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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

1.4 MODIFICHE AL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE ILLEGITTIMO

1.4.4 Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (g.m.o.) può essere determinato o da ragioni inerenti la sfera personale del lavoratore, ma non direttamente a lui imputabili a titolo di colpa, oppure dipendono da ragioni collegate all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Esiste una profonda differenza tra la natura del licenziamento per giustificato motivo soggettivo e quello oggettivo. Il primo è sempre costituito da un fatto passato, mentre il secondo si basa sulla previsione di un fatto futuro, che può alterare l’equilibrio economico su cui il rapporto lavorativo si fonda. Affinché le motivazioni addotte per la giustificazione oggettiva di un licenziamento siano valide, è necessario che perdurino nel futuro più prossimo e producano una perdita aziendale; in caso contrario tali motivazioni non sarebbero più rilevanti ai fini della giustificazione stessa (Ichino, 2012).

La differenza tra le due tipologie di licenziamento si riflette anche nell’onere probatorio davanti al giudice. Infatti un fatto accaduto nel passato è facilmente dimostrabile in giudizio tramite documenti o testimoni, pertanto l’onere della prova spetta al datore di lavoro. Al contrario, nel caso in cui il fatto consista in una previsione futura, tale dimostrazione non sarà così oggettiva, ma sarà oggetto di una valutazione prognostica. L’onere della prova spetterà in ogni caso al datore di lavoro, ma la decisione del giudice non si baserà sulla dimostrazione di un fatto oggettivamente accaduto, bensì sulla ragionevolezza della previsione e sulla gravità dell’evento previsto. Ichino (2012, p.13) sostiene che l’opinabilità di questa valutazione, con la conseguente aleatorietà del giudizio, combinata con gli elevati costi della reintegrazione, ha reso fino ad oggi poco praticabile questo tipo di licenziamento individuale.

Le modifiche introdotte dalla Riforma Fornero ai licenziamenti di carattere economico si articolano prevalentemente in due aree: la prima prevede l’introduzione di una procedura preventiva in sede amministrativa, mentre l’altra modifica il regime sanzionatorio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Procedura preventiva

La procedura preventiva è un obbligo di natura procedurale consistente nell’attuazione di un tentativo di conciliazione che il datore di lavoro, il quale rispetti i requisiti dimensionali previsti dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, deve necessariamente promuovere se vuole adottare un licenziamento per motivi economici.

35 Tale obbligo è stato introdotto a pena d’inefficacia con l’art.1, comma 40 della legge 92/2012 che ha completamente riformulato e sostituito il testo dell’art.7 della legge 604/1966, il quale prevedeva la possibilità di esperire un tentativo di conciliazione, ma in un momento successivo al licenziamento stesso. L’introduzione dell’obbligo di conciliazione preventiva da parte del soggetto datoriale non fa venire meno la disciplina sui tentativi di conciliazione facoltativi promossi dal lavoratore (artt. 410 e ss. c.p.c.).

Attualmente il datore di lavoro che intenda licenziare un dipendente per motivi economici, deve necessariamente effettuare una comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro (DTL) del luogo ove il lavoratore presta la sua attività, la quale deve essere poi trasmessa al lavoratore stesso per conoscenza. Nella comunicazione dovrà essere obbligatoriamente indicata la volontà di procedere al licenziamento per g.m.o., i motivi del recesso e le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.

La DTL, entro il termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della comunicazione, deve convocare il datore di lavoro e il lavoratore davanti alla Commissione provinciale di conciliazione (ex art. 410 c.p.c.) al fine di trovare una soluzione alternativa al recesso oppure una risoluzione consensuale del rapporto lavorativo in questione. La comunicazione si ritiene validamente effettuata quando viene recapitata al domicilio indicato nel contratto di lavoro o altro domicilio formalmente indicato.

La procedura di conciliazione si svolgerà in sede amministrativa e non sindacale, anche se le parti potranno in ogni caso essere assistite dalle organizzazioni sindacali cui sono iscritte, da avvocati o consulenti del lavoro. Nel caso in cui il lavoratore sia impedito a presenziare all’incontro per motivi legittimi e documentati, la procedura potrà essere sospesa fino ad un massimo di quindici giorni. Questa deve concludersi entro venti giorni dalla trasmissione della comunicazione della DTL alle parti; tale termine potrà essere prolungato solo nel caso in cui le parti facciano una dichiarazione consensuale con l’obiettivo di raggiungere un accordo.

Nel caso in cui il tentativo di conciliazione fallisca o la DTL non convochi le parti entro il termine di sette giorni, il soggetto datoriale potrà procedere al licenziamento del dipendente, rispettando i termini di preavviso. Al contrario, se la conciliazione ha esito positivo e viene raggiunto un accordo per la risoluzione consensuale del rapporto lavorativo, il lavoratore avrà diritto a percepire l’indennità dell’ASpI e potrà essere previsto il suo affidamento ad una Agenzia di somministrazione del lavoro per favorire la ricollocazione professionale.

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Nel verbale redatto dalla Commissione provinciale di conciliazione potrà essere descritto il comportamento complessivo che le parti hanno mantenuto durante la procedura di conciliazione. Questo potrà essere valutato dal giudice nel caso in cui siano presenti fasi successive di giudizio, per decidere in materia di spese processuali e per definire l’ammontare dell’indennità risarcitoria prevista in caso di licenziamento economico ove si accerti l’insussistenza delle motivazioni addotte.

Regime sanzionatorio

Il regime sanzionatorio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo è regolato dal comma 7 del novellato art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e prevede diverse ipotesi sanzionatorie in relazione ai difetti di giustificazione che hanno portato al licenziamento stesso. In particolare sono stati individuati quattro livelli differenti di sanzione.

a) Nel caso d’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, o nel caso in cui il licenziamento venga intimato prima che sia superato il periodo di conservazione del posto di lavoro per malattia, infortunio, gravidanza o puerperio, il lavoratore è tutelato tramite la tutela reale ridotta. Il licenziamento verrà annullato e il dipendente avrà quindi diritto ad essere reintegrato nella propria postazione lavorativa e a ricevere il pagamento di un’indennità risarcitoria non superiore alle dodici mensilità. L’impugnazione del licenziamento per superamento del comporto può verificarsi anche nel caso in cui si sia effettivamente verificata un’assenza per malattia tale da superare il periodo di conservazione del posto di lavoro, ma la causa della stessa malattia è imputabile a colpa del datore di lavoro (Scarpelli, 2012b).

Nel caso di licenziamento per inidoneità sopravvenuta, il datore di lavoro dovrà cercare di adottare ogni ragionevole misura per consentire la prosecuzione del rapporto attraverso la ricollocazione su mansioni compatibili anche se inferiori. Se il licenziamento per inidoneità colpisce un lavoratore disabile, è necessario valutare che la motivazione addotta dal soggetto datoriale non celi motivi discriminatori. In questo caso non si applicherebbe più la tutela reale ridotta ma quella piena.

La reintegrazione ad effetti risarcitori limitati ha luogo anche quando vi sia “la

manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato

motivo oggettivo”26. In questo caso la legge 92/2012, a differenza di quanto

37 previsto per i casi d’inidoneità e di comporto, prevede la possibilità e non l’obbligo di reintegra del lavoratore nella propria postazione lavorativa. Ciò comporta dei dubbi circa i criteri valutativi che devono essere utilizzati dai giudici nella scelta tra la sanzione reintegratoria o solo risarcitoria.

Si può pensare che in questo caso la discrezionalità dei giudici sia ampia, poiché dalla loro valutazione dipende la possibilità o meno di reintegra del dipendente. Questo pensiero è avvalorato dal fatto che le sentenze sul merito o sulla legittimità del licenziamento per g.m.o. spesso sono giunte a conclusioni non uniformi, variabili a seconda del giudice che doveva valutare la giustificatezza del recesso (Scarpelli, 2012b). Cester (2012, p.27) però sottolinea che il carattere di “manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento” è applicabile in ipotesi poco frequenti, poiché generalmente un fatto o sussiste o non sussiste. Inoltre l’imprenditore si guarderà bene dal licenziare un dipendente sulla base di un motivo economico manifestatamente insussistente, poiché in questo caso il lavoratore potrà essere facilmente reintegrato. Maresca (2012, p.24) sostiene inoltre che l’aggettivo “manifesta” è stato introdotto dal legislatore per evidenziare l’extrema ratio della reintegrazione. La discrezionalità del giudice potrà essere applicata non tanto nella valutazione della scelta aziendale del licenziamento, ma piuttosto nel nesso esistente tra la scelta stessa e l’individuazione del singolo lavoratore da licenziare (Cester, 2012).

Il datore di lavoro dovrà provare non soltanto il motivo per il quale si ritiene che la prestazione del lavoratore non sia più necessaria, ma anche di non aver potuto ricollocare il lavoratore in altro settore aziendale o a mansioni equivalenti (obbligo di repechage).

b) Negli altri casi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo si applica la tutela indennitaria onnicomprensiva. In questo caso le motivazioni addotte dal datore di lavoro sono insussistenti come nella precedente ipotesi, ma in questo caso non sono così rilevanti e manifeste. c) Nel caso in cui un licenziamento intimato dal soggetto datoriale per giustificato

motivo oggettivo risulti essere in realtà determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, troveranno applicazione le tutele previste per le suddette tipologie di licenziamento.

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d) I licenziamenti per giustificato motivo oggettivo che sono stati disposti in violazione del requisito obbligatorio di motivazione, oppure sono stati effettuati senza aver prima attuato la procedura di conciliazione preventiva, sono ritenuti inefficaci ed il giudice impone al datore di lavoro il pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva ridotta.

Come per i licenziamenti disciplinari, anche in questo caso il giudice deve effettuare un doppio accertamento delle motivazioni addotte per legittimazione del licenziamento stesso: egli sarà innanzitutto tenuto ad accertare la legittimità del giustificato motivo oggettivo e, in caso negativo, dovrà individuare la sanzione applicabile al licenziamento illegittimo. Anche in questo caso il controllo giudiziale dovrà limitarsi esclusivamente ad accertare il presupposto di legittimità, senza violare il principio della libertà d’iniziativa economica privata.

L’onere della prova del giustificato motivo oggettivo addotto alla base del licenziamento spetta al datore di lavoro, ma nel caso in cui il lavoratore voglia dimostrare che esiste una diversa ragione alla base del licenziamento, l’onere della prova si capovolgerà e spetterà al dipendente.