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Il mondo alla prova della politica monetaria statunitense

La globalizzazione ha significato la riduzione degli interventi regolatori in economia?

6. Il mondo alla prova della politica monetaria statunitense

La politica del dollaro intrapresa dal governo degli Stati Uniti ottiene quello che si era inizialmente prefissata, ovvero un aumento della liquidità generato principalmente dagli strumenti finanziari. Per un certo periodo questo riesce a tamponare il passivo commerciale, che tuttavia continua a crescere fino a risultare, alla fine degli anni '90, di poco inferiore rispetto agli introiti provenienti dalla finanza212.

La situazione cambia nel 2002 quando, con il debutto dell'euro, l'Unione europea viene a giocare un ruolo fondamentale anche nel contesto dell'economia di Washington. L'avvento della moneta unica è legato infatti a una economia profondamente differente rispetto a quella statunitense. Il settore commerciale europeo, grazie al contributo determinante della Germania, risulta in pareggio con la bilancia dei pagamenti, ponendosi in netto contrasto con il contestuale andamento dell'economia nordamericana. La nascita dell'euro è inoltre strettamente legata alla stabilità dei mercati europei, obiettivo dichiarato della Banca Centrale Europea, che può trasformarsi in una leva fondamentale con cui la nuova moneta può giocare un ruolo importante nell'attrarre gli investimenti esteri. In conseguenza di ciò si spiegano le decisioni statunitensi rispetto alla Repubblica popolare cinese, avvenute proprio negli stessi anni dell'ingresso dell'euro nel circuito internazionale. Nella ricerca spasmodica di capitali esteri che possano continuare a irrorare di liquidità il proprio mercato finanziario, gli Stati Uniti individuano nella Cina il paese capace di poter fungere da utile volano per tale situazione, soprattutto grazie alla sua esplosione economica avvenuta a partire dagli anni '80.

Già qualche anno prima rispetto all'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio, avvenuto nel dicembre del 2002213, erano iniziati i contatti tra il governo cinese e quello statunitense in merito allo scenario che sarebbe dovuto nascere. Si arriva così a una 211 Cfr. G. Di Gaspare, Teoria e critica della globalizzazione finanziaria cit. , p. 208.

212 Nel 1999 i capitali esteri riversati nel mercato finanziario statunitense superano di soli 30 miliardi quelli relativi al passivo della bilancia commerciale. Ivi, p. 213.

situazione in cui il mercato occidentale si apre pressochè totalmente alle esportazioni cinesi senza che, allo stesso tempo, avvenga il processo opposto. La Cina rimane infatti al di fuori del mercato finanziario globale e risulta in buona parte estranea ai flussi delle merci provenienti dall'occidente214.

Tale dinamica sembrerebbe essere conveniente quasi eslusivamente per la Cina e controproducente invece per l'intero occidente, se non fosse per la particolare composizione del rapporto sino-statunitense: se gli accordi di Doha risultano in effetti sbilanciati in sfavore dell'Unione europea, questo non vale interamente per gli Stati Uniti. Washington intende infatti convertire la Cina a un mezzo in favore della propria politica del dollaro, con il flusso monetario di Pechino destinato ad entrare in circuito all'interno del debito attraverso l'acquisto dei Titoli di Stato nordamericani. Questa strategia nasce, paradossalmente, con un intento negativo, ovvero quello di impedire che l'euro divenga una valuta di riserva internazionale a danno del dollaro. Il rischio non sussiste invece nel caso dello yuan in quanto, essendo la Cina un paese ad economia ancora socialista (sebbene si definisca socialista di mercato), non vi sono reali possibilità di investimenti esteri su grande scala verso Pechino215. Allo stesso tempo, essendo in una fase di grande espansione economica, la Cina vede positivamente una propria capitalizzazione in dollari, in quanto ciò facilita le esportazioni della sua enorme produzione interna, solo in parte diretta verso i suoi cittadini. Si viene così a creare uno scenario in cui la finanziarizzazione dei mercati riguarda solo gli Stati Uniti e, in modo sempre maggiore, l'Europa, mentre la Cina rimane al coperto dai titoli derivati, il che la renderà pressochè immune dagli effetti della crisi del 2007.

Nello stesso momento la Fed adotta una serie di misure indirizzate a prorogare il più a lungo possibile l'ingrandimento della bolla finanziaria, sperando che le successivi crisi si possano rivelare di più modesta portata, come era accaduto per il lunedì nero del 1986 e per la crisi dei titoli informatici nel 1997216. La liquidità a basso costo diventa la costante per alimentare il mercato finanziario in continua espansione ma, come vedremo, questo non basterà per evitare una crisi ben peggiore delle precedenti.

In un mondo non più diviso e imbalsamato nei suoi due schieramenti ideologici le variabili si sono moltiplicate e gli Stati Uniti utilizzano il loro potere militare per proteggere

214 Ibidem. 215 Ivi, p. 216. 216 Ivi, p. 218.

i propri interessi economici. Infatti, come già accennato, la spesa militare statunitense anziché diminuire in conseguenza della fine dell'Unione Sovietica, è andata crescendo gradualmente per tutti gli anni '90 e nel primo decennio del nuovo millennio. Gli scenari strategicamente rilevanti sono inoltre cambiati aumentando notevolmente sia come numero sia come dispersione territoriale; le truppe americane di stanza nei paesi politicamente più caldi durante la guerra fredda sono perlopiù rimaste al loro posto ma, al contempo, esse sono cresciute lungo i nuovi perimetri di interesse strategico217.

È tornato in auge in particolar modo lo scenario del Pacifico, verso cui la Cina non ha più paura di nascondere i propri interessi espansionistici e, allo stesso tempo, il Giappone sta facendo leva sul sentimento, mai sopito, del nazionalismo interno. Gli eventi degli ultimi mesi, legati alla proclamazione unilaterale della zona aerea cinese su un'area di mare contesa con Giappone e Corea del Sud, dimostra che Pechino non teme più l'esposizione internazionale. Gli Stati Uniti dal canto loro sembrano invece sempre più disposti a delegare gradualmente parte delle responsabilità sulla sicurezza ai paesi dell'area (Giappone e Corea del Sud e Australia su tutti), ben consapevoli dell'enorme prezzo che stanno pagando in termini di aumento del debito pubblico. Il futuro ci dirà se veramente Washington delegherà ad altri attori un ruolo storico che ormai svolge ininterrottamente da quasi settant'anni. L'unica cosa che appare ormai certa è che il ruolo di potenza politica internazionale statunitense risulta sempre più legato al suo ruolo di potenza economica, in un rapporto di dipendenza diretta della prima sulla seconda.