EST OVEST
IL « COMPORTAMENTO » OCCIDENTALE
La prima conseguenza di questa con-fusione tra fatti e opinioni è che essa complica i rapporti che gli operatori occidentali intrattengono con i paesi del-l'Est, rendendo tra l'altro più incerte le previsioni almeno di medio-lungo perio-do (cioè proprio quelle previsioni in base alle quali viene classicamente valutata dall'imprenditore occidentale la portata di un investimento).
Tale previsione è anche quella più utile per determinare le conseguenze di un trasferimento di conoscenze tecnologi-che, stante il tempo che occorre a queste ultime per diventare operative.
Comunque, a medio termine, è proba-bile che un eventuale irrigidimento dei negoziatori occidentali, dovuto ad in-certezza o a cattiva interpretazione del-l'atteggiamento della controparte, rischi di urtare quasi immediatamente contro un irrigidimento almeno uguale dei diri-genti sovietici, convinti della possibilità di uno sviluppo autonomo dell'Est. È interessante del resto esaminare anche l'ipotesi contraria, per tentare di stabi-lire se i dirigenti sovietici, supposti co-scienti della dipendenza critica della loro economia, siano disposti ad andare lontano, e quanto, sulla strada delle con-cessioni politiche all'Occidente in cam-bio della prosecuzione della cooperazio-ne economica4.
Come si è già ricordato nell'introduzio-ne, il sistema occidentale è decisamente più complesso o « multipolare » di quel-lo orientale. Per questa ragione, nono-stante le informazioni che lo riguardano siano più chiare e comunque verificabili, non è facile vederlo nel suo insieme ed individuarne interessi o linee di com-portamento comuni od uniformi. Relativamente alle trattative per il tra-sferimento di beni e conoscenze tecnolo-giche ai Paesi dell'Est, le interdipen-denze tra i poli decisionali dell'Occiden-te creano almeno due situazioni di con-flittualità all'interno del sistema: 1) tra Stati e imprese, di ordine giuri-dico-politico;
2) tra Europa Occidentale e Stati Uniti, di ordine politico-strategico.
Occorre a questo punto mettere in evi-denza, nella situazione generale delle relazioni tra « sistema occidentale » e « sistema orientale », la posizione e il ruolo di relativo dominio assunti, nel-l'ambito dei due sistemi e dei reciproci rapporti, dalle rispettive potenze-guida (USA e URSS), cui spetta (di fatto e per diritto acquisito) la competenza del-le trattative qualificabili come politico-strategiche.
Ma questa formulazione è per qualche verso subdola. Infatti, qualunque rap-porto inter-sistemico, anche a livello di potenze intermedie o minori, si può qualificare come strategico (intendendo tale termine in senso generale, e non so-lo militare), sebbene riguardi accordi di tipo industriale, commerciale o anche culturale, pur ammettendo che il grado di « implicazione strategica » sia diverso. Per dare una corretta interpretazione del fatto che un prodotto industriale o una conoscenza tecnologica sia da qua-lificare come « strategicamente rilevan-te » occorre precisare che:
1) parlando di « implicazioni strategi-che » non bisogna pensare soltanto a trasferimenti nell'ambito di settori par-ticolarmente delicati, quali quello mili-tare, nucleare e dell'elettronica, esclu-dendone altri che hanno invece altret-tanta importanza;
2) occorre tener conto del fatto che, in un negoziato di carattere economico e commerciale tra Est e Ovest, possono essere rilevanti non solo le implicazioni per la parte che riceve, ma anche le conseguenze per quella che concede (e lo stesso discorso vale per le motivazio-ni a chiedere e per quelle a dare o rifiu-tare);
3) bisogna ricordare l'importanza del fattore tempo: a seconda del tipo di prodotto o di conoscenza tecnologica trasferita, o del settore interessato, le trasformazioni che ne conseguiranno di-penderanno dai tempi di immissione sul mercato del prodotto o da quelli di ap-plicazione operativa della conoscenza tecnologica;
4) le ripercussioni decisive sul piano politico-sociale delle trasformazioni cosi indotte devono essere considerate, alme-no a breve-medio termine, ancora am-piamente aleatorie (anche se teorica-mente, come s'è detto, del tutto possi-bili), e comunque non determinanti ai fini della discriminazione tra trasferi-menti strategicamente rilevanti e non rilevanti.
Comunque, se la storia insegna che in tempo di guerra gli Stati operano di nor-ma restrizioni sulle concessioni all'ester-no di varie classi di beni e servizi, di fatto essi limitano, se non proibiscono totalmente, l'esportazione di determinate
categorie di prodotti anche in tempo di pace.
Ammesso che quello presente, a cui fac-ciamo riferimento, sia effettivamente un « tempo di pace », le motivazioni uffi-ciali dei Paesi occidentali, sulla cui base vengono redatte le cosiddette « liste di embargo »5 si ispirano normalmente a tre principi:
1) scarsa offerta sul mercato interno del bene in oggetto;
2) sicurezza nazionale;
3) coerenza con le linee di politica estera.
Tali principi sono naturalmente passi-bili di varie interpretazioni a seconda che siano visti dallo Stato o dall'impre-sa, oppure da Stati con diverse respon-sabilità internazionali.
Comunque, in via generale, sulla prima motivazione di carattere essenzialmente economico (se pur con evidenti implica-zioni dal punto di vista della sicurezza nazionale) sarebbe superfluo discutere, poiché non si può certo recriminare sul comportamento di un governo che proi-bisce di esportare beni di cui i suoi cit-tadini già hanno scarsa disponibilità (sempre che lo Stato di cui quel gover-no è orgagover-no esecutivo gover-non si trovi co-stretto da « particolari condizionamen-ti » nelle sue relazioni esterne). Invece, per quanto riguarda i principi della sicurezza nazionale e della coe-renza con le linee di politica estera il discorso si complica.
I problemi della sicurezza nazionale sono spesso di ordine interno prima che internazionale (o semplicemente ester-no), e definire come tali i rischi che si corrono esportando merci o conoscenze tecnologiche che potrebbero essere im-piegate in danno dell'esportatore è sì verosimile, ma certamente restrittivo e con ogni probabilità deviante.
II concetto di sicurezza è troppo ampio e articolato, ed ha aspetti complessi di ordine eccnomico, sociale e anche cul-turale, oltre a quelli politico-strategici; inoltre esso implica valutazioni qualita-tive ancor più che quantitaqualita-tive, sociolo-giche ancor più che tecnico-militari. Non è pensabile, intanto, che la deci-sione di controllare o proibire i trasferi-menti di determinati prodotti e / o cono-scenze tecnologiche verso Est venga pre-sa in difetto delle informazioni necespre-sa- necessa-rie e stabilire che cosa la controparte già conosca e a che livello sia la sua conoscenza 6.
Sarebbe interessante vedere se i succes-sivi aggiornamenti di tali liste avven-gano di mano in mano che il progredire del « know-how » occidentale rende su-perati (tecnicamente e strategicamente) i risultati di certe ricerche e la loro appli-cazione nonché se, e in qual misura, le
restrizioni mutano natura ed oggetto a seconda di come varia la percezione della situazione internazionale — e del suo evolversi — da parte di chi ha l'autorità di porre in essere e control-lare tali restrizioni, con riferimento al ruolo che il suo Paese gioca sulla scena strategica globale.
Ma forse non è possibile immaginare che un tale tipo di aggiustamento possa es-sere tanto certo e immediato da riflet-tere in un tempo ragionevole le posizioni di un Governo, anche perché le situa-zioni intermedie tra lo « status » di al-leanza e quello di « guerra guerreggia-ta » sono guerreggia-tante e troppo sfumate. E l'impresa? Che cosa può fare l'im-presa occidentale, impigliata nella rete giuridica che la lega al suo « Stato ma-dre », ed in quella strategica dei Rap-porti Est-Ovest, che comporta da parte di quello Stato ben precise responsabi-lità nei confronti degli alleati, pur nella eventuale differenza di opinioni? Supponiamo che un'impresa, o una so-cietà di esportazione, richieda una licen-za per il trasferimento di un determi-nato prodotto o di un « pacchetto » di conoscenze tecnologiche all'Est e si senta rispondere dall'autorità politica competente del suo Paese che quel tipo di transazione è proibito per ragioni di sicurezza nazionale o coerenza con le linee di politica estera.
Pur prescindendo dal fatto che queste ragioni possono essere in qualche modo estranee alle valutazioni classiche di un imprenditore (che agisce essenzialmente in base a motivazioni di efficienza azien-dale e di redditività finanziaria, o se vo-gliamo di razionalità economica), non possiamo tuttavia negare che gli sarà in genere abbastanza difficile capirle e va-lutare obiettivamente le ripercussioni a livello strategico del suo operare econo-mico e settoriale.
Se poi l'imprenditore sa che in altri paesi (alleati politici e concorrenti eco-nomici) quel tipo di prodotto o di tecno-logia non è considerato strategicamente rilevante, trova la sua azione limitata a due alternative: o cedere, in ossequio alle disposizioni politiche, il mercato ai concorrenti, oppure cercare di convin-cere il proprio governo che le sue valu-tazioni sono, se non inesatte, improprie. Diverso è naturalmente il caso di un'im-presa a carattere multinazionale, dotata di dimensioni e credito tali da permet-terle di agire di fatto come soggetto autonomo di relazioni internazionali. Questa impresa può operare indipen-dentemente in base a informazioni e strategie proprie, facendo salvo il be-nestare a posteriori dell'autorità pub-blica del suo « stato madre ».
Questo sarà chiamato allora a valutare l'azione dell'impresa secondo canoni
particolari, e comunque diversi da quelli che avrebbe dovuto seguire nel caso di applicazione pura e semplice, a priori, di una norma di legge, magari restrit-tiva, superata o invalidata di fatto da una realtà sociale non più riconducibile entro uno schema giuridico codificato. È auspicabile una consapevole collabo-razione tra centri decisionali pubblici e privati del mondo occidentale per l'ela-borazione di strategie globali valide nei rapporti Est-Ovest, e perché ciò possa avvenire non deve essere dimenticata o sottovalutata la pratica che i responsa-bili di settore dell'industria occidentale hanno sin qui acquisita nel trattare con i paesi dell'Est europeo, la conoscenza che ne è loro venuta di strutture, tecni-che e uomini. Tale loro esperienza è molto più utile alla reciproca compren-sione di qualsiasi slogan politico. Ma nel mondo occidentale la situazione di antagonista, o di partner-concorrente se si preferisce, non è ca-ratteristica soltanto del bipolarismo stato-impresa, riguardando anche i rap-porti globali tra Stati Uniti ed Europa Occidentale. È naturale che lo stato di tali rapporti influisca sul comportamen-to dei partners e determini atteggiamenti diversi anche, e forse soprattutto, nelle relazioni con l'Est.
La prima differenza tra USA ed Europa Occidentale di fronte ai bisogni del-l'Europa Orientale, e dell'URSS in pri-mo luogo, sta nella diversa capacità di ottenere contropartite politiche e, visto il debito cronico dell'Est verso gli esportatori occidentali, questa differenza è tutt'altro che irrilevante.
Poiché tale capacità, per ragioni che non è questa la sede di analizzare, in Occidente è per larga parte prerogativa degli Stati Uniti, diventa essenziale sa-pere in qual misura quel paese è con-sapevole di questo, e in che termini va-luta la dipendenza delle economie cen-tralmente pianificate rispetto alle eco-nomie di mercato. In altre parole, oc-corre vedere fino a che punto gli USA intendono chiedere contropartite poli-tiche al sistema avversario e in che mi-sura sono in grado di ottenerle.
L'opinione che sembra prevalere presso gli studiosi americani è che l'inferiorità del sistema comunista sia poco più che tecnologica, cioè « congiunturale ». Ciò nonostante, taluni di questi esperti vor-rebbero che si adottasse da parte ame-ricana un comportamento più esigente per meglio tener conto, si dice, degli interessi dei paesi alleati degli USA. In effetti, se la dipendenza si pone solo in termini di arretratezza tecnologica relativa, è difficile prevedere che un irri-gidimento americano non finisca col sor-tire l'effetto contrario a quello voluto, e cioè provocare nei paesi dell'Est una
reazione analoga con conseguenze nega-tive anche per i loro rapporti con l'Eu-ropa Occidentale.
Esiste inoltre, con ogni probabilità, un'altra ragione per la quale gli studiosi americani vanno molto cauti nel valu-tare l'intensità e la portata della dipen-denza economica dell'Est nei confronti del mondo occidentale. La struttura settoriale delle esportazioni americane complessive si concentra tradizional-mente da una parte sui prodotti a tecno-logia molto avanzata e dall'altra su quelli agricoli. Sono due produzioni estremamente importanti, anche se per ragioni diverse: la prima è indispensa-bile a chi voglia raggiungere livelli di sviluppo tecnologico avanzati e competi-tivi in termini di potenza globale, la seconda è indispensabile alla soprav-vivenza dell'uomo.
Il trovarsi in posizione di punta a livel-lo mondiale nel possedere, ed essere in grado di esportare, i prodotti di entram-bi questi settori mette una potenza in posizione particolarmente forte, poiché essi offrono a chi li padroneggia ecce-zionali potenzialità ricattatorie. Ma anche questa, come tutte le posi-zioni estremiste, è puramente teorica. Prodotti a tecnologia avanzata e pro-dotti agricoli si situano ai due estremi della gamma normale dei consumi. I secondi corrispondono a bisogni tanto essenziali che nessun paese — a meno di essere vittima d'un sottosviluppo irri-mediabile — può accettare di soddisfarli ricorrendo perennemente a forniture straniere.
I primi invece comprendono spesso ap-parecchiature tanto sofisticate che ci si può domandare se, nel momento attuale dello sviluppo dei Paesi dell'Est, questi non ne siano interessati che in modo del tutto marginale.
A ben vedere, quindi le armi economi-che possedute dagli USA non sembrano essere poi cosi determinanti.
La posizione dei Paesi dell'Europa Oc-cidentale (e della CEE in particolare) offre in questo senso un contrasto inte-ressante con quella degli USA, benché le due situazioni non possano essere opposte, tenendo conto da un lato dei legami creati dalla comune appartenen-za a organizappartenen-zazioni quali la N A T O e l'OCSE (e delle obbligazioni che ne derivano) e dall'altro lato considerando le interdipendenze tecniche e finanziarie che uniscono alle imprese americane numerose industrie europee occidentali. Ciò che risulta chiaro, comunque, è che pur senza apparire immediatamente coinvolta nel dibattito sul « mercato del secolo » (sicurezza politica contro pro-gresso economico) l'Europa è in fondo la più interessata al suo sviluppo e, di più, al suo equilibrio.
Le vendite dell'Europa Occidentale verso l'Est coprono, se non gli estremi, certo tutta la parte centrale dell'insieme delle attività industriali moderne trasfe-ribili ai Paesi dell'Europa orientale, Unione Sovietica compresa.
Essendo quindi quella che ha più da offrire all'Est, in termini concreti e at-tuali, sul mercato dello sviluppo econo-mico contro la sicurezza politica, l'Eu-ropa occidentale diventa in qualche modo la maggior tributaria delle con-cezioni sovietiche in materia di sicurez-za internazionale.