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Nel novero delle attività di valorizzazione si collocano anche i c.d. «servizi

per il pubblico»

425

, in origine «servizi aggiuntivi», disciplinati dall’art. 117

426

del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

I servizi aggiuntivi sono stati introdotti nell'ordinamento italiano dalla legge

n. 4/1993 (c.d. Legge Ronchey)

427

e «benché oggetto di apposita disposizione,

non deve, invece, apparire il frutto di una mera e arbitraria preferenza da parte dell’ente su singole opzioni organizzative».

425 Art. 117 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), così come modificato dal d. lgs. n.

62/2008 che definisce in rubrica, sevizi per il pubblico e, nel comma 1, descrive, meglio, come «servizi di assistenza culturale e di ospitalità negli istituti e nei luoghi della cultura indicati all’art. 101» (ossia, nei musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali). Sul punto, v. C. BARBATI, Le forme di gestione, in cit., p. 217 ss.

426 L’art. 117 del Codice dei beni culturali in via esemplificativa prevede come servizi per il

pubblico: «a) il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali; b) i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario; c) la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali; d) la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni; e) i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro; f) i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; g) l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali. 3. I servizi di cui al comma 1 possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria»

427 Per una ulteriore riflessione sull’apporto che la Legge Ronchey ha dato al sistema dei

servizi aggiuntivi, v. P. VOLONTÉ, Le imprese sociali e i beni culturali, Milano, 2001, p. 62 ss. L’A., in particolare, sebbene ritenga la medesima legge quale «momento di svolta, almeno da un punto di vista simbolico» per il mondo dei beni culturali, dall’altro ritiene come tuttavia la Legge Ronchey non vada «sopravvalutata» e ciò per diverse ragioni: «anzitutto essa riguarda solo gli istituti dipendenti dall’allora Ministero per i beni culturali e ambientali, dunque musei e biblioteche, mentre non si applica ai teatri, agli enti lirici, alle orchestre sinfoniche. In secondo luogo, essa ha valore giuridico solo per gli enti statali, quali musei e biblioteche nazionali, cioè per un numero di organizzazioni abbastanza limitato, anche se includente molte istituzioni di grandi dimensioni e di forte visibilità (…). In terzo luogo, essa dà una definizione molto stretta dei servizi aggiuntivi, comprendente esclusivamente tre categorie: servizio editoriale e di vendita di cataloghi e riproduzioni; servizio di fotoriproduzioni e consegna a domicilio; servizio di ristorazione, guardaroba e vendita di gadget. Attraverso tale elencazione si finisce per escludere una serie di potenziali servizi aggiuntivi meno tradizionali (si pensi per esempio al servizio di nursery per il pubblico) ma non per questo inutili o inattuabili», 63. A fronte di queste considerazioni, pertanto, l’A. sostiene come «la Legge Ronchey è di conseguenza più importante per il significato culturale e di indirizzo che ha avuto, che non per la sua applicazione giuridica immediata», 64.

147

gli interventi, così identificati, non sono sottoposti ad una disciplina distinta.

Se si escludono alcune indicazioni a essi destinate, l’art. 117 Cod. si limita a

rinviare a quanto l’art. 115 Cod. stabilisce, con riguardo alle forme in cui

gestire il complesso delle attività di valorizzazione dei beni culturali di

appartenenza pubblica»

428

.

La Legge Ronchey, nella sua versione originaria, prendeva in considerazione

come servizi aggiuntivi una pluralità di attività, che avevano come comune

denominatore il fatto di essere tutte offerte al pubblico e dietro corrispettivo.

Ciò, secondo la dottrina

429

, giustificava anche la qualificazione di «servizi

aggiuntivi» data all'istituto in questione, considerato che si trattava (e,

comunque, ancora si tratta) di prestazioni a pagamento fornite da un

concessionario all'interno di un luogo di cultura e aggiuntive rispetto

all'offerta culturale istituzionalmente garantita.

Successivamente, la categoria dei servizi aggiuntivi è stata ampliata dall'art.

47-quater, decreto legislativo 23 febbraio 1995, n. 41, conv. in legge 22 marzo

1995, n. 85, con l'obiettivo di estendere la disciplina concessoria anche ad

altre prestazioni di accoglienza, mentre l'emanazione del d. m. 24 marzo

1997, n. 139, contenente le norme sugli indirizzi, criteri e modalità di

istituzione e gestione dei servizi aggiuntivi nei musei e negli altri istituti del

ministero, ha permesso l'attivazione delle prime gestioni

430

.

Anche il c.d. Codice Urbani (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) ha

rivisto la disciplina dei servizi aggiuntivi, ancorandoli al sistema della

valorizzazione dei beni culturali con l'intento di rafforzare la reale funzione

dell'istituto in questione e di consentirne un idoneo utilizzo con lo scopo di

428 Così, C. BARBATI, Le forme di gestione, in cit., p. 217.

429 G. PIPERATA, La nuova disciplina dei servizi aggiuntivi dei musei statali, in Aedon, n. 2/2008,

s.p. (Rivista di arti e diritto on line).

430 G. PIPERATA, La nuova disciplina dei servizi aggiuntivi dei musei statali, in cit., s.p. Cfr. B.

148

«promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e [di] assicurare le

migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio

stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura»

431

.

Si tratta, in via generale, di quei servizi «accessori» alla fruizione dei beni

culturali e «volti a valorizzare i beni culturali mediante il merchandising e

l’attività di ospitalità e ristorazione»

432

.

Relativamente ad essi, e rispetto al servizio culturale, in letteratura si è più

propensi a qualificarli come servizi pubblici con rilevanza economica

433

.

Infatti, pur essendo entrambi «servizi pubblici»

434

, vi sono anche notevoli

differenze: «difatti, nel caso del servizio di fruizione dei beni culturali

l’erogazione è globale, poiché la gestione del servizio non riguarda solamente

quelli a valore aggiunto (cioè, i servizi al pubblico), ma anche attività meno

remunerative attinenti per lo più all’attività di conservazione dei beni

(manutenzione ordinaria e straordinaria), nonché tutte le attività riguardanti

l’attuazione degli eventuali piani strategici di sviluppo culturale. Inoltre il

servizio di fruizione dei beni culturali è più ampio, poiché può riguardare

anche beni culturali non facenti parte di istituti e luoghi di cultura, ma pure

singoli beni culturali (si pensi ai cosiddetti musei all’aperto o ai musei

431 G. PIPERATA, Op. cit., s.p.

432 Così, A. BARTOLINI, (voce) Beni culturali (diritto amministrativo), in cit., p. 120, il quale

definisce tali servizi come «servizi per il pubblico o servizi di assistenza culturale e di ospitalità».

433 G. SCIULLO, Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il d. lg. 156/2006?, in Aedon, n. 2/2006, s.p. (Rivista di arti e diritto on line). Cfr. B. TONOLETTI,

Beni pubblici e concessioni, Padova, 2008, p. 99 ss.

434 Secondo l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. Un., 27 maggio 2009, n. 12252,

(reperibile su Aedon, n. 1/2010), i servizi per il pubblico sono un «servizio pubblico», per cui le relative controversie sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e, di conseguenza, il loro affidamento a terzi rientra nella «concessione di pubblico servizio», indipendentemente dal regime individuato per disciplinare il procedimento di scelta del contraente. Sul punto, v. C. BARBATI, Le forme di gestione, in cit., p. 219.

149

diffusi). Invece i servizi per il pubblico sono istituiti solo all’interno degli

istituti e luoghi di cultura»

435

.

Quanto all’organizzazione dei servizi per il pubblico, l’art. 117, comma 3, del

Codice dei beni culturali e del paesaggio stabilisce che i servizi, elencati nei

precedenti commi, «possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di

pulizia, di vigilanza e di biglietteria».

Sul punto la dottrina è concorde nel ritenere che «in tal modo, il Codice

conferma la disponibilità di un’altra opzione, già contemplata nel T. U. del

1999, qual è la gestione integrata, pensata, qui, come modello organizzativo

capace di agevolare, unificandolo e, perciò, semplificandolo, il processo di

esternalizzazione di questi servizi»

436

.

Sui servizi aggiuntivi, una nota di attualità: l’art. 16 (Istituti e luoghi della

cultura) della legge 6 agosto 2015, n. 125

437

, prevede, al comma 1, che le

amministrazioni aggiudicatrici possano avvalersi di Consip S.p.A. per le

procedure di gara per l’affidamento in concessione dei servizi aggiuntivi

presso gli istituti e luoghi della cultura di appartenenza pubblica.

Ciò, ragionevolmente, per consentire alle pubbliche amministrazioni di

acquistare in maniera rapida ed efficiente quanto occorre per realizzare un

progetto di valorizzazione dei beni culturali che fanno parte del loro

patrimonio, attraverso lo strumento della concessione.

L’obiettivo, coerentemente con le scelte del Mibact

438

, è quello di aumentare

la fruizione dei beni culturali – in particolare quelli meno noti e non

adeguatamente valorizzati - attraverso forme avanzate e innovative di

435 A. BARTOLINI, (voce) Beni culturali (diritto amministrativo), in cit., p. 120. 436 Così, C. BARBATI, Le forme di gestione, in cit., p. 219.

437 Legge 6 agosto 2015, n. 125 di conversione del decreto legge 19 giugno 2015, n. 78, recante

“Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei

dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali”.

150

gestione dei siti e di valorizzazione dei beni stessi. Con lo strumento che

Consip metterà a disposizione, ciascuna pubblica amministrazione titolare di

beni culturali (MIBACT, Regioni, Comuni ed enti controllati) potrà realizzare

il proprio progetto di valorizzazione, disegnato sulle proprie specifiche

esigenze, con tutti gli strumenti per migliorare la fruizione del bene

medesimo. Tale miglioramento potrà avvenire anche attraverso la creazione

di aggregazioni di beni minori, finalizzata alla costituzione di circuiti

turistico - culturali da valorizzare attraverso progetti unitari, aumentando il

numero dei visitatori e la qualità della fruizione

439

.

Va da sé che in un quadro tanto articolato, in cui i principi nazionali e i

principi comunitari si canalizzano verso la compartecipazione sociale a tutti i

livelli, le forme di gestione

440

dei beni culturali assumono allora il ruolo

439 Cfr. Il comunicato Consip del 16/07/2014 relativo al bando per i servizi di gestione integrata e valorizzazione dei luoghi di cultura. Obiettivo: aumentare i visitatori, migliorare la qualità della fruizione e la gestione, reperibile al sito www.consip.it .

440 Scendendo nel dettaglio e approcciando le singole forme di gestione che il nostro ordinamento mette a disposizione per gestire i beni culturali, è possibile tracciarne qui una sommaria elencazione di quelli maggiormente diffusi in ambito: a) la sponsorizzazione (art. 120 d. lgs. n. 42/2004 e s.m.i.), contratto attraverso il quale l’amministrazione (sponsee) offre ad un terzo (sponsor) la possibilità di pubblicizzare nome, logo, marchio o prodotti in appositi determinati spazi, dietro un corrispettivo consistente in beni, servizi o altre utilità. Nella fattispecie è disciplinata dall’art. 26 del Codice il contratto di sponsorizzazione ed ha per oggetto l’esecuzione di lavori, servizi e forniture pubblici. In base all’art. 26 del Codice dei contratti pubblici, al contratto di sponsorizzazione che abbia per oggetto la realizzazione di lavori pubblici, ovvero interventi di restauro e manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), ovvero servizi o forniture, si applicano le disposizioni in materia di requisiti soggettivi dei progettisti e degli esecutori del contratto. l’amministrazione aggiudicatrice è, inoltre, tenuta ad impartire le prescrizioni opportune in ordine alla progettazione, nonché alla direzione ed esecuzione del contratto. (Per alcuni approfondimenti sul tema delle sponsorizzazioni, v. M. RENNA, Le sponsorizzazioni, in F. MASTRAGOSTINO (a cura di), La collaborazione pubblico – privato e l’ordinamento amministrativo.

Dinamiche e modelli di partenariato in base alle recenti riforme, Torino, 2011, p. 521, che riprende

le tesi di M. DUGATO, Atipicità e funzionalizzazione nell'attività amministrativa per contratti, Milano, 1996; G. MANFREDI, Le sponsorizzazioni dei beni culturali ed il mercato, in Aedon, n. 1/2014, s.p. (Rivista di arti e diritto on line); G. PIPERATA, Sponsorizzazioni ed interventi di

restauro dei beni culturali, in Aedon, n. 1/2005, s.p. (Rivista di arti e diritto on line); M.

151

Partenariato pubblico privato e contratti atipici, Milano, 2006, p. 33 ss; R. DIPACE, Le

sponsorizzazioni di beni culturali, in Nuove Alleanze, Diritto ed economia per la cultura e l’arte.

Supplemento al n. 80/81 di Arte e Critica, pp. 47-51); b) la concessione di servizi, definita dall’art. 3, comma 12, del Codice dei contratti pubblici come un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo. L’art. 30 del Codice stabilisce una disciplina di ordine generale rispetto alle concessioni di servizi, per il resto non soggette all’applicazione delle disposizioni dello stesso Codice. In particolare, l’art. 30, comma 3, stabilisce che la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri di selezione. Il medesimo art. 30 stabilisce, inoltre, che in sede di gara venga stabilito un prezzo, qualora al concessionario sia imposto di adottare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare; c) la concessione di lavori pubblici (affidate ai sensi dell’art. 144 del Codice dei contratti o con affidamento in finanza di progetto, ai sensi dell’art. 153 del Codice dei contratti pubblici); d) le società a capitale misto pubblico – privato (Per un approccio comparatistico al tema delle società miste per la gestione dei servizi pubblici locali, v. S. D’ANTONIO, Il partenariato pubblico-

privato nel processo di integrazione europea, in cit., pp. 503-526); e) l’ associazione; f) le aziende

consortili; g) l’istituzione; e) la fondazione (Un esempio di fondazione di partecipazione per la gestione di un museo statale è la fondazione Museo egizio di Torino mentre il Museo della città di Cortona è una fondazione museale di partecipazione tra enti locali e privati. Sul tema, cfr. F. PERRINI - E. TETI, Project financing per l’arte e la cultura, Milano, 2004, p. 339 ss.). Si tratta, a ben vedere, di forme tutte afferenti alla formula del Partenariato pubblico privato, che, in campo culturale, è stato sostanzialmente polarizzato tra due modalità o interpretazioni principali: da una parte le esternalizzazioni (Sulla nozione di esternalizzazione applicata alle funzioni relative ai beni culturali, cfr. A. LEO TARASCO, La

redditività del patrimonio culturale. Efficienza aziendale e patrimonio culturale, in cit., p. 110 ss. In

via generale, tuttavia, l’A., pur nell’assenza di una definizione normativa di “esternalizzazione”, ritiene che essa consista «nel trasferimento di attività e/o servizi riconducibili al soggetto esternalizzante in favore di altra unità istituzionale formalmente organizzata e distinta da quella “concedente”, e non appartenente all’insieme delle pubbliche amministrazioni (in questo senso vi è esternalizzazione anche nel caso di istituzioni non profit, pubbliche o private). Per la configurabilità dell’esternalizzazione, dunque, si prescinde dal tipo di strumento giuridico utilizzato per disciplinare il trasferimento di attività e/o servizi (che può consistere tanto in un affidamento diretto quanto in una concessione a terzi) … L’esternalizzazione si caratterizza, quindi, per l’attivazione di una partnership cliente (P.A.) – fornitore (esterno) nel medio termine, ispirata ad una logica di condivisione degli obiettivi e di cooperazione; in essa, l’impresa privata diventa un partner dell’amministrazione esternalizzante e non un mero fornitore di servizi, ancorché, poi, lo strumento giuridico concretamente utilizzato per la scelta del terzo coincida con una gara di appalto per la fornitura di servizi. L’amministrazione pubblica assume il ruolo di centro di acquisto responsabile della verifica di qualità delle prestazioni, del

152

decisivo del più classico “banco di prova” per scelte gestionali che siano le

più rispettose del principio di buon andamento dell’attività amministrativa,

stigmatizzato, a sua volta, nei principi della efficienza, dell’efficacia e

dell’economicità

441

.

controllo strategico e della valutazione della performance; nel contempo, al fornitore viene riconosciuta autonomia imprenditoriale per l’individuazione delle modalità più opportune di offerta e di introduzione di innovazioni. Il processo di esternalizzazione, perciò, rappresenta una scelta strategica, con rilevanti implicazioni di carattere gestionale, che la pubblica amministrazione assume in relazione alla necessità di rideterminare il proprio ruolo e il proprio rapporto con i fornitori esterni»; ancora, C. BARBATI, Esternalizzazioni e beni

culturali: le esperienze mancate e le prospettive possibili (dopo i decreti correttivi del Codice Urbani),

in Riv. Giur. Edilizia, fasc. 4-5, 2006, p. 159 ss. L’A. sostiene che: «pochi ambiti, come quello dei beni culturali, hanno imposto e, per certi aspetti, contrapposto le loro “ragioni” alle “ragioni delle esternalizzazioni”, sino a generare incertezze in merito alla stessa ammissibilità di questi processi, quando fossero ad essi riferiti, o, comunque, inducendo il legislatore a tentare, in più occasioni, una sorta di “tipizzazione” delle condizioni non solo procedimentali, ma anche organizzative e di oggetto, che avrebbero dovuto accompagnare il ricorso all’outsourcing»; ancora, M. CAMMELLI, Decentramento ed outsourcing nel settore della

cultura, in Dir. pubbl., 2002, p. 261 ss. L’A. sostiene che una amministrazione aperta

all’outsourcing non può mantenere il proprio assetto organizzativo immutato. Perciò, la via per esternalizzare presuppone la messa a punto di più elementi e sul piano dell’impostazione concettuale della materia e sul piano della organizzazione e delle regole) dei servizi al pubblico, avviate con la Legge Ronchey nel 1993 (Legge 14 gennaio 1993, n. 4 (c.d. Legge Ronchey), recante Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali e disposizioni

in materia di biblioteche statali e archivi di Stato. La legge ha impropriamente indotto a parlare

di “privatizzazione” dei musei con particolare riguardo all’affidamento ai privati dei c.d. servizi aggiuntivi offerti al pubblico a pagamento. Sul punto, S. FOÀ, La gestione dei beni

culturali, cit., p. 307 ss) e dall’altra, la costituzione di soggetti giuridici (pubblici e misti

pubblico-privati) costituiti su apposita iniziativa degli enti locali (Cfr. Studio FEDERCULTURE e FONDAZIONE IFEL “Le forme di PPP e il fondo per la progettualità in campo culturale”(2013), reperibile in www.federculture.it). Ciò conferma come vi sia «una mancata neutralità dei modelli giuridici» (Così, G. FRANCHI SCARSELLI, Sul disegno di gestire i servizi culturali tramite

associazioni e fondazioni, in Aedon, n. 3/2000, s.p. (Rivista di arti e diritto on line)) nonché «la

conseguente offerta all’operatore pubblico locale di percorsi gestionali fortemente differenziati» (Così, G. FRANCHI SCARSELLI, Op. cit., s.p.)

441 A. POLICE, Principi e azione amministrativa, in F. G. SCOCA (a cura di) Diritto amministrativo,

Torino, 2011, pp. 189-211: «che il buon andamento costituisca ora anche un principio dell’attività amministrativa e che in tal modo debba orientare anche l’esercizio dei pubblici poteri, non è più dato di dubitare, atteso che i criteri della efficienza e della economicità sono stati assunti dallo stesso legislatore come canoni di condotta per l’Amministrazione e traducono nell’attività amministrativa quel principio di buon andamento normalmente interpretato dai più in dottrina, utile soltanto ai fini della organizzazione delle pubbliche amministrazioni».

153