1.3 Il Mediterraneo di Ibn Ḫaldūn: aspetti religiosi
Kharijismo e malikismo
Nei primi secoli dopo l’arrivo degli Arabi in Ifrīqiya e nel Maghreb le popolazioni autoctone accolsero prevalentemente l’Islam nella sua forma kharijita. Il kharijismo col tempo si era diviso in diversi gruppi, tra cui quelli Ṣufrī58 e Ibāḍī59, che si diffusero nelle zone più occidentali dell’impero islamico. Poco si sa di queste due ramificazioni, delle quali il ṣufrīsmo sembra essere la meno codificata, mentre gli ibāḍīti possedevano una propria scuola. Degli appartenenti a queste due fazioni si resero protagonisti di una serie di ribellioni che scoppiarono nella metà dell’VIII secolo, di natura più economica che religiosa, le quali portarono alla creazione di due emirati kharijiti, quello dei ṣufrīti Midraridi a Sigilmassa e quello degli ibāḍīti Rustamidi a Tahert60.
Il sunnismo malikita si sviluppava intanto nella vicina corte di Qayrawān, dove avevano preso il potere gli Aghlabiti; altra roccaforte sunnita ortodossa era l’estremo occidente del Maghreb, dove regnavano gli Idrisiti, ugualmente sunniti.
Tra IX e XIII secolo i territori del Nord Africa conobbero il passaggio di tre dinastie, ognuna portatrice di una diversa ideologia religiosa: i Fatimidi ismailiti crearono degli Stati vassalli in Ifrīqiya prima di spostarsi in Egitto, gli Almoravidi malikiti intransigenti unificarono il Maghreb e gli Almohadi, fautori di una dottrina composita, dominarono su tutta l’Africa nord-occidentale.
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Sul dominio nasride in Spagna si veda Lo Jacono, Storia del mondo islamico, op. cit., pp. 362-65.
58
Sul ṣufrīsmo si veda W. Madelung - K. Lewinstein, "Ṣufriyya", in EI2. 59
Sugli ibāḍīti si veda T. Lewicki, al-Ibāḍiyya", in EI2. 60
J.A. Miller, Trading through Islam: the interconnections of Sijilmasa, Ghana and the
Almoravid Empire, in North Africa, Islam and the Mediterranean world. From the Almoravids to the Algerian war, a cura di J. Clancy-Smith, London, Frank Cass
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La religiosità di Almoravidi ed Almohadi
Gli Almoravidi furono i protagonisti di una nuova ondata di conversioni nel Maghreb e soprattutto nel Sahara, dove esportarono la loro dottrina fondata sul madhab malikita: partendo dai loro ribāt, una sorta di fortezze-monasteri, essi conquistarono Sigilmassa e le città marocchine fino alla costa del Mediterraneo, che oltrepassarono per recarsi in Andalusia; giunsero poi nelle città desertiche del Ghana, dove portarono avanti un’intensa politica di islamizzazione.
Favorevole alla speculazione e al ragionamento, ma contrario all’opinione personale del giudice, era invece il movimento almohade, che soppiantò gli Almoravidi in Maghreb e in Andalusia. Alcuni elementi muʿtaziliti e sciiti influenzavano il pensiero del fondatore del movimento, Ibn Tūmart, che arrivò addirittura a proclamarsi mahdī.
Sebbene sostenitori di due diverse forme di credo, Almoravidi ed Almohadi dal punto di vista pratico non si differenziavano troppo gli uni dagli altri: rigorismo, intransigenza, puritanesimo, intolleranza e fanatismo erano i caratteri comuni di entrambe le dinastie61:
«Fautori d’un malikismo ottuso e di un soffocante letteralismo interpretativo che li rendeva più interessati allo sviluppo di un’arida casistica giuridica che, paradossalmente, allo stesso Corano e alla sunna del Profeta e dei Compagni, gli Almoravidi s’affannarono anche a combattere e a distruggere le opere dei sufi più illuminati, dei mutakallimūn e dei filosofi musulmani più raffinati e a mettere al bando ogni realizzazione della sensibilità umana giudicata non in linea coi loro arcigni parametri etico-legalistici, pur apprezzando l’attività musicale su cui si fissano talora gli strali dei musulmani più bigotti»62.
Mentre l’insieme delle tribù almohadi, sebbene fosse ferocemente ostile al malikismo, con susseguente messa al rogo di non pochi manoscritti di quella scuola giuridica, mostrava intolleranza pari a quella dei predecessori:
«Profondo disprezzo per i «depravati» costumi andalusi, veemente anticristianesimo (con l’annichilimento delle residue comunità indigene) e accanito antiebraismo, con lo
61
Lo Jacono, Storia del mondo islamico, op. cit., pp. 340-351. 62
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sradicamento delle attive comunità israelitiche maghrebine, costrette a cercar rifugio in Sicilia, in Spagna e nel resto del mondo islamico»63.
Malikismo e sufismo
Si è visto che dopo la fine degli Almohadi si formarono diversi emirati, i quali recuperarono col tempo la forma ortodossa dell’Islam – se così si può chiamare, in confronto alla religiosità composita degli Almohadi – con la fondazione di madāris e il sostegno ai giureconsulti malikiti; fu in questo periodo che il malikismo si diffuse e si affermò come la scuola giuridica ufficiale nel Nord Africa (come pure della Spagna islamica).
Più che lo stabilizzarsi del malikismo è interessante analizzare un’altra forma di religiosità che sorse e si propagò in Nord Africa dal XII secolo in poi, il sufismo; questo risulta importante in quanto legato fortemente alla questione sociale: se nelle città principali i fuqahāʾ la facevano da padroni, tra la popolazione delle campagne e tra le tribù dell’entroterra dominavano infatti le confraternite mistiche.
In questo estremo lembo occidentale dell’Islam i prima maestri sufi vissero già nel periodo degli Almoravidi e degli Almohadi, ma inizialmente raccolsero solo pochi discepoli che non formarono scuole o confraternite, le ṭuruq; i primi ordini organizzati sorsero durante il dominio merinide ed Ḥafṣide, a partire quindi dal XIII secolo. In Maghreb molto spesso i centri sufi, o zawāyā (pl. di zāwiya), furono costruiti in luoghi di valenza spirituale già nel periodo preislamico, o sopra tombe di santi dei primi tempi dell’Islam ancora venerati dalla popolazione. Fu tale forma di religiosità che contribuì all’islamizzazione delle tribù berbere più lontane dai centri e quindi più difficili da inglobare all’interno del sistema malikita: nei ribāṭ, i centri dove aveva preso forma il movimento militante degli Almoravidi, la tensione guerriera venne sostituita da una devozione sufi e fu proprio in queste fortezze che si formarono gli ordini di quei religiosi poi conosciuti col nome di marabutti. Risulta così evidente che nel Maghreb merinide si creò un’associazione tra sufismo e componente tribale berbera, tanto che gli šuyūḫ (pl. di
šayḫ), gli anziani maestri a capo delle ṭuruq, spesso ricoprivano anche importanti ruoli
sociali nei villaggi e nelle comunità tribali64.
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Ibidem, p. 348. 64
N. Levtzion, The western Maghrib and Sudan, op. cit., pp. 362-363; J.S. Trimingham,
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Nell’Ifrīqiya degli Ḥafṣidi, che pur inizialmente si era mantenuta fedele al credo almohade, col tempo sorsero numerose sia le madāris malikite, sia diverse zawāyā mistiche; a tale direzione diedero un sicuro contributo gli immigrati andalusi, molto presenti nella corte di Tunisi, dove ricoprivano importanti cariche burocratiche e amministrative65.
Come in tutto nel mondo musulmano, anche in Nord Africa
«The ṭarīqa, or Sufi brotherhood, provided an all-inclusive social organization, catering alike for saints, hermits and other individuals totally committed to the religious life, as well as for ordinary men and women who continued their ordinary secular and domestic lives though with certain additional devotional duties required by their ṭarīqa»66.
La religiosità sufi si diffuse così sotto forma di confraternite dal Maghreb all’Ifrīqiya, penetrando profondamente nella società medievale nord-africana e contribuendo a definirne l’identità, fungendo sia da amalgamante e che da referente per la maggior parte della popolazione extra-urbana.
Anche l’Egitto dei Mamelucchi conobbe un simile andamento: se nel periodo Ayyubide e in quello dei Baḥrī si radicò il sunnismo, con la fondazione di scuole e lo sviluppo di al-Azhar, nell’epoca dei Burjī si assistette ad una diffusione del sufismo a livello popolare. Le confraternite si diedero una leadership centralizzata, col compito di controllare e gestire le spesso vaste proprietà dell’ordine; le tombe dei santi sufi erano venerate dalla gente del popolo, ma anche gli apparati militari mostravano reverenza verso i più autorevoli maestri.
In questi primi secoli dopo l’anno 1000 il mondo islamico andò incontro ad una grande trasformazione: se da una parte si stabilizzarono e consolidarono le quattro scuole giuridiche, con i loro fuqahāʾ ed i loro ʿulamā esperti di ḥadīṯ e di šarīʿa, dall’altra di svilupparono e diffusero le confraternite sufi, portatrici di una religiosità più personale e spirituale che nozionistica, e profondamente radicate a livello popolare67.
65
H.J. Fisher, The eastern Maghrib and the central Sudan, op. cit., pp. 256-57 66
Ibidem, p. 256 67
Sull’origine e lo sviluppo delle confraternite sufi dell’Africa musulmana, si veda J.S. Trimingham, The Sufi orders in Islam, op. cit., pp. 44-51 e 107-21.
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