III. LA RAPPRESENTAZIONE DELLA SOGGETTIVITÀ NEL XVIII
2. Tra soggettivazione e soggezione nel romanzo del serraglio
2.2 Il dramma della libertà dell’Io nelle Lettres persanes
Come si è visto nel capitolo precedente, lo sviluppo della teoria della soggettività di Usbek si muove tra l’intento di costruzione dell’Io – pensato come separato poiché riferito a un’alterità irraggiungibile – e la soggezione del soggetto che ha già impressa in sé la propria origine. Il problema della trascendenza è sempre intimamente legato a quello della soggettività e dei rapporti intersoggettivi. La dinamica dell’etero-affezione, tuttavia, provoca dei problemi non banali al tema della libertà, presente in ogni pagina delle Lettres persanes.
Il concetto di libertà nel romanzo di Montesquieu è uno degli aspetti che ha più interessato la critica. Alcuni dei saggi a cui faremo riferimento sono La liberté dans
les « Lettres persanes » di John Pedersen; Comment Roxane devient philosophe. Romanesque de l'illisible et sexuation des concepts dans les « Lettres persanes » di
Jean-Patrice Courtois ; Usbek, Language and Power: Images of Authority in
Montesquieu's Lettres persanes di G. J. Mallison.
Ripercorrendo brevemente lo sviluppo del tema attraverso questi scritti, si evidenzierà il problema di una libertà che si caratterizza nel romanzo come libertà tragica. Nel saggio Fear, liberty, and honourable death in Montesquieu's «Persian
Letters» Megan Gallagher interpreta le Lettres persanes di Montesquieu come un
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Montesquieu asserisce in De l'esprit des lois, la paura, specialmente la paura che domina il materiale emotivo, domina la vita del soggetto dispotico335.
Anche se nelle Lettres persanes il serraglio è il parallelo dello stato dispotico, esso è il luogo del traboccante governare delle passioni336. La soluzione di Montesquieu agli eccessi del serraglio non è lo sradicamento dell'emozione, ma consiste piuttosto nell’offrire un modello per trasformare la negatività della passione in coraggio, preludio a un'esperienza potenzialmente liberatoria. Questo tipo di trasformazione nel romanzo si nota più chiaramente nel personaggio di Roxane, la moglie ribelle di Usbek, le cui azioni temerarie portano al crollo del serraglio.
Il concetto di libertà è presente in ogni pagina delle Lettres persanes. L’autore tocca anche il tema del suicidio e lo difende, esprimendo diverse tesi a favore dell’eutanasia. Anche la vita viene reputata oggetto di libertà e Usbek la problematizza nella lettera LXXVI dove offre una giustificazione filosofica al suicidio:
[…] Lorsque mon âme sera séparée de mon corps, y aura-t-il moins d’ordre et d’arrangement dans l’univers ? Croyez-vous que cette nouvelle combinaison soit moins parfaite et moins dépendante des lois
335 Megan Gallagher, Fear, liberty, and honourable death in Montesquieu's «Persian Letters». In: CF XXVIII Eighteenth-Century Fiction. Hamilton, Ontario, 2015/2016, pp. 623.
336 La rappresentazione del corpo del despota nelle Lettres persanes si iscrive in una critica agli eccessi del potere monarchico, in perfetta armonia con la tradizione libellista che stabilisce un’equazione tra i disordini del re e quelli dello stato, tra il disordine dei corpi e degli oggetti della famiglia francese. Si sa che l’idea di corruzione è al centro della riflessione politica di Montesquieu. Subito successiva alla lettera 80 che denuncia la brutalità del dispotismo, la lettera 83 problematizza attraverso la voce di Usbek un discorso sulla giustizia. Nella lettera Usbek enuncia il principio secondo cui gli uomini diventano ingiusti non appena perseguono il proprio interesse a discapito di quello degli altri. Questa lettera priva la tirannia di tutte le giustificazioni: essendo Dio ragione, la giustizia deve esistere in ogni caso (ragionando per assurdo) oppure Dio non esiste affatto. Il dispotismo si trova dunque così doppiamente indebolito: sia per i suoi effetti empirici constatabili, sia per la sua assenza di legittimità metafisica. Usbek però non riesce a vedere le proprie ingiustizie, che sono la conseguenza di una costante scissione tra riflessione e attuazione.
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générales? que le monde y ait perdu quelque chose, et que les ouvrages de Dieu en soient moins grands, ou plutôt moins immenses? Pensez- vous que mon corps, devenu un épi de blé, un ver, un gazon, soit changé en un ouvrage de la nature moins digne d’elle? et que mon âme, dégagée de tout ce qu’elle avait de terrestre, soit devenue moins sublime? Toutes ces idées, mon cher Ibben, n’ont d’autre source que notre orgueil […]337.
Secondo Montesquieu qualunque governo moderato ha bisogno di molta saggezza affinché si possa insediare e conservare. Il governo liberale è basato sull’equilibrio dei poteri, ma questo tipo di governo si trova troppo spesso in equilibrio instabile ed esposto al forte rischio di essere rovesciato. Esso avverte come la più grande minaccia il governo dispotico, così come la ragione di Usbek viene oscurata dalla propria pulsionalità e dalla gelosia. In entrambe le situazioni è evidente come la costante sia l’esplosione della violenza che, in ambito politico, corrisponde al dispotismo che soffoca ogni libertà.
Per l’autore delle Lettre persanes questo rischio è divenuto concreto nella Francia caratterizzata dall’assolutismo del regno di Luigi XIV. Non a caso Usbek evoca nella lettera XCII la crisi storica dei parlamenti, associata all’instabilità universale:
Ces grands corps ont suivi le destin des choses humaines: ils ont cédé au temps, qui détruit tout, à la corruption des mœurs, qui a tout affaibli, à l'autorité suprême, qui a tout abattu338.
In questa concezione di Montesquieu riguardo la politica e la civilizzazione logorata dalla corruzione, possiamo trovare una « hypothèque entropique qui pèse sur la nature ». Gianni Iotti a questo proposito scrive:
337 Montesquieu, Lettres persanes. Édition présentée établie et annotée par Jean Starobinski, Gallimard, 2003, Lettre LXXVI, p. 188.
338 Montesquieu, Lettres persanes. Édition présentée établie et annotée par Jean Starobinski, Gallimard, 2003, Lettre XCII, p. 213.
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[…] Montesquieu re-motive à l'intérieur de son œuvre – avec une récupération 'dialectique' de la négativité de ce phénomène – une notion archaïque de décadence fondée sur le mythe de l'Age d'Or, très répandue à l’époque339.
Le ultime quindici lettere del romanzo del serraglio creano un effetto di drammatizzazione man mano che si avanza verso la fine. La struttura del racconto è costruita in modo complesso e mette in scena un ritratto dell’universo orientale intrecciato a tensioni represse. L’afasia epistolare che domina Usbek all’inizio del romanzo: « Je ne suis en état de te rien dire » viene presto superata poiché subito dopo scrive una lunga lettera a Roxane, l’unica sposa a cui parla d’amore. Ancora una volta abbiamo la prova che la soggettività di Usbek si dispiega soltanto nella corrispondenza orientale. La lettera in questione, che parla della conquista di Roxane, e che sarà ripresa poi alla fine dell’opera, è anche la descrizione di una violenza:
vous ne vous rendîtes pas même après avoir été vaincue ; vous défendîtes jusqu'à la dernière extrémité une virginité mourante ; vous me regardâtes comme un ennemi qui vous avait fait outrage, votre air confus semblait me reprocher l'avantage que j'avais pris340.
L’effetto drammatico cresce sempre più fino a culminare nell’ultima lettera, la CLXI, che mette in atto il suicidio della moglie Roxane per mezzo di un caratterizzante effetto teatrale. Quella di Roxane è un’ammissione di colpa al marito attraverso una « revanche exaspérée ». Una lettera di tale intensità rivendica tutte le
339 Gianni Iotti, Figures de l’entropie dans les lettres persanes. In : Les Lettres persanes en leur temps, Classiques Garnier, 2013, p.130.
340 Montesquieu, Lettres persanes. Édition présentée établie et annotée par Jean Starobinski, Gallimard, 2003, Lettre XXVI, p. 94.
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centosessanta che la precedono. Il tono disperato di un epilogo è avvertito sin dalle prime righe:
Oui, je t’ai trompé; j’ai séduit tes eunuques: je me suis jouée de ta jalousie; et j’ai su de ton affreux sérail faire un lieu de délices et de plaisirs. Je vais mourir; le poison va couler dans mes veines341.
Dopo l’ammissione dell’adulterio, dell’uccisione degli eunuchi, anche quella dell’odio nei confronti del marito. Il terribile errore di Usbek, in retrospettiva, è quello di aver scambiato il pudore di Roxane per una « inhumaine vertu », invece che per un comportamento essenzialmente condizionato dal disprezzo:
Tu étais étonné de ne point trouver en moi les transports de l’amour : si tu m’avais bien connue, tu y aurais trouvé toute la violence de la haine342.
Nelle righe che seguono, l’inganno svelato:
Mais tu as eu longtemps l’avantage de croire qu’un cœur comme le mien t’était soumis: nous étions tous deux heureux : tu me croyais trompée, et je te trompais343.
Zélis però scrive anche riguardo alla propria condizione di donna, che sebbene costretta alle leggi del serraglio ha una propria coscienza e non si sente oggettizzata, bensì reputa la propria sorte sempre preferibile a quella del marito:
Cependant, Usbek, ne t’imagine pas que ta situation soit plus heureuse que la mienne: j’ai goûté ici mille plaisirs que tu ne connais pas. Mon imagination a travaillé sans cesse à m’en faire connaître le prix; j’ai vécu, et tu n’as fait que languir. Dans la prison même où tu me retiens, je suis plus libre que toi. Tu ne saurais redoubler tes attentions pour me
341 Montesquieu, Lettres persanes. Édition présentée établie et annotée par Jean Starobinski, Gallimard, 2003, Lettre CLXI, p. 340.
342 Ibid. 343 Ibid.
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faire garder, que je ne jouisse de tes inquiétudes: et tes soupçons, ta jalousie, tes chagrins, sont autant de marques de ta dépendance344.
E infine le ultime parole di Roxane, cariche di rancore, che chiudono il romanzo e che annunciano la fine della sua vita, ma pure la grande sconfitta di Usbek:
Ce langage, sans doute, te paraît nouveau. Serait-il possible qu’après t’avoir accablé de douleurs, je te forçasse encore d’admirer mon courage? Mais, c’en est fait, le poison me consume, ma force m’abandonne, la plume me tombe des mains; je sens affaiblir jusqu’à ma haine: je me meurs!345
Montesquieu concettualizza la coscienza del soggetto come il fatto stesso di essere «libertà e origine» di se stesso. Infatti, vi è considerazione positiva della libertà del soggetto, coincidente con l’autonomia e con la possibilità di non soccombere ad un destino irremissibile. Il sapore del tragico nasce proprio al cuore della libertà intesa ancora come origine dell’Io e tuttavia esposta al paradosso di un ripiegamento su di sé che finirebbe per esserne la negazione: l’autoreferenzialità come capacità di liberazione dal fatalismo del definitivo finisce per tramutarsi nell’imprigionamento dell’identificazione, nella «fatalità» in cui la libertà si raggela rendendo l’Io prigioniero di se stesso, nel definitivo dell’incatenamento di un Io al proprio sé346. Nelle Lettres persanes si afferma che nell’assunzione dell’esistenza, questa impossibilità dell’Io di non essere sé rivela l’innata tragicità dell’Io. La libertà della coscienza è essa stessa il momento di un dramma più profondo.
344 Montesquieu, Lettres persanes. Édition présentée établie et annotée par Jean Starobinski, Gallimard, 2003, Lettre LXII, p. 158.
345 Montesquieu, Lettres persanes. Édition présentée établie et annotée par Jean Starobinski, Gallimard, 2003, Lettre CLXI, p. 341.
346 Emmanuel Lévinas, De l’existence à l’existant, Fontaine, Paris 1947 ; 2ᵃ ed. Vrin, Paris 1978, p. 121.
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Nel romanzo il liquore rappresenta per il narratore-protagonista il mezzo per raggiungere la libertà tanto anelata. Tuttavia, la voce del protagonista viene presto sconfessata, poiché il vino, anziché far risaltare la naturale disposizione di generosità, ne rivela l’indole maligna e collerica:
Mais, quand je désapprouve l'usage de cette liqueur qui fait perdre la raison, je ne condamne pas de même ces boissons qui l'égaient. C'est la sagesse des Orientaux de chercher des remèdes contre la tristesse avec autant de soin que contre les maladies les plus dangereuses347.
Qui è la vita dell’Io, che Montesquieu intende per libertà: primordiale espressione del soggetto come posizione, origine e principio del mondo in cui si trova immerso. Per libertà si intende la capacità di venire a capo della dipendenza di un mondo che si pone in prima istanza anteriormente all’Io, ma che viene ricompreso come parte della propria identità attraverso il possesso.
È in questi termini che si spiega la soggettività di Usbek alla fine del romanzo: una definizione dell’Io come attività e potere, del creare e del manipolare. Ma la libertà descritta da Montesquieu ha il tragico sapore del definitivo, del potere che pone l’Io separato e libero da ciò che è non-io ma imprigionato in se stesso.
Tutto il romanzo delle Lettres persanes può essere letto secondo un principio di sublimazione che avviene essenzialmente tramite uno spostamento di contenuti interdetti che hanno libero accesso alla coscienza soltanto se trasformati. Solo Roxane si salva dalla rovina. In lei i desideri pulsionali, riconosciuti e accettati e,
347 Montesquieu, Lettres persanes. Édition présentée établie et annotée par Jean Starobinski, Gallimard, 2003, Lettre XIII, p. 106.
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alla fine, fieramente e consapevolmente espressi, si innalzano a sfida della legislazione repressiva dell'harem e del super-io.
Secondo l’autore la realtà è vissuta essenzialmente come conflitto, non è dunque possibile considerare la mente e il mondo come fattori indipendenti, ma piuttosto interdipendenti: le pratiche sociali sono determinate da dinamiche simboliche che hanno a che vedere con i processi della psiche.
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