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Il Mediterraneo di Ibn Ḫaldūn: aspetti economici

L’”invasione” araba dell’XI secolo e le sue ripercussioni

L’arrivo in Nord Africa delle tribù arabe degli Hilāl e dei Sulaym nell’XI secolo è stato tradizionalmente inteso come il fattore scatenante di una crisi economica che interessò soprattutto l’Ifrīqiya, la zona dove si spinsero queste nuove genti provenienti dall’est. Queste tribù vengono descritte come delle orde di invasori e distruttori, come delle locuste che devastano tutte le proprietà agricole, avanzanti senza sosta verso ovest.

Osservando più attentamente la situazione del Nord Africa al momento della cosiddetta “invasione araba”, ma soprattutto nel periodo successivo ad essa, è possibile notare che il quadro prospettato di una invasione non risulta del tutto veritiero, o almeno esso è stato in parte esagerato. In effetti, i cambiamenti e la crisi del periodo non furono totalmente causate dall’arrivo di queste tribù, che si inserirono piuttosto in un sistema già compromesso, come nel caso dell’Ifrīqiya degli Ziridi, dove la capitale Qayrawān non riusciva più a controllare le città periferiche a causa di una politica di espropriazione che aveva isolato la dinastia dal resto del popolo. La presenza degli Hilāl non fece altro che far precipitare una situazione già precaria, portando alla rivolta le città provinciali; la capitale perse così il suo ruolo di catalizzatore economico, e le campagne e i commerci vennero lasciati a sé stessi. Come conseguenza, alcune delle città dell’entroterra caddero effettivamente in rovina, mentre altre riuscirono a mantenere intatto il loro controllo sulla produzione agricola stringendo accordi con i nomadi. Possiamo così vedere che, sebbene parziale elemento di distruzione, le tribù svolsero poi un ruolo si può dire di tamponamento, laddove riuscirono a trovare un’intesa con le popolazioni locali sedentarie68.

Viene qui a cadere anche l’idea di un’irriducibile opposizione tra sedentari e nomadi, e soprattutto tra Arabi nomadi e Berberi sedentari: in primo luogo, vi erano in entrambe le componenti etniche (se così vogliamo chiamarle) sia elementi sedentari che nomadi (sia gli Arabi che i Berberi fondarono imperi governati da una capitale stanziale, e sia gli Arabi che i Berberi contavano tribù nomadi di cammellieri); in secondo luogo, la storia stessa del Nord Africa ci mostra come gli interessi di nomadi e sedentari spesso coincidevano o

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M. Brett, Ifrīqiya as a Market for Saharan Trade from the Tenth to the Twelfth

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potevano venire risolti con dei compromessi, e che quindi non esiste nessuna «metafisica opposizione tra gruppi nomadi e sedentari»69.

Rapporti commerciali

Per quanto riguarda i rapporti del Nord Africa con le rotte dell’oro proveniente dal Sahara possiamo vedere come nel corso dell’XI secolo le direttrici si stessero già spostando dall’Ifrīqiya verso il Maghreb, dove allora stava sorgendo il dominio degli Almoravidi, i quali tenevano l’importante centro di Sigilmassa; queste vie passarono poi nel XIII secolo sotto il controllo dei Mamelucchi d’Egitto, che estesero il loro dominio sull’alto Nilo e sulle vie dell’oro del Sudan. Vediamo quindi che nel XIII secolo, periodo in cui visse e scrisse Ibn Ḫaldūn, il Maghreb e l’Ifrīqiya avevano già perso il controllo sulle vie aurifere, che pure avevano controllato per secoli, in favore delle contrade più orientali (e degli europei poi)70.

Tale perdita influì notevolmente sulle ricchezze degli Stati nord-africani, che si trovarono in grandi difficoltà nel pagare i combattenti e tenersi vicine le tribù; per sopperire alla mancanza di risorse derivanti dalle tasse doganali e commerciali, i governanti del Nord Africa fecero affidamento su un nuovo sistema, chiamato iqtaʿ: esso prevedeva che un capotribù o un ufficiale avesse diritto di riscuotere le tasse su una centra tribù o su un certo territorio, in cambio dei servizi prestati al sovrano. In questo modo il regnante perdeva sempre più il contatto e il controllo con le frange più esterne del suo dominio, e i sottoposti in periferia diventavano sempre più potenti e autonomi71.

Al tempo del nostro autore gli Stati da lui visitati in Maghreb ed Ifrīqiya potevano contare su alcune entrate derivanti dagli attivi commerci trans-mediterranei, che però erano per lo più gestiti da navi e compagnie europee, generalmente catalane, aragonesi e italiane. Queste navi caricavano in Africa principalmente materie prime: grano in Maghreb, tessuti e cotone a Tunisi72.

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Y. Lacoste, Ibn Khaldun, op. cit., pp. 65-78 . 70

J.A. Miller, Trading through Islam, op. cit., pp. 42-46. 71

Sulla situazione delle terre e la loro tassazione, si veda Y. Lacoste, Ibn Khaldun, op. cit., p. 82; R. Rouighi, The Making of a Mediterranean Emirate, op. cit., pp. 55-75. 72

Per un’analisi più approfondita su trattati, rotte commerciali e prodotti scambiati per quanto riguarda gli Stati del Nord Africa tardo medievale, si veda D. Abulafia, The Role

of Trade in Muslim-Christian Contact during the Middle Ages, in The Arab Influence in Medieval Europe: folia scholastica mediterranea, a cura di D. A. Agius e R. Hitchcock,

Reading, Ithaca Press, 1994, pp. 12-18; D. Abulafia, Industrial Products: the Middle

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Il profilarsi di una crisi

La situazione degli Stati nord-africani nel XIV secolo non era perciò rosea: nonostante la dinamicità dei traffici nei porti mediterranei, contrasti politici ed incipiente declino economico si influenzavano l’un l’altro e nessuna dinastia si mostrò capace di risolvere la crisi e ricreare un impero così come avevano fatto Almoravidi ed Almohadi, cosa che viene spesso sottolineata con amarezza da Ibn Ḫaldūn. I tempi erano ormai cambiati e nuove potenze si profilavano all’orizzonte, con le quali le piccole dinastie locali dell’Africa non potevano competere, depauperate com’erano delle risorse derivanti dalla tratta dell’oro e destinate ormai al solo controllo agricolo delle zone più adiacenti alle loro capitali. Per concludere questa panoramica,

“The fourteenth-century world of Ibn Ḫaldūn was dominated by two broad, concurrent trends. First, while it was a century characterized by seemingly irreconcilable political divisions, it also saw the maturation and consolidation of Muslim institutions and practices, both in the form of educational institutions controlled by the government, such as madrasas, and the establishment and growth of important religious communities and institutions, the Sufi orders, outside direct government control. Second, it was a century that, much more subtly, and in ways virtually unnoticeable to Ibn Ḫaldūn, set the stage for two world historic developments: the rise of European economic hegemony; and the triumph of the Ottoman Empire”73

.

Istituto internazionale di storia economica Francesco Datini, a cura di S. Cavaciocchi, Grassina - Bagno a Ripoli, Le Monnier, 1998, pp. 333-358; H.J. Fisher, The eastern

Maghrib and the central Sudan, op. cit., pp. 252-57; R. Rouighi, The Making of a Mediterranean Emirate, op. cit., pp.76-94; N. Levtzion, The western Maghrib and Sudan, op. cit., pp. 366-76.

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37 2 VITA DI IBN ḪALDŪN

La maggior parte delle notizie riguardanti la vita di Ibn Ḫaldūn sono state tratte dalla sua stessa autobiografia, in arabo col titolo di al-Taʿrīf bi-Ibn Khaldūn wa rihlatu-hu

ġarban wa šarqan - e traducibile come “Introduzione a Ibn Ḫaldūn e al suo viaggio in

occidente e in oriente” - che egli compilò nel corso degli anni e sistemò nell’ultimo periodo passato in Egitto. Tutte le moderne biografie del personaggio si rifanno al testo scritto dal tunisino, corredando il tutto con un’analisi critica delle sue azioni e del suo carattere. Io mi propongo qui lo stesso scopo, e per completare il quadro evenemenziale e critico ho inserito nel corso del testo alcune citazioni tratte dalla traduzione del Taʿrīf fatta da Abdesselam Cheddadi intitolata Le Voyage d’Occident et d’Orient74.

Per un’analisi della stessa autobiografia, e del senso che essa riveste per il suo autore e per noi, si veda il paragrafo finale di questa parte dedicata alla vita di Ibn Ḫaldūn.