1. INTRODUZIONE 3
1.6 IL DOSAGGIO IMMUNOENZIMATICO 42
Gli anticorpi monoclonali sono anticorpi che derivano da un unico clone plasmacellulare e che sono quindi identici nella struttura della regione costante e variabile. Per produrre anticorpi monoclonali si deve isolare e far proliferare una singola plasmacellula. Gli anticorpi di comune uso in laboratorio vengono prodotti tramite immunizzazione di animali di laboratorio. La fase di immunizzazione è diversa da antigene ad antigene e da animale ad animale.
La tecnologia degli anticorpi monoclonali si è sviluppata negli anni '70, quando Köhler e Milstein riuscirono a fondere cellule mielomatose immortali con linfociti B produttrici di anticorpi (Fig. 17). Una parte degli ibridi ottenuti risultava essere stabile, con caratteristiche cancerose di immortalità e capace di produrre anticorpi. Queste cellule, dette ibridomi, rappresentavano dunque una inesauribile fonte di anticorpi monospecifici (monoclonali).
Formazione e selezione delle cellule ibride:
Il primo passo della produzione di una linea cellulare ibrida che produca un unico anticorpo è l'inoculazione, nel topo o nel ratto, dell'antigene contro il quale si desidera venga prodotto l'anticorpo. Dopo parecchie inoculazioni e in capo ad un periodo di alcune settimane si saggiano gli animali per stabilire se hanno o meno sviluppato la risposta immunitaria. In caso affermativo essi vengono uccisi e se ne asporta la milza (che ospita i linfociti, le cellule che producono gli anticorpi), la si lava e trita, e si agita poi dolcemente per liberare le singole cellule, alcune delle quali saranno cellule B produttrici di anticorpi.
Si mescola la sospensione di cellule spleniche con una sospensione di cellule di cellule mielomatose geneticamente prive dell'enzima ipoxantina-guanina-fosforibosil transferasi (HGPRT-). La miscela delle sospensioni cellulari viene mescolata con glicole polietilenico (PEG) al 35% per alcuni minuti e successivamente trasferita a un mezzo di coltura contenente ipoxantina, amminopterina e timidina (mezzo HAT).
Il trattamento con polietilenglicole (PEG) facilita la fusione tra le cellule, ma anche così gli eventi di fusione sono rari e casuali. Nella miscela esisteranno alla fine cellule mielomatose, cellule spleniche, cellule di fusione mieloma-milza, cellule di fusione mieloma-mieloma e cellule di fusione milza-milza. Il mezzo HAT, invece, permette la crescita delle sole cellule di fusione mieloma-milza, perché nessun'altra è in grado di proliferarvi. Le cellule spleniche e quelle di fusione milza-milza non sono in grado di crescere in alcun mezzo. Le cellule mielomatose e quelle
di fusione mieloma-mieloma, del tipo HGPRT- non sono in grado di utilizzare l'ipoxantina come precursore per la biosintesi delle purine guanina e adenina, che sono, naturalmente, essenziali alla sintesi degli acidi nucleici. Esse dispongono però di un percorso alternativo, naturale, per sintetizzare le purine, che si serve dell'enzima diidrofolato-riduttasi. È per questo che si comprende nel mezzo l'amminopterina, che inibisce appunto l'attività della diidrofolato-riduttasi. In definitiva le cellule HGPRT- mielomatose e di fusione mieloma-mieloma non sono capaci di sintetizzare nel mezzo HAT le purine e, di conseguenza, periscono.
Quanto alle cellule di fusione milza-mieloma, esse sopravvivono nel mezzo HAT perché le cellule di milza contribuiscono con l'HGPRT funzionale, che può utilizzare l'ipoxantina esogena del mezzo anche quando la produzione di purine affidata alla diidrofolato-riduttasi sia bloccata dall'amminopterina, e perché, inoltre, sono attive le funzioni della divisione cellulare delle cellule mielomatose. Si fornisce la timidina per superare il blocco della produzione di pirimidine causato dall'inibizione della diidrofolato-riduttasi ad opera dell'amminopterina. Da 10 a 14 giorni circa dopo il trattamento di fusione nel mezzo HAT saranno sopravvissute solamente, crescendovi, le cellule di fusione milza-mieloma. Tali cellule vengono allora distribuite nei pozzetti delle piastre da microdosaggio e fatte crescere in mezzo di coltura completo senza HAT.
Fig. 17 Produzione degli anticorpi monoclonali.
anticorpi secreti. Ciascun clone produttore di anticorpi monoclonali può essere mantenuto in coltura più o meno indefinitamente, inoltre si possono congelare i campioni in azoto liquido per potere disporre in seguito di una fonte di cellule.
1.6.2 Tecnica del doppio anticorpo: elisa
L’ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent assay) è una tecnica che ha un alto grado di specificità (data dal legame che si instaura tra Anticorpo ed Antigene) e di sensibilità, ed è basata su di un sistema a reazione colorimetrica che può essere visualizzato mediante spettrofotometria. È un tipo di applicazione che prevede l’utilizzo di Anticorpo (Ab) marcati con enzimi indicatori (Fig. 18). L’attività di questi enzimi è facilmente monitorabile e consente di quantificare la concentrazione del complesso “marcato” con facilità e precisione. Pertanto, permette di visualizzare la quantità della molecole di interesse nei campioni biologici ed è, quindi, un metodo di tipo quantitativo. Per il test ELISA si utilizza un supporto solido di cellulosa su cui è fatto adsorbire un anticorpo monoclonale, specifico per l’antigene (Ag) di interesse, così da ottenere uno strato di cellulosa con una serie di anticorpi pronti a ricevere il ligando. La fase solida è poi lavata con una soluzione tampone per rimuovere l’eccesso di anticorpo che non si sono legati e ridurre in questo modo al minimo il legame non specifico.
Il test procede con l’aggiunta dei campioni, nei quali, bisogna saggiare la presenza, o meno, dell’antigene e con il lavaggio successivo degli stessi, mediante la soluzione tampone. L’antigene, se è presente, si lega all’anticorpo e l’eccesso viene lavato via. A questo punto si fa reagire il complesso Ag-Ab con un anticorpo secondario (di una specie differente rispetto all’anticorpo primario), questo viene coniugato con l’enzima perossidasi di rafano e si effettua poi un altro lavaggio. L’anticorpo secondario si lega selettivamente all’antigene e l’eccesso è eliminato. L’assenza dell’antigene, specifico per l’anticorpo, comporta che anche l’anticorpo secondario con il lavaggio venga perso.
L’aggiunta successiva del substrato dell’enzima provoca una reazione, con l’enzima coniugato all’anticorpo secondario, producendo un prodotto insolubile colorato. Se l’antigene è assente nel pozzetto non sarà presente neanche l’enzima coniugato all’anticorpo secondario e, per questo motivo, la reazione non può avvenire.
Fig. 18 Tecnica immunoenzimatica.
Trascorso il tempo opportuno per il massimo sviluppo del colore la reazione viene bloccata con l’aggiunta di idrossido di sodio e viene determinata l’intensità del colore dei singoli campioni. Le concentrazioni dell’antigene, nel campione, in esame vengono calcolate sulla base di una serie nota di calibratori o standard ed un lettore automatico di piastra. L’intensità del colore è direttamente proporzionale alla concentrazione dell’Ag.