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Il concetto fondamentale su cui si innesta il Primo Congresso dell’ Unione degli Scrittori Sovietici è quello di “realismo socialista” (socialističeskij realizm).

Con tale definizione si tratteggia un nuovo metodo artistico i cui punti programmatici fondamentali vennero esposti per la prima volta da Andrej Aleksandrovič Ždanov durante il discorso tenuto proprio in occasione del Congresso, di cui riporterò più avanti la traduzione.

Ždanov (14.02.1896 – 31.08.1948) fu uno dei maggiori attivisti di partito e di stato durante il periodo stalinista: fu membro del Comitato Centrale del Partito dal 1930 al 1948, segretario del Comitato Centrale, membro dell’ Orgbjuro (Ufficio Organizzativo) del Comitato Centrale dal 1934 al 1948 e membro del Politbjuro (Ufficio Politico) dello stesso dal 1935 al 1939.

Era membro del Partito Bolscevico già dal 1915 e negli anni aveva ricoperto vari incarichi militari, fino ad emergere come figura preponderante anche a livello organizzativo nel campo dell’ educazione. Era uno dei tipici funzionari del nuovo entourage di Stalin, uno di quegli uomini formatisi sul campo negli della Guerra Civile del 1918-1921 che avrebbe accompagnato il leader sovietico nelle più importanti battaglie ideologiche.

Il suo ruolo da co-protagonista si accentuò in modo irreversibile negli anni Trenta, quando si costruì la fama di essere l’ influente

53 ideologo del Partito, coautore con Stalin e Kirov di annotazioni sull’ insegnamento e sull’apprendimento dello studio della storia. Dal 1934 divenne anche Primo Segretario del Partito della regione e della città di Leningrado e successivamente anche membro del Consiglio di Guerra.

Durante gli anni del terrore non cadde vittima dello stesso, ma al contrario presenziò tra i membri del Politbjuro incaricati di visionare le “liste nere” su cui comparivano coloro che erano destinati alla fucilazione: a suo nome sono registrate e firmate ben 176 condanne.

Il concetto di “realismo socialista” prima di giungere alla sua formulazione ufficiale era però già passato attraverso un lungo percorso evolutivo: i primi fondamenti erano stati dati da Anatolij Lunačarskij, che nel 1906 aveva coniato il termine “realismo proletario” (proletarskij realizm).

Negli anni Venti, in relazione a tale concetto, si iniziò ad usare l’espressione “nuovo realismo sociale” (novyj social’nyj realizm), a cui all’ inizio degli anni Trenta si dedicò un ciclo di articoli programmatici e teorici sulle pagine di “Izvestija”.

Il termine vero e proprio di “realismo socialista” fu proposto per la prima volta dal Presidente dell’ Orgkomitet dell’ Unione degli Scrittori Sovietici, Ivan Michaljlovič Gronskij, giornalista e critico letterario, il 23 maggio 1932, sulle pagine di “Literaturnaja Gazeta”, nel tentativo di indirizzare la RAPP e le avanguardie nella direzione dello sviluppo artistico della cultura sovietica.

54 Negli anni 1932 – 1933 Gronskij e Valerij Jakovlevič Kirpotin, il responsabile del settore del Comitato Centrale del Partito riguardante la letteratura artistica, si occuparono di propagandare in modo accurato i tratti fondamentali di quella che sarebbe dovuta divenire la strada ufficiale da percorrere, anche se la sintesi finale fu esposta in occasione del Congresso e l’evento stesso fu considerato come punto di partenza per il conio di nuove opere incanalate nella direzione proposta dal Partito.

Il “realismo socialista” si presenta come sintesi delle arti all’interno di uno stato totalitario: unisce tutti i campi in uno spirito onnicomprensivo in cui ciascun settore è inscindibile dagli altri grazie ad un’ uniformità di metodi e fini.

E’ sacralizzazione in ottica puramente laica, pragmatica ed antireligiosa degli spazi sovietici, delle personalità comuni, degli eroi del lavoro, della storia e del folclore del paese.

E’ un assemblare periodi storici, correnti artistico - filosofiche e visioni del mondo raccolte attorno al concetto fondamentale di mimesi che immortala una realtà visibile che è al tempo stesso utopia realizzantesi e realizzata, a conferma ulteriore e definitiva del fatto che, per dirlo con Papernyj, nella Kul’tura Dva il futuro radioso del comunismo è già stato raggiunto, si vive in esso ed in campo artistico non si può far altro che renderlo perfetto e sottolinearne, esaltarne l’eccezionalità.

I principi e le basi teoriche di questo metodo sono a mio parere esaurientemente espresse in un’opera della dissidenza, intitolata “Che cos’è il realismo socialista?” (Čto takoe socjalističeskij

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realizm?) di Andrej Donatovič Sinjavskij, insegnante di

giornalismo e letteratura russa che a causa di questa pubblicazione fu coinvolto nel cosiddetto “processo Sinjavskij - Daniel” iniziato nell’autunno del 1965 e terminato nel febbraio del 1966.

Ci sono molte versioni riguardo a come il KGB fosse riuscito a scoprire la paternità dello scritto, che era stato pubblicato all’estero sotto pseudonimo.

Certo è che il processo fu epocale e venne utilizzato come spettacolo di propaganda e monito per tutti coloro che avrebbero potuto anche soltanto pensare di intraprendere una strada simile. Nonostante la raccolta di oltre mille firme nei vari circoli intellettuali di Mosca, le numerose lettere aperte di importanti scrittori e critici dell’epoca e la strenua difesa di Sinjavskij che mai dichiarò le sue opere come antisovietiche, ma solo come libera espressione di pensiero, egli fu condannato a sette anni di lavori forzati presso il lager penale per attività antisovietica e propaganda reazionaria contro il regime.

Sinjavskij all’interno della sua opera si presenta come sostenitore dello stile di Dostoevskij e di Gogol’ e come fermo oppositore dei principi della dottrina ufficiale, pur riuscendo ad esporne in modo cristallino i tratti fondamentali.

Partendo dalla definizione data da Ždanov al Congresso, spiega come il “realismo socialista” si differenzi dal realismo del passato in quanto, pur mirando sempre ad una rappresentazione conforme alla realtà, afferma la vita nel suo movimento rivoluzionario, e sa formare lo spirito dei lettori e degli spettatori in funzione di questa prospettiva, ovvero nello spirito del socialismo.

56 Esso ha dalla sua le armi rappresentate dalla dottrina di Marx ed è ispirato dal suo alto precettore, il Partito Comunista.

Nel descrivere la realtà presente sente il cammino della storia e lancia al tempo stesso uno sguardo sull’avvenire.

L’idea di base, quella che muove lo sviluppo di questo metodo artistico, è il concetto di Scopo, ideale che tutto abbraccia e verso cui tende la realtà all’interno di un movimento rivoluzionario ineluttabile.

Il senso dell’arte è quello di avvicinare il lettore a tale Scopo, che si identifica con la realizzazione totale del comunismo. Si può quindi dire che l’arte sia teleologica, così come tutta la cultura ed il sistema dell’ URSS, poiché subordinata al fine supremo che le conferisce la sua ragion d’essere, fine e mezzo al tempo stesso. Le opere del “realismo socialista” sono varie per stile e per soggetti, ma in ognuna di esse, in senso letterale o figurato, sotto forma esplicita o velata, lo Scopo è costantemente presente: può presentarsi come panegirico del comunismo e di tutto ciò che vi è connesso, come satira dei suoi numerosi nemici, o come quadro della vita colta nel momento del suo sviluppo rivoluzionario.

Lo scrittore sovietico che ha scelto un certo soggetto cerca di inquadrarlo in un determinato scorcio che permetta di osservarne le inclinazioni volte a contribuire alla realizzazione dell’utopia comunista. La maggior parte dei soggetti della letteratura sovietica si distingue perciò per una notevole uniformità di orientamento che tollera varianti di luogo, tempo e circostanze, ma resta immutabile nella sua ragion d’essere primaria: ricordare il trionfo finale dell’ideologia.

57 Ogni opera, prima ancora di prendere forma, è votata ad avere una conclusione felice: il destino può essere triste per il singolo eroe che corre tutti i rischi possibili lottando per il comunismo, ma è sempre felice per lo Scopo che trascende l’individuo e ripone sempre le sue speranze nella sicura vittoria finale.

Le illusioni perdute, le speranze frustrate, i sogni non realizzati, così caratteristici della letteratura di altre epoche e di altri sistemi, sono contrari al “realismo socialista” (Sinjavskij, 1966: 22).

Basta pensare ad alcune opere sovietiche per convalidare le affermazione precedenti: “Felicità” di Pavlenko, “Prime gioie” di Fedin, “Bene!” di Majakovskij, “I desideri s’avverano” di Kaverin, “I vincitori” di Bagrickij (e, con lo stesso titolo, vedi anche Čirikov), “Il vincitore” di Simonov, “Primavera di vittoria” di Gribačev sono solo alcuni dei più famosi tra i titoli sovietici che trasmettono un’idea di gioia, vittoria, successo.

Oltre ai romanzi che si concludono con l’immagine di una rivoluzione trionfante, ce ne sono molti incentrati su una questione economica di base da risolvere che si configura come trama dell’azione: da questo punto di vista anche i processi tecnici possono assumere tensione drammatica ed essere considerati come tappa fondamentale che conduce verso la via del socialismo.

Il tema di riflessione dello scrittore sovietico non è “la ricerca del tempo perduto”, bensì “il cammino del tempo in avanti”: ogni giorno non è perdita, ma conquista, ed avvicina sempre di più l’uomo al raggiungimento della meta finale.

58 Questa letteratura attinge alla storia, passata e presente, soffermandosi sugli episodi che hanno finalisticamente assicurato le vittorie dell’oggi.

Personaggi del passato, come Pietro il Grande, Puškin, Sten’ka Razin o Ivan il Terribile, che pur non avendo consapevolezza del comunismo si rendevano conto dell’avvenire luminoso che si prospettava e con le loro opere lo rendevano più realizzabile, sono cantati nei grandi romanzi dell’ attualità.

Molte opere sono invece educative, più concentrate sull’aspetto psicologico, e mostrano la metamorfosi di individui o di intere collettività in entità comuniste, come ad esempio avviene ne “La madre” di Gor’kij, scritto nel 1906 e considerato come primo vero modello precursore del “realismo socialista”.

Carattere fondamentale è generalmente la presenza di un eroe positivo, dotato di convinzione ideologica, audacia, intelligenza, forza di volontà, patriottismo, rispetto per la donna, attitudine al sacrificio, ma soprattutto di lucidità, che permette di vedere chiaramente lo Scopo e di mobilitarsi per dirigersi verso di esso. L’eroe positivo, contrapposto alla figura dell’inutile, tanto cara alla letteratura russa del XIX secolo, è portato a dissertare su temi eletti in ogni circostanza, offrendo al mondo un modello di integrità unico nella sua fermezza. Grazie a ciò non ha dubbi interiori o esitazioni, e conosce perfettamente che cosa è bene e che cosa è male, che cosa è giusto e che cosa è sbagliato.

Negli anni successivi al Congresso i tratti caratteristici dell’eroe diventano sempre più livellati: i romanzi iniziano a non presentare più differenze sostanziali tra personaggi positivi e negativi, ma

59 piuttosto tollerabili conflitti tra personaggi tutti positivi, magari tra “buoni e migliori”.

Chi lavora sotto l’ala del Partito Comunista sa bene che le varianti consentite sono solo nei limiti della monotonia: ci possono essere piccoli disaccordi, ma solo nel quadro generale dell’unanimità.

Grazie ai principi del “realismo socialista”, dunque, cinema, musica, arti figurative e letteratura vengono ad amalgamarsi ed i sovietici per la prima volta nella storia dell’ umanità arrivano a parlare una lingua universalmente comprensibile ed a pensare in maniera identica sulle tematiche di vita principali, forti di un’unità ideologica che segna la loro superiorità rispetto agli altri uomini lacerati e disuniti dalla difformità di pensiero.

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CAPITOLO 6

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