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Il diritto all’abitare: le principali fonti normative

2. Il diritto alla casa: uno sguardo sociologico sulle principali fonti normative

2.1 Il diritto all’abitare: le principali fonti normative

Le politiche pubbliche sono qualunque cosa un Governo decide di fare o di non fare - Thomas R. Dye, 1987

Il diritto alla casa «offre una significativa opportunità per riprendere una riflessione (…) circa le implicazioni delle politiche sociali sulla concreta definizione sostanziale dei conte- nuti dei diritti fondamentali con uno sguardo aperto anche alle prospettive sovrastatuali ed ai processi di integrazione tra ordinamenti» (Bilancia, 2010: 231). Il diritto ad una abita- zione è richiamato in diversi trattati internazionali e collocato nell’ambito dei diritti uma- ni1. Il principio su cui si fondano tali diritti è I) il rispetto dell’individuo, ogni persona in

quanto tale merita di essere trattata con dignità; II) l’universalità; III) l’inviolabilità e IV) l’indisponibilità, ovvero non vi si può rinunciare. In altre parole, potremmo affermare che la casa, in quanto diritto umano, chiama in causa il concetto e la pratica della giustizia so- ciale e dell’eguaglianza, che costituiscono i valori fondanti di una società democratica.

Il diritto all’abitare si configura, pertanto, come un diritto vincolato ad un insieme di principi che governano il rapporto tra l’uomo e la società contemporanea, nei paesi cosid- detti occidentali, ciononostante la contemporaneità continua ad offrire variegati esempi della violazione di questi diritti «non a caso richiamati dai documenti internazionali, non soltanto in contesti di guerra civile o di irrisolte tensioni nei casi di convivenza sul mede- simo territorio di popoli differenti (…) ma sempre più spesso anche nella articolazione del-

1 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, 1948; Carta sociale europea, 1961; Patti inter- nazionali dei diritti economici, sociali e culturali, 1966; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 2000; The Right to adeguate Housing, 2009 Rapporto ONU dell’Alto Commissariato per i Diritti umani.

le politiche pubbliche di governo dei flussi di migrazione da parte delle “civili” democrazie europee» (Bilancia, 2010: 234). I diritti umani affermano che ogni essere umano è portato- re di specifici “diritti” e quindi di legittime rivendicazioni nei confronti della società in cui vive. La qualità di questi diritti è composta da due fondamentali presupposti: il primo è che non vi è arbitrio possibile per gli Stati e i governi nella concessione, ma spettano di diritto ad ogni individuo. Parimenti alla Società, per la natura giuridica stessa di tale diritto, è af- fidato il compito di predisporre gli strumenti e le norme affinché tutti gli individui possano effettivamente esercitarli. Il diritto internazionale declina infatti il diritto all’abitazione se- condo «parametri rappresentativi dei corrispondenti bisogni che in quel contesto si rendono essenziali per la costruzione di un sistema integrato di garanzie dei diritti alla persona» (Bilancia, 2010: 234), questo avviene in quanto le situazioni soggettive oggetto di prote- zione giuridica nella costruzione dell’ordinamento si basano sui bisogni concreti (Ferrara, 2008; Heller, 1974).

Il secondo presupposto riguarda il fatto che, essendo tale diritto individuale, esso persi- ste indipendentemente da qualsiasi qualità o caratteristica dell’individuo (quali la razza, il colore, il sesso, il ceto, etc.) tanto quanto il riconoscimento all’individuo di questi diritti deve essere esigibile in ogni società indipendentemente dalla disponibilità delle risorse, dal livello di sviluppo politico, sociale o economico, dal sistema politico o economico, dalla confessione religiosa o dalle convinzioni ideologiche2.

Partendo quindi da una analisi storico-evolutiva del diritto all’abitare s’intende in questa sede far emergere il divario esistente tra principi sanciti e prassi. Più nel dettaglio, il diritto all’abitare rientra nei cosiddetti diritti sociali, economici e culturali della più ampia gamma dei diritti umani; essi si configurano come i diritti umani in campo sociale ed economico (tra i quali troviamo il diritto all’istruzione, il diritto a un tenore di vita dignitoso, il diritto alla salute, il diritto alla scienza e alla cultura). Questo tipo di diritti è tutelato attraverso accordi internazionali e gli Stati che vi aderiscono sono tenuti al rispetto e alla tutela di questi diritti adottando “azioni progressive” per il loro riconoscimento. Tuttavia, nonostan- te lo sforzo, soprattutto sul piano politico e culturale, promosso da questi organismi inter- nazionali, come si evince dalla recente letteratura in materia, il loro riconoscimento non è ancora affatto scontato:

2 Tali diritti non hanno, chiaramente, carattere assoluto, l’obbligo di rispettarli e garantirli va coniugato al diritto concorrente degli altri individui come alle esigenze e all’interesse comune della società. Ciò detto, sebbene la Dichiarazione universale dei diritti umani non sia uno strumento giu- ridicamente vincolante, essa svolge comunque un importante ruolo “morale” in quanto ha costituito il modello per l’adozione dei successivi trattati a livello nazionale, internazionale e regionale.

La questione è resa ancor più complessa dal fatto che per potere stabilire se i diritti sociali siano o meno veri diritti non è sufficiente definire in maniera univoca cosa sia un diritto. Per farlo, è anche necessario definire in maniera univoca a cosa si riferisca l’espressione “diritti sociali”: delimitare l’insieme dei diritti sociali. Se vi è ampio consenso circa il fatto che certi diritti (ad es., il diritto alla salute inteso come diritto all’assistenza sanitaria), posto che siano diritti, andrebbero catalogati come diritti sociali, l’appartenenza di altri diritti (ad es., dei di- ritti sindacali) alla classe dei diritti sociali è più incerta. Peraltro, la questione se i diritti so- ciali siano veri diritti non è di quelle a cui è possibile rispondere solamente in due modi, po- sitivamente o negativamente: è ben possibile, infatti, che alcuni diritti sociali siano veri dirit- ti e che altri, invece, non lo siano (Riva, 2016: 7).

All’annosa questione di definizione di cosa sia un diritto, quale un diritto sociale, si ag- giunge ciò che già Treves (1989) sottolineava riguardo la questione del divario fra ciò che è sancito su carta e ciò che è prassi comune. L’Autore, padre della sociologia del diritto in Italia, sottolinea l’importanza del tema riguardo il divario fra diritti proclamati e diritti ef- fettivi, asserendo che risulta essere di piena rilevanza sociologica (Treves, 1989: 9). Ad ar- ricchire la riflessione riguardo il diritto come fenomeno sociale, Bobbio (2014: 67) invita- va ad indagare le origini sociali dei diritti umani, il loro rapporto con la società, la connes- sione fra gli stessi e il cambiamento sociale, nonché, la distanza tra i diritti affermati sulla carta e quelli riconosciuti nelle pratiche sociali, ricordando che

Il campo dei diritti dell’uomo (…) è certamente quello in cui maggiore è il divario tra la po- sizione della norma e la sua effettiva applicazione (Bobbio, 1989: 23).

I diritti umani, sotto il profilo sociologico,

rappresentano invece un ambito di trattazione molto ampio, per diversi motivi: per la vasta platea di soggetti istituzionali e attori sociali coinvolti; per la complessità delle funzioni e dei ruoli svolti; per le dinamiche di cambiamento sociale e culturale interessate. La prospettiva sociologica dispone di una metodologia di analisi che può essere rivolta alla dimensione glo- bale e locale dei diritti umani; allo studio delle condizioni eco-socioeconomiche nelle aree geo-culturali che presentano difficoltà e ritardi; allo studio della molteplicità di fattori sociali che entrano in gioco; alla rilevazione delle cause delle loro negazioni e violazioni e dei ri- medi possibili; alle attività dei movimenti sociali attivi in questo campo; alla rilevazione ed analisi del divario fra principi e prassi; alla valutazione dell’impatto sociale delle misure adottate (Simonelli, 2017).

Il piano di azione della Comunità Europea sull’integrazione dei cittadini stranieri3

(2016) osserva che «l’accesso ad alloggi adeguati e accessibili è fondamentale per i citta-

3 Communication from the commission to the European parliament, the council, the European economic and social committee and the committee of the regions. Action plan on the integration of third country nationals, 2016. https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-

dini di paesi terzi», tuttavia questo si è rivelato uno dei problemi più complessi, in partico- lar modo in ragione del contesto in cui vanno ad inserirsi, il quale è caratterizzato da un numero limitato di alloggi in locazione disponibili nel mercato abitativo e da un notevole aumento dei costi (Whelan, Pittini, 2008). L’introduzione di questo punto nel recente piano d’azione della Comunità Europea indica distintamente l’importanza attribuita a questo am- bito, in quanto implicitamente ne riconosce il suo valore sociale.

Come ebbe a sostenere Tosi (1994) il termine “sociale” legato ai problemi abitativi, as- sume due significati basilari: 1) i modi di abitare devono essere rispondenti ai bisogni dell’abitante; 2) la casa deve essere garantita a tutti. Questa è la definizione dell’abitare moderno, ovvero adeguato alle condizioni della modernità. Secondo l’Autore sono tre le condizioni moderne dell’abitare; a) «il venir meno delle regole implicite che guidavano l’architettura vernacolare delle società preindustriali» (Tosi, 1994: 7), ovvero la produzio- ne abitativa è frutto dell’opera di professionisti e oggetto di attenzione istituzionale attra- verso le politiche pubbliche; b) il diverso corpo di valori che si attribuisce all’esperienza abitativa, oggi maggiormente orientato all’autonomia della sfera privata e personale; c) la modernizzazione, infine, attraverso la definizione di “una specifica nozione di cittadinan- za” designa un moderno ruolo riconosciuto allo Stato, investendolo anche nella gestione della società; ciò implica la responsabilità che l’attore istituzionale assume anche nel cam- po abitativo, attraverso le cui politiche estende i benefici del buon abitare alla popolazione intera (Tosi, 1994: 7).

La casa è il luogo che l’uomo costruisce, sceglie o adatta tra quelle che a lui si offrono come rifugio, stabile o provvisorio, per sé e per il suo nucleo familiare. Ovvero il comples- so di ambienti, fabbricati in differenti possibili materiali, che insieme compongono un or- ganismo architettonico rispondente alle necessità specifiche dei suoi abitatori: gli abitanti (con valore verbale). Le caratteristiche e le qualità che la casa può assumere sono moltepli- ci, eppure qualunque siano le differenze che esse possono assumere tutte garantiscono una specifica funzione di protezione per coloro che vi risiedono. La complessità della questione è possibile evidenziarla a partire dalla numerosità dei termini che differenti lingue utilizza- no per designare la casa. Le funzioni dell’abitazione sono molteplici e rimandano a più di- mensioni; quali quella di protezione, di sostegno alla vita familiare e comunitaria, come oggetto culturale, per contrassegnare uno spazio, esprimere sentimenti e una propria identi- tà, può essere il luogo o uno strumento di lavoro, una merce, un bene di consumo, una espressione di status e risorsa (Tosi, 1994).

do/policies/european-agenda-migration/proposal-implementation-

Nel parlare di diritto alla casa, quindi, «la dimensione concettuale è più che altro quella del “diritto-ragione” ossia dell’insieme di valori, esigenze e garanzie, valevoli come argo- menti (non solo di carattere giuridico, ma anche etico e politico) per elaborare pretese in primo luogo nei confronti dei pubblici poteri, che si collegano alla rivendicazione di uno “spazio” in cui possa estrinsecarsi in modo adeguato la personalità umana e che si traduca nell’uso durevole di un bene dotato di qualità idonee per garantire in una determinata so- cietà lo sviluppo psico-fisico della persona» (Civitarese Matteucci, 2010: 164).

È bene ricordare come «la problematica abitativa nelle nostre società è l’esito di un pas- saggio storico che ha sconvolto funzioni, significati e forme spaziali dell’abitare» (Tosi, 1991). Sebbene sia vero che la base culturale entro cui si fondano le nostre idee di abita- zione siano molto più antiche, le nozioni più caratterizzanti e le problematiche legate all’esperienza abitativa si sono affermate con e in seguito ai processi di industrializzazione e modernizzazione (Tosi, 1991). Le politiche abitative non sono nate con la Costituzione del 1948, poiché il loro inizio è correlato ai fenomeni di inurbamento, come è avvenuto negli altri paesi europei, connessi all’industrializzazione avvenuti all’inizio del XX secolo. Furono infatti i Comuni, inizialmente, a predisporre iniziative per soddisfare la consistente domanda abitativa formatasi in seguito ai vari «fallimenti del mercato che hanno indotto i poteri pubblici ad intervenire con misure di riequilibrio. Alla base di tali fallimenti, ovvia- mente, vi deve pur sempre essere, da un lato, la percezione della casa come “bene sociale”, dall’altro la rilevazione di un più o meno cospicuo “disagio abitativo” dipendente da sva- riati fattori ed avente molte differenti manifestazioni secondo i tempi e i luoghi» (Civitare- se Matteucci, 2010: 169).