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1.5 L’adozione dei minori: i presupposti

1.5.3 Il ruolo sostitutivo dei parenti

L’articolo 8 l. ad. precisa che lo stato di abbandono è escluso quando siano presenti parenti del minore disposti a supplire alle mancanze dei genitori nell’assicurare al bambino l’assistenza di cui ha bisogno. La norma si riferisce in modo molto generico ai “parenti tenuti a provvedervi”, quindi un primo problema è quello di stabilire fino a quale grado di parentela debba estendersi la valutazione dell’abbandono. Alcuni hanno richiamato gli obblighi degli ascendenti

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dell’art. 148 c.c. o ancora la disciplina degli alimenti. Tuttavia si ritiene preferibilmente che la disposizione si riferisca ai parenti entro il quarto grado a cui la legge sull’adozione fa più volte riferimento60

. Quindi è dalla stessa legge 184 del 1983 che si ricava il principio generale secondo cui il minore non può essere dichiarato adottabile in presenza di una famiglia, intesa dal legislatore in senso ampio, in grado di garantire al minore stesso l’assistenza necessaria. Si vuole lasciare a questa famiglia allargata la possibilità di auto organizzarsi, in particolare per quando concerne l’educazione e il mantenimento del minore. Nella procedura di adottabilità quindi questi parenti e in particolare quelli che hanno mantenuto con il minore rapporti significativi dovranno essere convocati e sentiti. Tuttavia la mera volontà dei parenti volta ad assumersi la responsabilità del minore non è una ragione sufficiente perché il minore venga affidato agli stessi. Il giudice dovrà comunque verificare che la disponibilità dei parenti ad occuparsi del minore sia di fatto realizzabile e che questi siano idonei a svolgere le funzioni genitoriali61.

60 Chiunque non rientra in questo grado di parentela e accoglie stabilmente nella sua

abitazione un minore per più di sei mesi deve darne segnalazione al Procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minori.

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Interessante Cass. 29.11.1996, n. 10656 in Mass. Giur. it. 1996, per cui “non può dichiararsi la situazione di abbandono quando sia dimostrata la seria disponibilità a prestare assistenza materiale e morale al minore da parte di parenti entro il quarto grado che con lo stesso non abbiano avuto per il passato significative relazioni materiali e affettive”.

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Capitolo 2

I requisiti ai fini dell’adozione e il limite di età tra

adottanti e adottando

2.1 I requisiti degli adottanti nell’adozione legittimante

La legge richiede agli aspiranti adottanti, oltre alla capacità di educare e mantenere il minore in stato di abbandono, il possesso di alcuni requisiti personali e oggettivi, ovvero l’età e il vincolo matrimoniale. Questi requisiti sono previsti dall’articolo 6 della legge sull’adozione, al fine di ricercare un contesto familiare ottimale per il fanciullo e per la realizzazione del suo interesse. Il legislatore individua dei criteri certi sulla base dei quali operare una selezione delle coppie che ambiscono all’adozione di un determinato minore e limitando così la discrezionalità del giudice chiamato a valutare in concreto la capacità dei coniugi a svolgere le funzioni genitoriali. Una tale previsione cerca di rendere la famiglia adottiva quanto più possibile conforme al modello di quella biologica, secondo il principio dell’imitatio naturae. Tuttavia relativamente a questi due requisiti previsti all’articolo 6 della legge 184/1983 si sono aperti lunghi e ininterrotti dibattiti nel corso del tempo.

Innanzitutto possono adottare soltanto i coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, tra i quali non sussista separazione personale, neppure di fatto. La novella del 2001 introduce la possibilità di computare la convivenza more uxorio stabile e continuativa, che abbia poi dato luogo al matrimonio tra i due soggetti, nel periodo di tre anni necessario per l’adozione del minore. Per il resto la riforma ha riproposto tutti gli elementi già fissati nel testo originario della legge del 1983 e ribadito il valore giuridico del matrimonio come prerequisito indispensabile affinché si possa procedere a una

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valutazione di idoneità della coppia ad adottare. La preferenza manifestata dal legislatore per la coppia sposata risponde ad un duplice interesse del minore: da un lato si vuole inserire il bambino in un contesto autenticamente familiare in cui si ravvisano entrambe le figure genitoriali, quella paterna e quella materna, dall’altro si richiede che gli aspiranti adottanti siano uniti tra loro da un vincolo coniugale forte, solido e collaudato che offre una maggiore garanzia di stabilità, espressa appunto dalla volontà dei coniugi di formalizzare la loro unione tramite matrimonio62.

Tuttavia parte della dottrina ha talora auspicato il superamento di queste preclusioni e che venisse dunque abbandonata l’idea secondo cui la famiglia tradizionale fosse l’unica astrattamente idonea a crescere ed educare un minore, tenuto conto anche degli approcci con cui gli ordinamenti vicini a noi hanno affrontato tali questioni. In particolare c’è chi63

si è schierato a favore della possibilità di procedere ad adozione da parte di soggetti non legati da vincolo coniugale, considerando le aperture che si sono registrate, sia a livello giurisprudenziale che a livello dottrinale e normativo, sul tema del riconoscimento della famiglia di fatto. Si osserva come la famiglia di fatto non sia in astratto meno idonea a svolgere le funzioni genitoriali, anzi questa talvolta dimostra la stessa, o addirittura maggiore, coesione rispetto alle coppie sposate, visto anche l’elevato tasso di separazione e di divori che si riscontrano anche dopo il terzo anno di convivenza tra i coniugi. Tale impostazione non viene però accolta dal legislatore, anche perché una diversa previsione normativa avrebbe violato la Convenzione di Strasburgo del 1967, il cui articolo 6, secondo

62 Vedi sul tema M. R. Marella “Adozione” in Dig. Civ. agg. I, 2000; anche B. De

Filippis in “Trattato breve di diritto di famiglia”, Cedam, Padova, 2002 e M. Dogliotti “L’adozione dei minori : presupposti e requisiti” in “Filiazione, adozione e

alimenti” di T. Auletta, Giappichelli, Torino, 2011.

63 Cfr. Bessone-Ferrando, voce “Adozione speciale” in Noviss. Dig. It. 1980, vol. I; I.

Baviera “L’adozione speciale”, Giuffré, Milano, 1982; L. Rossi Carleo, “L’adozione

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un’interpretazione della Corte Costituzionale64

, vincola gli Stati firmatari ad escludere le coppie non coniugate dai soggetti legittimati ai fini dell’adozione. In realtà questa interpretazione della norma convenzionale non è unanime. Secondo un diverso orientamento infatti gli Stati sarebbero liberi di introdurre e disciplinare i requisiti degli adottanti. È sempre rimasta minoritaria in dottrina, e non è mai stata condivisa dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, né della Corte Costituzionale la tesi secondo cui i trattati internazionali, pur introdotti nel nostro ordinamento da legge ordinaria, assumerebbero un rango costituzionale o comunque superiore, così da non poter essere abrogati o modificati da legge ordinaria. Gran parte degli interpreti sostengono che la prevalenza della normativa internazionale rispetto alla legge ordinaria successiva può essere affermata solo per i casi in cui la violazione del trattato comporti anche una compressione ingiustificata di un interesse di natura costituzionale e soprattutto quando le Convenzioni internazionali contribuiscono a determinare il contenuto precettivo delle disposizioni costituzionali in materia di diritti fondamentali65. Un tale discorso non può dunque valere per l’articolo 6 della Convenzione di Strasburgo sull’adozione, in quanto la nostra Carta Costituzionale non riconosce né un diritto della persona non coniugata ad adottare, né il diritto del minore abbandonato ad avere, a qualsiasi costo, anche un solo genitore.

Non possono adottare nemmeno le coppie dello stesso sesso, anche se unite civilmente. La legge 20 maggio 2016, n. 76 ha infatti escluso l’applicabilità della legge in materia di adozione alle unioni civili66

. Sul tema dell’adozione per le coppie dello stesso sesso vi è stato un

64 Corte Cost. 16.05.1994, n. 183 in Giur. it., 1995, I p. 540 e ss con nota di E.

Lamarque “Adozione da parte dei single: fra Corte Costituzionale e Corte d’appello

di Roma non c’è dialogo” in Giur. It. 1995.

65 E. Cannizzaro “Gerarchia e competenza nei rapporti fra trattati e leggi interne” in

Riv. Dir. Internaz. 1993.

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Ne ammette l’applicabilità V. Barba “Unione civile e adozione” in Famiglia e

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ampio dibattito. Senza entrare nel merito dell’opportunità di questa scelta politica di diritto, delicata e complessa, ci limitiamo a rilevare che una tale decisione da parte del legislatore italiano era inevitabile, essendo imposta dal sistema attualmente vigente nel nostro Paese che subordina l’adozione dei minore a requisiti stringenti. Ci si è posti invece il problema di valutare la compatibilità dell’articolo 44 l. 184/1983 relativo alle ipotesi di adozione in casi particolari rispetto alle unioni civili67. Ad oggi deve senz’altro escludersi che la parte di un’unione civile possa richiedere di adottare il figlio dell’altra parte ai sensi della lettera b) del comma 1 dell’articolo 44 l. ad., in quanto la disposizione contenuta nel comma 20 dell’articolo 1 della l. 76/2016, in forza del quale le disposizioni vigenti che contengano la parola “coniuge” debbono applicarsi anche ad ognuna delle parti dell’unione civile, non trova applicazione, per espressa statuizione del legislatore, in materia di adozione. Secondo una sentenza tanto discussa delle Sezioni Unite68 un discorso diverso vale invece per l’ipotesi di cui alla lettera d) dell’articolo 44 l. ad., che contempla i casi in cui vi è “impossibilità di affidamento preadottivo del minore”, nella quale l’adozione dovrebbe dunque ritenersi consentita anche alle coppie di fatto formate da persone del medesimo sesso69. A parere della Cassazione le condizioni richieste dalla lettera d), ovvero l’impossibilità giuridica di affidamento preadottivo e la piena rispondenza dell’adozione all’interesse del minore, devono essere

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Vedi G. De Cristofaro “ Le unioni civili fra le coppie del medesimo sesso. Note

critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1-34 dell’art. 1 della l. 20 maggio 2016 n. 76 integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017 n. 5” in Nuove leggi civ. e comm. 2017; A.

Arceri “Unioni civili, convivenze e filiazione” in Famiglia e diritto 2016.

68 Cass. 22 giugno 2016, n. 12962 in Foro it. 2016, I, c. 2342 e ss. con nota di P.

Morozzo della Rocca “Le adozioni in casi particolari ed il caso della stepchild

adoption” in Corriere giur. 2016 e I. Rivera “Adozione - la sentenza della Corte di Cassazione n. 12962/2016 e il superiore interesse del minore” in Giur. it. 2016.

69 Questa strada era già stata percorsa da diversi tribunali per i minori, vedi ad es.

sent. Trib. min. Roma 30.07.2014 n. 299 ( in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 109 ss) con cui il giudice accoglie ai sensi di questa disposizione la richiesta, avanzata dalla compagna della madre biologica di una bimba nata mediante il ricorso a pratiche di fecondazione assistita, di adozione della predetta minore. Nello stesso senso Trib. min. Roma 22.10.2015 in Foro it., 2016, I, 339 e ss.

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esaminate senza attribuire alcun rilievo all’orientamento sessuale del richiedente né al tipo di relazione che egli abbia con il proprio partner. Un siffatto orientamento70 aprirebbe spazi molto ampi per l’adozione non legittimante di minori da parte di coppie omosessuali, tuttavia si tratta di un’ipotesi interpretativa che può essere avanzata solo con grande cautela in quanto si basa su una lettura non pacifica della lettera

d) dell’articolo 44 l. ad. e non trova alcun riscontro nella legge

sull’adozione. Un tale compito non spetterebbe inoltre alla giurisprudenza non avendo questa la competenza per farlo, mentre invece sembra indispensabile un intervento del legislatore su una questione di così grande importanza. Il legislatore italiano dovrebbe quanto meno disciplinare la cosiddetta “genitorialità sociale” per regolamentare quel rapporto di fatto che inevitabilmente si verrà ad instaurare tra una parte dell’unione civile e il figlio dell’altra parte, soprattutto nel caso di una convivenza stabile di questi soggetti. Una disciplina della “genitorialità sociale” è stata introdotta da tutti gli Stati che hanno regolamentato per legge i rapporti di coppia tra persone dello stesso sesso. Occorre precisare a tal proposito che la Corte dei diritti dell’uomo71

ha ritenuto che la norma del codice austriaco che vieta l’adozione da parte di persona dello stesso sesso del primo adottante violi la Convenzione dei diritti dell’uomo in quanto si basa esclusivamente sull’orientamento sessuale del soggetto. L’adozione, secondo la Corte, potrebbe essere rifiutata solo se si accerta che il diniego risponda all’interesse del minore.

Non deve sussistere separazione tra gli adottanti, nemmeno di fatto, e appare chiara la ragione di tale previsione visto che un rapporto

70 Cass. 30.09.2016 n. 19599 in Corriere giur. 2017, 181 e ss afferma “che le coppie

di persone dello stesso sesso ben possano adeguatamente accogliere figli e accudirli, è ora confermato dalla possibilità di adottarli a norma della l. 4 maggio 1983 n. 184 art. 44 co. 1 lett. d)”.

71 Sent. del 19.02.2013 (ric. 19010/07) in Nuova giur. civ., 2013, 519 ss con nota di

C. Fatta e M. Winkler “Le famiglie omogenitoriali all’esame della Corte di

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affettivo incrinato tra gli aspiranti genitori non assicura al minore una famiglia salda e ben strutturata. La separazione però non impedisce la pronuncia di adozione a favore di uno o di entrambi i coniugi, qualora essi ne facciano richiesta, se sopravviene dopo l’affidamento preadottivo del minore nel nuovo nucleo familiare. Ciò evidentemente perché si vuole salvaguardare il forte legame affettivo che il minore può aver creato con i coniugi o con uno di essi. Lo stesso si prevede in caso di sopravvenuta morte o incapacità di un genitore adottivo. Secondo parte della dottrina72 quella dell’assenza di separazione personale dei coniugi è una condizione dell’adozione e non un presupposto processuale perciò dovrà essere verificata al momento in cui il tribunale deve decidere sull’affidamento preadottivo, secondo altri73 invece dovrà sussistere già al momento della domanda di adozione e in ogni casi a quello dell’affidamento preadottivo.

Il fatto che la legge 184 abbia riconosciuto una prevalenza assoluta alla coppia coniugata secondo il principio dell’imitatio naturae, volto ad assicurare entrambe le figure parentali al minore per una crescita serena ed equilibrata, esclude in via di principio che nel nostro ordinamento l’adozione legittimante sia configurabile anche da parte di una persona singola. Secondo la disciplina vigente l’adozione del

single è oggi ammessa solo nei casi eccezionali di sopravvenuta

separazione personale dei coniugi, morte o incapacità di uno essi, qualora uno di questi accadimenti avvenga durante l’affidamento preadottivo (art. 25 l. ad.) ovvero nei casi tassativamente elencati all’articolo 44 della legge 184/1983 di adozione particolare. Ma anche su tale questione c’è chi74

ha sostenuto la capacità di allevare un

72 A. M. Finocchiaro “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei

minori”,Giuffrè, Milano, 1983 p.76 e A. C. Moro “L’adozione speciale”, Giuffrè,

Milano, 1976 p. 283.

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L. Sacchetti “Il commentario dell’adozione e dell’affidamento”, Maggioli, Rimini, 1986 p. 93.

74 M. R. Marella “Adozione” in Digesto civ. agg. I 2000; Cristiani “Sull’adozione da

parte del singolo” in Nuova giur. comm. 1996; Guglielmi “Ammissibilità dell’adozione del singolo adottante” in Giur. merito, 1994.

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minore anche senza l’apporto di un compagno, portando come argomenti a favore i numerosi casi di famiglie naturali monoparentali. Fu eccepita anche l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge nella parte in cui non consentiva l’adozione da parte di persone singole in quanto si riteneva che la disposizione contrastasse con la Convenzione di Strasburgo del 196775 che invece ammetteva tale eventualità senza alcun limite e che in qualità di norma pattizia internazionale era vincolante per gli Stati firmatari. Ma la Corte Costituzionale nel 199476 dichiara l’infondatezza della questione di illegittimità affermando che tale norma non è autoapplicativa, ossia direttamente applicabile nei rapporti interprivati, ma attribuisce soltanto una facoltà ai legislatori nazionali di ampliare l’ambito di ammissibilità dell’adozione del minore da parte di un singolo adottante77. Facoltà tra l’altro esercitata dal nostro ordinamento con riguardo ad alcune ipotesi tipizzate, sopra menzionate. Se ne deriva che la Convenzione non ha introdotto nel nostro ordinamento l’adozione da parte del singolo con effetti legittimanti.

Sempre nell’ambito dei requisiti legittimanti previsti per gli adottanti l’articolo 6 della legge 184 impone dei limiti alla differenza di età che intercorre tra gli aspiranti adottanti e l’adottando. Una tale prescrizione ha la funzione di offrire al minore genitori adottivi non dissimili da quelli biologici anche dal punto di vista del divario generazionale, quindi né troppo giovani né troppo vecchi. Questo ancora una volta nella prospettiva di inserire il minore nel nucleo familiare maggiormente adatto per lui, in modo da garantire lo sviluppo sereno e armonioso della sua personalità. In particolare la differenza massima di

75 L’articolo 6 della convenzione europea afferma “la legge permette l’adozione di un

minore solo da parte di due persone unite in matrimonio, che esse adottano simultaneamente o successivamente, o da parte di un solo adottante”.

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C. Cost. 16.05.1994 n. 183 in Famiglia e diritto 1994, p. 245 ss.

77 Orientamento questo che viene ribadito anche dalla Corte di Cassazione nella

celebre sentenza 21.07.1995 n. 7950 (in Corriere giuridico 1995, p. 1059 ss), promossa da una nota attrice cinematografica. Vedi nota di V. Carbone “Adozione di

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età non deve essere presa in considerazione pensando soltanto ai primi anni di vita del bambino, ma bisogna tenere conto che il bambino crescerà e l’adulto invecchierà. Non si può ammettere l’adozione di un minore da parte di una coppia che possiede le capacità e le forze per allevarlo quando questo è un neonato, ma che poi non sarà in grado nel corso del tempo di seguirne adeguatamente la maturazione a causa di un’età troppo avanzata.

Secondo la lettera originaria dell’articolo 6 l. ad. l’età degli adottanti doveva essere superiore di almeno diciotto anni e di non più di quaranta rispetto all’età dell’adottato: in tal modo si era voluto “imitare la natura” richiedendo una differenza di età che normalmente intercorre in un rapporto di filiazione, il quale si viene ad attuare quando i genitori sono giovani e nel pieno vigore78. La prescrizione non ammetteva alcuna eccezione, a differenza di quanto stabilito in materia dalla Convenzione di Strasburgo, già ricordata, che stabilisce all’articolo 7 soltanto un’età minima per gli adottanti, non inferiore a ventuno e non superiore a trentacinque anni, in ordine alla quale però possono essere previste delle deroghe nel caso in cui si verifichino delle circostanze eccezionali. Il criterio dell’imitatio naturae, liberato da rigidi riferimenti biologici e ben collegato a usi sociali, trova conferma all’articolo 8 della Convenzione secondo cui la differenza di età tra l’adottante e il minore non deve essere inferiore a quella che intercorre di solito tra i genitori e i loro figli79.

Tuttavia l’articolo 6 della legge sull’adozione fu oggetto di interventi ad opera della Corte Costituzionale, che con una serie di sentenze additive ha eroso la rigidità della disposizione, fino ad arrivare alle

78 M. Dogliotti e A. Figone “Famiglia e procedimento”, Ipsoa, Milano, 2007. Vedi

anche G. Cassano “Manuale del nuovo diritto di famiglia”, La Tribuna, Piacenza, 2003.

79 Art. 8 n. 3 Convenzione di Strasburgo: “en règle générale, l’autorité compétente

ne considérera pas comme remplies les conditions précitées si la différence d’age entre l’adoptant et l’enfant est inférieure à celle qui sépare ordinairement les parents de leurs enfants”.

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consistenti modifiche apportate dalla riforma del 2001. Erano infatti sorte preoccupazioni verso questi limiti ritenuti troppo rigidi. Ciò che era apparso criticabile non era la previsioni di differenziali d’età, bensì il fatto di non aver previsto eccezioni e contemperamenti a questi. Occorre inoltre tenere conto dei profondi mutamenti che si sono avuti all’interno dell’istituto familiare, si registra infatti rispetto al passato un allungamento della vita media e l’innalzamento dell’età a cui si costruisce una famiglia. La legge 149/2001 aumenta il divario massimo di età, portandolo da quaranta a quarantacinque anni. L’innovazione ha in realtà portata molto più ampia in quanto si prevede al comma 5 dell’articolo 6 come condizione legittimante per il superamento di tali limiti d’età l’accertamento che dalla mancata adozione ne derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore, e ancora al comma 6 si introducono ulteriori ipotesi di deroga. In questo modo la novella del 2001 è andata ben oltre le indicazioni della richiamata giurisprudenza costituzionale, in quanto la Corte aveva dichiarato l’illegittimità della disposizione solo con riferimento a situazioni specifiche, nelle quali il limite di età avrebbe potuto pregiudicare in concreto il minore80.

Accanto a questi requisiti oggettivi, la legge ne prescrive altri, di tipo soggettivo, il cui accertamento si rivela particolarmente complesso e che per questo richiederanno accurate indagini. Gli aspiranti adottanti

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