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Il bene culturale: caratteri e «fruizione»

L’espressione «bene culturale», è l’effetto di «un’endiadi scomponibile in due

polarità»

84

, in cui l'attributo "culturale" determina una connotazione rivolta

ad un interesse pubblico, mentre è “bene” tutto ciò che può formare oggetto

di diritti

85

.

La dottrina tradizionale ritiene, tuttavia, che il bene culturale non sia «bene

materiale, ma immateriale», in quanto l’essere testimonianza avente valore di

civiltà è di per sé «entità immateriale, che inerisce ad una o più entità

materiali, ma giuridicamente è da queste distinte, nel senso che esse sono

82 Così, L. DEGRASSI, La fruizione dei beni culturali nell’ordinamento italiano e comunitario, in L.

DEGRASSI (a cura di), Cultura e Istituzioni. La valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti

giuridici, Milano, 2008, p. 145 ss.

83 In questo senso, v. M. AINIS – M. FIORILLO, L’ordinamento della cultura, cit., p. 111 ss.

84 L’espressione è ripresa da A. TUMICELLI, L'immagine del bene culturale, in Aedon, n. 1/2014

(Rivista di arti e diritto on line).

85 Secondo il dettato dell’art. 810 del Codice civile. Per un generale approfondimento sui beni

pubblici, v. F. G. SCOCA, Beni pubblici e modificazioni soggettive degli enti pubblici proprietari, in

A. POLICE (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008, p. 103 ss.; C. FRANCHINI, L’organizzazione statale per la gestione dei beni pubblici, in A. POLICE (a cura di), I

beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008, p. 115 ss; R. URSI, Il patrimonio delle

società a capitale pubblico, in A. POLICE (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008, p. 131 ss; F. CINTIOLI, Le reti come beni pubblici e la gestione dei servizi, in A. POLICE (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008, p. 143 ss.; B. TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, Padova, 2008. Tradizionalmente, v. M. S. GIANNINI, I

38

supporto fisico ma non bene giuridico»

86

. E «quando in un ordinamento

statale positivo esiste la categoria dei beni culturali, è al valore culturale che

si fa riferimento, non a quello patrimoniale»

87

: infatti, essendo i beni culturali

appartenenti al Patrimonio della Nazione, sono per ciò stesso «pubblici» ed,

in quanto tali, «vanno difesi». In generale, dunque, è ancora valido

l’autorevole giudizio secondo il quale «il bene culturale è pubblico non in

quanto bene di appartenenza, ma in quanto bene di fruizione»

88

.

Infatti, prescindendo dalla titolarità patrimoniale

89

della “cosa”, la quale può

essere sia pubblica sia privata, ciò che interessa allo Stato, nell’esercizio delle

sue «potestà»

90

, è che il bene culturale sia, appunto, «fruibile».

86 Così, M. S. GIANNINI, I beni culturali, in cit., p. 26 ss. L’A. aggiunge, ad ulteriore

specificazione che: «il carattere immateriale del bene culturale è sempre individuabile (….) in quanto bene culturale, la cosa è di per sé testimonianza avente valore di civiltà, mentre in quanto bene patrimoniale può addirittura non esistere… si può constatare come non vi sia corrispondenza univoca tra valore culturale e valore commerciale della cosa». In senso critico, v. T. ALIBRANDI, (voce) Beni culturali: I) Beni culturali e ambientali, in cit., pp. 1-5, il quale, rispetto alla impostazione gianniniana del bene culturale scisso in parte materiale ed immateriale, avverte (a p. 4) che mentre «per le opere di ingegno o le invenzioni industriali ben netta è la contrapposizione tra creazione intellettuale (corpus misticum) e sua materiale estrinsecazione (corpus mechanicum)…tutto ciò non è verificabile per i beni culturali, la cui identità è connessa ad un valore ideale che risulta profondamente compenetrato nell’elemento materiale. Nell’opera d’arte, come in ogni altra cosa in cui si riconosce un valore culturale che giustifica la soggezione della cosa allo speciale regime di tutela, il profilo ideale che è oggetto di protezione si è talmente impadronito della materia in cui si esprime da restarne definitivamente prigioniero, così che esso si pone come oggetto di protezione giuridica inscindibilmente dalla cosa che lo racchiude».

87 M. S. GIANNINI, I beni culturali, in cit., p. 28 ss. 88 Ivi, p. 31 ss.

89 Afferma a tal proposito M. S. GIANNINI, Op. cit., p. 31 ss., che «il bene culturale sembra non

avere un «proprietario» in senso proprio..».

90 M. S. GIANNINI, Op. cit., p. 20 ss, afferma: «se l’appartenenza dei beni culturali può variare,

la funzione è sempre unica, ed unitarie sono le potestà statali di fondo nelle quali si esprime la sostanza della funzione, ossia le potestà di tutela e di valorizzazione». Osservano, sul punto, M. AINIS – M. FIORILLO, L’ordinamento della cultura, cit., p. 106 ss: «qualunque sistema di tutela deve fare i conti con la specifica funzione alla quale assolvono i beni culturali: insomma, con la loro funzione culturale, che ne giustifica una ricostruzione unitaria, pur nella diversità delle singole espressioni».

39

Definire il concetto stesso di «fruizione» è, di per sé, esercizio piuttosto

complesso se non fosse che pure nella dottrina più recente

91

v’è chi si è

cimentato nell’arduo compito.

Così come, a metà degli anni Settanta, già Massimo Severo Giannini

92

si era

misurato con la «fruizione», risaltando però la differenza tra «fruizione» del

bene culturale e la sua «fruibilità», sebbene considerate entrambe due fogge

ugualmente afferenti alla categoria del bene culturale.

Così, mentre la «fruizione» attiene, secondo Giannini, alla “volontarietà

dell’azione” esercitabile nei confronti del bene culturale (ad es.: voglio o non

voglio fruire di un bene culturale), la «fruibilità» risulta essere piuttosto un

“obbligo pendente in capo allo Stato”, che è tenuto a garantire la «fruibilità

universale»

93

rispetto alla effettiva fruizione del bene stesso.

La «fruibilità» del bene culturale, dunque, quale effetto di un “dovere” dei

pubblici poteri, il cui scopo permanente è di soddisfare quel «pubblico

interesse», quale ulteriore tratto tipizzante la categoria dei beni culturali

94

.

Diverse sono, in effetti, le “cose” che afferiscono alla categoria qui in esame,

ma pur nella loro eterogeneità, ad accomunarne i caratteri vi è proprio

91 Sul concetto di fruizione, tra gli altri, v. T. ALIBRANDI – P. FERRI, I beni culturali e ambientali,

cit., p. 417 ss.; L. DEGRASSI, La fruizione dei beni culturali nell’ordinamento italiano e comunitario, in L. DEGRASSI (a cura di), Cultura e Istituzioni. La valorizzazione dei beni culturali negli

ordinamenti giuridici, Milano, 2008, p. 137 ss. In senso difforme, M. DUGATO, Fruizione e

valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio privato di utilità pubblica, in Aedon, n. 2/2007 (Rivista di arti e diritto on line).

92 M. S. GIANNINI, I beni culturali, in cit., p. 30 ss.

93 M. S. GIANNINI, Op. cit., p. 32 ss. In particolare, afferma il Giannini che «Fruibilità significa

obbligo di permettere la fruizione, e quando all’obbligo si è adempiuto, il potere pubblico è in regola; le attività promozionali o gli incentivi alla fruizione sono infatti, giuridicamente, attività volontarie e non invece necessarie, come quelle attinenti alla fruibilità. In questo senso il bene culturale è pubblico».

94 M. S. GIANNINI, Op. cit., p. 23 ss. In particolare l’A., relativamente agli elementi che

accomunano beni culturali, sostiene che certamente il “pregio” costituisce un profilo che accomuna i beni culturali, ma poiché le norme non parlano mai di pregio quanto piuttosto di “interesse”, ciò vuol dire che sarà questo l’elemento comune dei beni culturali. Questo spiega, secondo Giannini, come ogni entità che abbia valore culturale ricada nella legislazione dei beni culturali. Da qui l’eterogeneità della categoria.

40

l’«interesse pubblico», quindi un interesse di tipo “oggettivo”, che si fa

ancora una volta ambasciatore di un valore tipico del bene culturale che è,

per l’appunto, l’ «essere testimonianza avente valore di civiltà».

Questo spiega come ogni “entità” che possegga un valore culturale ricada

nella legislazione dei beni culturali.

95

Il che, ovviamente, presuppone pur

sempre quel «giudizio valutativo»

96

che trova la sua giusta collocazione

nell’attività procedimentale, finalizzata in quanto tale all’assunzione di un

atto finale rappresentato dalla «dichiarazione dell’interesse culturale»

97

, di

cui si faceva menzione già in precedenza.

E’ lo Stato, dunque, ad esercitare sulla “cosa” delle potestà che non

riguardano la sua utilizzabilità dal punto di vista patrimoniale, quanto,

piuttosto, la «conservazione alla cultura e la fruibilità nell’universo

culturale»

98

.

Posta in questi termini, la «fruibilità» sembrerebbe coincidere, pressoché con

quello che oggi si intende per «tutela»: infatti, la conservazione, che prima

dell’avvento del Codice dei beni culturali ed ambientali apparteneva anche

alla «valorizzazione» (sia pure come «miglioramento delle condizioni di

conservazione»), oggi viene ascritta in toto alla tutela (ex. art. 3, comma 1, d.

95 M. S. GIANNINI, Op. cit., p. 22.

96 M. S. GIANNINI, Op. cit., p. 15, afferma in proposito che: «occorre sia chiaro che

l’identificazione del bene culturale comporta sempre un giudizio valutativo…l’atto con cui si dichiara che una cosa ha valore artistico si fonda su un’istruttoria procedimentale che culmina con un giudizio valutativo».

97 M. S. GIANNINI, Op. cit., p. 17 ss, a seguire, aggiunge: «in conclusione, il giudizio valutativo

interviene per tutti i beni culturali, come momento di istruttoria procedimentale….il giudizio valutativo ha natura di giustificazione del provvedimento dichiarativo della qualità di bene culturale…la dottrina e la giurisprudenza parlano di «motivazione» ma erroneamente perché il giudizio vale come indicazione del presupposto del provvedimento…non può essere motivazione, perché la dichiarazione di bene culturale non comporta alcuna ponderazione comparativa di interessi: non vi sono, in altre parole, motivi per i quali possa essere opportuno più o meno dichiarare una cosa bene culturale. Se essa lo è, occorre solo enunciare perché lo è, e ciò presuppone solo un giudizio valutativo, di discrezionalità non amministrativa».

41

lgs. n. 42/2004).

99

Eppure, nel secondo periodo del comma 1 dell’art. 6 (d. lgs.

n. 42/2004) si è pure precisato

100

che la «valorizzazione» «comprende anche la

promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio

culturale». Questa disposizione, evidentemente, pone la questione, oltre che

su di un piano contenutistico e lessicale, sul piano funzionale inerente le due

«materie-attività»

101

; ci si chiede, infatti, a questo punto se il carattere della

«fruibilità» del bene culturale afferisca al piano della «tutela» oppure a quello

della «valorizzazione».

Parte della dottrina più recente pare risolvere la questione offrendo

sinteticamente la formula secondo la quale la «fruizione» sarebbe «il fine

della sola valorizzazione e non già della tutela»

102

, in quanto «fine ultimo di

ogni funzione-attività che il legislatore consente di svolgere attorno ai beni

culturali». Si ritiene, infatti, che «non ha senso legare materialmente la

«fruizione» alla tutela che vive invece di vita autonoma, essendo, almeno nei

casi configgenti, sempre preminente».

Pertanto, stante questo orientamento, la «fruizione» si pone come «tratto

distintivo» della valorizzazione, costituendone parte integrante, in quanto

entrambe sono «debitrici» di una funzione unitaria qual è quella culturale.

99 Cfr. P. CARPENTIERI, Fruizione, valorizzazione, gestione dei beni culturali, Relazione tenuta al

Convegno tenutosi a Terracina il 26 giugno 2004 sul tema: “Il nuovo Codice dei beni culturali e

del paesaggio. Prospettive applicative”, ora in www.avvocatiamministrativisti.it

100 Tale aggiunta è avvenuta a seguito dell’intervento della Conferenza Unificata Stato-

Regioni, Città ed Autonomie locali del 10 dicembre 2003, secondo quanto specificato da P. CARPENTIERI, Fruizione, valorizzazione, gestione dei beni culturali, in cit.

101 Corte costituzionale, sentenza del 19 dicembre 2003- 20 gennaio 2004, n. 26 (parla di

“materie-attività” al punto 3 del Considerato in diritto riferendosi alla tutela, alla valorizzazione e alla gestione).

102 Così, L. DEGRASSI, La fruizione dei beni culturali nell’ordinamento italiano e comunitario, in Cit.,

p. 143; nello stesso senso, G. SCIULLO, Le Funzioni, in C. BARBATI, M. CAMMELLI, G. SCIULLO (a cura di) Diritto e gestione dei beni culturali, Bologna, 2011, p. 62, il quale afferma che «la fruizione resta, sul piano sistematico, solo un aspetto della valorizzazione, più esattamente una finalità che questa deve perseguire e uno degli ambiti della disciplina relativa a detta funzione».

42

In particolare: la «fruizione» rileva, rispetto a tale funzione, per ciò che

concerne i “fini” da raggiungere con la valorizzazione; dal canto suo, invece,

la «valorizzazione» rileva rispetto alla medesima funzione per ciò che

concerne i “mezzi” attraverso i quali garantire la fruizione del bene culturale.

Questa posizione troverebbe conforto anche nella sistematica stessa del

Codice dei beni culturali ed ambientali, che scinde «saggiamente»

103

la

“fruizione” dalla “valorizzazione” dal momento che «la disciplina della

funzione-attività valorizzazione consta di due profili: quello culturale,

rappresentato dal fine (fruizione) e quello economico, rappresentato dai

relativi mezzi per conseguirlo (organizzazione-gestione)»

104

.

Tuttavia questa elaborazione teorica, seppur consente di enucleare ulteriori

considerazioni di fondo sul metodo che oggi si sviluppa in materia di beni

culturali

105

, dall’altro necessita di evidenti, ulteriori approfondimenti proprio

sul versante delle due principali funzioni-attività della «valorizzazione» e

della «tutela» del bene culturale, la cui netta scissione, originariamente

103 Sul punto afferma L. DEGRASSI, La fruizione dei beni culturali nell’ordinamento italiano e comunitario, in cit., p. 149, che «tale scissione ha indotto a pensare che questa fosse la prova

che si trattasse di attività diverse con percorsi istituzionali loro propri». A tal proposito, richiama in nota la singolare posizione di M. DUGATO, Fruizione e valorizzazione dei beni

culturali come servizio pubblico e servizio privato di utilità pubblica, in Aedon, n. 2/2007 (Rivista di

arti e diritto on line), il quale, in particolare (pag. 5), ritiene che la valorizzazione «consisterebbe nella regolazione e nella gestione dei beni e delle reti culturali» e la «fruizione» costituirebbe la «gestione del servizio pubblico culturale in senso stretto».

104 Ibidem.

105 Per una recente opinione sull’incidenza della fruizione sulla politica dei beni culturali , v.

S. CASSESE, Il futuro della disciplina dei beni culturali, in cit., p. 781 ss, il quale, muovendo da rapide considerazioni sulla evoluzione della nozione di beni culturali, evidenzia come siano da tempo in atto alcune tendenze sociali (tra le quali la domanda crescente di fruizione di beni culturali, l’ampliamento della disciplina all’ambiente e al paesaggio, nonché la globalizzazione), in grado di incidere incisivamente in materia. In particolare, è la domanda di fruizione, incrementata dall’aumento del livello culturale dei cittadini e dalla loro accresciuta mobilità, a terminare sui beni culturali una pressione tanto forte da, addirittura, favorire – sulla nozione stessa di bene culturale, intesa come valore a vocazione pubblica – una «torsione» rispetto al passato «perché il fine della fruibilità deve essere sottoposto a limiti». Pena, il deterioramento dei beni stessi, che pertanto necessitano di una politica di difesa e di programmazione.

43

introdotta dal d. lgs. n. 112 del 1998 e poi amplificata con la Riforma

costituzionale del 2001, è stata largamente criticata da ampia parte della

dottrina

106

, in quanto ritenuta una forzatura su «un’inscindibile endiadi»

107

.