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NEL RISCATTO AZIONARIO

P IETRO C OPPINI

5. Le azioni riscattande: cenni sulla disciplina e figure affini

6.3. Il fenomeno del c.d. finanziamento partecipativo

Arriviamo, dunque, al cuore del problema relativo alla legittimità delle azioni riscattande, il quale verte sull’individuazione dei parametri volti a stabilire se l’opzione put comporti una sostanziale violazione del divieto di patto leonino. A tal fine, è d’obbligo richiamare quello che, in un sistema di Common Law, sarebbe definito il leading case sul tema: si

45 In tal senso, G.A.RESCIO, I patti parasociali nel quadro dei rapporti contrattuali dei soci, in Liber Ami-corum Campobasso, I, Torino, 2006, 475 s. e G.OPPO, Patto sociale, patto collaterale e qualità di socio nella società per azioni riformata, in Riv. dir. civ., 2004, 1, 60, il quale, in particolare, afferma che «non si può limitare il sociale a “ciò che riguarda oggettivamente l’agire della società”: anche l’agire del socio è

sociale se posto in essere secondo le norme della società».

46 In realtà, potrebbe, astrattamente, configurarsi anche il caso in cui il diritto a subire il riscatto non si configuri quale “diritto diverso” caratterizzante una categoria azionaria, bensì quale condizione in cui tutti i soci potrebbero incorrere, al verificarsi di determinate condizioni. Nulla, infatti, sembra precludere ad una simile fattispecie che, di fatto, si avvicinerebbe ulteriormente alla figura del recesso ad nutum (o conven-zionale, ove il riscatto fosse condizionato a determinati eventi): in tal caso, pare tutt’al più lecito interrogarsi sulla necessità di estendere – all’ipotesi in cui tutte le azioni siano riscattande ad nutum – il correttivo del preavviso dei 180 giorni, richiesto per il recesso ad nutum da Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 74, cit., di cui alla precedente nt. 37.

47 Specificamente sul tema, cfr. M.L.PASSADOR, op. cit., 289, la quale nota come sia necessario guardare

«alla situazione sostanziale che si verifica per effetto di quella pattuizione parasociale», in quanto solo così facendo «si contempla il fatto che l’esclusione dalle perdite o dagli utili integri una situazione “assoluta e costante” che si riverbera sullo status del socio, a prescindere dalla fonte (sociale o extrasociale) che detta circostanza genera». Dello stesso avviso, già prima della riforma, G.SBISÀ, Circolazione delle azioni e patto leonino, in Contr. Impr., 1987, 816 ss. e N.ABRIANI, Il divieto del patto leonino. Vicende storiche e prospettive applicative, Milano, 1994, 140-142. In giurisprudenza, chiaramente, Trib. Roma, 5 luglio 2017, reperibile in ilsocietario.it, secondo cui «il patto stipulato tra alcuni soci, pur formalmente estraneo al con-tratto di società, si presenta collegato ad esso poiché tendente a realizzare un risultato economico unitario;

tale collegamento vale a ricondurre il patto formalmente estraneo al contratto di società all'interno dell'o-perazione societaria ed a sottoporlo alla relativa disciplina, con la conseguenza che anche il patto paraso-ciale deve considerarsi nullo ove sia elusivo del divieto di cui al citato art. 2265 c.c.».

In tal senso, anche M.S.SPOLIDORO, Opzione put e patto leonino: le incertezze non sono (ancora) finite, in Società, 2020, 1366, il quale ritiene che debba «essere abbandonata la pretesa di distinguere – in questa materia – un contesto “sociale” (al quale l’art. 2265 c.c. sarebbe applicabile transtipicamente) da uno “pa-rasociale” (che invece sarebbe da valutare in concreto, sulla base del solo art. 1322 c.c.)».

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tratta, nello specifico, della pronuncia della Cassazione n. 8927 del 199448, la quale rap-presenta – nonostante il tempo trascorso – un punto fermo in ambito di patto leonino ed afferma che quest’ultimo è caratterizzato «dalla esclusione totale e costante di uno o di alcuni soci dalla partecipazione al rischio di impresa e dagli utili», dovendosi, peraltro, aver riguardo al risultato sostanziale (e non formale) che viene a realizzarsi a seguito della pattuizione. A riprova della sua centralità, a questa pronuncia fanno costante riferimento sia la sentenza della Cassazione del luglio 2018 sia la massima fiorentina in commento, nel tentativo di individuare concretamente gli indici per ravvisare la sussistenza di un patto leonino.

L’analisi parte, innanzitutto, dalla ratio del divieto di patto leonino, individuata, tradizio-nalmente, nella purezza della causa societatis, e dunque nella necessità di garantire un corretto bilanciamento tra potere e rischio, evitando così che i soci, esenti dal rischio di impresa, si disinteressino delle vicende societarie. Ciò comporterebbe, infatti, non pochi inconvenienti, una volta che costoro vengano coinvolti nelle decisioni relative all’orga-nizzazione sociale.

Se questo era il quadro delineato dalla Cassazione nel 1994, la pronuncia della Suprema Corte del 2018 non può che prendere atto dell’evoluzione dei concetti appena espressi e, in particolar modo, dei cambiamenti avvenuti all’interno del panorama (normativo e dot-trinale) in materia societaria.

Innanzitutto, la Corte prende atto di come il concetto di causa societatis si sia evoluto nel corso del tempo49, e abbia conosciuto importanti deviazioni rispetto alla sua tradizionale concezione. In particolare, sempre più frequenti – non solo nella prassi ma anche nella normativa di settore – sono le ipotesi in cui il capitale venga utilizzato all’interno delle operazioni di finanziamento dell’impresa50, al fine di raggiungere un duplice risultato: da una parte, il socio-finanziatore ha un maggiore controllo sulla società finanziata, mentre, dall’altra parte, quest’ultima ottiene migliori condizioni di finanziamento (con la previ-sione di un tasso più agevolato o senza costituzione di ulteriori garanzie, ad esempio)51.

48 Cass., 29 ottobre 1994, n. 8927, in Società, 1995, 178 ss., con nota di D.BATTI,Il patto leonino nell’am-bito di partecipazioni a scopo di finanziamento; in Nuova giur. comm., 1995, I, 1161, con nota di C.T EDE-SCHI,Sul divieto di patto leonino; in Giur. Comm., 1994, II, 478, con nota di A.CIAFFI,Finanziaria regio-nale e patto leonino;in Notariato, 1995, 244 ss., con nota di U.LA PORTA,Patti parasociali e patto leonino.

49 Tornano alla mente le riflessioni compiute da P.SPADA, Appunto in tema di capitale nominale e di con-ferimenti, in Studi e materiali CNN, 2007, 1, 180 ss., il quale nota l’evoluzione della funzione del capitale sociale, la quale non potrà essere facilmente ricondotta né alle più tradizionali funzioni produttivistica e di garanzia, né ormai (a seguito dell’introduzione di azioni a voto limitato, senza voto o a voto plurimo e di azioni privilegiate negli utili o postergate nelle perdite) alla funzione organizzativa dello stesso, che indi-viduerebbe nel capitale nominale il «regolatore» per l’attribuzione di diritti amministrativi e economici.

50 Cass., 4 luglio 2018, n. 17498, cit., 282, cita alcuni esempi di finanziamento societario che può avvenire

«a titolo di partecipazione al capitale di rischio (azioni privilegiate, postergate, a voto plurimo, riscattande, ecc.), di debito (mediante obbligazioni strutturate, subordinate, irredimibili ex art. 2411) o con i numerosi strumenti finanziari che possono essere emessi dalla società (cfr. art. 2346, comma 6; art. 2447-ter, comma 1, lett. e)».

51 Significative, al riguardo, le riflessioni svolte da E.MAZZOLETTI, op. cit., 494, nt. 11, il quale osserva come «in questo caso, con la put e/o la call option, l’investimento “umano” di chi apporta al business la sua professionalità trova un bilanciamento rispetto all’apporto del socio finanziatore che gli consente di recuperare almeno parte del maggior valore che nel tempo ha acquisito l’azienda, anche grazie alla sua attività». Al riguardo, si rimanda a E.BARCELLONA, Clausole di put & call a prezzo predefinito. Fra divieto di patto leonino e principio di corrispettività, Milano, 1994, 10 ss.

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Si tratta delle operazioni cc.dd. di finanziamento partecipativo, all’interno delle quali «la causa concreta è mista, in quanto associativa e di finanziamento, con la connessa funzione di garanzia assolta dalla titolarità azionaria e dalla facoltà di uscita dalla società senza la necessità di pervenire, a tal fine, alla liquidazione dell’ente»52.

Parimenti, anche la tradizionale equazione potere-rischio risulta ormai difficilmente rin-venibile, all’interno di un sistema che ha subìto notevoli mutamenti ed è arrivato ad am-mettere meccanismi – prima facie incompatibili con tale principio – quali l’assegnazione non proporzionale delle azioni (art. 2346, 4 comma c.c.), le azioni prive del diritto di voto, a voto limitato o plurimo (art. 2351, 2 e 4 commi c.c.), ovvero le azioni postergate nelle perdite (art. 2348, 2 comma c.c.)53.

La Cassazione nel 2018 e, con essa, la massima 67 del Consiglio Notarile di Firenze prendono atto di questa evoluzione e ritengono ben possibile che la partecipazione sociale possa esser sostenuta dalla “causa mista” (associativa e di finanziamento) sopra descritta, chiedendosi, a questo punto, quale sia il perimetro del divieto di patto leonino.

In primis, tanto la Suprema Corte quanto il Consiglio fiorentino affermano la necessità di verificare la causa concreta sottostante alla complessiva operazione che arriva ad attri-buire ad un socio l’opzione put (mediante categoria azionaria o patto parasociale) relati-vamente alle proprie partecipazioni54.

In secundis, una volta individuata la sussistenza della causa (spesso riconducibile al c.d.

finanziamento partecipativo e rientrante nel più ampio concetto di causa di impresa, quale interesse all’incentivazione dell’attività imprenditoriale55), si rende necessario verificare

Sul punto, anche Cass., 4 luglio 2018, n. 17498, cit., 285, la quale sottolinea come tale meccanismo faciliti

«il reperimento di un finanziamento a condizioni più favorevoli, grazie alla contrazione del rischio per il creditore, dunque a tassi di regola inferiori e pure quando il sistema bancario non lo concederebbe, senza necessità di sottoporre i beni del patrimonio del finanziato a vincoli reali o di ricercare onerose garanzie personali».

52 Così, Cass., 4 luglio 2018, n. 17498, cit., 282.

53 Sul dibattito inerente all’attualità del principio di corrispondenza rischio-potere, cfr. E. BARCELLONA, Rischio e potere nel diritto societario riformato. Fra golden quota di s.r.l. e strumenti finanziari di s.p.a., Torino, 2012, passim, e spec. 216 ss., il quale sostiene che si tratti di un principio ancora attuale. Contrari all’attualità di simile principio, fra gli altri, U. TOMBARI, Le azioni a voto plurimo, in AA.VV., Governo societario, azioni a voto multiplo e maggiorazione del voto, a cura di U. TOMBARI, Torino, 2016, 27; A.

POMELLI, Rischio d’impresa e potere di voto nella società per azioni: principio di proporzionalità e cate-gorie azionarie, in Giur. Comm., 2008, I, 525 e G. D’ATTORRE, Il principio di eguaglianza tra soci nelle società per azioni, Milano, 2007, 145.

54 In tal senso, in tema di patto di opzione put, la più recente giurisprudenza, rappresentata da App. Milano, 13 febbraio 2020, in Società, 2020, 1355 ss., con nota di M.S. SPOLIDORO,Opzione put e patto leonino: le incertezze non sono (ancora) finite, la quale afferma espressamente che «la valutazione della meritevolezza della causa delle clausole attributive del diritto di opzione put per la vendita a un altro socio di una parteci-pazione sociale in una società di capitali, a condizioni tali da assicurare l’immunità del titolare di tale diritto dalle perdite e un determinato rendimento, deve essere fatta in concreto, verificando che in concreto non si determini un’alterazione della causa del contratto di società o un’esclusione assoluta del socio dalle per-dite».

55 Cfr., sul punto, S.SCORDO, op. cit., 310 s., la quale osserva che «l’interesse dell’impresa si identifica nell'opportunità di assicurare la maggiore efficienza produttiva della società stessa, anche attraverso il suo finanziamento, con l’obiettivo di realizzare utile ed incrementare il valore delle partecipazioni sociali. L’im-presa, in quanto tale, potrebbe avere esigenze proprie e, in parte, diverse rispetto a quelle degli azionisti, in quanto lo svolgimento e la gestione dell'impresa non compete ai soci, i quali sono portatori di interessi plurimi e riconducibili alle diverse finalità cui l'azionariato fa riferimento. In ragione di ciò, la verifica della

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se il suo perseguimento non solo comporti un’esclusione del socio dalle perdite e/o dagli utili, ma determini inoltre un totale disinteresse dell’azionista nell’attività sociale. Del resto, l’esclusione assoluta e costante del socio da utili e perdite altro non è che l’indica-tore, attraverso il quale avvedersi del totale snaturamento della vicenda societaria. Un simile risultato si produce nel momento in cui il socio (o, meglio ancora, il soggetto mu-nito del diritto di voto56) sia del tutto disinteressato alla vita della società, poiché lo stesso non partecipa in alcun modo al relativo rischio d’impresa.

Ciò, si badi bene, non si verifica mai, nel momento in cui la soddisfazione del socio-creditore dipenda esclusivamente dal patrimonio (o, più precisamente, dall’attività) so-ciale, senza che intervengano garanzie ulteriori, volte a svincolare la soddisfazione del creditore dall’andamento della società stessa57. In tal caso, infatti, il socio-finanziatore partecipa (seppur in maniera meno accentuata) al rischio di impresa, in quanto è dai ri-sultati di quest’ultima che dipende la soddisfazione delle sue ragioni.

Una violazione dell’art. 2265 c.c. potrebbe verificarsi soltanto ove il socio abbia il diritto di ricevere, in ogni momento e a prescindere dall’andamento della società, esattamente la somma investita (e, magari, i relativi interessi): in tal caso, infatti, costui sarebbe in toto esente dai risultati sociali, risultando peraltro evidente la causa “pura”58 di finanziamento, che connoterebbe tale partecipazione sociale.