audizione del minore nella

procedura di adottabilità”, in Giust. Civ. 1998, 2295. Ancora sul tema Cass.

21.03.2003 n. 4124 in Famiglia e diritto 2004 p 25 ss con nota di E. Ravot “Adozione

legittimante e audizione del minore” in Famiglia e diritto, 2004.

35

Così A. e M. Finocchiaro, “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei

minori”, Giuffrè, Milano, 1983 p. 93; L. Sacchetti “Il commentario dell’adozione e dell’affidamento”, Maggioli, Rimini, 1986 p. 101.

36

In particolare la Convezione di New York del 1989 e la Convenzione di Strasburgo del 1996.

(31)

31

184/1983 consiste nell’accertata mancanza di “assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi”37

. La norma allude ad un’assenza oggettiva e non transitoria di quel complesso di cure, attenzioni e attività che i genitori normalmente offrono ai figli andando così ad integrare una violazione dei doveri imposti loro dalla Costituzione e dal Codice civile38. L’abbandono costituisce l’aspetto più rilevante e più delicato dell’istituto adottivo in quanto ne rappresenta la causa e la stessa ragione giustificatrice. Sull’accertamento di questo presupposto si incentra tutta la disciplina dell’istituto adottivo; occorre quindi porvi particolare attenzione, considerati gli effetti gravi che derivano dal provvedimento di adozione, in particolare lo scioglimento dei legami con la famiglia di origine. Qualora infatti la famiglia biologica non riesca a garantire lo sviluppo armonico della personalità della prole né una crescita in un adeguato contesto familiare, dimostrandosi incapace di assolvere alle funzioni genitoriali, l’interesse del minore non può essere sacrificato a favore della tutela del legame di sangue39. Il diritto di crescere nella propria famiglia infatti è recessivo rispetto alla salvaguardia della salute psico-fisica del minore, che rimane sempre lo scopo primario da perseguire.

Il legislatore ha preferito non definire in modo rigido e preciso in cosa consista la situazione di abbandono, ma ha utilizzato una clausola

37

Di “stato di abbandono” il legislatore ha parlato sin dal 1905: la legislazione assistenziale anteriore infatti si riferiva frequentemente ai minori abbandonati.

38L’Art. 30, co. 1 e 2 Cost. e l’art. 147 c.c. individuano i doveri genitoriali negli

obblighi di mantenere, istruire, educare i figli ed assisterli moralmente nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.

39

Cass. Civ. sez. I, 01.02.2005, n. 1996, Mass. Giur. It. 2005 “In tema d’adottabilità di un minore, l’esigenza primaria di vita e di crescita nella famiglia d’origine, per quanto prioritaria e preferenziale ai sensi dell’art. 1 della legge n. 184 del 1983, è comunque recessiva rispetto all’obbiettivo preminente della tutela degli interessi del minore e va conseguentemente sacrificata allorquando l’entità delle cure materiali e morali che la famiglia medesima è in grado di prestargli scenda, per cause non temporanee e non emendabili – e a prescindere dalla loro imputabilità, al di sotto della soglia minima indispensabile per non compromettere in modo grave e permanente lo sviluppo psicofisico del minore.

(32)

32

generale per consentire al giudice di valutare i casi sottoposti alla sua attenzione in modo più aderente alle diverse realtà e tenendo conto delle esigenze dei singoli minori e delle condizioni personali, ma anche ambientali e sociali in cui si trovano40. Sarà quindi compito dell’interprete riempire di contenuti il principio generale posto dalla legge applicandolo in modo differenziato a seconda del caso concreto, sempre in modo da tutelare il minore41.

Lo stato di abbandono può sussistere sia quando il minore è sprovvisto di una famiglia (come il caso del figlio di ignoti o del minore orfano di entrambi i genitori e privo di altri parenti), sia quando una famiglia vi sia, ma questa si riveli inadeguata a soddisfare le esigenze del minore. Nel primo caso si procede senza ulteriori indagini in quando l’abbandono è evidente di per sé, mentre nel secondo caso la procedura per la dichiarazione di adottabilità sarà più complessa e la definizione di abbandono più problematica.

Per quanto riguarda il problema della definizione dello stato di abbandono una parte minoritaria della giurisprudenza, soprattutto in passato, aveva affermato che consisterebbe nell’assenza totale delle cure necessarie al figlio da parte dei genitori, situazione in cui il minore sarebbe “orfano di genitori viventi”42. Si tratta di un’interpretazione rigidamente letterale dell’articolo 8 l. ad. che difficilmente trova riscontro nella realtà e che per questo finì per non

40

Sul punto A. C. Moro “L’adozione speciale”, Giuffrè, Milano, 1976; G. Alpa e P. Zatti, “Commentario breve al codice civile”, Cedam, Padova, 1995.

41 Sul carattere elastico della norma vedi M. R. Petrongari, “Il giudizio sulla

situazione di abbandono”, in Giust. Civ. 1990 I, p. 1364; M.L. De Luca “Lo stato di abbandono” in Dir. Fam. Pers. 1989, 205. Più recente M. Dogliotti e F. Piccalunga,

“L’articolo 8 della legge sull’adozione prima e dopo la riforma del 2001” in Riv.

Trim. dir. e proc. civ. 2003; F. Astiggiano “Riflessioni in tema di stato d’abbandono del minore” in Famiglia e diritto, 2013; C.M. Bianca, “Diritto civile 2, La famiglia. Le successioni”, Giuffrè, Milano, 2005; M.G. Stanzione, “Stato di abbandono e diritto del minore a rimanere presso la propria famiglia di origine” in Famiglia e diritto, 2013.

42 Espressione utilizzata dal Trib. min. Venezia nella sentenza 5.07.1971, in Giur. it.

1972 I, c. 2011. In tal senso anche Cass. 8.2.1989, n. 793 in Dir. fam. Pers. 1989, 519 ss.

(33)

33

essere più utilizzata. Si passa quindi da una nozione in termini di assolutezza dello stato di abbandono a una più parziale, modificabile a seconda delle singole esigenze: una lettura questa apprezzabile ma che non offre risultati soddisfacenti, a causa della mancata univocità dei criteri di riferimento. Si richiamava infatti ciò che è “normale”, “tipico” per i fanciulli di una medesima condizione sociale, ma si tratta di criteri del tutto relativi in quanto i bisogni di ciascun minore possono essere concretamente variabili uno dall’altro.

La giurisprudenza più accorta risolve il problema lasciando la nozione di abbandono come una sorta di clausola in bianco, rimettendo la valutazione del caso concreto al prudente apprezzamento del giudice. Appariva comunque necessario individuare dei criteri orientativi alla luce dei quali il giudice potesse valutare le singole fattispecie. Soccorre qui il richiamo ai principi costituzionali, in particolare all’obbligo dei genitori di educare, istruire e mantenere i figli previsto all’articolo 30 della Costituzione e ribadito dall’articolo 147 c.c.. Sussiste dunque una situazione di abbandono quando le condizioni in cui si trova il minore sono al di sotto del minimo accettabile, considerando che l’assistenza prestata al minore deve garantire a questo la realizzazione dei diritti riconosciuti dalla Costituzione e dal Codice civile. L’articolo 8 l. ad. opera quindi come un limite al principio previsto all’articolo 1 della medesima legge secondo cui il minore ha il diritto di crescere nell’ambito della propria famiglia43

.

L’evoluzione giurisprudenziale ha evidenziato inoltre che, per sussistere una situazione di abbandono, non occorre una cosciente volontà dei genitori di non occuparsi più del figlio lasciandolo così privo di assistenza44. L’abbandono va valutato in relazione non alla

43

Cass. 5.05.1989, n. 2101 in Giur. it 1989 , p. 1840 ss; Cass. 27.08.2004 n. 17110, in Guida al diritto 2004, n. 37 p. 52 ss.

44 Cass. 29.09.1999, n. 10809 in Famiglia e diritto 2000, 1, 75 ss; Cass. 10.09.1999

n. 9643 in Famiglia e diritto 1999, 6, 574 ss; Cass. 7.11.1998 n. 11241 in Dir. Fam.

(34)

34

posizione dei genitori, ma esclusivamente in base a fatti gravi ed oggettivi che fanno emergere uno stato di abbandono irreversibile. Ciò che viene preso in considerazione ai fini dell’accertamento è la situazione oggettiva45 in cui versa il minore, il quale ha comunque il diritto a che siano assolti i compiti educativi e di mantenimento nei propri confronti anche in caso di incapacità della famiglia d’origine. È quindi possibile che sussista una situazione di abbandono anche quando i genitori si occupino anche in maniera inadeguata della prole, ma la loro assistenza sia talmente inadatta da non assicurare al minore un armonico sviluppo della sua personalità. Allo stesso modo non rileva la disponibilità dei genitori di porre rimedio allo stato di abbandono se alle semplici affermazioni verbali non sussistono comportamenti da parte di questi tali da tradurre le intenzioni in fatti46. Non tutti gli inadempimenti dei doveri genitoriali danno vita all’apertura di una procedura di adozione. A seconda del caso specifico e della gravità che caratterizza l’inadempimento infatti è possibile applicare una serie di misure previste dalla legge: emanare misure amministrative di sostegno alla famiglia, pronunciare affidamento familiare o ancora prevedere la limitazione o la decadenza della responsabilità genitoriale. L’istituto dell’adozione si distingue da tutti gli altri rimedi proprio per gli effetti pieni e definitivi che produce, per questo si configura come una extrema ratio da pronunciare solo in situazioni gravi e irreversibili. È principio ormai consolidato quello secondo cui la dichiarazione di adottabilità ha come presupposto

45

Sulla natura oggettiva della nozione di abbandono vedi M. R. Petrongari “Il

giudizio sulla situazione di abbandono” in Giusti civ. 1990. In giurisprudenza: Cass.

7.02.2002 n. 1674 in Giust. Civ. 2003, c. 2953 ss; Cass. 27.05.1987 n. 4723 in Arch.

Civ. 1987 p. 1093 ss.

46 Significativa al riguardo la decisione Corte App. di Napoli del 10.10.2012 in

Corriere del merito, 2013, 5, 499 ss secondo cui sussiste abbandono “nonostante

l’astratta disponibilità dei genitori di volersene prendere cura, ove non supportata da elementi concreti, e comunque ove i tempi di recupero dei genitori stessi sono presumibilmente di imprevedibile e non breve durata, non compatibili con le esigenze del minore”.

Riferimenti

Documenti correlati

Affermando tale principio la Suprema Corte sembra dimenticare che la nullità (come quasi sempre le accade) svolge, nel caso di specie, funzioni ulteriori oltre alla funzione

I suddetti interventi, per altro, non sono solo volti alla tutela di una categoria specifica, quella degli avvocati ecclesiastici, che ormai da tempo ne abbisogna, bensì paiono

Tali considerazioni, condivise anche da parte della dottrina 34 , ponevano cosi in risalto uno dei punti fondamentali su cui la pronuncia era chiamata a misurarsi, ossia se

Il Quaderno, dopo una bre- ve ma esauriente introduzione al tema delle specie alloctone, dove si evidenziano anche le motivazio- ni che hanno indotto alla stesura del

Parimenti, la stessa Cassazione ha ulteriormente precisato che la prova in tal senso può essere anche presuntiva: “ L’accertamento di postumi permanenti, incidenti con una certa

Il caso di studio della Comunità Montana Valtellina di Tirano dimostra come il DBT, realizzato sfruttando le diverse conoscenze ed integrando le diverse banche

Regione Lombardia (5), investendo sulla medicina del lavoro territoriale e ospedaliera, oltre che facendo assegna- mento sulla capacità di collaborazione tra medici del lavoro

come strumento per la prevenzione di possibili reati e quindi, per quanto applicabile, anche ai fini della applicazione del Decreto legislativo 231 del 2001, per il