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2.1 Dal controllo diretto al controllo indiretto del mercato

Il fenomeno delle amministrazioni indipendenti si diffonde a fronte di particolari evoluzionismi nel campo economico. Questo a ribadire, ancora una volta, la trasversalità dell'oggetto di studio, capace d'interessare più settori e d'imporsi come fenomeno globale all'interno di un ordinamento.

Il progresso e l'industrializzazione hanno fatto del mercato, il settore primario nelle politiche nazionali e punto imprescindibile per le strategie di crescita. Quindi, lo Stato e i pubblici poteri svolgono un ruolo rilevante nello sviluppo economico di un Paese attraverso una attività legislativa di tipo direttivo o confermativo.

Si tratta di un tipo di legislazione in cui lo Stato gestisce direttamente l'attività economica oppure, laddove non lo faccia, s'ingerisce con una fitta rete normativa nei comportamenti degli operatori economici di settore con una serie di mezzi quali: sussidi, incentivi, controllo dei prezzi e via dicendo. Vi è quindi un'impronta finalistica al mercato, su cui lo Stato segue, limita e condiziona il raggiungimento di un ottimale equilibrio.

dello Stato nei confronti del mercato. Ha iniziato progressivamente a lasciare la guida del mercato agli stessi operatori protagonisti, i quali liberi da condizionamenti raggiungono il naturale equilibrio. Lo Stato, dal canto suo, non abbandona totalmente il campo, ma fissa previamente quelle che sono le “regole del gioco” e gli istituti fondamentali volti ad assicurare ad esempio un certo standard qualitativo o di sicurezza dei prodotti industriali. I pubblici poteri in sede programmatoria si preoccuperanno meramente di fissare le regole per una corretta competizione e non più le finalità desiderate.

In questo passaggio storico, si realizza la mutazione da Stato-imprenditore a uno Stato-regolatore. E' fuorviante, a questo punto, pensare che i pubblici poteri esercitino un potere neutro di tipo neoliberale1, in quanto gli assetti di

mercato sottendono sempre una scelta di tipo politico capace di postulare un determinato modello nei rapporti tra collettività e pubblici poteri.

Il legislatore ha così posto una maggiore attenzione verso fenomeni più generali e globali, orientando la legislazione pubblicistica verso prospettive meno circoscritte in cui sono i mercati, nella loro globalità e nella loro interrelazione, ad essere oggetto della disciplina2.

In Italia, d'altra parte, si giunge a tale condizione in notevole ritardo rispetto ad altri ordinamenti europei vuoi per ragioni storiche, come il ritardato sviluppo economico e la vocazione ad una economia autarchica, vuoi per scelte politiche ancorate a strumenti di carattere programmatorio. La spinta decisiva è stata sicuramente fornita dalle direttive comunitarie, a cui il legislatore ha dato attuazione attraverso una serie di interventi legislativi che hanno introdotto e disciplinato amministrazioni svincolate dall'apparato governativo.

Questi organismi controllano segmenti di mercato totalmente eterogenei tra di loro che in passato corrispondevano a differenziazioni di contenuto

1 L'idea neoliberista ideata da Rustow era quella di un annullamento totale dello Stato nel mercato in favore dell'impreditorialità umana. Oggi è un concezione economica ormai obsoleta e desueta, si parla di neoliberismo solo in chiave provocatoria e accusatoria facendo riferimento ad uno Stato ostaggio delle lobby e delle cricche finanziarie.

portando a distinti prodotti, differenti imprese produttrici e separati corpi normativi.

Oggi tutto ciò è stato sovvertito da una domanda di mercato complessa e non diretta ad un prodotto specifico, dalla proliferazione di prodotti sempre più articolati e dalla tendenza dei mercati a strutturarsi su base normativa privatistica. In altre parole, si è realizzata una integrazione e sovrapposizione di mercati che pone non pochi problemi di coordinamento alle autorità di controllo italiane, istituite sulla base di leggi speciali o sub-settoriali che non coprivano l'intera materia considerata, ma solo una parte di essa. Se poi consideriamo che molte di queste non perseguono un disegno organico e coerente, è facile disegnare un quadro del tutto opposto a ciò che viene richiesto. Le conseguenza più facile a queste condizioni sono l'emersione di eventuali lacune e la duplicazione di discipline.

In una realtà in cui stanno via via svanendo gli steccati tra i diversi settori economici e non economici, risulta necessario attuare forme di cooperazione e convergenza, solo in questo modo è possibile rendere più efficace l'azione amministrativa volta alla tutela degli interessi coinvolti nei settori stessi3.

Separare i compiti tra più autorità infarcendole di complessi iter burocratici o addirittura trasferire il coordinamento delle stesse all'autorità politica, sarebbe un grave passo indietro verso modelli desueti incapaci di valorizzare le stesse autorità indipendenti.

3 Da ultimo, sono state trasferite all'A.N.A.C le funzioni e i compiti svolti dal A.V.C.P con decreto-legge n. 90 del 2014.

2.2 Terminologia e definizioni

Una volta chiare le basi storiche e gli evoluzionismi, anche extra giuridici, che hanno favorito il proliferare del fenomeno, l'indagine deve affrontare necessariamente l'aspetto terminologico e lessicale. Diventa fondamentale individuare le caratteristiche e i criteri che ci permettono di poter individuare, nel caso di specie, un organismo come amministrazione indipendente.

La dottrina, dal canto suo, ha utilizzato tutte le categorie logiche di cui disponeva per poter comprendere al meglio queste nuove strutture, tentando di forgiare un modello il più possibile astratto e generale in cui confluiscono tutte le caratteristiche tipiche delle amministrazioni indipendenti. Peraltro, in questo modo, si soccorre a quell'astensionismo del testo costituzionale in materia d'organizzazione dell'economia. Rilievo che, salvo per quanto riguarda gli organi costituzionali, può essere esteso all'organizzazione tout

court.

Secondo una prima ricostruzione che ha avuto un certo seguito in dottrina, le amministrazioni indipendenti vanno ricondotte ad organismi imparziali, in quanto istituiti teleologicamente sulla base del valore costituzionale dell'imparzialità dell'amministrazione pubblica4.

Questa teoria, rinviando al principio contenuto nell'art. 97 della Costituzione, vuole costruire delle amministrazioni indipendenti ad alto tasso d'imparzialità e quindi soggette solo alla legge. Non solo, così facendo si riscopre un accostamento tra amministrazione e giurisdizione visto che, entrambi, hanno il compito di dare attuazione all'ordinamento attraverso un'implementazione della funzione legislativa con un'attività in aderenza alla forza oggettiva del fatto, oltre al perseguimento degli obiettivi di giustizia5.

Tuttavia, non bisogna tralasciare che il carattere d'imparzialità comune ad

4 A. MASSERA, Autonomia e indipendenza nell'amministrazione dello Stato.

5 Si fa riferimento al pensiero di Merkl teorizzatore della teoria gradualistica che si contrappone a Kelsen.

entrambi, ha radici storiche e pragmatiche totalmente diverse6. L'analogia

non si estende al concetto nella sua interezza, bensì si arresta sul piano sostanziale e cioè all'egual rapporto che hanno di fondo con l'ordinamento7.

L'imparzialità del giudice e dell'amministrazione non hanno, e non devono avere, nulla a che fare: il giudice è l'organo super partes per eccellenza, terzo ed equidistante dalle parti in giudizio, non opera nella realtà concreta ma riesamina e sindaca ex post; l'amministrazione è intranea ai rapporti sociali e nei suoi compiti non realizza l'interesse di un'entità indifferenziata, trascendente la società, ma soltanto il bene della società concreta8.

L'amministrazione, pur volendo, non è mai terza perché svolge sempre un ruolo di promozione del benessere sociale, perseguendo un interesse soggettivo. Ne deriva, quindi, che l'imparzialità amministrativa non è sinonimo di neutralità e indifferenza, come nel caso del giudice, bensì indica il potere-dovere di valutare tutti gli interessi coinvolti per una integrale ed efficace ponderazione. In altre parole, si tratta di un divieto di privilegio ingiustificato di alcuni interessi pubblici nei confronti di altri, essi sono posti tutti sullo stesso piano.

In realtà, l'indagine non può arrestarsi qui alla disamina degli articoli 97 e 98 della Costituzione. Le riserve di legge apposte dal legislatore nel primo fanno apparire un'amministrazione indipendente e non al servizio di alcuno, mentre il primo comma dell'articolo successivo ricalca la funzione servente nei confronti della collettività. L'esito è assai ambiguo, e se prima il concetto di imparzialità confluiva verso il principio di buon andamento, ora viaggia verso quello di autonomia.

Appare quindi disdicevole e fuorviante l'uso di questa nozione per chiarire il senso e la natura dell'oggetto d'indagine. L'imparzialità è un concetto polisenso, controverso ed incapace di fornire un significato univoco e immediatamente riconoscibile. Ciò rende assai discutibile la posizione della dottrina di utilizzare l'imparzialità come criterio-guida nell'indagine sulle

6 G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna, 1988, p. 177. 7 U. ALLEGRETTI, Imparzialità amministrativa, Messaggero, Padova, 1965, p. 164. 8 U. ALLEGRETTI, Ibidem, p. 104.

amministrazioni indipendenti.

Altra parte della dottrina amministrativistica attribuisce a questo nuovo fenomeno una sorta di riserva di tecnicità nell'esercizio delle sue funzioni pubbliche. Ciò significa che l'amministrazione indipendente sarebbe dotata di funzioni tecniche, il quale loro esercizio implicherebbe valutazioni neutre e aliene ai giudizi di valore tipicamente politici. Si verrebbe quindi a realizzare il fenomeno delle neutralizzazioni di settore, quale scorporo di certe materie dall'ordinaria vita amministrativa e la relativa attività di regolazione, si consegue attraverso l'uso dei poteri secondo standards di condotta identificati nelle linee di fondo dalla legge e ampiamente definiti nei loro aspetti concreti dalle attività delle autorità amministrative indipendenti.

Tutto ciò, muove dall'esigenza di neutralizzare alcuni settori rilevanti per la vita socio-economica dei consociati e dall'invasione degenerativa della politica nell'amministrazione. Sicuramente il quadro è suggestivo e contiene innegabilmente degli interessanti spunti di riflessione non solo teorica ma anche pratica, ma talune implicazioni logiche restano ancora tutte da dimostrare. Ad esempio, se si assegna alla neutralità un significato di estraneità e indifferenza rispetto allo scopo dell'attività posta in essere, le autorità amministrative non potrebbero essere titolari di poteri discrezionali. Ne consegue la maturazione di un certo scetticismo verso questa ricostruzione fuorviante di una amministrazione indifferente rispetto a quegli interessi affidati alle sue cure e spogliata del suo tipico carattere discrezionale.

La questione centrale che la dottrina ha posto per le amministrazioni indipendenti, se esercitano funzioni politiche o funzioni neutre, è di per se un falso problema, perché necessariamente l'esercizio di una funzione pubblica implica valutazioni politiche.

Bisogna, quindi, partire dal presupposto che la neutralità non è apoliticità, ma, al contrario, è il massimo della politicità9. Dunque neutralità è massima 9 Si fa riferimento al pensiero di Carl Schmitt, giusfilosofo e politico tedesco, che in Italia è stato rivalutato nella seconda metà del XIX secolo. Ha dedicato la maggior parte delle sue riflessioni ai problemi della globalizzazione, alla crisi delle categorie giuridiche moderne

sintesi politica. Un'altra considerazione che ci riporta a sostenere il falso problema, risiede nell'attività interpretativa delle leggi: qualsiasi giudice o pubblico funzionario, nel momento in cui sono chiamati a decidere, e quindi ad interpretare, effettuano una valutazione tecnica ma anche una valutazione politica sulla base dei valori in gioco. E' pacifico che questa tecnica giuridica non sia assolutamente scevra dal ricorso a giudizi di valore, nel fondamentale passaggio dalla lettera della legge alla sua applicazione in concreto10.

In conclusione, tutte le ricostruzioni che pongono al centro le valutazioni tecniche risultano essere intrise di quei pregiudizi propri del mito positivistico della scienza. L'idea di un potere neutro, tuttavia, è stato sempre riproposto nei confronti di organi quali il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale e per ultime le amministrazioni indipendenti, ossia organi ai quali si è cercato di conferire una legittimazione tecnica ed imparziale11. Il concetto di neutralità potrà quindi spiegare solo una parte

dell'azione condotta da questi organi, e non anche la loro natura giuridica o il loro funzionamento. Le amministrazioni indipendenti occupano quello spazio vuoto di potere tra i poteri pubblici e i poteri privati, perciò, fra questi opposti valori necessariamente diventano un soggetto politico e partecipano pienamente alla sovranità. Quanto dimostrato, però, non è stato rilevato dalla ricostruzione della dottrina rendendo in parte impercorribile il suo processo logico.

Il criterio logico su cui, però, la dottrina ha fatto maggior leva è stato quello dell'indipendenza. Infatti, a partire dalla pubblicazione della Relazione Piga12 e all'esperienza paradigmatica della Repubblica di Weimar. Nel pensiero di Schmitt i poteri neutri sono titolari di decisioni politiche e partecipano all'esercizio della sovranità. Il potere neutro interviene, sopratutto nel c.d. Stato d'eccezione, qualora nessuno è in grado di decidere in quanto custode della Costituzione. [C. SCHMITT, “Il custode della

costituzione”, Roma, 1980, pp. 175 ss.]

10 Una visione più ampia e generale, può dimostrare come il ricorso a giudizi di valore non si presta solo all'interpretazione della legge, ma anche a tutti gli altri settori scientifici. Si pensi ad economisti, matematici o ingegneri alle prese con una scelta di opportunità pratica o valutazione personale. E' anche questa una scelta politica.

11 M. PASSARO, Le amministrazioni indipendenti, Giappichelli, Torino, 1996.

12 Si tratta del documento con cui, la Commissione per la modernizzazione delle istituzioni presieduta da Franco Piga, ha concluso il 18 Giugno 1985 la sua indagine su alcune figure di recente introduzione come la CONSOB e l'ISVAP. All'interno della relazione vengono

si diffonde rapidamente il nomen juris di amministrazione indipendente. Tuttavia, l'indipendenza è un concetto polisemico e può individuarsi un significato strutturale ed uno funzionale. Nel primo caso, è indipendente quella struttura organizzativa capace di dotarsi di un proprio personale, di un proprio patrimonio e di una propria personalità rompendo definitivamente qualsiasi legame gerarchico con altre strutture. Nel secondo caso, invece, è indipendente quella struttura organizzativa capace di esercitare in modo pieno ed autoreferenziale le funzioni a cui è preposta.

In entrambi i casi è possibile individuare un fine univoco: la separazione da altre strutture gerarchicamente superiori. Autorevole dottrina13, proprio

sulla scorta di questo unico obiettivo, attribuisce a pieno titolo l'indipendenza alle amministrazioni indipendenti, alludendo alla loro capacità di rompere qualsivoglia relazione di influenza o di direzione da parte di gruppi di potere esterni.

In questi termini, si giunge a porre l'indipendenza come un connotato eminentemente relazionale traducendolo, di conseguenza, in un concetto puramente negativo dell'altrui autorità. Rilevare una struttura come indipendente alla stregua della sua capacità di rimanere impermeabile alle influenze altrui, significa esaltarne il suo affrancamento e non la realizzazione della sua signoria. Ciò non pare sufficiente a cogliere il senso profondo dell'oggetto d'indagine.

Un'autorità indipendente esprime sempre la sua soggettività ed identità ancor prima di rifiutare le ingerenze esterne. L'affrancamento e la cesura con gli altri soggetti è solo la fase iniziale, utile ad affermare la propria personalità ma non a spiegare e ad apprezzare interamente la natura del fenomeno.

definite come «amministrazioni indipendenti ad alto tasso d'imparzialità». In Rivista

trimestrale scienze amministrative, 1985, n. 3, pp. 85 ss.

13 Numerosi scritti, elaborati durante l'indagine, convergono verso la medesima conclusione, tra cui: M. PASSARO, Le amministrazioni indipendenti, Giappichelli, Torino, 1996; N. LONGOBARDI, Autorità amministrative indipendenti e sistema giuridico-

istituzionale, Torino, 2009; C. FRANCHINI, Le autorità amministrative indipendenti, in Rivista trimestrale diritto pubblico, 1988.

L'indipendenza, quale concetto negativo, non è in grado di giustificare un fatto di autogoverno da parte di una collettività che gli conferisce legittimazione14. Tuttavia, può spiegare la neutralizzazione dei poteri altrui

ma non l'affermazione del proprio, per il quale è richiesto un concetto positivo.

A questa lacuna è possibile sopperire attraverso una nozione diversa, quale quella dell'autonomia. Infatti, seppur è vero che, al pari dell'indipendenza ha un profilo negativo inteso come capacità di escludere l'ingerenza dello Stato e delle direttive politiche, esso ha parimenti un risvolto positivo. Quest'ultimo è da intendersi come la capacità degli organismi di farsi portatori di interessi di base, diffusi a livello comunitario.

Il proprium dell'autonomia va ricercato, quindi, nella libertà, originarietà e autodeterminazione dei pubblici poteri esponenziali di comunità o gruppi indifferenziati e, più in generale, di quegli organismi rappresentativi, anche in termini politici. Ne deriva che, il concetto di autonomia, si presta più facilmente a quella politicità e discrezionalità ineliminabile, ed è, parimenti, utile a descrivere il funzionamento di queste nuove strutture poste in stretto collegamento, quasi osmotico, con gli interessi sociali e collettivi.

L'autonomia, a ben vedere, si coniuga con il concetto di ordinamento dato che l'attività dell'istituzione autonoma si svolge su di un piano diverso da quello statale, su un piano che è per l'appunto quello della Repubblica quale Stato-ordinamento. Questo sottolinea la necessità di un operazione di

ingegneria istituzionale in favore di quei nuovi centri di potere. Essi non sono

contestualizzati in termini di indipendenza dal centro statale, bensì da una definizione di interdipendenza in cui le sub-istituzioni si coordinano e condizionano reciprocamente.

L'essenza del significato di autonomia si coglie nella situazione di chi dà a se stesso le norme giuridiche, tant'è che quando si parla di autonomia quasi per antonomasia si intende un'autonomia normativa15. Questa conclusione, 14 G. SIRIANNI, Nuove tendenze legislative in materia di amministrazioni indipendenti, in

Nomos, 1993, fasc. I, p. 92.

del resto, ben si adagia sull'oggetto dell'indagine, anzi trova espansione nei confronti di tutte quelle manifestazioni dell'autonomia che vanno da quella finanziaria a quella contabile, da quella amministrativa a quella dirigenziale.

Il carattere autonomo delle amministrazioni indipendenti fa emergere la questione dei rapporti fra Stato e società, ridefiniti dallo sfociare di questi nuovi organismi. Infatti, lo Stato non è più l'unico centro indiscusso e il potere pubblico va sempre più diffondendosi ed allontanandosi dal centro statuale, ritrovando il momento di coagulo solo all'interno dell'ordinamento. Del resto, è quello che la Costituzione afferma nel secondo comma dell'art. 1, ossia che la sovranità può essere esercitata, non solo per mezzo dello Stato ma, anche attraverso altre entità da questo autonome, fra le quali le amministrazioni indipendenti.

L'analisi analitica condotta finora sull'approccio metalinguistico della dottrina, ha messo in luce alcuni aspetti, sia teorici che pratici, con cui il legislatore ha dovuto fare i conti quando è stato chiamato a riconoscere a livello normativo il fenomeno delle amministrazioni indipendenti.

Il punto sicuramente cruciale è quello del riconoscimento nell'an e nel

quantum d'indipendenza alle amministrazioni indipendenti. Spesso, in modo

quasi banal-buonista, è stata giustificata l'istituzione di questi organismi con l'esigenza di neutralizzare alcuni settori, in ragione di una tecnicità della materia o di sue particolari e caratteristiche implicazioni politiche, le quali richiedono strutture dotate di una certa indipendenza, in funzione di garanzia oltre che di efficienza. In realtà, accade che di fronte a metodi pluralistici di formazione della volontà statale propri dei partiti siano chieste istanze e procedimenti neutrali, cioè indipendenti da questa sorta di Stato dei partiti16. E' innegabile la persistenza di un problema, non nuovo, come quello

della pessima definizione tra politica ed amministrazione.

Non esiste una risposta o un criterio universale per sciogliere il dubbio del legislatore, egli dovrà impegnarsi a effettuare una scelta sulla base del tipo di

16 C. SCHMITT, Il custode della Costituzione, Roma, 1980, p. 154. Nel passo dell'opera, l'autore ha voluto affermare, seppur con fare polemico, l'ambiguità che assumono i concetti di neutralità e depolitizzazione dell'amministrazione pubblica.

funzione e dei modi di esercizio a cui è chiamata l'amministrazione indipendente nascente.

Nonostante gli sforzi della dottrina di individuare i tratti comuni che dovrebbero caratterizzare questo tipo di autorità pubbliche, è emersa una difficoltà a ricondurre a coerenza i prodotti del legislatore anziché la possibilità di edificare una figura organizzativa unitaria e ben delineata.

Invero, le varie amministrazioni si sono dotate di una propria regola normativa con svariate finalità eterogenee, tali da rendere impossibile se non addirittura inutile la ricerca di una definizione teorica. Anche perché, non poteva essere diversamente, a fronte di una legislazione di settore avara di scelte di carattere generale che spinge verso il convincimento che le autorità indipendenti si risolvano in una sorta di regime derogatorio, rispetto al tradizionale modello di amministrazione pubblica.

Oltretutto, l'elaborazione di un tale modello deve trovare un fondamento nel diritto positivo, senza il quale risulterebbe privo di riscontro nella realtà fattuale. I rischi metodologici, che devono destare l'attenzione del legislatore sono quelli: di non espandere eccessivamente il nomen autorità, o altro equipollente, anche ad organismi che presentano elementi di dipendenza o

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