2. TESTI ISTITUZIONALI E LINGUAGGI SETTORIALI
2.1 I testi istituzionali: convenzioni e caratteristiche
Innanzitutto, intendo fornire una definizione esaustiva del linguaggio che caratterizza i testi istituzionali, anche detto amministrativo. Fortis (2005:48) ne dà la seguente definizione:
“Varietà di lingua in cui sono formulati i testi con i quali le pubbliche amministrazioni (ministeri e relative diramazioni periferiche, come prefetture, intendenze di finanza, provveditorati agli studi, ecc.; autonomie locali, come regioni, province, comuni; università, camere di commercio, ordini professionali e altri enti pubblici di varia natura) comunicano, in primo luogo all’esterno, ossia con i cittadini o con altri soggetti pubblici; in secondo luogo al loro interno, cioè con il proprio personale e le proprie strutture.”
Tra le pubbliche amministrazioni è possibile quindi annoverare la Federazione Internazionale dell’Automobile, così come l’ACI, in quanto ente pubblico al quale i proprietari di autoveicoli pagano l’imposta di circolazione che gestisce il pubblico registro automobilistico e si occupa del soccorso stradale62.
Il linguaggio istituzionale è considerato una lingua settoriale con una varietà diafasica (Berruto 1987:139-140), ovvero influenzata dalla funzione che svolge e dal contesto comunicativo in cui rientra (Coseriu 1973); è inoltre una lingua settoriale non specialistica, per via della sua quantità ristretta di tecnicismi specifici propri di un settore definito (Sobrero 1993:237). Viene adottato in particolari ambiti e differisce dalla lingua base per caratteristiche lessicali e stilistiche; inoltre, può occuparsi di svariati argomenti: per menzionare le mie principali istituzioni di riferimento, FIA, ACI e RACE, gli ambiti sono principalmente la sicurezza stradale, la mobilità, l’ambiente e altri ancora.
61 V, capitolo 4.
62 Regione Siciliana (2007). Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi. Dipartimento Del Personale,
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Non essendo specialistico, tale linguaggio è ibrido e attinge ad altre lingue speciali, raccogliendo elementi lessicali ben diversi, come approfondirò più avanti nell’elaborato. È caratterizzato inoltre da univocità e rigidità ed è considerato vincolante (Sabatini 1999:142- 150), in altre parole i testi che rientrano in questa categoria non sono aperti a libere interpretazioni da parte del destinatario, ma devono aderire strettamente allo scopo comunicativo del mittente, il quale è vincolato a propria volta da scelte stilistiche. Il linguaggio istituzionale è più statico, si evolve meno rispetto ad altre varietà della lingua, risultando quindi meno suscettibile a variazioni diacroniche (Fortis 2005:55), il che implica un minor numero di modifiche nel tempo. Questo è un aspetto che a detta di alcuni linguisti è giudicato positivamente (Serianni 1986:53), in contrapposizione all’ingerenza dell’informalità dell’inglese, mentre secondo altri (Raso 1999-2000:234) questo fattore, assieme al suo carattere autoreferenziale, può comportare una scarsa efficacia comunicativa.
Il linguaggio utilizzato in testi di amministrazioni ed enti di vario genere si è spesso contraddistinto per essere poco accessibile al cittadino e alquanto complesso, al punto da essere definito con una connotazione negativa burocratese (Sabatini e Coletti 1997:45), in particolare per le sue caratteristiche di oscurità, formalità e circolarità (Fioritto 1997:69). Per questo motivo, si è assistito a un progressivo cambiamento della scrittura istituzionale negli ultimi vent’anni, culminato con le Direttive del Ministro della Funzione Pubblica del 7 febbraio 2002 (Le attività di comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni) e dell'8 maggio 2002 (Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi) fino alla Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica del 24 ottobre 2005, presentata dal Ministro Mario Baccini (Cortelazzo et al. 2006:5).
Grazie a tali direttive, è stato possibile operare notevoli modifiche a due tipologie di testi diverse redatte dalle pubbliche amministrazioni, ovvero gli atti amministrativi e i documenti informativi, per le quali valgono criteri di leggibilità e di chiarezza. Da una parte, gli atti amministrativi hanno validità giuridica, pertanto è loro compito osservare regole e principi di legittimità, quindi è necessario indicare soggetto e oggetto dell’atto seguendo criteri equilibrati di analisi e sintesi (Comar 2003:169-180), la decisione presa in carico, le motivazioni e gli eventuali adempimenti (Cortelazzo 2006). Dall’altra, vi sono i documenti informativi, destinati a uso interno all’ente e al pubblico. Nel primo caso, l’uso interno prevede una chiarezza dell’esposizione dei contenuti, connessione logica, un carattere essenziale del preambolo, riferimenti espliciti e grafica consona. La comunicazione esterna destinata al pubblico è quella più prettamente informativa, dal momento che mette al corrente
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il cittadino di svariati argomenti di cui l’amministrazione o ente si occupa (Ibidem). Tra questi, si possono includere il funzionamento dell’istituzione, le novità di riforme o di norme, servizi, opportunità, eventi o campagne di sensibilizzazione civile. L’efficacia comunicativa e la chiarezza linguistica sono essenziali per svolgere al meglio la funzione di questi testi. In definitiva la regola fondamentale consiste nel far sì che il messaggio sia recepito dal destinatario in maniera conforme alle intenzioni di chi lo ha emesso (Cortelazzo 1999).
“Semplificazione e trasparenza della pubblica amministrazione vogliono dire anche saper scrivere testi chiari e accessibili a tutti.”63
Sulla base di questa affermazione, Cortelazzo e Pellegrino (2002) hanno stilato 30 regole principali non da osservare in modo categorico e imprescindibile, ma alle quali è preferibile attenersi per l’adeguata redazione di testi istituzionali. Tra queste figurano alcune delle indicazioni esposte nelle direttive: identificare il destinatario, costruire il testo, compiere scelte lessicali e sintattiche opportune e verificare la leggibilità del lavoro svolto, rileggendolo attentamente. Le regole di semplicità e trasparenza riprendono gli studi di teorici come De Mauro (1997), che si è soffermato sull’analisi di uno stile italiano semplice, preciso ed economico. Nonostante ciò, occorre fare un’altra puntualizzazione.
“Un testo amministrativo deve essere linguisticamente accessibile nei limiti permessi dalla complessità dei suoi contenuti.” (Alfieri et al. 2011:16)
Con questo, si intende che nel momento in cui un testo viene redatto, non bisogna tralasciare il livello di conoscenze linguistiche e di esigenze di comprensione a cui tendono i destinatari, ossia coloro a cui i testi sono rivolti.
Cortelazzo et al. (2006) si sono interrogati inoltre sul perché sia necessario redigere un testo istituzionale in modo chiaro. La conclusione a cui sono giunti è che un testo chiaro e comprensibile va a vantaggio non solo del cittadino, ossia il destinatario, ma anche dell’istituzione, che non si trova nella scomoda posizione di dover chiarire un punto ambiguo o controverso; per di più, ne giovano sia forma che sostanza.
È noto che esistano diversi tipi di istituzioni: nazionali, locali, regionali e mondiali. Tra di esse vi sono differenze negli obiettivi e nelle finalità e ognuna può adottare una politica
63 Le 30 regole per scrivere testi amministrativi chiari, disponibile online alla pagina
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linguistica peculiare, sebbene la strategia prevalente è di diffondere testi che siano quanto più chiari, semplici ed efficaci (Cortelazzo 2003:4). Per fare ciò, occorre attenersi a dei principi, che prevedono di immedesimarsi nel destinatario (il fruitore del testo), evitare un atteggiamento di inerzia e povertà di linguaggio nell’esercizio di scrittura e infine prediligere la chiarezza e l’efficacia all’eleganza.
2.1.1 Struttura, sintassi e lessico
Dopo aver descritto le caratteristiche principali che presentano i linguaggi istituzionali, mi accingo ad illustrare le convenzioni tipiche della sintassi, del lessico e dello stile dei testi appartenenti a questa varietà, basandomi sulle teorie già menzionate (Cortelazzo 2003; Fortis 2005).
Per quanto concerne la struttura, un testo istituzionale è generalmente costituito da frasi collegate tra di loro da connessioni logiche di vario genere, legami impliciti o espliciti, di cui questi ultimi segnalati da espressioni linguistiche definite connettivi (come avverbi, congiunzioni e locuzioni). Oltre a conferire maggior chiarezza, i connettivi hanno la funzione di esplicitare relazioni tra eventi, relazioni di collocazione e di organizzazione testuale (Ferrari, Zampese 200:283-334). Nell’ambito istituzionale, è inoltre importante prestare attenzione alla punteggiatura, la quale va utilizzata seguendo le opportune convenzioni, nonché alla suddivisione in capoversi. Il loro obiettivo è di raggruppare le frasi in unità più ampie e allo stesso tempo di articolare il testo in blocchi più ristretti e omogenei per tematiche e argomenti affrontati (Cortelazzo 2003; Fortis 2005).
È piuttosto comune la struttura a lista (Raso 1999-2000:101-103), specialmente per elencare una serie di operazioni che il destinatario deve svolgere, o norme a cui deve attenersi, o ancora una serie di casi particolari per i quali si verificano determinate circostanze (nella fattispecie, l’elenco delle cause di un incidente stradale). Non esistono norme assolute di punteggiatura (Cortelazzo e Pellegrino 2003), ma vi sono comunque delle convenzioni da osservare, come la distinzione pertinente dell’uso della virgola, dei due punti, del punto e virgola e del punto fermo. Il contenuto può essere suddiviso in paragrafi e capoversi, ai quali viene attribuito un titolo sintetico ed esaustivo, per semplificare al destinatario l’argomento che viene trattato in un certo testo, che può presentare elementi di disturbo o un’impostazione grafica che a prima vista può rendere difficoltosa la comprensione immediata dell’ambito considerato.
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Dal punto di vista della sintassi, un testo può essere caratterizzato da frasi complesse in cui le proposizioni sono intrecciate da rapporti di subordinazione o di coordinazione. Nel primo caso, la frase assume un carattere ipotattico, mentre nel secondo un carattere maggiormente paratattico, che privilegia la semplicità del testo. Per ridurre la subordinazione, è preferibile ridurre il numero di proposizioni implicite, in particolare con la forma al gerundio, spesso più ambigua e problematica al fine della comprensione del lettore rispetto a una proposizione all’infinito (Renzi et al. 2010). Tutte le grammatiche consultate concordano su un blando uso di incisi e parentetiche per rendere il testo più semplice e scorrevole; inoltre Cortelazzo (2003:90) sottolinea come un’eccessiva nominalizzazione possa avere effetti rilevanti su un testo, per via dell’aumento di astrazione dell’azione e di un distacco da parte dell’autore, che si riflette anche nella spersonalizzazione e a scarsi riferimenti diretti all’io parlante (Berruto 1987:152)64.
Berruto inoltre si sofferma nelle pagine successive anche sulle caratteristiche lessicali riscontrate in un registro medio alto come quello dei testi istituzionali, in cui sono previsti termini ed espressioni specifici, esplicitezza verbale sostenuta da perifrasi e precisazioni, nonché scelte lessicali arcaiche e/o forbite per esempio in avverbi e predicati (come affinché/al fine di vs. per; poiché vs. dato che; incremento vs. aumento; comprendere vs. capire; apprendere vs. imparare). Infine i neologismi e i forestierismi sono possibili, sebbene ai primi si preferiscano le metafore, le quali sfruttano la similitudine implicita nell’adozione di un determinato lessema per favorire una maggior trasparenza e sinteticità dei concetti, richiamando a quelli preesistenti nel bagaglio di conoscenza del destinatario, attraverso associazioni dell’espressione in questione (Gotti 1992:242).