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Il ditirambo pindarico fra tradizione e innovazione

Nel documento Bacchilide e il Ditirambo (pagine 36-40)

Capitolo 2. I Ditirambi di Pindaro

2.3 Il ditirambo pindarico fra tradizione e innovazione

L’autoconsapevolezza della propria responsabilità e funzione di poeta comporta dunque in Pindaro una certa attenzione a questioni di poetica e rispetto di quelle leggi, dettate dall’occasione e dalla tradizione, che permettono al genere di esplicare la sua funzione, come abbiamo avuto modo di intuire dalla lettura dei passi analizzati finora.

Un’espressione ancor più esplicita di una sollecitudine di questo tipo da parte del poeta tebano si può apprezzare nei primi tre versi del già analizzato fr. 70b, che contengono una

115 Ampiamente nota la discussione critica sui problemi connessi con l’identificazione e l’attribuzione della

prima persona singolare nella lirica corale. Nel caso del Ditirambo II, tuttavia, Lavecchia 2000: 169-170 – e noi con lui – si dichiara convinto che “il richiamo all’ispirazione (v. 25) indichi che il locutore si fa portavoce del poeta, il cui Io viene mediato dal coro”.

116

Lavecchia 2000: 170 suggerisce l’opportuno confronto con Pae. 6, 51-53, altro passo in cui il tema dell’ispirazione-conoscenza poetica è inserito in un contesto cletico.

contrapposizione rispetto a un non meglio specificato più antico stato del ditirambo (πρὶν, v. 1), non immediatamente chiara:

5 Π ρ ˪ὶν μὲν εἷρπε σχοινοτένειά τ’ἀοιδὰ δ ι θ υ ˪ράμβων καὶ τὸ σ α ˪ν κίβδηλον ἀνθρώποισιν ἀπὸ στομάτων, διαπεμ [.].[. . . .](.) . . . .[κύ] κλοισι νε αν ...

In che senso, in particolare, il ditirambo precedente sia σχοινοτενής, “teso come una corda” è oscuro. Lavecchia nota bene che l’aggettivo non riguardi la danza118 o la monotonia e

lunghezza dei ditirambi antichi, ma la ἀοιδὰ in quanto emissione vocale del canto, come risulta evidente dal nesso con il σὰν κίβδηλον e ἀπὸ στομάτων (v. 3). Pindaro, quindi, starebbe criticando alcuni elementi fonici della παλαιὰ ἀοιδὰ e polemizzando contro una tecnica di composizione che rende sgradevoli determinati aspetti della performance119.

Al di là delle varie ipotesi interpretative sulla natura specifica della caratteristica veicolata dall’aggettivo σχοινοτενής120 e sull’entità della vexata quaestio del sigma nella produzione

pindarica, collegata già dagli antichi121 all’asigmatismo lasiano, rilevante è in primo luogo

che ancora una volta, come già implicitamente nel fr. 128c M., Pindaro si dimostri sensibile a questioni di poetica connesse con le leggi e l’evoluzione del genere ditirambico e, a un secondo livello, che, proprio in quest’ottica, rivendichi indirettamente per il suo ditirambo122

la caratteristica di genuinità e vera conformità al genere.

Rifiutando il sigma κίβδηλον, il poeta starebbe proponendo da una parte un ritorno alla pronuncia genuina, non contraffatta da esperimenti poetico-musicali; ma la contrapposizione con il passato aspettata dopo un sospeso “πρὶν μὲν” suggerisce una consapevolezza da parte di Pindaro di farsi autore di ditirambi caratterizzati da novità. In che cosa potesse specificamente consistere questa novità, non ci è concesso valutarlo, per via della scarsità di quanto possiamo leggere dei ditirambi del poeta tebano. Purtuttavia, anche Orazio celebrerà i “nova verba” come caratteristica dei suoi “audaces dithyrambos” in quel monumento che della musa pindarica immortalerà in Carm. IV 2, 5-12 (= T70 Ieranò):

118

Per un’interpretazione di segno opposto, cfr. D’Angour 1997: 331-351.

119 Cfr. Lavecchia 2000: 125-126. 120

Che essa possa designare un κῶλον o una περίοδος eccedenti una determinata lunghezza o l’uso eccessivo di periodi “lunghi”, con poche pause forti, che provocava l’effetto di un canto strascicato, sono solo ipotesi; cfr. Lavecchia 2000: 126-127.

121

Aristox. fr. 88 Wehrli ap. Athen. 10, 455c; cfr. le Testt. 57a-64 Ieranò e, supra, il par. 1.2.3.

122

“Il ditirambo che egli contrappone al precedente non è quello dei suoi tempi, ma il suo”, secondo Privitera 1970: 124.

5

10

Monte decurrens velut amnis, imbres quem super notas aluere ripas, fervet immensusque ruit profundo Pindarus ore,

laurea donandus Apollinari, seu per audacis nova dithyrambos verba devolvit numerisque fertur lege solutis...

Pindaro si farebbe sì portavoce, con il suo ditirambo, dell’esigenza di un recupero degli aspetti tradizionali, connessi con la matrice cultuale e rituale del genere, presumibilmente già opaca nelle coeve anticipazioni degli sviluppi successivamente sfociati nell’esperienza del ditirambo “nuovo” e, di certo – possiamo anticipare – nelle odi bacchilidee, come abbiamo avuto modo di riscontrare dal diretto collegamento ideale e concreto tra tipologia di canto e divinità ispiratrice e dedicataria, istituito nei versi del fr. 128c M. e dall’apprezzamento del forte enthousiasmos dionisiaco che traspare e, anzi, prorompe dai più cospicui frammenti ditirambici pindarici rimasti.

Ma d’altro canto, Pindaro stesso propone la sua poesia ditirambica, nei primissimi versi del fr. 70b – in una posizione, all’interno della composizione del canto poetico, di cui sarà superfluo ricordare la significatività – sotto il segno della novità, probabilmente a livello di suono, e questa stessa è la strada che sembra indicarci la designazione oraziana dei ditirambi pindarici come audaci e, soprattutto, della dizione di quelli come nova. Vero è che, da una parte, come nota realisticamente Ieranò, l’audacia, la novitas e i ritmi soluti del ditirambo pindarico potrebbero trovare, più in generale, un corrispettivo nell’immagine corrente che del genere possedevano i latini123; nondimeno, la questione su quelli che

dovevano essere i peculiari caratteri musicali, linguistici e stilistici dell’ἀοιδὰ διθυράμβων pindarica rimane aperta per gli studiosi, da Seaford124 che, proprio con particolare

attenzione ai frammenti da noi analizzati, ha evidenziato l’uso di un vocabolario che anticiperebbe la lexis tipica del ditirambo più tardo, per l’alta frequenza di parole composte, ad Hamilton125, che nega l’adattabilità del criterio degli “elaborately compound epithets”

individuato dal suo predecessore per il lessico ditirambico attestato da frammenti pindarici.

123

Ieranò 1997: 217-218, che offre come parallelo Cic. De Orat. III 48.185-186 = T192a, e in particolare l’enunciato “licentior et divitior fluxit dithyrambus”, che è inserito però all’interno di un contesto trattatistico e retorico in cui il termine di confronto ideale sembrerebbe il ritmo della prosa, dell’oratio, che “liberior est et plane, ut dicitur, sic est vere soluta” (III 48.184).

124

Seaford 1977-78: 88 nn. 59-60 e p. 92.

In ogni caso, ci sembra di poter scegliere come conclusione fittizia di una discussione ancora viva – e su cui l’analisi della voce bacchilidea potrà forse aggiungere qualcosa – come quella della poesia ditirambica pindarica, l’intuizione di Lavecchia, da tenere di conto in quanto frutto dell’apprezzabile sensibilità maturata nel lavoro di edizione dei ditirambi del poeta tebano: secondo lo studioso, “lo stile dei Ditirambi doveva accentuare due caratteri tipici della lirica pindarica: la potenza espressiva e la solennità, probabilmente tese a rievocare i πάθη peculiari delle τελεταί dionisiache”126; alcune tra le loro, forse distintive,

caratteristiche, devono essere dunque ricercate in un effetto psicagogico, trascinante, e in una forte espressività, a livello del significato e del significante.

Nel documento Bacchilide e il Ditirambo (pagine 36-40)