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Il criterio del controllo effettivo: le condizioni dell’articolo

3. Dal criterio dello status a quello del controllo effettivo

3.1. Il criterio del controllo effettivo: le condizioni dell’articolo

Siamo quindi arrivati a definire un diverso criterio, quello del “controllo effettivo”, che porta poi ad ipotizzare anche una “dual

attribution” di una stessa condotta 113.

Iniziamo dalle fonti analizzando l’articolo 7 del progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali elaborato dalla Commissione di diritto internazionale: “The conduct of an organ of a

State or an organ or agent of an international organization that is placed at the disposal of another international organization shall be considered under international law an act of the latter organization if the organization exercises effective control over that conduct ” 114 .

112

Report of the Working Group, UN Doc. A/CN.4/L.622, par. 7.

113 Vedi paragrafo 4.

114 Tale articolo è rubricato “Conduct of organs of a State or organs or agents of an

international organization placed at the disposal of another international organization”.

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Tale norma prevede la responsabilità dell’Organizzazione, ma a due condizioni 115:

1) l’organo deve essere “messo a disposizione dell’organizzazione”; 2) l’organizzazione deve esercitare un “controllo effettivo” (“effective

control”) sulla condotta dell’organo messo a sua disposizione.

Iniziamo dalla prima condizione per dire che il Commentario all’articolo 7 non spiega il significato di “messa a disposizione”. Tuttavia la Commissione, con riferimento all’articolo 6 dello stesso testo normativo, afferma praticamente l’irrilevanza del criterio dello

status, che è sostanzialmente un criterio solo formale. La Commissione

dice che, a prescindere dallo status, ciò che conta è la “messa a disposizione” da intendere come esercizio di una direzione e di un controllo esclusivi 116 .

Dunque la “messa a disposizione” dell’organizzazione ricevente presuppone che tale organizzazione eserciti un controllo di fatto su quell’organo. Tuttavia l’articolo 7 contiene entrambe le espressioni: parla di “placed at the disposal”, ma anche di “effective control”. In assenza di un chiarimento da parte del Commentario, il Relatore Speciale, Giorgio Gaja, nel suo Secondo Rapporto specifica che nel testo normativo doveva essere chiarito esplicitamente il significato dell’espressione contenuta nell’articolo 6 “exclusive direction and

control of the receiving state” per l’attribuzione di responsabilità nei

casi in cui i contingenti nazionali siano messi a disposizione delle organizzazioni. Infine conclude che per togliere ogni dubbio si dovrebbe inserire il termine “effective control” anche nell’articolo 6

115 Non si deve pensare che solo la seconda condizione sia importante, perché la

prima ne è senza dubbio la premessa.

116 “The words ‘placed at the disposal of’ in article 6 express the essential condition

that must be met in order for the conduct of the organ to be regarded under international law as an act of the receiving and not of the sending State […]. Not only must the organ be appointed to perform functions appertaining to the State at whose disposal it is placed, but […] the organ must also act in conjunction with the machinery of that State and under its exclusive direction and control, rather than on instructions from the sending State”. Tratta da Yearbook of the International Law Commission, 2001, Vol. 2, parte II, p. 44.

71

117. In conclusione, l’espressione “effective control” contenuta

nell’articolo 7 serve per esplicitare ciò che già implicitamente l’articolo 6 aveva detto parlando di “placed at the disposal”. Dunque le condizioni di attribuzione dell’articolo 7 del testo del 2011 sono le stesse dell’articolo 6 del testo del 2001 118

.

3.2. “Controllo effettivo” come controllo di ogni singola condotta dell’organo?

L’articolo 7 è carente riguardo al “grado” di controllo richiesto per poter parlare di “effective control” e attribuire quindi la condotta dell’organo prestato all’organizzazione.

Secondo alcuni commentatori 119 la condotta di un organo “prestato” può essere attribuita all’organizzazione solo se quest’ultima esercita un controllo su ogni specifica condotta di quell’organo. La previsione di una così alta soglia di “controllo” si basa specificamente su due argomenti:

1) l’articolo 7 stabilisce che l’organizzazione ricevente deve “exercise

effective control over that conduct” da intendersi come “su ogni

singolo atto di quell’organo messo a sua disposizione”;

2) il significato di “effective control” contenuto nell’articolo 7 è lo stesso di quello contenuto in altri testi. Primo fra tutti l’articolo 8 del progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati prevede che “the

conduct of a person or group of persons shall be considered an act of

117 G. GAJA, “Second report on the responsibility of international organizations”, in

Yearbook of the International Law Commission, 2004, Vol. 2, parte I, p.14.

118

P. PALCHETTI, International Responsibility for Conduct of UN Peacekeeping

Forces: the question of attribution, cit.

119 T. DANNENBAUM, Translating the Standard of Effective Control into a System

of Effective Accountability: How Liability Should Be Apportioned for Violations of Human Rights by Member State Troop Contingents Serving as United Nations Peacekeepers’, 51 Harvard International Law Review, 2010, p. 141.

Anche C. LECK, International Responsibility in United Nations Peacekeeping

Operations: Command and Control Arrangements and the Attribution of Conduct”,

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a State under international law if the person or group of persons is in fact acting on the instructions of, or under the direction or control of, that State in carrying out the conduct”.

Inoltre anche la Corte Internazionale di giustizia ha previsto che per attribuire la responsabilità allo Stato di invio si deve provare che lo Stato ha un “effective control over the operations during which the

wrongful conduct occured ” 120.

Il punto debole di questa teoria consiste nel dare la prova dell’esistenza di un “effective control” specificato nei termini suddetti. Infatti, essendo molto difficile provarlo, spesso accade che la responsabilità ricada sullo Stato di invio 121, poiché per attribuire la responsabilità a questo non è necessario provare il suo “effective control” sul contingente, ma è sufficiente lo status del contingente come organo di quello Stato.

A questo proposito il Commentario all’articolo 7 chiarisce che l’“effective control” non ha effettivamente lo stesso significato nell’ambito della responsabilità degli Stati e dice che per attribuire una condotta all’organizzazione, in base all’articolo 7, non è necessario dare prova dello specifico controllo dell’organizzazione, ma è sufficiente un più basso grado di controllo. Sostanzialmente quindi il grado di controllo richiesto per un atto di un organo per essere attribuito all’organizzazione è lo stesso di quello necessario per attribuirlo allo Stato di invio.

120 International Court of Justice, Military and Paramilitary Activities in and against

Nicaragua (Nicaragua v. United States of America), ICJ Reports 1986, par. 115; Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro), ICJ Reports 2007,

par. 399-400.

121 P. D’AGENT, State organs placed at the disposal of the UN, effective control,

wrongful abstention and dual attribution of conduct, QIL-Questions of International

Law, 2014, p. 26 (www.qil-qdi.org). Le sue parole sono: “it is indeed superfluous to

assess whether the State exercised effective control since the person placed at the disposal of the organization is its organ and that State responsibility for conduct of organs is not conditioned by the positive assessment of any effective control by the State over the conduct of its organ”.

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3.3. I caratteri del “controllo effettivo”

La Commissione di diritto internazionale si è espressa a proposito del significato attribuito all’ “effective control” dell’articolo 7, dicendo che “The criterion for attribution of conduct either to the contributing

State or organization or to the receiving organization is based according to article 7 on the factual control that is exercised over the specific conduct taken by the organ or agent placed at the receiving organization’s disposal” 122

. La Commissione si riferisce dunque ad un “factual control” che consiste nel determinare se le truppe stanno agendo di fatto sotto il controllo dell’organizzazione o dello Stato di invio. Per risolvere il quesito andiamo a leggere gli accordi riguardanti il trasferimento di poteri tra l’organizzazione e lo Stato di invio delle truppe, che mantengono nelle mani del secondo poteri disciplinari e di giustizia penale 123. Sostanzialmente si ha quindi un trasferimento di poteri dallo Stato di invio all’organizzazione, che rende superfluo il requisito dell’ “effective control”, perché si crea una sorta di presunzione secondo la quale la condotta è attribuita all’organizzazione. Nonostante tale conclusione sembri un ritorno al criterio dello status, in realtà non è così perché qui la presunzione si basa su un accordo (non su uno status) che ha delimitato previamente i poteri rispettivi dei due soggetti.

Benché l’ipotesi di una presunzione semplifichi inevitabilmente il problema, non possiamo non dire che tale presunzione sia rigettabile laddove un organo, sebbene stia agendo sotto la formale autorità dell’ONU, ponga in essere una condotta seguendo le istruzioni dello Stato di invio: in tal caso la condotta deve essere attribuita allo Stato di invio.

122 Rapporto della Commissione di diritto internazionale sul lavoro della sua

sessantatreesima sessione, UN Doc. A/66/10.

123

74

Interessante a tale proposito è la sentenza della Corte d’appello dell’Aja nel caso Nuhanović 124

che verrà ampliamente trattata, insieme ad altre decisioni, nel Capitolo III. In questa sentenza la Corte non risolve il problema dell’attribuibilità delle condotte dei soldati del

Dutchbat facendo solo riferimento all’ “effective control” da parte

dell’ONU o dello Stato di invio, ma specifica la necessità di verificare se, in assenza di specifiche istruzioni da parte dell’uno o dell’altro, fosse stato possibile all’uno o all’altro prevenire la condotta posta in essere dai soldati del Dutchbat. In questo senso la Corte fa riferimento non solo ad un “factual control”, ma anche ad una “formal authority” dell’organizzazione o dello Stato di invio sulle condotte dei

peacekeepers, ampliando in tal modo il concetto di “effective control”.

Nel caso Nuhanović la Corte stabilisce la responsabilità dello Stato olandese, che aveva l’autorità formale sulle truppe durante il periodo dell’evacuazione dei civili da Srebrenica e anche un controllo effettivo su tali truppe.

3.4. La situazione patologica: il controllo effettivo e gli atti

ultra vires

Finora abbiamo considerato la situazione fisiologica delle operazioni di peacekeeping, nei casi cioè in cui i caschi blu commettono illeciti nell’esecuzione di ordini derivanti dall’ONU o dallo Stato di invio. Eppure questi casi, pur essendo numerosi, non sono gli unici che ci interessano nella trattazione dell’ampio tema dell’attribuibilità delle condotte dei peacekeepers. Infatti dobbiamo prendere in considerazione anche le fattispecie in cui i caschi blu violano le leggi, ma contravvenendo le istruzioni dello Stato di invio o dell’Organizzazione e non eseguendole.

124

75

La questione è stata affrontata dalla Commissione di diritto internazionale con riferimento ad entrambi i potenziali responsabili: lo Stato di invio o l’organizzazione internazionale. All’articolo 8 125 del progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali si prevede che “The conduct of an organ or agent of an

international organization shall be considered an act of that organization under international law if the organ or agent acts in an official capacity and within the overall functions of that organization, even if the conduct exceeds the authority of that organ or agent or contravenes instructions ”. Nel progetto di articoli sulla responsabilità

dello Stato l’articolo 7 126

statuisce che “the conduct of an organ of a

State or of a person or entity empowered to exercise elements of the governmental authority shall be considered an act of the State under international law if the organ, person or entity acts in that capacity, even if it exceeds its authority or contravenes instructions ”. Il

contenuto delle due norme è sostanzialmente identico: in entrambi i casi si valuta il rispetto della autorità formale dell’organizzazione o dello Stato di invio. Si presume che gli atti ultra vires siano attribuibili all’organizzazione, finché non si riesce a provare che i peacekeepers hanno invece agito sulla base di istruzioni date dallo Stato di invio. Comunque precisiamo che l’articolo 7 non può essere applicato indiscriminatamente. Infatti è necessario fare una summa divisio all’interno degli atti ultra vires e diversificarne la disciplina 127

:

1) il primo caso è quello in cui il singolo contingente contravviene agli ordini ricevuti sulla base di indicazioni diverse impartite dalle proprie autorità nazionali; non può applicarsi l’articolo 7, in quanto in tale caso è lo Stato di appartenenza che esercita il pieno controllo e le condotte dannose derivano in qualche modo da un ordine dello Stato stesso;

125

L’articolo 8 è rubricato infatti “Excess of authority or contravention of

instructions”.

126 È rubricato esattamente come il suddetto articolo 8 (vedi nota precedente). 127

È questa la teoria di S. DORIGO, Imputazione e responsabilità internazionale per

76

2) il secondo caso racchiude le ipotesi in cui le truppe agiscono ultra

vires a causa delle condizioni presenti sul territorio e lo Stato di invio

non esercita alcun tipo di influenza sulle operazioni militari intraprese dal contingente. Solo in questa ipotesi si può applicare l’articolo 7 e far rispondere unicamente l’ONU.

Tuttavia la giurisprudenza non è sempre stata di questo avviso. Infatti la Corte distrettuale dell’Aja nella sentenza del 16 luglio 2014 del caso

Stichting Mothers of Srebrenica attribuisce la responsabilità per tale

tipologia di atti allo Stato di invio, in quanto è questo che si occupa della selezione e della preparazione per la missione delle truppe messe poi a disposizione dell’ONU e perché esercita anche, come già detto più volte, un controllo disciplinare e giurisdizionale.

Ciò nonostante, la condotta non può essere attribuita indiscriminatamente allo Stato, ma sono necessari due elementi: in primo luogo che lo Stato sia consapevole del fatto che le truppe stanno contravvenendo alle istruzioni delle Nazioni Unite; in secondo luogo che i peacekeepers stiano eseguendo apparentemente le loro funzioni ufficiali e quindi non può applicarsi nel caso in cui lo Stato o l’Organizzazione siano dotati di poteri che permettano loro di prevenire una determinata condotta, come appunto specifica la Commissione di diritto internazionale 128.

Altro atto normativo da prendere in considerazione è l’accordo- modello tra l’ONU e lo Stato di invio delle truppe 129

, per quanto attiene in particolare l’articolo 9, il quale attribuisce la condotta derivante da “gross negligence or wilful misconduct” del personale fornito dallo Stato allo Stato stesso e non alle Nazioni Unite.

Però, essendo questo un accordo, vale solo tra l’Organizzazione e lo Stato, ma non nei confronti dei terzi. Quindi su questo prevale in ogni

128

UN Doc. A/66/10, p. 87.

129

77

caso l’articolo 8 del progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali.

4. La “dual attribution” alla luce dei lavori della Commissione di diritto internazionale

Abbiamo visto che la condotta delle forze di peacekeeping può essere quindi attribuita potenzialmente sia all’ONU sia allo Stato di invio. Oltre a questo però la Commissione di diritto internazionale ha previsto la contestuale attribuzione ad entrambi i soggetti di una stessa condotta: la c.d. “dual attribution”. Infatti secondo il Relatore Speciale Gaja 130 si può prevedere la possibilità di una doppia e contestuale attribuzione di responsabilità in ordine agli atti illeciti commessi dai caschi blu durante le operazioni di paecekeeping.

Come già anticipato, gli agenti di peacekeepers sono “agents double”, ma solo sul piano organizzativo. Parlando della natura di queste truppe abbiamo già in precedenza distinto il piano militare da quello organizzativo. Per quanto attiene al piano militare le operazioni sono svolte sotto la esclusiva autorità del comandante supremo, che lavora per il Segretario Generale: qui si ha l’effettiva “messa a disposizione” prevista dalla Commissione di diritto internazionale e si verifica di conseguenza una piena corrispondenza tra il soggetto che comanda e controlla le operazioni e quello al quale la condotta è imputata. Sul piano organizzativo invece l’ONU mantiene una generale autorità in quanto le truppe si trovano su uno Stato terzo proprio in virtù di un mandato dell’Organizzazione stessa; tuttavia ciascun contingente resta sotto i poteri amministrativi e disciplinari dello Stato di invio e qui si apprezza la possibilità di una doppia imputazione: la condotta dei

130

G.GAJA, Second report on the responsibility of international organizations” in Yearbook of the International Law Commission, 1971, Vol.2, parte I, p. 14.

78

peacekeepers può essere potenzialmente attribuita simultaneamente ad

entrambi i soggetti.

Di questo parere è stato anche il Segretario Generale che, nel Rapporto del 1996 131, ha delineato una distinzione tra “ordinary operations”, per le quali è possibile prospettare una “dual attribution”, e le “combat-related-activities”, cioè le attività militari che comportano l’uso della forza e che vanno attribuite alle Nazioni Unite se queste esercitano un “exclusive command and control”.

Inoltre il Segretario Generale interviene anche successivamente ad avvalorare questa teoria, confermandola nel bollettino relativo all’applicazione del diritto internazionale umanitario da parte delle forze delle Nazioni Unite del 6 giugno 1999 132, dove afferma che ciascun contingente resta sottoposto alle rispettive leggi militari nazionali, sul cui rispetto deve vigilare ciascuno Stato, essendo impensabile che l’ONU possa farlo in modo adeguato. In tali casi gli Stati, se non possono intervenire direttamente, devono obbligatoriamente darne comunicazione all’ONU affinché intervenga: se ciò avviene lo Stato non può essere ritenuto responsabile. Al contrario, se lo Stato non svolge i suoi compiti di vigilanza, allora si avrà una responsabilità diretta dell’ONU, alla quale si accompagna inevitabilmente una responsabilità dello Stato per un fatto proprio distinto, ma derivante dal fatto illecito di cui è responsabile l’Organizzazione (c’è un rapporto di consequenzialità tra i due fatti): lo Stato risponde perché ha violato il suo obbligo di “due diligence”. È ravvisabile una sorta di “complicità” dello Stato nell’illecito compiuto dalle truppe di peacekeeping, nel caso in cui questo abbia prestato assistenza “with knowledge of the circumstances of the

internationally wrongful act”, come dice l’articolo 16 del progetto di

articoli sulla responsabilità degli Stati rubricato “Aid or assistene in the

131

UN Doc. A/51/389, par. 13.

132

79

commission of an internationally wrongful act” 133. Tuttavia è difficile dimostrare la “knowledge of the circumstances”, ma in ogni caso lo Stato risponde in virtù del dovere di “due diligence”.

Anche la dottrina conferma la possibilità di una “dual attribution”: lo Stato di invio non può evitare la sua responsabilità perché esercita una forma di controllo su ogni condotta del proprio contingente. Quindi uno stesso atto può essere attribuito sia all’ONU, perché ha dato i comandi iniziali, sia allo Stato di invio, in quanto ha concorso nell’indicare le istruzioni alle proprie truppe, oltre ad averle fornite 134

. Qualcuno potrebbe obiettare che allora sia sufficiente un “potenziale controllo fattuale” per giustificare l’attribuzione della condotta, ma in realtà non è così perché per essere attribuita all’ONU è necessario che le funzioni esercitate appartengano propriamente all’Organizzazione stessa.

Questa teoria della “dual attribution” non ha trovato molti riscontri nella prassi. È stata applicata però nel caso Nissan 135, dove si ha un riconoscimento di una doppia gestione della forza. Sia Lord Pearce sia Lord Morris affermano questo concetto. Il primo afferma che “the

functions of the force as a whole are international”, ma “its individual component forces have their own national duty and discipline, and remain in the own national service”. Anche Lord Morris sostiene che

“from the documents it appears further that though national contigents

were under the authority of the United Nations and subject to the

133 Articolo 16: “A State which aids or assists another State in the commission of an

internationally wrongful act by the latter is internationally responsibe for doing so if: a) that State does so with knoweldge of the circumstances of the internationally wrongful act; and b) the act would be internationally wrongful if committed by that State”.

134

L. CONDORELLI, Le statut des forces de l’ONU et le droit international

humanitaire, in Rivista di Diritto Internazionale, Vol. 78, 1995, p. 893. Anche C.

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