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Il mercato internazionale degli anni ‘80 e‘90

Raymonde Moulin, nel saggio L’artiste, l’Institution et le marché propone di fare un’analisi dell’evoluzione del mercato dell’arte contemporanea nel corso degli anni ‘80 e ‘90 che ruota attorna alla costruzione del valore artistico contemporaneo in rapporto al campo culturale e al mercato, come spiegato nelle pagine precedenti.

Nel corso degli anni ‘80 e ‘90, il mercato dell’arte è entrato a far parte della sfera pubblica: sono aumentati i giornali specializzati facendo eco al boom dell’arte, conferendo una sempre maggiore visibilità alle oscillazioni del mercato rispetto alla realizzazione artistica e alla condizione stessa degli artisti17. Moulin afferma che all’interno del campo culturale

si sviluppano le valutazioni artistiche; mentre all’interno del mercato avvengono le transazioni. Tanto le valutazioni quanto le transazioni dispongono di un proprio sistema di identificazione del valore e queste due reti intrattengono un rapporto di reciproca dipendenza. Questa individuazione del valore condiziona il prezzo dal momento che, senza il calo storico e l’incertezza conflittuale degli apprezzamenti estetici riposti direttamente sull’arte contemporanea, il prezzo diviene uno dei criteri di certificazione del valore.

Moulin sostiene che come il mercato dell’arte antica, anche il mercato internazionale d’arte contemporanea sia un mercato, inteso nel senso economico del termine, ma che la sua interazione con il campo culturale, dove esso opera, sia di fondamentale importanza. L’internazionalizzazione del mercato dell’arte contemporanea è in effetti rigorosamente indissociabile alla sua stessa produzione culturale; essa infatti si basa sull’articolazione tra la rete internazionale delle gallerie e dei collezionisti e la rete internazionale delle istituzioni artistiche.

L’offerta dell’arte contemporanea è potenzialmente indefinita e la stima del valore artistico è dominata dall’incertezza. La concorrenza tra le differenti ideologie artistiche e il continuo rinnovamento dei movimenti artistici infatti impediscono ai professionisti, come critici d’arte, collezionisti galleristi, di dare un giudizio estetico concordante.

17 R. Moulin, L’artiste, l’institution et le marché, Paris, Flammarion, 1997, p. 7.

Il modello elaborato dai mercanti francesi alla fine del XIX secolo, in un momento in cui la storia dell’arte si scriveva prevalentemente in Francia, si è svolto senza però che il principio fondatore fosse mutato: si tratta infatti di fissare l’offerta, di renderla anelastica, anche se gli aspiranti artisti divengono sempre più numerosi, anche se il loro modo di lavorare autorizza una grande rapidità nell’esecuzione.

All’inizio, qualsiasi artista possiede il monopolio della sua produzione ed è, in origine, l’unico detentore dell’offerta, ma le sue opere acquistano il valore di “opere d’arte” solo quando vengono legittimate come tali all’interno dei circuiti di valorizzazione cultura e di promozione e circolazione commerciale, quando cioè vengono acquistate ufficialmente dal mondo dell’arte e conseguentemente dal pubblico. E questo può avvenire, a livello alto, solo quando la gestione di questa situazione di monopolio passa dalle mani dell’artista a quelle dei mercanti imprenditori innovatori, almeno nella fase necessaria per arrivare ad un’affermazione stabile della “firma”.

Il mercante è quindi il primo e provvisoriamente colui che acquisisce la produzione dell’artista, diventando temporaneamente monopolista. Quest’ultimo può quindi tentare di massimizzare il suo profitto in due modi: o vendere un intero stock di opere a basso prezzo ed attendere, selezionando i clienti; o creare una situazione provvisoria favorevole, vendendo molto e facendo aumentare il prezzo rapidamente. Quest’ultima strategia è stata infatti quella dominante nel mercato dell’arte contemporanea nel corso degli ultimi trent’anni.

I nuovi imprenditori di “nuovo stile” si distinguono dai, già descritti nelle pagine precedenti, cosiddetti padri fondatori (Paul Durand-Ruel, Ambroise Vollard o Daniel- Henry Kahnweiler) non solamente per l’uso differente del tempo, ma soprattutto per aver instaurato dei nuovi rapporti con gli artisti, le istanze culturali ed il pubblico.

È l’opposizione tra le diverse concezioni del mercato, l’una fondata sull’eternità dell’arte, l’altra su un “vortice perpetuo dell’innovazione”, un’opposizione tra la strategia su tempi lunghi e di differenti successi, e quella su brevi periodi e rinnovamenti continui. Quest’ultima strategia, gioca su tempi accorciati, chiama uno spazio d’azione socialmente e geograficamente esteso.

I nuovi imprenditori non attendono la fortuna “dormendo”, come pretendeva di fare Ambroise Vollard, e non lavorano come Daniel-Henry Kahnweiler, per qualche happy few, rifiutando a volte la pubblicità. Non si collocano più controcorrente alle istituzioni

culturali che hanno operato il loro aggiornamento e dispongono di un pubblico sottoposto al giudizio dei professionisti dell’arte contemporanea e attirato dalla moda e/o dalla febbre speculativa. Su ogni grande piazza commerciale, il settore dell’arte contemporanea si struttura attorno ad un numero limitato di gallerie leaders suscettibili d’imporre i nuovi prodotti e, all’interno di un contesto d’interdipendenza positiva della valutazione, di determinare il prezzo.

Oltre all’impegno di natura commerciale dei mercanti, c’è quello dei collezionisti che difendono e cercano di valorizzare i loro acquisti, quello della critica dell’arte che lavora sul piano della promozione e del riconoscimento culturale delle opere e c’è, infine, anche quello dei direttori e curatori di musei. Il ruolo di questi ultimi è essenziale non solo, come è ovvio, per la legittimazione ufficiale dei valori (con funzione storicizzante) sul piano culturale, ma anche su quello economico sia perché i musei rappresentano una parte molto importante della domanda (collezionismo pubblico), sia perché la “consacrazione” museale è per un artista un prestigioso valore aggiunto che si riverbera su tutta la sua produzione.

Dunque dal punto di vista sociologico, la produzione di un’opera d’arte è frutto di un elaborato processo sinergico. In altri termini, il “prodotto opera d’arte” non dipende solo dall’artista, ma è il risultato dell’azione di tutti i principali attori del sistema dell’arte che, in un certo senso, possono essere definiti, in misura maggiore o minore, come “coautori”.

CAPITOLO II

La nascita dei Centri nazionali d’arte contemporanea

1. I primi musei d’arte contemporanea e la nascita delle mostre