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La politica culturale dello stalinismo. L' organizzazione del Primo Congresso Panrusso dell' Unione degli Scrittori Sovietici sulle pagine di Literaturnaja Gazeta.

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INDICE

Ringraziamenti: pag. 3

Introduzione: pag. 5

Capitolo 1. L’ascesa al potere di Stalin: pag. 7

Capitolo 2. Il programma politico degli anni 1929 – 1934: pag. 12

Capitolo 3. L’ambito letterario: pag. 17

Capitolo 4. “Literaturnaja Gazeta”. - La storia: pag. 27

- Il primo numero: pag. 30 - Le tematiche: pag. 34

- Parole ed espressioni ricorrenti: pag. 39

Capitolo 5. I tratti fondamentali del “realismo socialista”: pag. 52

Capitolo 6: Verso la creazione dell’ Unione degli Scrittori Sovietici. - 1929: pag. 60

- 1930: pag. 67 - 1931: pag. 78 - 1932: pag. 80 - 1933: pag. 88

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2 Capitolo 7. Il Primo Congresso dell’ Unione degli Scrittori

Sovietici. 1934: pag. 100 Conclusione: pag. 155 Bibliografia: pag. 159

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RINGRAZIAMENTI

Questo lavoro si presenta come coronamento dei cinque anni che ho trascorso all’ Università di Pisa, come conclusione del percorso di studi, rivelatosi poi anche percorso di vita, che decisi di intraprendere alla fine del Liceo, spinta soltanto dalla curiosità che da sempre mi incentivava a voler sapere di più sulla “Madre Russia”, sulla sua storia e cultura, di cui, purtroppo, poco viene raccontato.

Dal quel momento, da quel primo giorno di lezioni in cui, speranzosa, imparavo a scrivere le prime parole in cirillico, è ormai passata una vita, nel corso della quale ho avuto anche la possibilità di realizzare il mio sogno più grande: vedere Mosca e viverla, rendendomi conto giorno dopo giorno, con sempre maggior convinzione, che la scelta fatta quando ero ancora una liceale da poco “matura”, si era rivelata la migliore possibile, quella che rifarei anche adesso senza esitazioni.

La soddisfazione maggiore, a posteriori, sta nel poter dire che mi lascio alle spalle gli anni universitari arricchita di un grande bagaglio, ricolmo di quelle stesse nozioni che all’inizio avevo sperato ardentemente di trovare ed apprendere.

Il ringraziamento più grande in questo senso, va, oltre che a tutti i validissimi professori di slavistica, tra cui il mio Correlatore, Prof. Stefano Garzonio, al Prof. Guido Carpi, che oltre ad avermi pazientemente seguito come Relatore sia per questa tesi che per quella del corso di studi triennale, suggerendomi entrambe le volte

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4 argomenti che hanno suscitato in me profondo interesse, ha saputo farmi coinvolgere completamente dal mondo della letteratura russa grazie alle sue vaste conoscenze in materia e alla grande passione che utilizza nello svolgere quotidianamente il suo lavoro.

Ringrazio anche tutti i miei “colleghi” russisti e non, senza i quali le giornate passate a Pisa tra un corso e l’altro, sarebbero state interminabili.

Una menzione particolare va ai miei genitori, per il supporto che mi hanno dato in qualsiasi momento della mia vita, e per la libertà che mi hanno sempre concesso, fidandosi di ogni mia scelta ed appoggiandomi senza esitazioni nelle decisioni prese.

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INTRODUZIONE

Abituati a ragionare secondo gli schemi mentali del tipo di società e dell’epoca in cui viviamo, spesso risulta difficile poter comprendere fino in fondo il modo di pensare di un contesto diverso e lontano dal nostro sia in termini temporali che strutturali. Si finisce, in genere, con il dare giudizi a priori, basati sulle poche nozioni apprese sommariamente in qualche libro di storia, senza conoscere davvero ciò di cui si sta parlando.

Il mio lavoro si è basato soprattutto sulla volontà di voler capire, per quanto possibile fino in fondo, i meccanismi e l’apparato della società sovietica nel periodo compreso tra gli anni 1929 e 1934, attraverso la lettura e conseguente analisi di documenti dell’epoca, in particolare 491 numeri della rivista “Literaturnaja Gazeta”, organo adibito alla diffusione della politica ufficiale in ambito letterario.

L’efficacia di questo tipo di approccio si è rivelata al di sopra delle aspettative. Toccare con mano la quotidianità di una realtà altra è equivalso ad essere assorbita all’interno di una prospettiva diversa, che mi ha permesso di osservare e giudicare personaggi ed eventi storici di cui ero già a conoscenza a partire da uno sfondo estremamente differente rispetto a quello standard.

Si è trattato di un calarsi nell’ URSS dei primi anni dell’ascesa di Stalin come leader incontrastato attraverso le parole e le immagini catturate da chi l’ha vissuta in prima persona. E’ stato come se quegli anni che visti da quasi un secolo di distanza

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6 sembrano così intangibili, quasi irreali, si fossero materializzati di nuovo sotto ai miei occhi.

Tra i tanti argomenti trattati all’interno del giornale, riguardanti, tra l’altro, non solo la politica legata all’ambito artistico, mi sono concentrata sugli articoli concernenti l’evoluzione delle direttive del regime in vista della creazione del Primo Congresso (Pervyj

S’ezd) dell’ Unione degli Scrittori Sovietici (Sojuz Sovetskich Pisatelej), che si presenta come Congresso Pansovietico

(Vsesojuznyj), in quanto riunisce al suo interno le Unioni dei letterati dei singoli paesi facenti parte dell’ URSS.

Tale evento, avvenuto nell’agosto - settembre nel 1934, è ancor oggi considerato una delle pietre miliari della storia di quegli anni, in quanto sede in cui vennero definiti in maniera ufficiale i criteri fondamentali del “realismo socialista”, che sarebbe divenuto la stella guida degli artisti sovietici nei decenni successivi.

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CAPITOLO 1

L’ascesa al potere di Stalin

L’anno 1929 è considerato l’inizio vero e proprio della supremazia incontrastata di Stalin come unica guida del popolo sovietico.

Questi era allora a capo di un gruppo di persone fidate, una sorta di oligarchia politica nel partito, composta da personaggi come Kirov, Ordžonikidze, Kaganovič, Vorošilov, Kujbyšev, Molotov, che lo avevano aiutato a distruggere le altre fazioni createsi dopo la morte di Lenin. Si trattava di un gruppo di vigorosi uomini d’azione, che avevano collaborato con Stalin durante gli anni della Guerra Civile (1918-1921) e vedevano in lui il realista assoluto, colui che, nonostante i suoi metodi rozzi e poco ortodossi, era più in sintonia con le nuove realtà del partito e con le difficili condizioni di un paese ancora primitivo, arretrato e devastato dagli anni della lotta (Lewin, 1985: 31).

Gli anni ’20 erano stati caratterizzati da un’aspra corsa che aveva in palio il potere. Grazie alla sua carica di capo dell’

Orgbjuro, sottocomitato del Politbjuro che supervisionava i lavori

dei comitati locali di partito ed aveva il potere di selezionare e piazzare i vari membri nelle posizioni che più riteneva adeguate, Stalin ebbe in mano il controllo delle nomine, tramite le quali si costruì un consenso personale tra i membri del Soviet e del partito ed incrementò la sua influenza in maniera costante.

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8 Il partito comunista uscito dagli anni stremanti della Guerra Civile era molto diverso, nella sua sostanza, dal movimento di massa del 1917: temprato alla battaglia, possedeva ora nuovi membri, consacrati al cambiamento rivoluzionario e abituati ad obbedire alla dirigenza.

La messa al bando, nel 1921, di ogni tipo di fazione, come i Centralisti Democratici, che cercavano di far convivere una forte centralizzazione con una maggiore democrazia all’interno del partito, e l’Opposizione Operaia, che chiedeva una più attiva partecipazione dei lavoratori, tornò utile a Stalin. Nell’aprile del 1922 il Comitato Centrale lo elesse segretario generale. A poco o niente servì il documento dettato da Lenin qualche tempo prima della sua morte, avvenuta il 21 gennaio 1924, conosciuto come “Testamento”, in cui il leader bolscevico constatava che Stalin aveva assunto un enorme potere nelle sue mani ed era probabilmente incapace di usarlo con la necessaria prudenza. “C’è qualcosa di pedante, in lui, è troppo rozzo”, sosteneva Vladimir Il’ič; i compagni “avrebbero dovuto pensare al modo di rimuoverlo da quella carica” (Mc Cauley, 1995: 24).

In un primo periodo a Lenin successe una trojka composta da Stalin, Lev Kamenev e Grigorij Zinov’ev, che avevano le loro basi di potere rispettivamente nelle organizzazioni di Leningrado e Mosca.

Nei cinque anni seguenti si affrontarono problemi di indirizzo politico e di leadership. Tutte le maggiori personalità di spicco desideravano chiaramente costruire il socialismo, ma erano ben consapevoli del fatto che la rivoluzione, avvenuta in un paese a

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9 maggioranza contadina e ben lontano dai livelli di sviluppo delle potenze capitaliste, non aveva costituito il punto di partenza per una rivoluzione mondiale.

Trockij, a sinistra, fervente sostenitore della teoria della “rivoluzione permanente”, appoggiato da Kamenev e Zinov’ev, era ancora convinto che quest’ultima fosse fondamentale: ogni sforzo avrebbe dovuto essere rivolto verso tale direzione, applicando politiche radicali in patria e all’estero.

L’ex comunista di sinistra Bucharin, direttore del giornale di partito, la “Pravda”, ed ora rappresentante della destra, riteneva invece che il socialismo dovesse essere costruito per gradi, lasciando che si consolidasse all’interno del paese con l’allargamento della Nuova Politica Economica (NEP) e la pacificazione della classe contadina.

Con una posizione intermedia tra le due precedenti, quella cosiddetta del “socialismo in un solo paese”, Stalin, consapevole del clima ostile a livello internazionale, proponeva l’attuazione di politiche radicali per rafforzare il soviet in patria. Ciò che doveva essere realizzato “in un solo paese”, inoltre, non era più il socialismo contadino che affondava le radici nelle tradizioni della vecchia Russia, bensì quello industriale di Marx. Anche l’appello allo spirito nazionale non era più un appello alla Russia del passato, ma ad un’entità nuova, che avrebbe creato da sola un mondo diverso, sfruttando autonomamente le proprie risorse. Mediante l’industrializzazione, condotta avanti indipendentemente dall’ Occidente, ma con una grande fiducia in se stessa, l’URSS avrebbe

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10 portato a maturazione la rivoluzione socialista, divenendo una grande potenza (Carr, 1958-59, I: 552).

In quegli anni di manovre e discussioni teoriche, Stalin si alleò dapprima con un gruppo, poi con l’altro, mantenendo sempre un basso profilo ed una certa neutralità, ma rinsaldando tacitamente il suo potere e la sua influenza.

Nel 1927 aveva ormai imposto la sua supremazia: al XV Congresso del Partito, svoltosi nel dicembre, furono condannate tutte le “deviazioni dalla linea generale del partito” così come egli la intendeva, approvando una politica di forte sviluppo industriale, che si presentava come abbozzo e preludio dei futuri piani quinquennali.

Bucharin ed i suoi alleati, A. Rykov e M. Tomskij, pur continuando a sostenere la NEP, nel novembre del ’29 avevano ormai perso le loro posizioni nel partito ed arrivarono a ritrattare pubblicamente le loro idee, mentre Trockij fu espulso dall’ Unione Sovietica (Bartlett, 2005: 215-216).

Così, il “montanaro del Cremlino”, come lo avrebbe definito di lì a pochi anni il poeta Osip Mandel’štam, diveniva leader incontrastato.

Le lodi che gli vennero tributate dalla stampa in occasione del suo cinquantesimo compleanno, il 21 dicembre 1929, sono considerate convenzionalmente come il punto di partenza di quel culto della personalità che avrebbe poi caratterizzato il suo regime e sarebbe proseguito fino alla sua morte. E’ sempre in questa occasione che i membri del Comitato Centrale iniziarono ad essere elencati gerarchicamente, invece che in ordine alfabetico, con il

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11 nome di Iosif Vissarionovič Džugašvili che spiccava su tutti gli altri, immortalato alla sommità di una lista che ne sanciva la supremazia.

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CAPITOLO 2

Il programma politico degli anni 1929 - 1934

Appena salito al massimo gradino del potere, Stalin intraprese una serie di misure volte alla realizzazione effettiva dei punti programmatici che aveva elaborato negli anni precedenti.

Per quanto riguarda la politica interna, il sistema pianificato, la cui origine risaliva alla necessità pratica di gestire le imprese espropriate dopo la rivoluzione, si affermò decisamente a partire dagli anni ’20 con il varo del Primo Piano Quinquennale (pjatiletka), che prese avvio nell’ottobre del 1928, ma fu confermato ufficialmente soltanto nel 1929 (Bartlett, 2007: 220). L’idea di industrializzazione forzata prevedeva, in assenza di prestiti dall’estero, l’estrazione di tutte le risorse disponibili dalle campagne attraverso il controllo integrale della produzione agricola, attuabile tramite la creazione di aziende collettive che destinassero la produzione agli ammassi statali. La liquidazione della classe dei kulaki, i contadini medi, e la creazione di aziende sia cooperative (kolchoz) che statali (sovchoz), insieme alla militarizzazione del lavoro operaio e ad un’incessante opera di propaganda, fecero triplicare in pochi anni la produzione industriale, rinvigorendo i progetti di Stalin, ambiziosamente risoluto nel voler far percorrere alla Russia la distanza di cinquanta, cento anni che la separava dagli altri paesi in un lasso di tempo di dieci anni, per non soccombere sotto il loro giogo, come solennemente aveva dichiarato nel magniloquente discorso (Sui

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problemi dell’economia) tenuto alla Prima Conferenza dei

Lavoratori dell’ Industria Sovietica (Stalin, 1951: 32).

Anche durante il Secondo Piano Quinquennale (1933-1937), iniziato dopo la terribile carestia del 1932-33, si ebbe un incremento di questo tipo, mentre la produzione agricola, sacrificata alle necessità del settore secondario e privata di milioni di validi produttori, languiva ai margini del sistema economico (De Bernardi, Guarraccino, 2000: 227), portando al verificarsi di una forte ruralizzazione delle città, con la conseguente introduzione di un sistema di passaporti interni (1932).

Tutto ciò contribuiva a creare le “extra-ordinarie” circostanze della vita quotidiana del periodo staliniano, con il suo carattere allo stesso tempo distruttivo ed utopistico (Fitzpatrick, 1999: 4), che prevedeva in primis la fuoriuscita dall’arretratezza, grazie ad una compartecipazione di tutta la popolazione, sotto le direttive del partito, concepito come l’ avanguardia del proletariato.

La Kul’tura Dva, termine con cui V. Papernyj indica il tipo di cultura dominante a partire dall’avvento di Stalin nel 1929 e caratteristica poi di tutti gli anni Trenta, considerava l’utopia come qualcosa di realizzato: il futuro, quello dello stato socialista, era stato ormai raggiunto, si viveva all’interno di esso, dentro alla realizzazione dell’ideale.

Questa cultura, contrapposta diametralmente al concetto di

Kul’tura Odin, caratteristica, invece, degli anni Venti, poneva se

stessa come termine della Storia, assorbendo dal passato e facendo propri ecletticamente fenomeni e modelli di riferimento anche tra loro diversissimi, con una forte propensione alla produzione di

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14 romanzi e film che evidenziavano come ogni periodo precedente potesse essere considerato prefigurazione dell’attualità.

Gli “attori” principali enfatizzati dalla propaganda erano il vecchio e saggio maestro, punto di riferimento carismatico, ed il bambino suo allievo, istruito secondo i dogmi del socialismo sin dalla più tenera età, in modo tale da poter divenire in tutto e per tutto un perfetto “vir sovieticus”, consacrantesi al lavoro e al

servizio dello stato (Mc Cauley, 1995: 135). Nella Kul’tura Dva si sviluppò anche un forte senso del confine

tra mondo puro ed impuro, anche in termini di nomenclatura (un esempio su tutti: il vrag, nemico del popolo, contrapposto al drug). Tratto fondamentale fu il crearsi di una serie di gerarchie, non solo tra persone, ma anche tra città, con Mosca considerata come centro assoluto di potere, dominante su Leningrado e Char’kov. Per quanto riguarda la struttura della società, l’enfasi posta sulla sopravvivenza eterna degli uomini carismatici, Lenin, in particolare, reso immortale dall’imbalsamazione della salma esposta nel Mausoleo marmoreo sulla Piazza Rossa, si affiancava all’esaltazione dell’incommensurabilità del capo vivente, Stalin, che a sua volta veniva concepito come modello trascendente. Tramite tra il mondo mortale e quello degli dei, capo militare e sommo ideatore e costruttore delle opere pubbliche, egli si identificava nelle funzioni dei capi delle società primitive, cosa che lo rendeva assai più vicino alle masse arcaiche russe. Facendo leva su questo tipo di rappresentazione, seguita anche in architettura con la predilezione dell’utilizzo di costruzioni di tipo stadiale, tipica

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15 delle culture gerarchiche, intendeva infatti convincerle a prendere parte al processo di modernizzazione del paese.

Subito dopo il capo, il vožd’, veniva la serie dei suoi collaboratori, l’apparato, quella nuova classe dirigente formata dai leader emersi dopo la Guerra Civile, uomini dalla forte personalità, condizionati da una visione del mondo prettamente polemologica, in particolare i membri del Politbjuro, i cosiddetti naši voždi (Fitzpatrick, 1999: 30).

Nella cultura degli anni Trenta si poneva ripetutamente l’accento sulla vitalità, la fecondità, il calore: essa si autorappresentava come cultura umana della felicità. Non era più la tecnica meccanizzata a decidere tutto, ma “i quadri”, ovvero i dirigenti del nuovo establishment, così come sostenne Stalin in un noto discorso tenuto il 4 maggio 1935.

Anche il concetto di eroi del lavoro, con l’esaltazione degli esploratori sovietici, immortalati in innumerevoli film dell’epoca, e degli Stachanovisti, rientrava perfettamente in quest’ottica.

L’assunto fondamentale era quello della necessità di riforgiare gli uomini tramite processi di educazione collettiva e mobilitazione, all’interno di un frame che si autoconcepiva come qualcosa di magicamente mitologico, intriso di una laica patina mistica, in un processo di demolizione che allo stesso tempo era concepito come costruzione di un nuovo mondo perfetto (Papernyj, 1996: 309). La vigilanza, le denunce, le cospirazioni, le precarie condizioni di vita del proletariato industriale quanto dei contadini, il commercio al nero, il blat - termine utilizzato per indicare le conoscenze (znakomstva i svjazi) capaci di procurare benefici

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16 materiali, erano tutti fenomeni che si manifestavano come diretta conseguenza di quel nuovo stile di vita imposto alla popolazione dall’alto, creando un divario abissale tra le rappresentazioni veicolate dalla propaganda ufficiale e le condizioni reali.

Per rendersi conto del netto distacco tra la teoria e la pratica, basta pensare all’iconografia dei primi anni Trenta, che immortalava fiorenti e possenti donne contadine, bambini felici, lavoratori instancabili, devoti alla causa del socialismo, simbolo dell’ esaltazione dell’individualità degli eroi di estrazione popolare (Bonnell, 1999 : 36), lontani però anni luce da ciò che si presentava dinanzi agli occhi di chi fosse capitato nelle campagne e nelle città dell’ URSS di quegli anni.

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CAPITOLO 3

L’ambito letterario

Prima della rivoluzione il partito non aveva mai enunciato chiaramente le proprie idee sulla letteratura. Nel pieno di quella del 1905, l’allentamento della censura zarista spinse Lenin a scrivere un articolo, Organizzazione di partito e letteratura di partito, in cui dichiarava che fuori dal partito ognuno poteva essere libero di scrivere a suo piacimento, senza la minima limitazione, ma che il partito era allo stesso tempo libero di escludere dalle sue file chiunque esprimesse opinioni contrastanti.

Egli sottintendeva in questo modo che la letteratura esterna all’organizzazione politica, non tenuta a sottostare ad obblighi o limitazioni, avrebbe potuto continuare ad essere prodotta e pubblicata. Fervente lettore dei classici russi, Lenin non aveva però alcuna teoria sulla letteratura: quando scrisse i suoi articoli su Herzen e Tolstoj si dimostrò più interessato al loro significato sociale che a quello letterario, senza altresì prestare attenzione alle controversie del suo tempo in questo ambito.

Con il decreto del Consiglio dei Commissari del Popolo del 27 ottobre (9 novembre) 1917, immediatamente successivo alla presa del Palazzo d’Inverno, venivano sancite le nuove disposizioni per l’ambito della stampa, che prevedevano la chiusura e l’abolizione di tutti gli organi che si fossero opposti apertamente al governo dei lavoratori e dei contadini, diffondendo false notizie e deformando i fatti secondo un’ottica borghese (Jakovlev, 1999: 12).

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18 Le sorti di giornali, opere, pubblicisti e scrittori iniziarono a dipendere in toto dalla loro appartenenza politica.

Quando scoppiò la rivoluzione al centro del mondo letterario russo presenziavano numerose scuole e movimenti tra loro spesso in contrasto, che si trovavano d’accordo però sul dare maggiore importanza alla forma rispetto al contenuto. La letteratura era basata sull’uso espressivo delle parole, mentre la critica estetica s’interessava ai modi d’espressione.

Simbolisti, acmeisti, futuristi e formalisti sostenevano, ognuno a suo modo, di rappresentare il pensiero “avanzato” in letteratura, ed alcuni tra i loro rappresentanti parteciparono attivamente alla rivoluzione. Era tuttavia difficile vedere come le loro idee potessero inserirsi nell’edificio dottrinale del marxismo o servire le aspirazioni del proletariato.

C’erano, già da prima del 1917, bolscevichi convinti che la dittatura del proletariato avrebbe dovuto sviluppare movimenti letterari propri: opinioni di questo tipo erano state espresse da A. Bogdanov (pseudonimo di Malinovskij), teorico marxista che, con la collaborazione di M. Gor’kij e A. Lunačarskij, nel 1909 aveva fondato una scuola di partito a Capri e successivamente a Bologna, ispirandosi alle teorie dell’empiriocriticismo ed entrando in aspro contrasto con Lenin sul piano filosofico. Egli vedeva la realtà come il frutto dell’organizzazione delle masse lavoratrici: esistono dati empirici che l’uomo trasforma in realtà organica e coerente attraverso il lavoro collettivo, c’è una struttura di comprensione dell’empiria che esiste come tale solo perché tale l’ha resa il lavoro collettivo dell’uomo.

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19 Al momento della rivoluzione, prima dell’ Ottobre, Bogdanov fondò il Proletkul’t, organismo dotato di un Comitato Centrale ed altri comitati gerarchicamente ripartiti ai livelli inferiori, articolato sul territorio alla stregua di un sindacato o del partito stesso, che non toccava né la massa contadina, né la borghesia, rivolgendosi esclusivamente alla classe degli operai e conseguentemente articolandosi in fabbriche, officine e depositi ferroviari.

All’inizio il governo appoggiò il Proletkul’t, che ebbe il momento di massimo favore ed espansione negli anni 1919-1920, permettendo il susseguirsi di grandi congressi, che si avvalevano della partecipazione di personalità molto conosciute ed influenti in ambito artistico.

Già dal 1921, per volere di Lenin, che considerava le idee di Bogdanov assurdità utopistiche, il Proletkul’t divenne una semplice rete di circoli che avrebbe dovuto limitarsi a mantenere viva la diffusione della cultura tra i lavoratori, perdendo qualsiasi altro tipo di rilevanza.

Dalle ceneri di questa organizzazione, che non era mai stata di per sé un movimento letterario, nacque il gruppo della “Fucina” (Kuznica), nome scelto per identificare la funzione della letteratura con quella di un’officina proletaria, che accolse i poeti più talentuosi, eredi dello slancio cosmico - mistico degli ex simbolisti e pubblicò un manifesto, definito come “la bandiera rossa della dichiarazione programmatica dell’arte proletaria”. Questo gruppo, dopo una conferenza preliminare svoltasi nel maggio del 1920, contribuì a convocare nell’ottobre dello stesso anno un Congresso

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20 degli Scrittori Proletari, che fondò la VAPP (Associazione Panrussa degli Scrittori Proletari).

Quest’ultima si presentava come scheggia settaria del

Proletkul’t, secondo cui il proletariato sarebbe stato in grado di

costruire la letteratura del futuro solo scrivendo ciò che veniva stabilito a priori dal partito comunista. La VAPP era nota per le sue forti campagne ideologiche e per la dubina, il randello con cui metaforicamente venivano puniti gli avversari ideologici che si distanziavano dalla linea dogmatica ufficiale.

Il 1921 fu decisivo, oltre che nel campo economico segnato dal varo della NEP, in quello letterario, in cui apparve la possibilità di un recupero dei valori e delle tradizioni letterarie prerivoluzionarie. Nel febbraio di quell’anno dodici giovani scrittori di origine borghese formarono il gruppo dei “Fratelli di Serapione”, nome tratto da un racconto di Hoffmann, a significare la comune fedeltà all’arte, indipendente da una comune fede politica (Carr, 1958-59: 50). Erano fermi sostenitori del principio di continuità, in opposizione sia ai futuristi, che ai membri della “Fucina”: il loro scopo era quello di farsi portatori di una corrente letteraria già esistente, costruita seguendo l’esempio dei grandi classici della letteratura occidentale e russa. Erano sostenuti dalla rivista “Krasnaja Nov’” diretta da A. K. Voronskij, dalle case editrici Krug e “Vsemirnaja Literatura” e, in particolar modo, da Lev Trockij, che nella successiva polemica sorta a causa del loro lavoro li definì “compagni di strada artistici della rivoluzione” (Trockij, 1923: 41),

poputčiki. I Serapionidi erano persone senza passato

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21 comunista, accettavano la rivoluzione come evento storico del loro paese: rientravano sotto l’etichetta di specy, specialisti provenienti dalle file della ex-borghesia adesso collaboratori del nuovo regime, inclusi nell’establishment a partire dal tempo del comunismo di guerra come esperti militari, poi come professionisti nell’ambito dell’amministrazione e della direzione industriale.

Il 1921 fu anche l’anno del varo della Casa Editrice di Stato, il

Gosizdat, anche se fu solo molto più tardi che questo organo

assunse il monopolio della stampa.

In luglio, a Praga, avvenne la pubblicazione da parte di un gruppo di emigrati, del volume di saggi Smena Vech, argomento portante del quale era la riconciliazione tra il regime sovietico e gli emigrati russi dei regimi precedenti, ovvero quegli intellettuali che non accettavano il comunismo come prospettiva politica pur ammettendo la vittoria bolscevica e la sua conseguente capacità di ricostituire una sorta di unità nazionale ed un assetto stabile. A partire da ottobre apparve ed uscì regolarmente a Parigi per un certo periodo un giornale con lo stesso titolo e con l’esposizione di idee analoghe.

Un altro movimento dell’intelligencija di quegli anni, lo scitismo, fu una sorta di neoromanticismo dalle tinte slavofile, che si rifaceva all’anarchismo costruttivo inteso come mezzo per ridare vigore all’ormai decadente mondo occidentale, attraverso l’esaltazione di figure eroiche di banditi e contadini.

Lo scitismo influenzò in parte un’altra importante corrente, quella degli euroasisti, un gruppo di emigrati che, sempre nel 1921, pubblicò a Sofia una raccolta di saggi dal titolo Uscita verso

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Oriente, secondo le cui tesi la specificità della Russia andava

ricercata nel fatto di essere Eurasia, ovvero portatrice della cultura della steppa, figlia dell’invasione tataro - mongola, popolo nomade di conquistatori e guerrieri che si affidavano ad un capo. Gli euroasisti vedevano il bolscevismo come la rivitalizzazione di quella che un tempo era stata un’aristocrazia guerriera, e volevano aiutare il nuovo regime a liberarsi dagli influssi europei, in vista dell’enfatizzazione delle radici nazionali e di un capo carismatico. Gli ex futuristi, guidati da Vladimir Majakovskij, si raccolsero nel LEF (Levyj Front Iskusstv - Fronte sinistro delle arti), che univa le tendenze di un certo cubofuturismo che enfatizzava il rinnovamento formale con tensione pseudoscientifica a quelle della necessità di innovazione portate dall’influenza dei proletkul’tisti. Oltre a queste associazioni di nuova formazione, convivevano, pubblicando per lo più all’estero, gli autori che già erano stati attivi molti anni prima del rivolgimento culturale e che durante la Guerra Civile si erano schierati dalla parte dei bianchi.

Nell’agosto del 1922, in occasione della XII Conferenza del Partito, in base alla mozione di Zinov’ev venne approvata la risoluzione Sui partiti e le tendenze antisovietiche, portatrice di costruttive raccomandazioni pratiche, secondo le quali il partito avrebbe dovuto trarre vantaggio dal progresso di divisione cominciato all’interno dei gruppi antisovietici, avvicinandosi ad ogni gruppo che adesso mostrasse il minimo sincero desiderio di contribuire alla causa del nuovo stato operaio e contadino.

L’anno 1922 fu l’ultimo in cui apparvero alcune pubblicazioni di aperta opposizione al regime sovietico, tra cui la rivista teorica

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23 capitalista “Ekonomist” e l’almanacco “Šipovnik”, dopo di che queste voci ostili si spensero ed i loro responsabili si recarono in esilio volontario.

Da questo momento la critica, strumento guida degli artisti, iniziò a manifestarsi assieme ad un’altra forma di censura, che più tardi sarebbe divenuta basilare: il ritiro dalla circolazione di pubblicazioni che in un primo momento erano state accettate dal partito o da altri organi ufficiali, ma che per qualche ragione non venivano più ritenute ortodosse (Carr, 1958-59: 62).

Negli anni successivi alla rivoluzione, proliferò sin da subito la creazione di unioni (sojuzy), volte a raggruppare tra loro autori con le stesse caratteristiche letterarie.

Prima fra tutte, sorse la Sojuz dejatelej chudožestvennoj

literatury, nata grazie al supporto di personalità di spicco quali

Gor’kij, Blok, Gumilev, con lo scopo di aiutare coloro che si volevano avventurare nel mondo letterario e supportare chi già ne faceva parte. Essa ebbe però vita breve a causa di dissensi interni. Nello stesso anno, il 1918, si crearono l’Unione Panrussa dei Poeti (1918-1929), che riuniva sotto di sé rappresentanti di varie scuole e contribuiva alla pubblicazione di almanacchi e raccolte, e l’Unione Panrussa degli Scrittori, con doppia sede a Mosca e Pietroburgo.

Nel 1919, a Pietroburgo, ci fu l’apertura della Casa delle Arti (1919-1923), alla quale succedettero quelle della Casa dei Letterati e della Casa degli Scienziati, rifugi ricavati all’interno di antiche sontuose abitazioni grazie a cui gli esponenti dell’intelligencija

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24 leningradese trovarono riparo e non furono travolti dai flutti rivoluzionari.

Nel 1921 si costituì l’Unione Panrussa degli Scrittori Contadini (VOKP), che si proponeva di descrivere la vita quotidiana di questi ultimi nelle sue minime sfaccettature, a partire dal lato sociale fino a giungere a quello economico.

La successiva evoluzione delle dinamiche in ambito artistico venne influenzata dalla risoluzione del Politbjuro del 18 giugno 1925 (Sulla politica del partito in ambito letterario), che lasciava spazio alla pluralità di opinioni e ai dibattiti tra le varie associazioni, ma sottolineava il fatto che il ruolo di guida avrebbe dovuto essere della classe lavoratrice in generale, con le sue risorse intellettuali e materiali: il partito avrebbe dovuto impegnarsi per far sì che gli scrittori proletari si creassero il diritto storico che avrebbe loro concesso di guadagnarsi l’egemonia anche nel campo delle arti, necessaria per la creazione di una letteratura di massa, comprensibile al contadino, all’operaio ed alla classe lavoratrice tutta (Jakovlev, 1999: 57).

Nel dicembre di quell’anno si creò la RAPP (Associazione russa degli scrittori proletari), che negli anni ’30 avrebbe costituito il gruppo dominante, con segretario Leopol’d Averbach e con gazzetta ufficiale “Na literaturnom postu”, già organo dell’ ormai ex gruppo letterario Oktjabr’ (1922-1925).

Il 27 dicembre 1926, in occasione di un’assemblea fatta riunire per volere di VAPP, VOKP e VSP, venne creata la FOSP (Federazione dell’ Unione degli Scrittori Sovietici), al fine di riunire quei diversi gruppi di scrittori accomunati dal desiderio di

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25 partecipare attivamente alla costruzione dell’URSS attraverso la letteratura, considerata come uno degli strumenti più efficaci per raggiungere la meta di una completa realizzazione del socialismo. L’organo più importante della FOSP era il Soviet della Federazione, coadiuvato dai suoi apparati esecutivi, il Presidium e il Segretariato, formati da una quantità diversa di rappresentanti di ogni organizzazione. Ciascun gruppo letterario che entrava a far parte della federazione conservava nominalmente una piena autonomia nei campi letterario, artistico ed ideologico, tuttavia lo Statuto sottolineava il ruolo guida delle organizzazioni letterarie proletarie come avanguardia della letteratura sovietica.

Lo scopo che si ponevano i membri della FOSP era quello di creare una piattaforma comune per i gruppi che la componevano sulla base della risoluzione del Comitato Centrale del Partito del giugno del 1925. Oltre a VAPP, VOKP e VSP entrarono a farne parte successivamente anche i membri di LEF, della Fucina, del gruppo Pereval (1923-1932), e del Centro Letterario dei Costruttivisti (1922-1930), secondo cui l’arte avrebbe dovuto essere concepita come una serie tecniche da fondere con la vita.

Il primo Congresso degli scrittori proletari dell’ URSS, tenutosi nel 1928, sancì una riorganizzazione interna della VAPP e l’unione delle associazioni proletarie delle repubbliche nazionali all’interno della VOAPP (Unione delle Associazioni di scrittori proletari dell’URSS), a capo della quale fu posta la RAPP, invitata tra l’altro ad ampliare i suoi orizzonti, cercando di includere nelle sue file anche i contadini e l’intelligencija, persuadendoli a condividere la visione del mondo del partito comunista.

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26 Attraverso gli anni che vanno dal 1929 al 1934 si snoda il percorso che portò al punto d’arrivo della politica del partito, evidenziando l’evoluzione di un progetto scaturito da una concezione della quotidianità che non prevedeva pluralità di pensiero e che sistematicamente lo incanalava verso l’unica meta possibile: la creazione dell’ Unione degli Scrittori Sovietici (SSP SSSR).

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CAPITOLO 4

“Literaturnaja Gazeta”

La Storia

Ogni gruppo letterario esprimeva le proprie vedute sulle colonne di un determinato organo di stampa, ed il 28 giugno 1928 il

Politbjuro del partito comunista dei bolscevichi pubblicò una

disposizione Sull’edizione della Literaturnaja Gazeta, in cui approvava la decisione dell’ Orgbjuro che prevedeva la pubblicazione di un settimanale letterario ufficiale come organo della Federazione degli Scrittori Sovietici (FOSP), in sostituzione di “Čitatel’ i Pisatel’”, la gazzetta pubblicata dal Gosizdat (Jakovlev, 1999: 84).

Fu così che il 22 aprile 1929 uscì il primo numero del giornale di propaganda ufficiale del partito comunista in ambito letterario, il cui nome riprendeva quello della rivista uscita a Pietroburgo tra il 1 gennaio 1830 e il 30 giugno del 1831.

Pur avendo ricevuto l’ordine di glissare su argomenti che esulassero dalla sfera artistica, questa prima “Literaturnaja Gazeta” si occupava anche di questioni politiche all’interno di articoli di critica, recensioni e note polemiche.

Il suo primo direttore, il poeta A. A. Del’vig, dopo aver ricevuto due richiami per la pubblicazione di materiale legato alla Rivoluzione Francese, fu allontanato dall’incarico, lasciando il posto al giornalista e critico letterario O. M. Somov. Tra i

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28 collaboratori presenziarono perfino Gogol’ e Puškin, che vi pubblicò, tra gli altri, anche un passaggio dell’ottavo capitolo dell’

Evgenij Onegin.

Il giornale fu nuovamente sul mercato dal 1840 al 1849, redatto dal famoso editore A. A. Kraevskij, con il sottotitolo “Notizie di scienza, arti, letteratura, teatri e mode”. Uscì inizialmente due, tre volte a settimana, per poi tramutarsi in settimanale, avvalendosi in questo periodo dei contributi di V. G. Belinskij e N. A. Nekrasov. La “Literaturnaja Gazeta” dell’epoca stalinista inizialmente non si identificava con la rivista omonima che l’aveva preceduta, tanto che fino al 1990 si continuò a considerare il 1929 come anno di fondazione.

Al giorno d’oggi, invece, si tende ad accentuare la continuità tra le due riviste, tanto che l’organo di stampa, sul suo sito internet ufficiale (vedi: www.lgz.ru), vanta al 2014 il primato di pubblicazione periodica russa più antica, avendo festeggiato il primo gennaio 2014 i 185 anni dalla fondazione ed in aprile l’ottantacinquesimo anno di pubblicazione ininterrotta.

Nel XX secolo la rivista venne pubblicata inizialmente grazie al contributo di M. Gor’kij e di I. I. Kataev come organo ufficiale della FOSP, con lo scopo di introdurre nel campo della letteratura il principio di libera competizione tra i diversi raggruppamenti e tendenze, per poi tramutarsi progressivamente in portavoce dell’ Unione degli Scrittori Sovietici, a partire dal Primo Congresso del 1934.

Dal gennaio 1942, come risultato dell’unione con la gazzetta “Sovetskoe iskusstvo” (Arte Sovietica), fu redatta con il titolo

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29 “Literatura i iskusstvo” (Letteratura e arte), per poi acquisire di nuovo il nome originale dal novembre del 1944.

Nel 1947 LG (abbreviazione di “Literaturnaja Gazeta”) da rivista prettamente letteraria venne ad includere anche articoli di argomento generale e politico.

Dal 1 gennaio 1967 iniziò ad uscire nella versione ampliata, che prevedeva una lunghezza di 16 pagine per ciascun numero, acquisendo non solo un nuovo aspetto grafico, ma anche divenendo una delle edizioni più autoritarie ed influenti, uno dei primi giornali di spessore del paese, che spaziava dai temi riguardanti la vita comune a quelli di politica interna ed estera, a quelli, chiaramente, artistici, presentandosi come uno dei giornali maggiormente ricco di discussioni tra diversi punti di vista.

Il crescente successo del giornale negli ultimi decenni del secolo veniva confermato anche da rilevanti dati statistici, quale, ad esempio, quello attestante il superamento dei 6 milioni di copie di tiratura alla vigilia del 1990.

Adesso esso viene distribuito, oltre che in tutta la Russia, anche tra tutti coloro che, pur vivendo all’estero, sono desiderosi di mantenere un legame spirituale e culturale con il loro paese d’origine: tra le sue righe si può ancor oggi costantemente trovare l’espressione di una spiccata tendenza conservativo - patriottica.

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Il primo numero

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Il primo numero di LG, uscito lunedì 22 aprile 1929, mostra tutti i tratti caratteristici della pubblicazione.

La testata, posta al centro della prima pagina, è affiancata sulla destra dalle informazioni pratiche (prezzo - inizialmente di 5 copeche, per poi salire negli anni successivi a 10 e poi a 20, contatti della redazione, delucidazioni sui vari tipi di abbonamento) e sulla sinistra il breve indice degli articoli più importanti presenti nel numero (V nomere), sovrastato dallo slogan del partito bolscevico, “Proletari di tutti i paesi, unitevi!” (Proletarii vsech stran,

soedinjajtes’!), citazione dal Manifesto del Partito Comunista di

Marx ed Engels del 1848.

Il giornale si autoidentifica come Organo della Federazione dell’ Unione degli Scrittori Sovietici.

Inizialmente si presenta come settimanale, per poi uscire ogni cinque giorni a partire dal numero 63 del 30 giugno 1930, ogni due a partire dal numero 318 del 16 gennaio 1934 ed eccezionalmente ogni giorno nelle due settimane di durata del Primo Congresso dell’ Unione degli Scrittori (17.08.34 – 03.09.34).

Ogni pubblicazione viene identificata con due numeri: quello relativo all’uscita durante l’anno in corso e quello relativo all’uscita rispetto al primo numero assoluto. Una curiosità sta nel fatto che

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31 dal numero 41 (269) del 5 settembre 1933 si passò al successivo 42 (297), con un errore di stampa che sballò la numerazione rispetto al primo numero assoluto di 27 unità. Un errore analogo si verifica anche nel passaggio diretto dal numero 27 (342) al 28 (344), del marzo dell’anno successivo.

La lunghezza standard è di quattro pagine, che giungono a sei soltanto nei casi di particolari celebrazioni, commemorazioni o avvenimenti inaspettati, ed a otto nei giorni del suddetto Congresso. L’articolo di apertura, Gazeta Pisatelej, in modo solenne dichiara che la gazzetta inizia ad uscire in un’epoca di stressante costruzione socialista, in cui tutte le forze dei lavoratori dell’ Unione Sovietica sono indirizzate verso il rinnovamento di un’economia arretrata, che necessita un cambiamento che la renda pianificata e socialista.

Tutte le forze avanguardistiche del paese e del partito sono rivolte verso una lotta costruttiva, con lo scopo di rinnovare in toto sia l’ambito contadino che quello industriale, opponendosi ai residui di capitalismo che ostacolano il conseguimento della vittoria finale (nepman, speculatori, burocrati, kulaki).

Si lamenta il fatto che la massa di popolazione sparsa sull’enorme superficie dell’Unione, nei luoghi più remoti e lontani dai centri di potere, non possegga neanche gli strumenti di educazione più basilari per contribuire, insieme all’élite del partito e alle frange più istruite, ad una consapevole lotta per la costruzione del socialismo. Proprio per sopperire a tale mancanza anche la comunità degli scrittori ha il dovere morale di partecipare a questo movimento onnipervadente di costruzione, rivolgendosi

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32 direttamente alle masse in modo tale da poter loro fornire un’adeguata istruzione, incanalata secondo i dogmi bolscevichi. “Liternaturnaja Gazeta” nasce dunque per essere una sorta di manuale guida per questi scrittori: manuale che aiuti tanto loro quanto gli esponenti della critica a comprendere la realtà che li circonda ed a trovare in essa il loro ruolo, posto e significato. Non si propone di prediligere un gruppo rispetto ad altri, ma di correggere allo stesso modo gli errori ideologici in cui ciascuno di essi potrebbe incorrere, cercando di inserirli nuovamente all’interno delle regole e della visione del mondo giusta, favorendo una corretta competizione tra un’organizzazione e l’altra.

LG vuole contribuire a creare un tipo di scrittore che tenda ad innalzare costantemente il suo livello culturale, che sia disposto anche a spostarsi, a lavorare sul campo, osservando da vicino la vita dei lavoratori, primo passo per un avvicinamento tra due sfere della popolazione di per sé diverse, verso un’unificazione ed un livellamento della società tesi verso un futuro di uguaglianza (LG, 22.04.29: 1). Questo il contenuto della peredovaja stat’ja, l’articolo di apertura del giornale, quello programmatico, generalmente anonimo, esprimente il pensiero della redazione.

E’ un articolo che si inserisce in toto nell’ideologia coeva, sia per quanto riguarda la composizione che i contenuti. La ridondanza con cui nella seconda colonna viene ripetuto ben quattro volte, all’inizio di ogni paragrafo, il nome del giornale, seguito in ogni caso da una diversa funzione del suo futuro operato, ricorda i modi della retorica staliniana, ripetitiva fino all’eccesso sui termini

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33 chiave, posti enfaticamente all’inizio del discorso, in posizione privilegiata.

Il restante spazio della prima pagina è dedicato alle notizie di politica estera, nella sezione centrale, ed alla commemorazione di Vladimir Il’ič Lenin, del quale appare un imponente primo piano, a destra, in occasione dei 59 anni dal giorno della nascita.

La seconda pagina contiene la pubblicazione di poesie e racconti, ed una sezione dedicata alla discussione tra scrittori (Tribuna pisatelja), alla polemica con la critica e ai commenti sulle varie dichiarazioni fatte dalle organizzazioni culturali.

La terza, oltre ad avvalersi della sezione dedicata alla corrispondenza tra autori (Perepiska pisatelej) e di articoli concernenti la missione di documentazione degli scrittori nelle fabbriche ed una sessione sui progetti delle varie organizzazioni culturali (Po literaturnym organizacijam), presenta anche vignette satiriche sui vari personaggi di spicco del mondo letterario, mentre nella quarta sono registrate le novità dei libri in uscita (O novych

knigach) e di quelli ritirati invece dalla stampa (Vyšli iz pečati),

insieme ad una serie di slogan pubblicitari, ovviamente tutti concernenti l’ambito letterario.

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Le tematiche

Presentandosi come portavoce ufficiale del regime, LG pone l’accento sugli argomenti ad esso più cari, quando esula dalle dissertazioni prettamente letterarie che ne costituiscono l’essenza principale. Questo porta ad una ripetizione quasi ossessiva di tematiche che si presentano con un’alta frequenza ed all’utilizzo di una retorica standardizzata, che fa leva quasi sempre su pochi concetti.

Grande importanza è attribuita alla celebrazione degli eventi cardine della storia sovietica, in particolare l’ 8 marzo, festa della donna, il 1 maggio, giorno dei lavoratori, e il 7 novembre (25 ottobre), anniversario della Rivoluzione d’Ottobre del 1917.

Oltre alle festività nazionali, ampio spazio è spesso dedicato alle commemorazioni di personalità del passato, primo tra tutti Lenin, la cui nascita e morte sono celebrate annualmente con epiteti solennemente grandiosi.

Anche alla contemporaneità viene attribuito un posto di prim’ordine, in special modo agli autori esteri in qualche modo legati all’ URSS, per i quali frequentemente si organizzavano visite ufficiali. Tra i più menzionati nel corso degli anni 1929-1934 si possono ricordare André Gide, Romain Rolland, John Dos Passos, Anatole France, Henri Barbusse, Panait Istrati, André Malraux, Herbert Wells, Paul Valéry, Thomas Mann, Erich Maria Remarque, James Joyce.

Notevole attenzione viene rivolta ovviamente ad autori del passato, recente o meno, non solo russi, ma anche stranieri, sia in

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35 ambito letterario che delle arti visive, in un proliferare di anniversari di nascite, morti, centenari dall’ inizio delle pubblicazioni o dalle realizzazioni delle opere più importanti. Renoir, George Sand, Diderot, Stendhal, Voltaire, Leonardo da Vinci, Flaubert, Shakespeare, Goethe, figurano tra i nomi di spicco. Tra i grandi autori classici della letteratura nazionale, invece, i più ricordati sono Puškin, Lermontov, Tolstoj, Dostoevskij, Turgenev, Gogol’ e Čechov, dei quali si pubblicano regolarmente pezzi inediti, lettere ed aneddoti di vita.

Anche la morte di personalità artistiche o politiche coeve riveste un ruolo da protagonista all’interno della gazzetta. L’improvviso decesso di Vladimir Vladimirovič Majakovskij, il poeta cantore della rivoluzione suicidatosi il 14 aprile del 1930, a cui fu dedicata l’unica ekstrennyj vypusk (edizione speciale) dei primi sei anni di pubblicazione, rientra pienamente in quest’ambito. Essa uscì il 17 aprile, in un’edizione di quattro pagine interamente dedicate alla memoria dell’artista, che sarebbe poi entrato a far parte del Pantheon degli autori sovietici.

Altro esempio importante, la morte di Anatolij Vasil’evič Lunačarskij, storico Commissario del Popolo all’Istruzione, avvenuta il 28 dicembre 1933 ed annunciata a partire dal giorno successivo sulle colonne del giornale (LG n° 60, 29.12.33), o la notizia, ancor più improvvisa, dell’assassinio di Sergej Mironovič Kirov, principale esponente del partito a Leningrado, avvenuta alle ore 16.30 del 1 dicembre 1934.

Questo evento, svoltosi in circostanze non troppo chiare, occupò le colonne dei numeri di inizio mese (LG n° 161, 162, 163, 164,

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02-36 04-06-08.12.34), coinvolgendo anche una variazione nell’impaginazione, con rappresentazioni di segni grafici di lutto. In primis, una bordatura nera come contorno della prima pagina, o bandiere del medesimo colore affiancate agli articoli e all’intestazione.

Ancora su questa tematica, un esempio rilevante è quello relativo alla morte del poeta sovietico Eduard Georgevič Bagrickij (pseudonimo di Dzjubin), avvenuta il 16 febbraio 1934, all’età di trentasette anni, a causa di un’asma che lo affliggeva sin dalla nascita.

Dopo aver militato tra le file del Kollektiv Poetov, gruppo che radunava i giovani poeti di Odessa, sua città di provenienza, ed aver combattuto durante la Guerra Civile nell’Armata Rossa contro i Bianchi, aveva iniziato a lavorare nella Jugorosta, la filiale odessita dell’ Agenzia Telegrafica Russa, pubblicando poesie in giornali e riviste della città. Nel 1925 si era trasferito a Mosca, unendosi a

Pereval e successivamente ai costruttivisti ed alla RAPP, a partire

dal 1930.

Il numero 19 (334) di LG è completamente dedicato allo scrittore, che si era formato sulle note del comunismo sin dai tempi

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37 dell’Ottobre ed aveva visto nella rivoluzione un riscatto della libertà contro le oppressioni del vecchio mondo.

Sulle pagine della rivista è esaltato quale uno tra i massimi rappresentanti in ambito poetico, compagno capace di trasmettere il pathos rivoluzionario attraverso i suoi versi, che sembrano avere dentro sé il ritmo del bolscevismo.

La descrizione postuma più toccante è rintracciabile in particolare nell’ articolo di Viktor Šklovskij, che lascia trasparire la vera essenza del poeta, il quale, pur essendo relegato dalla malattia a dover rimanere isolato ed a relazionarsi con il mondo soltanto attraverso la radio, non aveva smesso di trasmettere tramite i suoi versi il suo attaccamento alla vita, senza mai lasciar trapelare parole sul dolore, con un ottimismo che lo incoronava vincitore anche sulla morte.

Dice Šklovskij : “150 scalini dividevano la sua stanza dal mondo, con cui era in contatto soltanto attraverso le cuffie, via radio; parlava con gli amici tramite un ricevitore, la sua voce era lontana, smorzata. Amava il sole, il sud, le angurie, gli uccelli, il mare, la primavera, ed era tenuto lontano da essi dalla malattia e dalle scale. Nella sua stanza teneva pesciolini che nuotavano nell’acqua azzurra, illuminata e riscaldata da lampadine. Una piccola pompa portava ai pesci ciò che mancava ad Eduard: l’aria. Essi erano l’ultima forma di vita che si poteva osservare dal divano. (…)

Eduard Bagrickij è morto da vincitore. E’ morto soffocato dalla malattia, ma non ha scritto né di essa, né del dolore, né della paura della morte. Guardava il mondo attraverso lo stroboscopio del cuore

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38 e riusciva a distinguervi la felicità. Leggete i suoi versi: non ha mai cambiato la sua strada. Non si è mai abbandonato alla la disperazione, non ha mai trasmesso il suo dolore o le sue paure a chi lo circondava. Rallegrava le persone, insegnava loro a prendere la vita alla leggera, senza mai accennare a come l’asma lo stesse divorando. (…)”

Una descrizione simile è data anche nel breve articolo di Michail Golodnyj, secondo cui Bagrickij era simile ai suoi stessi versi (“al mare, al sole, ad un giorno afoso nella steppa ucraina”): un uomo brillante ed al tempo stesso responsabile di fronte ai suoi doveri di bolscevico, degno insegnante dei valori rivoluzionari per le generazioni a venire.

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Parole ed espressioni ricorrenti

In tutti i numeri da me analizzati una delle particolarità che più saltano agli occhi è la ridondanza con cui si presentano certe espressioni. La ragione di essa può essere spiegata facendo un breve excursus sulla retorica d’impronta staliniana utilizzata nelle campagne ideologiche di mobilitazione e normalizzazione guidate dal partito, bussola e giroscopio interiore capace di indirizzare ciascuno verso il giusto orientamento.

Stalin in persona, come scrittore di discorsi e trattati, si configura come un appassionato dell’utilizzo di tautologie (Vajskopf, in: Gjunter, Dobrenko, 2000: 675), discorsi logici che tornano su se stessi, domande retoriche a cui si danno risposte pseudo-argomentative, tipiche dei testi catechistici o in quelli sciamanici. Ricordiamo a questo proposito che negli anni della gioventù egli aveva frequentato, grazie all’ottenimento di una borsa di studio, il seminario teologico ortodosso a Tbilisi.

Oltre ciò, iperboli, dinamiche stadiali fatte di accumulazioni di termini pressoché tra loro sinonimici e metafore contribuiscono a creare un tipo di linguaggio estremamente formalizzato, intriso di un alto grado di prevedibilità e stabilità.

Avverbi come “invariabilmente, costantemente, continuamente”, configurantesi come epiteti stabilizzatori, si affiancano all’utilizzo di verbi in coppia, che sottolineano anch’essi il concetto di immutabilità nel tempo: un esempio su tutti, la frase “il Partito era e rimane” (partija byla i ostaëtsja), che meglio delle altre concentra

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40 l’attenzione sul carattere statico del partito nella società post-rivoluzionaria.

Tra i tipi di metafore maggiormente utilizzate presenziano quelle che fanno perno sullo sdoppiamento, che è spesso realizzato attraverso l’affiancamento di un concetto positivo ad uno negativo, oppure quelle che sottolineano il ruolo predominante del partito rispetto alle altre frange della società (es: convoglio - società che richiede la presenza di una guida – il partito).

La retorica staliniana divide il mondo in due campi, quello del “proprio” e quello dello “straniero, esterno”: alla prima sfera semantica sono da ricondurre termini con accezione positiva quali “internazionalismo”, “cittadinanza”, “patto”, alla seconda termini con accezione negativa quali “cosmopolitismo”, “sudditanza”, “accordo sottobanco” e così via.

Al nemico si fa sempre riferimento con frasi impersonali o spersonalizzanti, che tendono a renderlo anonimo, come: “ci sono

persone, le quali...”, “esiste un punto di vista tale che…”, “alcuni

possono obiettare che…”.

Interessante risulta anche l’uso delle virgolette enfatiche, che indicano sempre una malcelata ironia nei confronti degli oppositori: spesso ci si imbatte nel termine “compagno/i” virgolettato, a simboleggiare l’anomalia della posizione assunta dal personaggio/i in questione.

Allo stilema tipico domanda – risposta, che si avvale della ripetizione continua di ridondanti domande retoriche, si unisce la presenza di sintagmi fissi, quali “nemico di classe” (klassovyj vrag) o “nemico del popolo” (vrag naroda): l’attenzione alla forma che il

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41 linguaggio viene ad assumere ha un’importanza capitale ed un suo errato utilizzo può portare anche alla condanna dello scrivente. La dinamica stadiale consiste in un accumulo di termini: c’è un punto d’inizio che torna poi su se stesso configurandosi anche come fine, passando attraverso dei moduli che possono essere organizzati come rafforzamento progressivo, in genere ternario, che segue lo schema “analogia – variante – totale identificazione”. Come nel meccanismo delle favole a catena identificato da Vladimir Jakovlevič Propp, da un evento iniziale che apparentemente sembra poco rilevante iniziano a svilupparsi concetti ed avvenimenti più importanti.

Per rendersi conto di come questi metodi di esposizione venissero utilizzati, basta visionare il testo del discorso tenuto da Stalin alla Prima Conferenza dei Lavoratori dell’ Industria (Stalin, 1951: 29-42) il 4 febbraio 1931.

Qui il vožd’ inizia enunciando un assioma universale, secondo il quale “chi rimane indietro viene picchiato”, che viene fatto seguire da una serie di complesse catene logiche che conducono a loro volta ad una formula generale (“non si può rimanere indietro”). La necessaria conclusione a cui si giunge tramite metafore sportive e polemologiche è l’enunciazione della concrezione pratica secondo cui la Russia avrebbe dovuto percorrere in dieci anni la distanza di cinquant’anni che la allontanava dai paesi industrializzati, al fine di non essere schiacciata da essi, seguita da nuove catene logiche incentrantesi sempre su altri concetti chiave che si avvicendano, come quello di responsabilità (obstojatel’stvo).

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42 La conoscenza che emerge da queste pagine è di tipo visionario: le tesi enunciate sono giuste a priori, c’è un’entità astratta portatrice della verità che si palesa nel testo identificandosi con soggetti intercambiabili, quali “il popolo, io/Stalin, noi, il partito”, tutti allo stesso modo degni di fede.

Spesso Stalin ricorre ad una demonologia contadina presentata in versione modernizzata che fa appello alle grandi masse basandosi su concetti derivanti dal folclore popolare comprensibili da tutti, veicolati però attraverso il nuovo tipo di retorica di partito, arma in grado di mostrare la rotta da seguire, configurantesi come una sorta di “Grazia” laica.

Negli anni del Primo Piano Quinquennale, durante il periodo “proletario-sociologico” dello stalinismo, il proletariato viene considerato come attore principale: nell’ottica del vožd’ si sviluppa la teoria dell’intensificazione progressiva della lotta di classe, concetto tanto più forte e valido quanto più ci si avvicina alla piena realizzazione del socialismo, quando le frange residue di nemici aumentano il tasso criminale della loro opposizione.

Tale lotta deve essere condotta anche sul piano della scrittura: i gruppi sociali meno istruiti nell’ottica partitica hanno bisogno di tempo per capire cosa stia facendo lo stato per loro nel presente, in quanto, secondo la visione materialista, la coscienza ritarda sempre sull’attività pratica. Lo stato e il suo apparato devono dunque prendere in mano le redini della situazione e guidarli passo per passo.

Lo stile del capo si riflette chiaramente anche nella narrativa e nel giornalismo contemporanei, che si avvalgono degli stessi

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43 termini, degli stessi concetti, e, di conseguenza, della stessa ridondanza.

Di seguito, l’elenco delle parole ed espressioni presenti in modo più assiduo nei numeri di LG da me esaminati, contestualizzate nella visione del mondo del partito.

Nostro (naš): aggettivo forse più ripetuto in assoluto, fa perno sul più ampio concetto della dicotomia tra i due ambiti del proprio (svoë) dello straniero (čužoe) sottolineando la peculiarità, la supremazia, l’essere migliore di tutto ciò che appartiene all’ Unione Sovietica.

E’ così che i “nostri scrittori, nostri bambini, nostri leader, nostri artisti” e così via vengono ad inserirsi all’interno di una vera e propria sfera semantica che preclude l’ingresso a tutto ciò che non si può configurare come sovietico.

Espressioni come “Solo da noi tutto questo è possibile” (Tol’ko

u nas vozmožno vsë eto) sono all’ordine del giorno: svettano come

titoli di articoli che evidenziano l’eccezionalità, l’esemplarità del mondo socialista.

Un articolo intitolato così compare, ad esempio, nel n° 97 (413) del 2 agosto 1934, dove si racconta in termini entusiastici come soltanto in Russia si sia verificata una partecipazione della classe contadino - proletaria all’apprendimento letterario, grazie alla forte vicinanza, anche materiale, agli scrittori di professione, inviati a documentare la vita delle fabbriche e delle campagne.

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44 Alleato – amico – compagno (Sojuznik, drug, tovarišč) oppure

nemico di classe (klassovyj vrag): due categorie tra loro agli antipodi, sempre riconducibili al concetto di lotta di classe.

“O con il partito, o fuori dal partito”: una scelta da compiere all’interno di un conflitto volto a sconfiggere del tutto l’altro, anche a costo di eliminarlo fisicamente, in vista dell’ottenimento di una vittoria finale completa, incontrastata.

La lotta (bor’ba) per il raggiungimento di quest’ultima si inserisce come ulteriore leitmotiv ideologico, dando vita ad una lunga serie di metafore polemologiche.

Di seguito, due estratti, rispettivamente dal n°32 (69) del 30 giugno 1930 e dal n°163 (479) del 6 dicembre 1934).

Pro o contro (za - protiv): la maggior parte degli articoli inizia con una di queste due preposizioni, anch’esse tra loro diametralmente opposte. E’ quasi incredibile poter pensare che l’intera realtà e tutte le sue sfaccettature fossero percepite rigorosamente in bianco o nero, senza alcuna via di mezzo e come quest’idea permeasse costantemente anche all’interno della scrittura.

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45 (Estratti dal n° 27 del 21.10.1929 e dal n°59 (96) del 14.12.1930)

Nuovo (novyj): l’accentuare la novità enfatizza la necessità di cambiamento verso la realizzazione finale del socialismo ed una totale, onnipervadente bolscevizzazione.

Sabotaggio, ricostruzione, costruzione, pianificazione (vreditel’stvo, perestrojka, stroitel’stvo, planovost’): il campo semantico del rinnovamento si amplia, espandendosi fino all’inclusione dell’utilizzo di termini che indicano la necessità di ricostruzione materiale del mondo.

Educazione dei bambini (vospitanie detej): in quanto generazione del futuro, i bambini, piccoli allievi, devono essere istruiti in maniera ineccepibile, all’interno di una sorta di ossessione pedagogica, tipica soprattutto degli anni Trenta, con una letteratura idonea alla loro formazione.

(Estratto dal n° 46 (145) del 25.08.1931 – I nostri bambini vivranno in una società socialista. Il libro dovrà educarli al comunismo.) Eroe (geroj): figura fondamentale della nuova società, è un eroe inteso non in termini semidivini, bensì di estrazione popolare. Come recitava una delle marce del film Vesëlye Rebjata del 1934, “Quando la nostra patria comanda di essere eroi, ognuno può diventarlo” (Fitzpatrick, 1999: 71).

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46 Nel dicembre del 1938 fu istituito un apposito titolo di “Eroe del lavoro socialista” (Geroj Socialističeskogo Truda), onorificenza dell’ Unione Sovietica attribuita per meriti eccezionali in campo economico e culturale, della quale furono insignite, fino al 24 dicembre 1991 - momento di cessazione dell’assegnazione del premio - 20812 persone, tra cui Aleksej Stachanov, lavoratore modello che nel 1935 aveva messo a punto una nuova metodologia di estrazione del carbone grazie alla quale era riuscito ad aumentare la produttività della sua squadra di lavoro di ben quattordici volte. Tra i privilegi che l'ordine garantiva ai suoi appartenenti erano inclusi una pensione alla quale avevano diritto i familiari superstiti in caso di morte della persona decorata, la massima priorità nell'assegnazione di abitazioni, una riduzione del 50% sull'affitto, riduzioni di imposta, biglietti di prima classe gratuiti, trasporto in autobus gratuito e benefici nel campo delle cure sanitarie e dell'intrattenimento.

Questa onorificenza includeva anche l’ Ordine di Lenin (Orden

Lenina), riconoscimento istituito il 6 aprile 1930, che veniva

assegnato a civili per i notevoli servigi resi allo Stato, a membri delle forze armate per un servizio esemplare, e a chi promuoveva cooperazione tra i popoli rafforzando la pace. Venne assegnata a città, imprese, fabbriche, regioni, unità militari e navi.

La prima entità sovietica a riceverlo fu il quotidiano sovietico “Pravda”, il 23 maggio 1930.

I primi stranieri insigniti del premio furono due meccanici aerei statunitensi, il 10 settembre 1934, per la loro partecipazione alle

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