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1.2 Mesoamerica ispanica

1.2.5 Il Messico attuale

Gli ideali della rivoluzione, la lotta per la giustizia e per la democrazia non si fermarono con la morte di Villa e Zapata.

Varie generazioni di messicani furono educati a questi ideali e credendo nelle promesse della rivoluzione continuarono a lottare, spesso contrastati da un governo che rispondeva con la forza.

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Carranza rappresentava le classi medie escluse dal progresso economico durante la dittatura di Porfirio Díaz, le quali, più che una democrazia politica, desideravano uno Stato nazionale forte. A questo punto la rivoluzione si scisse in due diversi movimenti rivoluzionari contro il vecchio ordine.

Fu quanto successe nel 1968 al movimento di protesta studentesca che terminò il 2 ottobre con la strage di Tlatelolco, nella Piazza delle Tre Culture, durante la quale persero la vita centinaia di persone.

La creazione di una nazione moderna sul modello delle civiltà occidentali prevedeva per i criollos conservatori l’eliminazione della cultura mesoamericana autoctona che, pur appartenendo alla maggior parte della popolazione, era considerata inferiore e segno di arretratezza.

Le disparità di condizione economica che caratterizzano l’intera società si riflettono pesantemente sul mondo indigeno e sulla possibilità di mantenere in vita la propria cultura.

Così, negli stati dove il livello di ricchezza è maggiore l’indigeno viene emarginato, mentre negli stati meridionali, il maggiore tasso di indianità coincide con un più basso livello di vita.

L’inesistenza di una politica che potesse migliorare questa situazione ha portato, negli ultimi anni, alla ricerca di una soluzione armata.

Il primo gennaio del 1994, contemporaneamente all’entrata in vigore del Tratado de Libre Comercio (TLC o NAFTA49), nei pressi di San Cristóbal de las Casas in Chiapas un gruppo di indigeni dell’EZLN (Ejército Zapatista de Liberación Nacional) ha occupato le principali città dell’Alto Chiapas, nel nome del rivoluzionario Emiliano Zapata.

Questi guerriglieri, guidati dal Subcomandante Marcos50, vedevano nel NAFTA l’ennesima restrizione dei loro diritti che li avrebbe obbligati a vendere la terra con evidente vantaggio dei latifondisti messicani e nordamericani.

La lotta tra i guerriglieri zapatisti ed il governo messicano si è intensificata nel 1995, quando le istituzioni decisero di inviare nel Chiapas l’esercito federale per schiacciare il movimento dei ribelli, compiendo vari

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North American Free Trade Agreement, patto di libero scambio commerciale tra i paesi del Nord America (Usa e Canada) con il Messico in evidente condizione di inferiorità. 50

Sebbene Marcos compaia pubblicamente con il volto coperto, sembra essere stato identificato nella persona di Rafael Sebastián Guillén Vicente, laureato in filosofia presso l’UNAM.

atti di violenza, tra i quali, nel 1997, la matanza de Acteal nella quale persero la vita 45 indigeni tzotziles51 ed attaccando successivamente i comuni autonomi52.

L’11 marzo del 2001 Marcos e gli zapatisti, dopo una lunga marcia partita dal Chiapas, arrivarono nella Piazza della Costituzione, chiamata comunemente el Zócalo, a Città del Messico, per chiedere il riconoscimento costituzionale dei diritti degli indigeni giacché la libertà degli indigeni nell’uso e sfruttamento delle risorse e dei territori non è mai stata riconosciuta come diritto costituzionale.

Nello stesso tempo il governo foxista promosse il Plan Puebla Panamá (PPP) col fine di costruire le infrastrutture necessarie per attirare investitori interessati ad approfittare delle risorse naturali e della manodopera economica: tutto a beneficio dei gruppi al potere e non della maggioranza della popolazione.

Il governo in carica si pone lo stesso obiettivo, il che sarà probabilmente causa di nuovi conflitti.

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La popolazione indigena del Chiapas si divide in vari gruppi etnici tra i quali: tzotzil, tzeltal, zoque, cho’ol, tojolabal, mame e lacandón.

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In mancanza di un governo che non prestava attenzione alla cultura, ai bisogni ed alla salute degli indigeni, dal dicembre 1994 gli zapatisti hanno iniziato a formare gradualmente diversi municipi autonomi, sviluppando negli anni delle giunte per autogovernarsi, con sistemi sanitari e scolastici gratuiti.

CAPITOLO II

LA LETTERATURA

“INDIPENDENTE”

2.1 Letteratura indianista ed indigenista

L’indipendenza politica dell’America Latina favorì anche l’indipendenza culturale, ossia la ricerca della propria identità fino ad ora identificata con i modelli spagnoli ed europei.

In questa ricerca identitaria la “nuova” letteratura diventò, prima di tutto, lo strumento per denunciare le ingiustizie della colonia e per creare un senso di patriottismo, orgoglio civile e rifiuto della tradizione spagnola.

La fine del colonialismo spagnolo aveva indotto gli intellettuali americani a reinterpretare il passato precolombiano, a ritrovarne le radici, i miti e i simboli ancor vivi nella tradizione autoctona, della quale le popolazioni indigene dell’America indipendente erano e sono l’espressione più autentica.

Come già accennato nel precedente capitolo, il concetto di letteratura appartiene alla tradizione europea ed i testi indigeni che vengono considerati “letterari” sono il prodotto di una “testualizzazione” che avvenne dopo la conquista o il risultato sincretico del meticciato: in ogni caso, sono stati a lungo considerati sub-letteratura, etno-letteratura o letteratura folclorica.

Non è esistita, quindi, una letteratura indiana ma una letteratura che per secoli è stata il prodotto della lingua e della cultura dominante, chiamata indianista o indigenista se presentava l’elemento indigeno, ma sempre interpretato dal punto di vista occidentale. Anche i primi romanzi della

letteratura “indipendente” trattarono, spesso, argomenti come la lotta tra indigeni e spagnoli e lo sterminio degli indigeni, ma mai si mise in dubbio la Conquista come opera civilizzatrice ed evangelizzatrice, quindi positiva.

Soprattutto in Messico ci fu una vasta fioritura di romanzi storici sulla conquista, fra i quali è sufficiente ricordare una delle prime prove, il romanzo breve Netzula (1832), di José María Lafragua, in cui viene esaltato il senso dell’onore degli indigeni nonostante il loro destino sia già segnato: un esempio è Ixtlon, il padre di Netzula, che preferisce morire lontano ma non «presenciar la esclavitud de la patria»53. Spesso nelle pagine romantiche, influenzate dai modelli europei, l’indio rappresentò il buon selvaggio, la visione idealizzata di creatura selvatica, come nel romanzo

Cumandá o un drama entre salvajes (1879) dello scrittore ecuadoriano Juan

León de Mera.

La visione idealizzata dell’indigeno non viene abbandonata neanche quando il romanzo diventa espressione di una protesta sociale: è il caso di

Aves sin nido (1889) della peruviana Clorinda Matto de Turner. Questo

romanzo si identifica con l’indianismo nel quale, pur mostrando una maggiore accuratezza e profondità di analisi rispetto ai precedenti romanzi storici, la visione dell’indigeno è ancora stereotipata ed esterna.

Lo spostamento di visione, da esterna ad interna, nella quale lo scrittore assume il punto di vista dell’indigeno che prende in mano il proprio destino, segna il passaggio dalla letteratura indianista all’indigenista.

Opera intermedia è El mundo es ancho y ajeno (1941) di Ciro Alegría, scrittore di origine peruviana che aveva trascorso la fanciullezza nella tenuta agricola del nonno dove aveva avuto una conoscenza diretta degli indios. Il tema centrale intorno al quale ruota l’azione di questo romanzo è l’espulsione della comunità indigena dei Rumi dalle loro terre per opera dei latifondisti. La spoliazione della terra assume, in questo romanzo, un

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José María Lafragua, Netzula, in Aa. Vv., La novela corta en el primer romanticismo mexicano, Universidad Nacional Autónoma de México, México D. F., 1998, p. 129.

significato nuovo: l’uomo e la terra vivono in rapporto simbiotico e per tale ragione rivendicare la terra per l’indio significa rivendicare il proprio essere, la propria identità. Nello scontro, non solo economico ma anche culturale, l’indigeno si trasforma da vittima passiva in rivoluzionario.

L’identificazione della terra con l’identità indigena sarà il tema centrale di tutta la letteratura indigenista ma finché scrittori non indigeni continuarono ad interpretare la mentalità degli indios, il risultato non poteva che essere approssimativo o, meglio, “letterario” e non sempre antropologicamente corretto.

Negli anni successivi al 1940 gli scrittori indigenisti abbandonarono il realismo, una modalità che comportava delle limitazioni alla rappresentazione del mondo degli indios perché escludeva la loro “magica” interpretazione del mondo e si limitava a rappresentare il punto di vista “razionale” occidentale. Questi scrittori avevano vissuto in territori indigeni, dove avevano potuto apprendere il linguaggio ed i miti delle comunità, scoprendo che l’abbandono del realismo poteva dare loro maggiore possibilità di verosimiglianza nella descrizione del mondo indigeno, intrinsecamente “magico”.

Il più importante rappresentante di questa nuova modalità di scrittura fu José María Arguedas, “indigenista” profondamente radicato nella realtà indigena.