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competenze artigianali e nuove funzioni digital

3.1 Il movimento dei maker e del Do-It-Yourself (DIY)

Si era già parlato in precedenza del movimento del do-it-yourself, in particolare si era introdotto questo slogan parlando di Etsy.

La piattaforma americana, infatti, è stata il primo vero esperimento che ha saputo cogliere e ascoltare una comunità già presente in rete che aveva quasi bisogno di essere ascoltata e che si stava e si sta espandendo a macchia d’olio.

L’obiettivo ora è quello di andare a conoscere meglio questo movimento a livello generale, capire l’influenza e la diffusione che sta avendo nel nostro paese, analizzare casi di eccellenza dell’artigianalità made in Italy e valutare le possibili interazioni oltre che le modalità per sfruttare e far crescere queste realtà grazie alle potenzialità di diffusione offerte dal commercio elettronico e dal commercio elettronico sociale.

Con lo slogan Diy si intende l’atto di costruire, modificare, riparare qualcosa senza l’aiuto di esperti professionisti.

E’ qualcosa in più di quello che noi in Italia chiamiamo “Fai da te”, come coloro che si limitavano a costruire motori a scoppio e a intagliare il legno.

Oggi i nuovi strumenti dei makers (il termine contemporaneo per identificare i nuovi artigiani) comprendono pc, robot e stampanti 3D.

E’ il rinascimento dell’artigianato digitale, dove vengono prodotti materiali che possono essere alla base per nuove costruzioni. Si parla dei nuovi maker come di coloro che avanzeranno la nuova rivoluzione industriale.

Come avevamo già discusso in precedenza, uno dei primi ad intuire questo movimento e questa rivoluzione industriale, è stato il direttore del magazine Wired, Chris Anderson, che nel 2010 ha intitolato un suo saggio, “Gli atomi sono i nuovi bits”.

La cultura digitale dopo aver rivoluzionato il mondo dei bit e quindi l’editoria, i video, la musica attraverso Internet, ora sta per trasformare il mondo degli atomi e quindi degli oggetti fisici.

Lo stesso Chris Anderson è un “maker”, ha infatti avviato con molto successo la produzioni di droni fatti in casa e la sua “novella” azienda di 16 persone fattura già tre milioni di dollari l’anno vendendo kit per aereo-modellini con videocamera incorporata60. Come nella prima rivoluzione industriale fu una macchina, la

macchina a vapore, a innescare un cambiamento epocale, ad oggi si parla di un’altra macchina: la stampante 3D. In estrema sintesi è una macchina che “stampa”

oggetti come si stamperebbe un foglio. Questa macchina non è qualcosa di nuovo in assoluto, in quanto è da più di 30 anni che si usano strumenti simili in fabbrica ma tutto è cambiato nel 2009 quando in un ex birreria di Brooklyn, Bre Prettis, hacker con la passione dei robot, ne ha realizzata una da circa mille dollari invece degli oltre centomila dollari che si era soliti pagare.

Questa evoluzione è stato come il passaggio, negli anni settanta, dai computer che occupavano una stanza intera e costavano moltissimo, al pc da tavolo per tutti.

Con la stampante 3D c è stata una nuova rivoluzione, quella appunto della fabbrica personale. In questi anni con le stampanti 3D è stato stampato un po’ di tutto; se la prima rivoluzione industriale aveva portato la produzione di massa e le economie di scala, questa rivoluzione darà la possibilità a chiunque di stampare singoli oggetti, personalizzati a costi bassissimi.

Anche lo scrittore canadese Cory Doctorow in un profetico romanzo del 2009, intitolato appunto makers ha sottolineato come stiano nascendo miliardi di opportunità imprenditoriali a disposizione delle persona creative e brillanti.

Anche in Italia si sta lavorando per rendere sempre più efficienti questo tipo di stampanti, in particolare una famiglia fiorentina composta da padre, due fratelli, tre cugini e persino il nonno, vecchio artigiano, hanno messo insieme le loro competenze artigianali per creare la nuova stampante 3D, il cui nome ufficiale è Volta.

Il nome ufficiale, Volta, è stato scelto tramite un contest online, dopo l’ormai lunga esperienza partita un paio d’anni fa dall’infatuazione per il mondo RepRap ( Replicating

Rapid Prototyper), quello cioè delle stampanti 3D, in grado di produrre da sé i propri

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pezzi, e che precedentemente si era concretizzato nei modelli Archimede e Galileo. Considerando anche l’altra macchina, per produzioni di dimensioni maggiori, Mendel Max, la nuova 3D printer costituisce insomma la quarta generazione sfornata dalla bottega 2.0 di Firenze. Tra innovazione e tradizione.

“ La nuova stampante 3D nasce tra Firenze e Milano, lungo il filo immaginario che unisce la migliore tradizione artigiana italiana con la passione internazionale del movimento maker per la ricerca e l’innovazione” raccontano i fratelli Cantini.

Dentro, la passione dei cofondatori del laboratorio milanese di maker facility Tecnificio, fondato nel 2011 da Patrizia Bolzan e Marcello Pirovano, e l’esperienza della singolare

maker family toscana. Come per ogni stampante 3D, il punto forte è poter realizzare da

soli, in casa, oggetti unici e personalizzati, senza contare la possibilità di produrre piccoli prototipi da toccare con mano prima di lanciare progetti più impegnativi. La Volta è nata con l’obiettivo di andare oltre l’impostazione “a cubo” della maggior parte delle macchine simili, per avere un’ area di stampa maggiore ( 240mm x 280 mm x 190mm, dimensioni complessive 480 x 400 x 450 mm) oltre che, dal punto di vista dei Cantini, un’ottimizzazione dei costi di produzione e spedizione. Più stabilità in fase d’uso, rapidità di montaggio e precisione di stampa grazie al rinnovato apparato di estrusione. A quanto dicono i primi utilizzatori, che l’hanno vista in questi mesi in giro per l’Italia, per esempio alla Milano Design Week, è silenziosissima e produce zero vibrazioni. L’approccio, ovviamente, rimane rigorosamente open source: oltre a montare una scheda Arduino e sfruttare freeware di stampa, i file e i modelli di produzione della neonata stampante saranno resi disponibili sotto licenza Creative Commons. Per dare il massimo della diffusione possibile al progetto. E, magari, provare a costruirsela da soli61.

Figura 21: La nuova stampante 3D, Volta Fonte: www.wired.it

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La nuova sfida per il futuro è la personalizzazione in contrapposizione alla produzione di massa, il mercato di nicchia in contrapposizione alla globalizzazione.

Tuttavia grazie alle possibilità offerte dai nuovi strumenti digitali anche le piccole realtà artigianali che puntano alla personalizzazione possono cogliere le opportunità offerte dai mercati internazionali, iniziando a presidiare i paesi emergenti, come primo step, attraverso la presenza e la vendita on-line.

Un altro aspetto essenziale della cultura dei makers è lo spirito di apertura, di condivisione, progettazione collettiva, usando la rete, senza l’uso di copyright, brevetti o altro. Lo stesso Bre Prettis di cui si è parlato in precedenza ha afferamto: “Chi non condivide i propri progetti sbaglia. Questo fa parte della nuova cultura digitale, la condivisione e la partecipazione applicata alla produzione di oggetti”.

Anche Chris Anderson nel suo saggio “In the next revolution. Atoms are the new bits” del 2010, mette in evidenza casi imprenditoriali open source come Local Motors, la prima impresa produttrice di auto open source.

Nel Giugno del 2009 Local Motors ha rilasciato la Rally Fighter una autovettura fuori- strada da 50000$, il cui design fu progettato attraverso il contributo e la condivisione di idee a livello collettivo.

Anche l’assemblaggio finale fu fatto dai clienti stessi in centri di assemblaggio locali, come parte di una esperienza di costruzione condivisa e i clienti sono incoraggiati ad accrescere il design e produrre i loro stessi componenti che possono poi vendere tra pari. A questo proposito anche Wikipedia ci aiuta a comprendere il collegamento tra movimento dei maker con il modo dell’open source: La controcultura maker è

fortemente legata al movimento dell'open source.

I suoi sostenitori ritengono che la cultura dei maker può essere alla base di nuovi processi di innovazione tecnologica e produttiva, emergenti dal basso e che si dispiegano su piccola scala.

La riutilizzazione dei risultati, grazie all'adozione di licenze libere, potrebbe permettere di innescare importanti effetti virtuosi, in cui comunità crescenti di maker sperimentano nuovi approcci alla produzione basati su tecnologie a basso costo, anche su piccolissima scala o per un unico esemplare, fino a prefigurare una nuova rivoluzione industriale62.

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La personalizzazione, quindi, diventa il nuovo “antidoto” contro la produzione in grande serie e sicuramente l’Italia si presenta con le carte pienamente in regola per rappresentare quel paese “su misura” con elevate competenze artigianali, saper fare, che ha sempre contraddistinto il nostro paese, e attraverso strumenti nuovi e conoscenze più tecnico-scientifiche può dare nuove opportunità, nuovi sviluppi per riuscire a competere anche con i principali paesi europei e mondiali.

Si erano già riportate le parole di favore di Chris Anderson nei confronti dell’Italia, sostenendo che il nostro paese aveva sofferto un accesso inefficiente alla rete e ai mercati internazionali, ma adesso, grazie ad Internet e alle abilità artigianali del nostro paese, il riscatto e la possibilità che si prospetta per competere nei mercati internazionali è ottima.

In Italia, il lavoro artigiano, anche se non propriamente quello che caratterizza i nuovi makers, ha rappresentato e potrebbe ancora rappresentare uno dei tratti distintivi dell’economia e della cultura Italiana.

Durante gli anni ’80 e ’90 il peso dell’artigianato è stato determinante per lo sviluppo dei distretti industriali e delle piccole imprese e questo è sempre stato un elemento di riconoscibilità del nostro paese nel mondo.

In un mondo che si sta globalizzando ed è sempre più l’economia della conoscenza più che del fare, l’artigianato italiano dovrebbe ritrovare la sua strada e confermare il savoir faire, le competenze artigiane, che hanno sempre contraddistinto il nostro paese per mantenere il nostro paese e il nostro sistema industriale competitivo a livello mondiale. Di queste tematiche e possibilità si è ben occupato il Professore Stefano Micelli dell’Università Cà Foscari di Venezia, nel suo pluripremiato libro “Futuro artigiano”, che a mio avviso è riuscito a delineare con precisione il panorama e le potenzialità dell’artigianalità made in Italy.

Secondo quanto scrive il Professore Micelli, l’Italia è ancora oggi per molti versi legata a competenze artigiane che hanno saputo rinnovare il loro ruolo nelle grandi e nelle piccole imprese. Nell’economia della conoscenza ciò che ha caratterizzato e deve continuare a caratterizzare l’industria italiana è in molti casi un saper fare che pochi altri paesi hanno saputo conservare.

Si era parlato nel capitolo precedente dell’importanza dello storytelling ed a maggior ragione mi sembra rilevante sottolineare come queste competenze di tipo artigianale

siano interessanti agli occhi di quella parte crescente di popolazione che cerca storia e cultura nei prodotti che acquista.

Sotto questo aspetto i produttori italiani hanno tanta storia da raccontare relativamente ai loro prodotti ed il saperla raccontare nel modo più efficace e coinvolgente possibile diventa sicuramente un valore aggiunto per diffondere il saper fare italiano nel mondo. Come anche discusso nel libro “Futuro Artigiano”, non si vuole solo trattare della valorizzazione del lavoro manuale italiano come nostalgia del tempo che fu, ma vuole invece proiettare il lavoro artigiano in una nuova dimensione economica e culturale63. Quando si è profilato la figura del nuovo “maker”, lo si è descritto come qualcosa in più del classico artigiano, tradizionalmente conosciuto come colui dalle grandi abilità manuali.

Il nuovo artigiano, non solo in Italia, appartiene ad un movimento di artigiani con competenze anche informatiche, matematiche, scientifiche che si propone di ridefinire le categorie dell’innovazione e del consumo. Il nuovo artigiano è una figura più complessa, elemento fondamentale per contraddistinguersi e per proporsi in un mercato globale.

Durante i momenti di difficoltà economica o in altri ambiti, è tendenza da parte del nostro paese quello di guardare cosa accade negli Stati Uniti, perché ciò che succede da quelle parti diventa realtà dopo pochi anni nel nostro paese.

Ciò che sta accadendo dall’altra parte dell’oceano è proprio un recupero del lavoro manuale e dell’artigianato. Dopo questi anni di offshoring, ovvero delocalizzazione, ciò che ci si domanda è fino a che punto ha senso rinunciare a presidiare i processi produttivi. La necessità è quindi, quella di riscoprire coloro che fanno le cose, gli artigiani, i nuovi makers.

L’uomo artigiano è colui che presidia tutto il processo produttivo o una sua parte rilevante ed inoltre è colui che dialoga con il committente. L’artigiano, inoltre,

conosce le aspettative e desideri di colui che è destinatario del suo lavoro, verifica insieme a lui la qualità del risultato, modifica se necessario, ascolta e personalizza in base alle esigenze di ogni cliente. Tutto questo oggi viene amplificato grazie alle possibilità offerte dalle nuove funzioni on-line, che aiutano a raccogliere una community appassionata attorno alle proprie lavorazioni, che danno la possibilità

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di ascoltare le esigenze e idee di più clienti, questi a sua volta possono essere fonte di ispirazione e coadiuvare nella progettazione e sviluppo di nuovi prodotti e come visto grazie ai nuovi strumenti è anche possibile completare l’acquisto/vendita on- line e addirittura nei social network; inoltre, grazie alla diffusione offerta dalla rete

non è difficile espandere il proprio target di mercato a livello internazionale. Possibilità queste che non possono non essere prese in considerazione per cercare di inserirsi in paesi emergenti e arrivare a competere nel mercato on-line e off-line con i principali paesi europei.

La capacità di ascoltare dell’artigiano è fondamentale per la personalizzazione del prodotto. In America la riscoperta del lavoro manuale non è una novità; ad ogni crisi

infatti si ritorna ad un’etica del lavoro che riporta il paese alle origini.

Una moltitudine di do-it-yourselfers che ogni giorno condivide esperimenti, innovazioni, allo stesso modo in cui in Italia, gli appassionati di cucina condividono esperimenti ai fornelli. Fare le cose, diventare un maker, significa in primo luogo riappropriarsi di quella delega che molto tempo fa abbiamo concesso alle grandi imprese che si sono imposte grazie alle tecniche del marketing e della comunicazione. Si tratta di de-programmare, ovvero quel processo che prevede il rimpossessarsi della cultura materiale per non lasciare che il mercato della globalizzazione e delocalizzazione ci porti via il know-how e la capacità di controllo, di realizzazione, che si ottiene dal fare qualcosa da soli usando le proprie mani e la propria intelligenza. Il movimento dei makers condivide la convinzione secondo cui per riappropriarci del mondo che ci circonda sia necessario ritornare a fare le cose, perché questo ci permette di pensare meglio.

Cory Doctorow, romanziere e coeditore del blog www.boingboing.com, insieme a Mark Frauenfelder, ha pubblicato Makers, un romanzo che propone un immaginario fantascientifico in cui i nuovi artigiani del futuro saranno in grado di competere con le grandi corporation.

Tutto questo senza nessun desiderio di ritorno ad un passato vago e idealizzato, ma invece la convinzione di rappresentare una parte importante dello spirito americano e la sua proiezione nel futuro.

3.2 Il valore della personalizzazione e l’importanza