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Troia ad Atene

Nel documento Bacchilide e il Ditirambo (pagine 68-73)

Capitolo 3. Il ditirambo nella sensibilità letteraria antica

4.1 Il Ditirambo I: Omero nella polis

4.1.2 Troia ad Atene

La tesi secondo la quale il Ditirambo I fu rappresentato ad Atene, sostenuta, tra gli ultimi editori del testo, fermamente da Maehler, ma non da Irigoin205, sembra in realtà molto

verosimile, essendo basata su delle evidenze emergenti più o meno direttamente dal testo. Innanzitutto, il titolo Ἀντηνορίδαι: lo Schol. 496b Erbse a Il. 24.496206 fornisce la notizia che

Bacchilide attribuì a Teano cinquanta figli. La critica è concorde nel ritenere che lo scoliaste si riferisse proprio al nostro carme 15 e, in questo caso, che gli Antenoridi che davano il titolo al componimento corrispondessero al coro nella performance. Dal momento che le rappresentazioni ditirambiche di epoca tardoarcaica e classica avevano come modalità privilegiata e specifica il κύκλιος χορὸς composto di cinquanta membri207, la notizia dello

203

Kenyon 1897: 141.

204

Cfr. Pfeijffer 1999: 46.

205 L’editore francese pensa a una rappresentazione spartana, sulla base della scelta di un mito riguardante le

vicende di Elena e della centralità attribuita a Menelao: “Le fait que le rôle principal est attribué à Ménélas, en tant que roi de Sparte et époux d’Hélène, le ton religieux de son discours, tout cela paraît indiquer que le poème était destiné à être exécuté à Sparte même, au cours d’un cérémonie en l’honneur d’Hélène considérée comme déesse, peut-être encore en l’honneur des deux époux” (Irigoin 1993: 5).

206

“ἐ ν ν ε α κ α ί δ ε κ α : πιθανὸν μίαν τεκεῖν ἐ ν ν ε α κ α ί δ ε κ α , οὐχ ὡς Βακχυλίδης πεντήκοντα τῆς Θεανοῦς ὑπογράφει παῖδας”.

207

Maehler 1997: 129. Cfr. Σ Aischin. 1.10 (29 p. 15 Dilts): “ἐξ ἔθους Ἀθηναῖοι κατὰ φυλὴν ἵστασαν πεντήκοντα παίδων χορὸν ἢ ἀνδρῶν, ὥστε γενέσθαι δέκα χορούς, ἐπειδὴ καὶ δέκα φυλαί. Διαγωνίζονται δ’ἀλλήλοις διθυράμβῳ, φυλλάττοντος τοῦ χορηγοῦντος ἑκάστῳ χορῷ τὰ ἐπιτήδεια. Ὁ δ’οὖν νικήσας χορὸς τρίποδα

scolio all’Iliade sembra una notizia indirettamente afferente alla tipica prassi rappresentativa ateniese208.

Soprattutto, le scelte mitiche interne al componimento risulterebbero meglio inquadrate in un contesto ateniese: l’apertura con Teano, sacerdotessa di Atena209; l’eco morale soloniana

nelle parole di Menelao; finanche, secondo Maehler, il riferimento nello stesso discorso, come exemplum di Ὕβρις, ai Giganti210.

In particolare, appare proficuo fermarsi a riflettere sulla composizione dell’allocuzione ai Troiani di Menelao, a chiusura del componimento: si noterà prontamente come, in una Sprachform omerizzante siano tuttavia espressi contenuti etici per lo più successivi all’universo valoriale omerico. A mo’ di spia d’avvertimento, il discorso è introdotto, al v. 48, come pronunciato dal Πλεισθενίδας Μενέλαος, indicato con una genealogia post-omerica, e non con l’epicissimo Ἀτρείδης, come al v. 6.

Il discorso prende poi le mosse da precetti morali appartenenti al patrimonio culturale collettivo greco e già omerici e, in particolare, dal concetto della non responsabilità di Zeus del male che affligge gli uomini (vv. 51-52), che ci riporta immediatamente alla memoria il celebre passo dell’apertura del libro I dell’Odissea, in cui Zeus in persona esclama che gli uomini stessi, mentre rinfacciano al cielo le loro sofferenze, sono in realtà causa dei loro affanni211. Ma la netta bipartizione del cammino morale tra la strada di Δίκη, Εὐνομία e Θέμις

e quella di Ὕβρις sembra risentire, come nota Maehler, in primo luogo, della genealogia esiodea (Theog. 901-903212); prova ne è, nuovamente, il fatto che dal modello,

rifunzionalizzato, Bacchilide colga degli elementi linguistici e stilistici, che dissemina nei suoi versi con lo scopo di attivare il processo di richiamo e confronto nell’orecchio

λαμβάνει, ὃν ἀνατίθησι τῷ Διονύσῳ. Λέγονται δὲ οἱ διθύραμβοι χοροὶ κύκλιοι καὶ χορὸς κύκλιος”. Cfr. Pickard- Cambridge 1962: 32.

208 E, potremmo notare incidentalmente, rappresenta anche una chiara conferma “esterna” e indiretta del

genere del componimento che abbiamo di fronte, oltre all’esplicito σίλλυβος del P. Oxy. 1091.

209

Per Fearn 2007: 294-296 in particolare, la presenza di Teano deporrebbe a favore di una rappresentazione ateniese anche secondo un meccanismo allusivo più sotterraneo: il rimando intertestuale all’episodio di Il. 6 in cui la sacerdotessa guidava il corteo delle donne troiane supplici al tempio di Atena e ne celebrava il sacrificio richiamerebbe la processione e i riti officiati durante le festività panatenee.

210

L’editore tedesco pensa infatti a una rappresentazione alle Panatenee: dopo la riorganizzazione di quelle festività (566-565 a.C.), infatti, la vicenda della sfida dei Giganti al regno degli dei divenne “das beherrschende Thema dieses Festes” (Maehler 1997: 129).

211

Od. 1.32ss e, in particolare, i primi tre versi: “ὢ πόποι, οἷον δή νυ θεοὺς βροτοὶ αἰτιόωνται. | Ἐξ ἡμέων γάρ φασι κάκ’ἔμμεναι· οἱ δὲ καὶ αὐτοὶ | σφῇσιν ἀτασθαλίῃσιν ὑπὲρ μόρον ἄλγε’ἔχουσιν”. Secondo Maehler 1997: 144-145, il riferimento indiretto così stabilito alle colpe di Egisto, ricordate nei versi odissiaci immediatamente successivi a quelli citati, sarebbe significativo come altro exemplum morale, in negativo, per i Troiani. Per lo stesso concetto di non-responsabilità divina, cfr. anche Theog. 833-836 W.

212

“Δεύτερον ἠγάγετο λιπαρὴν Θέμιν, ἣ τέκεν Ὥρας, Εὐνομίην τε Δίκην τε καὶ Εἰρήνην τεθαλυῖαν, αἵ τ’ἔργ’ὠρεύουσι καταθνητοῖσι βροτοῖσι…”

dell’ascoltatore e nell’occhio dell’interprete: la menzione di Zeus, ad apertura del discorso morale di Menelao, al v. 51, si avvale dell’epiteto non omerico, ricostruito come ὑψιμέδων, che sembra provenire direttamente da Hes. Theog. 529 (“...οὐκ ἀέκητι Ζηνὸς Ὀλυμπίου ὕψι μέδοντος”), e della qualificazione “ὃς ἅπαντα δέρκεται” che rievoca direttamente Hes. Erg. 267-269 (“Πάντα ἰδὼν Διὸς ὀφθαλμὸς καὶ πάντα νοήσας | καί νυ τάδ’, αἴ κ’ἐθέλῃσ’, ἐπιδέρκεται, οὐδέ ἑ λήθει | οἵην δὴ καὶ τήνδε δίκην πόλις ἐντὸς ἐέργει”)213.

La genealogia esiodea sarebbe quindi qui reinterpretata in maniera funzionale al contesto: mentre nella discendenza della Theogonia Zeus si unisce con Θέμις e genera le Ὥραι Εὐνομίη, Δίκη ed Εἰρήνη, Bacchilide nel Ditirambo I ha “auf dieselbe Stufe gestellt”214 Δίκη,

Εὐνομία e Θέμις, in quanto concetti più semanticamente uniti e saldamente opponibili a Ὕβρις, lasciando che la Pace, taciuta, venga rievocata dal confronto indotto nella memoria e nella mente del pubblico con il modello esiodeo, acquistando in tal modo ancora più forza e incisività. E d’altronde, questa già appare e apparirà ancor di più nel corso dell’analisi un’“ode di silenzi”, un componimento in cui ciò che non è detto, o è detto indirettamente, è quasi più significativo di ciò che invece è detto, e nei cui “vuoti” risiede il vero messaggio. I forti echi soloniani nelle parole di Menelao sono ormai stati evidenziati da molti studiosi moderni, da Zimmermann e Fischer a Fearn215. Pur lavorando all’interno della cornice

originariamente esiodea di contrapposizione tra Δίκη e Ὕβρις, il concetto di responsabilità morale dell’agire umano è infatti tema particolarmente caro alla musa del poeta ateniese, e la mente richiama soprattutto i versi d’apertura dell’elegia Εὐνομία, 4 W. (= 3 G.-P.), 1-10:

5 Ἡμετέρα δὲ πόλις κατὰ μὲν Διὸς οὔποτ’ὀλεῖται αἶσαν καὶ μακάρων θεῶν φρένας ἀθανάτων· τοίη γὰρ μεγάθυμος ἐπίσκοπος ὀβριμοπάτρη Παλλὰς Ἀθηναίη χεῖρας ὕπερθεν ἔχει· αὐτοι δὲ φθείρειν μεγάλην πόλιν ἀφραδίῃσιν ἀστοὶ βούλονται χρήμασι πειθόμενοι, δήμου θ’ἡγεμόνων ἄδικος νόος, οἷσιν ἑτοῖμον ὕβριος ἐκ μεγάλης ἄλγεα πολλὰ παθεῖν·

213 Anche questi versi sono inseriti in un contesto di ammonimento morale sul comportamento ingiusto degli

uomini, subito dopo la sentenza “οἷ τ’αὐτῷ κακὰ τεύχει ἀνὴρ ἄλλῳ κακὰ τεύχων” del v. 265 e, soprattutto e sorprendentemente, dopo la menzione, ai vv. 255-262, di “Δίκη, Διὸς ἐκγεγαυῖα, | κυδρή τ’αἰδοίη τε θεοῖς οἳ Ὄλυμπον ἔχουσιν”, la quale, “quando qualcuno l’offende e, iniquamente, la disprezza, | subito, sedendo presso Zeus padre, figlio di Kronos, | a lui lamenta ἀνθρώπων ἀδίκων νόον” (trad. G. Arrighetti per l’edizione Einaudi del 1998). Poco prima, ai vv. 225ss. “die Kontrastierung von Dike und Hybris und die Aufzählung der Folgen für die Gemeinschaft”, altro passo di cui Zimmermann 1992: 68 è stato il primo a mettere in luce gli echi nel nostro discorso di Menelao.

214

Maehler 1997: 145.

10

οὐ γὰρ ἐπίστανται κατέχειν κόρον οὐδὲ παρούσας εὐφροσύνας κοσμεῖν δαιτὸς ἐν ἡσυχίῃ.

Anche l’elegia soloniana si apre nel segno di Atena protettrice, come il Ditirambo I con la scena di Teano sacerdotessa della dea; anche lì sono la tracotanza (ὕβριος ἐκ μεγάλης, v. 8) e la dissenatezza degli uomini (ἀφραδίῃσιν, v. 5) a minacciare l’ordine e la pace costituiti e preservati da Zeus e dagli dei (vv. 1-2), come nel discorso di Menelao; come Bacchilide mette in bocca al capo acheo una distinzione tra la strada di Ὕβρις e quella di Δίκη, compagna di Εὐνομία e Θέμις, così anche Solone, proseguendo nella stessa elegia, ai vv. 30-39, insegna agli Ateniesi quanto male provochi Δυσνομία, e quanto benefica invece sia Εὐνομία, tessendone un fine elogio:

30 35 Ταῦτα διδάξαι θυμὸς Ἀθηναίους με κελεύει, ὡς κακὰ πλεῖστα πόλει Δυσνομία παρέχει, Εὐνομία δ’εὔκοσμα καὶ ἄρτια πάντ’ἀποφαίνει καὶ θαμὰ τοῖς ἀδίκοις ἀμφιτίθησι πέδας· τραχέα λειαίνει, παύει κόρον, ὕβριν ἀμαυροῖ, αὐαίνει δ’ἄτης ἄνθεα φυόμενα, εὐθύνει δὲ δίκας σκολιὰς ὑπερήφανά τ’ἔργα πραΰνει, παύει δ’ἔργα διχοστασίης, παύει δ’ἀργαλέης ἔριδος χόλον, ἔστι δ’ὑπ’αὐτῆς πάντα κατ’ἀνθρώπους ἄρτια καὶ πινυτά.

Che Bacchilide avesse in mente l’elegia sembra suggerito da ulteriori nuove affinità concettuali e linguistiche tra l’Εὐνομία soloniana e quella di Menelao: è essa infatti che εὐθύνει δὲ δίκας σκολιὰς, come ἰθεία è la Δίκη, la giustizia “dei tribunali”, bacchilidea; essa fiacca la ὕβρις, al v. 34, e “dissecca i germogli di ἄτη” (αὐαίνει δ’ἄτης ἄνθεα φυόμενα, v. 35), con la stessa metafora floreale-botanica di cui Menelao si serve per illustrare l’ingannevolezza del fascino accecante della strada di Ὕβρις, ἁ δ’αἰόλοις κέρδεσσι καὶ ἀφροσύναις | ἐξαισίοις θάλλουσ’ἀθαμβής (vv. 57-58); essa è l’unica capace di “porre fine all’esacerbazione di dolorosa contesa” (παύει δ’ἀργαλέης ἔριδος χόλον, v. 38), proprio quella fine delle sofferenze che i Troiani supplicano ai vv. 45-46 (θεοῖς δ’ἀνίσχοντες χέρας ἀθανάτοις | εὔχοντο παύσασθαι δυᾶν); essa rende le cose umane ἄρτια καὶ πινυτά, al v. 39, come πινυτά è definita Θέμις al v. 55 del Ditirambo I.

Se quindi nella contrapposizione sul piano morale dell’agire umano tra le entità della sfera di ciò che è “Giusto” e di quella di ciò che è “Ingiusto” è manifesta l’impronta di una teodicea

tradizionale, di origine esiodea, il contatto con la rigida e severa norma morale, sorretta da autentica passione civile, predicata da Solone, porta Bacchilide a comporre un quadro morale indirizzato direttamente al cittadino e a misura della polis: la Ὕβρις, il “travalicare imperterrito dei propri limiti” (ἀθαμβής, v. 59) si oppone così a Δίκα ἰθεία, la correttezza dei giudizi e delle sentenze, a Εὐνομία ἁγνά, la bontà e l’equità degli ordinamenti legislativi e civili, e a Θέμις πινυτά, la giustizia solenne che viene dagli dei e informa, a livello profondo e “naturale”, tutti i rapporti umani.

Bacchilide avrebbe quindi deliberatamente scelto di mettere in bocca un discorso di impegno morale di questo tipo a Menelao piuttosto che ad Odisseo, in quanto nelle parole del primo avrebbe acquistato per l’uditorio quella forza dettata dal personale coinvolgimento di uomo tradito e trattato ingiustamente, in modo contrario ai diritti-doveri basilari umani di fedeltà e ospitalità, di cui le sottili e proverbialmente costruite argomentazioni dell’altro eroe acheo non si sarebbero mai potute caricare. A questo proposito, ha ragione la Angeli Bernardini a notare come “il registro di questo discorso è l’ira che domina nelle parole di Menelao, vittima della tracotanza di Paride che gli ha portato via la donna e gli averi. L'abbondanza dell’aggettivazione negativa (ἐξαίσιος, βαθύς, ὑπερφίαλος) – o connotantesi come tale nel contesto (αἰόλος, ἀθαμβής, ἀλλότριος) – che caratterizza la parte del discorso riservata a Hybris esprime un forte rancore personale”216.

Le scelte compositive del Ditirambo I operate da Bacchilide si comprendono completamente solo in considerazione del target della poesia, dell’uditorio reale, primo destinatario della performance: i modelli iliadici, esiodei, soloniano sono reimpiegati e rifunzionalizzati nel delineamento di un’azione morale umana “within a polis environment”. “The point that Solon was making, in an Athenian context and to an Athenian audience, and that Bacchylides is also making, also in Athens (…), is that even if a great city – such as Athens, or Troy – has a protecting divinity with a prominent temple, who recives prayers and dedications, the actions of men themselves are to blame for the refusal of gods to offer help”217.

In quest’ottica, si rifletterà sul fatto che Bacchilide non istituisca nessuna immediata e semplicistica polarità tra Achei-Greci e Troiani-Barbari (i quali infatti accolgono secondo ciò che è giusto l’ambasceria achea e secondo ciò che è giusto si rivolgono agli dei e chiedono la fine delle sofferenze e dei rancori, dopo che con tracotanza hanno violato le leggi dell’ospitalità macchiandosi della colpa del ratto di Elena e prima di riconfermare la stessa tracotanza, come il pubblico può ben immaginare, rifiutando gli ammonimenti di Menelao e

216

Angeli Bernardini 2005: 20.

andando incontro a una guerra che segnerà la loro rovina); semmai, il confronto è stabilito, di nuovo su un piano morale, tra gli Antenoridi e il resto dei Troiani, distinguendosi Antenore, sua moglie e, possibilmente, in ciò che non possiamo leggere, anche i loro figli218,

per un rispetto pietoso delle leggi divine (Teano πρόσπολος di Atena in apertura, colei che in Il. 6 si farà mediatrice delle suppliche alla dea ormai tardive e inefficaci di Ecuba e le altre donne troiane), politico-civili (gli Antenoridi che scortano l’ambasceria nell’agorà e loro padre che, per ciò che leggiamo dall’Iliade si distingue dai Troiani tracotanti che propongono incautamente di mettere a morte i legati achei, garantendo loro la legittima ospitalità) e private (Antenore è descritto come πατὴρ εὔβουλος al v. 37, quasi come “buon padre di famiglia”). Se di exemplum positivo si può parlare, è proprio negli Antenoridi che danno anche il titolo all’ode 15 che si devono andare a cercare quelle caratteristiche positive, quelle Δίκη, Εὐνομία e Θέμις che puntellano come pilastri le parole di Menelao, ossia la conclusione del canto.

Nel documento Bacchilide e il Ditirambo (pagine 68-73)