I.2 Il saxofono nei trattati di strumentazione e di orchestrazione italian
I.2.2 Il Novecento: Berlioz, Ricci, Jachino, Casella-Mortar
Ettore Berlioz, Grande trattato di istrumentazione e d’orchestrazione moderne di Ettore Berlioz; con appendice di Ettore Panizza
Ettore Panizza (Buenos Aires, 1875 – Milano, 1967) fu un direttore d’orchestra e compositore argentino. Dopo aver iniziato gli studi musicali con il padre Giovanni Grazioso Panizza (compositore e violoncellista), completò la sua formazione presso il Conservatorio di Milano, dove poteva annoverare fra i suoi insegnanti anche Amintore Galli (armonia). Ebbe un’importante carriera come direttore artistico di vari teatri d’opera, oltre che come direttore d’orchestra. La sua opera più nota è Aurora, op. 3, su libretto di Luigi Illica, ambientata durante il periodo delle rivoluzioni argentine, ma con un testo in italiano.147
La traduzione novecentesca italiana del trattato di Berlioz, con tanto di aggiornamento, venne effettuata proprio da Panizza e fu edita nel 1912;148 si tratta del Grande
trattato di istrumentazione e d’orchestrazione moderne di Ettore Berlioz; con appendice di Ettore Panizza.
Questa versione in italiano risulta di fondamentale importanza per il nostro studio, in quanto ha tramandato agli studenti italiani le preziose istruzioni berlioziane filtrate attraverso gli occhi di un compositore attivo nel Novecento: Panizza ci offre la testimonianza delle conoscenze dei compositori italiani, all’inizio del secolo XX sul saxofono e sul suo ruolo in orchestra.
147 Cfr. DEBORAH SCHWARTZ-KATES, voce Héctor Panizza, in The New Grove Dictionary of Music and
Musicians, cit., vol. XIX, p. 32.
148 Una prima traduzione in italiano del volume di Berlioz venne redatta già nel 1846 da Alberto Mazzucato
(Udine, 1813 – Milano, 1877), compositore, musicista e docente italiano. Il testo fu pubblicato con il seguente titolo: Grande trattato di stromentazione e d'orchestrazione moderne, contenente l'indicazione esatta delle estensioni, un'esposizione
del meccanismo e lo studio del timbro e del carattere espressivo de' diversi stromenti (Milano, Ricordi, 1846). A proposito di
questa edizione, Peter Bloom aggiunge che «la traduction d’Alberto Mazzucato est d’une importance capitale puisque ce professeur italien offre à Berlioz maintes corrections et améliorations du texte lors de la publication de la version française»: PETER BLOOM, voce Grand Traité d’instrumentation et d’orchestration modernes, in
Dictionnaire Berlioz, cit., p. 560. E anche Franco Piperno nota che, nell’Ottocento, «nella trattatistica l’orchestra
è fatta oggetto di disamine competenti e approfondite, soprattutto dopo la pubblicazione in Italia del Trattato
di stromentazione ed orchestrazione moderne di Berlioz nella traduzione di Mazzucato, senza particolare riferimento al
suo impiego in contesto operistico»: Le orchestre dei teatri d’opera italiani nell’Ottocento. Bilancio provvisorio di una ricerca, a cura di Franco Piperno, «Studi Verdiani», vol. 11, cit., pp. 126-127. In merito all’operato di Alberto Mazzucato si vedano: FRANÇOIS-JOSEPH FÉTIS, voce Mazzucato Alberto, in Biographie universelle des musiciens et
bibliographie générale de la musique. Supplément et complément, Parigi, Firmin-Didot, 1878-1880, tome II, pp. 193-194;
ANGELO RUSCONI, voce Mazzucato Alberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 72, 2008, http://www.treccani.it/enciclopedia/alberto-mazzucato_(Dizionario_Biografico)/ . Mazzucato fu autore di diversi articoli apparsi sulla «Gazzetta musicale di Milano» in cui fornì interessanti e intelligenti osservazioni riguardo all’organico dell’orchestra. Nel 1871 fece parte della commissione (composta da Casamorata, Lauro Rossi e Verdi) riunitasi a Firenze anche per delineare il modello dell’orchestra italiana, specificandone le proporzioni interne. Cfr. GLORIA STAFFIERI, Firenze, Teatro della Pergola. Materiali per una storia dell’orchestra
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Come accennato sopra, Panizza non si limita a tradurre i suggerimenti di Berlioz, ma fornisce delle integrazioni che vanno a colmare la sessantina d’anni che distanziano l’edizione originale da quella novecentesca. Fra queste aggiunte spicca subito la specificazione dei brani in cui è presente il sax contralto nell’ultimo Ottocento, informazione che, per questioni cronologiche, Berlioz non aveva fornito: «Di questi quattro tipi il più usato in orchestra è il Saxofono Contralto (in Mi bemolle). Troviamo alcuni esempi in Bizet (Arlesienne), in Massenet (Herodiade), Werther, ecc.».149 Si tratta, quindi, delle prime immissioni
in orchestra del sax “registrate” e annotate da Panizza.
Più avanti l’autore valuta interessante riportare la notizia di «[…] un’altra famiglia di Saxofoni, ma pressoché dimenticata. La citeremo per sola curiosità»:150 la famiglia di
strumenti in Fa e Do, ideati in origine da Adolphe Sax per le specifiche esigenze dell’orchestra, poi caduti in disuso. Dopo aver specificato l’estensione dei vari strumenti in Si bemolle e in Mi bemolle, Panizza afferma: «Di questa seconda famiglia il più usato in orchestra sarebbe il Saxofono Basso (in Si b) se non fosse però, e con grande vantaggio, supplito dal Sarrusophone».151 Non ci risulta, in effetti, che il saxofono basso in Si bemolle
sia stato molto utilizzato in orchestra; sappiamo anzi che il contralto era lo strumento più comune in tali occasioni. In ogni caso, all’epoca il sarrusofono veniva a volte impiegato in Europa per sostituire il controfagotto, quindi lo si poteva trovare spesso fra le file dell’orchestra.152
Uno degli esempi di passi orchestrali per sax riportati da Panizza nell’appendice del trattato appartiene al dramma lirico in quattro atti Lorenza di Edoardo Mascheroni, composta su libretto di Luigi Illica e risalente al 1901. Il pezzo citato appartiene al Preludio dell’atto III, in cui il sax tenore, in compagnia dei clarinetti in Si bemolle e del clarinetto basso in Si bemolle, esegue una melodia molto espressiva, in 6/8.153 L’esempio seguente riporta un
breve frammento della celebre frase in La bemolle maggiore assegnata al sax contralto ne
L’Arlésienne di Bizet del 1872, esempio di cantabilità e dolcezza, mentre, come ultimo passo,
149 ETTORE BERLIOZ, Grande trattato di istrumentazione e d’orchestrazione moderne di Ettore Berlioz; con appendice di
Ettore Panizza, Milano, Ricordi, 1912, vol. II, p. 88.
150 Ibid. 151 Ibid.
152 Per esempio, Ravel ha usato il sarrusofono al posto del controfagotto ne L’Heure espagnole (del 1911). 153 Edoardo Mascheroni (Milano, 1859 – Ghirla, 1941) fu compositore e direttore d’orchestra. A lui si devono
le prime esecuzioni al Teatro Apollo di Roma, nel 1886, di Tannhäuser e Der fliegende Holländer, oltre che di Manon
Lescaut nel 1893 e de La Bohème nel 1896. Diresse anche le prime de La Wally di Catalani, nel 1892, e del Falstaff
di Verdi, nel 1893. Mascheroni si ritirò nel 1925, con alle spalle la produzione di due Requiem, di svariata musica da camera e di due opere, entrambe su libretto di Luigi Illica. Lorenza fu eseguita per la prima volta al Teatro Costanzi di Roma, il 13 aprile 1901, e fu rivista per l’esecuzione a Brescia del 3 settembre 1901; La Perugina andò in scena con successo al Teatro San Carlo di Napoli il 24 aprile del 1909. Cfr. CLAUDIO CASINI, voce
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Panizza propone il Werther di Massenet del 1892, in cui il sax alto, già ben integrato fra gli strumenti dell’orchestra, esegue la stessa parte affidata agli oboi, al corno inglese, ai clarinetti e ai corni.
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Vittorio Ricci, L’Orchestrazione nella sua essenza, nella sua evoluzione e nella sua
tecnica: manuale ad uso degli allievi di composizione e dei cultori delle discipline musicali
Nel 1920 Vittorio Ricci pubblica un manuale di orchestrazione dedicato agli studenti di composizione o comunque a esperti nell’ambito degli studi musicali;154 si tratta de
L’Orchestrazione nella sua essenza, nella sua evoluzione e nella sua tecnica: manuale ad uso degli allievi di composizione e dei cultori delle discipline musicali. In copertina è riportata la seguente indicazione:
«In sostituzione del Manuale di Strumentazione di E. Prout»;nella Premessa Ricci spiega infatti che il volume avrebbe dovuto essere «[…] una nuova ed ampliata ristampa del piccolo
Trattato di Strumentazione di E. Prout, tradotto da me circa 25 anni fa per questa Collezione e
pubblicata per la prima volta a Londra una decina di anni avanti».155 Ricci racconta di aver
constatato che, nonostante alcune «ottime qualità», il testo era «per buona parte invecchiato»;156 così lo riscrisse, utilizzando comunque il vecchio manuale come punto di
partenza ma «aggiungendovi tutto quello che la mia personale esperienza e le lunghe ricerche mi hanno dettato in proposito».157
Ricci spiega così la motivazione che lo ha portato alla stesura di questo volume:
In questo momento in cui l’Italia cerca di emanciparsi dagli altri paesi non soltanto nelle industrie e nei commerci, ma anche nei mezzi di educazione della mente, mi è sembrato opportuno di pubblicare un libro che, se non altro, per ricchezza di notizie possa stare a confronto con quelli scritti in altre lingue. Non ho bisogno infatti di rammentare al lettore che anche nel ramo dell’arte che ci occupa, noi siamo assolutamente mancanti di opere nostrane; dovendo rimontare, per trovarne una, al vecchio Tosoroni, buono tutt’al più, per istrumentare una Marcia; o ricorrere – a parte opuscoli e monografie di non grande importanza – a testi di autori stranieri, molti dei quali non sono nemmeno tradotti in italiano.158
154 Vittorio Ricci (Terranuova Bracciolini, 1859 – Firenze, 1925) fu un compositore e insegnante di canto
italiano. Studiò armonia con Anichini, composizione con Guido Tacchinardi, canto con Cecilia Varesi- Boccabadati e si perfezionò in seguito a Parigi con Giovanni Sbriglia. Insegnò per un periodo in Italia e in Inghilterra, dopodiché si spostò a Edimburgo, dove lavorò come insegnante di canto. Tornò poi in Italia, a Firenze, dove si dedicò sia all’insegnamento che alla composizione. Tra il 1920 e il 1925 tenne lezioni sulla storia della musica inglese e sulle forme musicali presso il British Institute di Firenze. Cfr. la voce non firmata
Vittorio Ricci, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti. Le biografie, diretto da Alberto Basso,
Torino, UTET, 1988, vol. VI, p. 326.
155 VITTORIO RICCI, L’Orchestrazione nella sua essenza, nella sua evoluzione e nella sua tecnica: manuale ad uso degli
allievi di composizione e dei cultori delle discipline musicali, Milano, U. Hoepli, 1920, p. XI. Ebenezer Prout (compositore
inglese) aveva infatti pubblicato nel 1877 il testo Instrumentation, che fu tradotto in italiano e pubblicato da Ricci nel 1891, con il titolo Strumentazione. Questo studio non comprende, tuttavia, il saxofono.
156 Ibid. 157 Ibid.
158 Ibid. Nei paragrafi precedenti abbiamo parlato del manuale di Antonio Tosoroni, Trattato pratico di
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Appare evidente la necessità di affermare una certa dignità artistica tutta italiana. Era un desiderio molto sentito negli anni durante i quali si stava facendo strada un’ideologia “neoclassica” – di fatto nazionalistica - vòlta a riportare alla luce l’antico passato strumentale italiano; ne conseguiva il bisogno di realizzare, oltre alla musica, anche degli studi di matrice puramente italiana, finalizzati a conquistare un’autonomia nei confronti delle influenze didattiche straniere.
Nel suo manuale, Ricci si occupa comunque anche del saxofono. L’autore descrive come Sax abbia applicato l’ancia semplice del clarinetto a un tubo a forma conica per giungere alla creazione del suo nuovo strumento; questa operazione fece sì che il sax fosse fornito di un timbro sui generis: «Per conseguenza prima di tutto il suono perdè [sic] la naturale crudezza degli strumenti a doppia ancia e prese un timbro rotondo e pastoso, che, specialmente in un insieme di strumenti congeneri, rammenta da vicino quello dell’Organo».159
In merito alla presenza del sax in orchestra, Ricci si esprime in questo modo:
Il Sassofono, malgrado i suoi pregi innegabili, non è riuscito finora a prendere un posto importante nell’Orchestra e tanto meno a detronizzare l’Oboe, il Clarinetto e il Fagotto. La ragione deve ricercarsi forse nella natura stessa di quel compromesso di cui questo strumento è l’esponente; per il quale compromesso, nonostante che il Sassofono riunisca i vantaggi dei diversi gruppi dai quali in un modo o nell’altro deriva, esso ha perduto in gran parte le loro più salienti caratteristiche, così care ad ogni compositore e così utili nell’impasto orchestrale. Si direbbe, insomma, che il noto assioma in medio stat
virtus sia risultato a danno del Sassofono, il quale, appunto a causa del suo colore neutro, rende
impossibile all’orchestra di dosare, per così dire, i colori della sua tavolozza nel modo che gli sembra più opportuno. Certo questo strumento potrà rendere servizi importanti per ottenere effetti speciali di timbro, sia che venga usata l’intera famiglia, sia qualche membro di essa, e da questo punto di vista non può essere adoperato che con grande vantaggio.160
Ricci individua quindi la ragione della mancata assegnazione di un leggio stabile al sax in orchestra nel «suo colore neutro», che costituirebbe una sorta di compromesso fra vari strumenti e porterebbe all’assenza di una vera identità dello strumento in sé. Nonostante questa “mancanza” il sax, secondo Ricci, è in grado di fornire un nuovo colore all’organico orchestrale, sia da solo che in compagnia di altri membri della sua famiglia.
L’autore prosegue citando esplicitamente la famosa frase di Gevaert - già incontrata in precedenza - in cui lo strumento viene avvicinato al violoncello, al corno inglese e al clarinetto; sempre di Gevaert riporta le opinioni riguardanti le peculiarità del timbro nei vari registri dello strumento, ponendo l’accento sulle doti canore dello strumento nel legato.
159 Ivi, p. 243. Anche Widor aveva parlato, per quanto riguarda la sonorità del quartetto di saxofoni, di una
vicinanza al timbro dell’organo.
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Aggiunge che «I suoni sovracuti poi sono di intonazione incerta, ed è meglio riservarli per i soli passi di virtuosità», testimoniando che l’utilizzo dei suoni dell’estremo registro acuto ha fatto il suo ingresso abbastanza stabilmente nella prassi esecutiva dello strumento.161 Nomina
anche il trattato di Widor a più riprese, in particolare a proposito dell’individuazione del sax alto come il migliore della famiglia, sia per il suo timbro sia per l’intensità del suono.
Si passa poi alla descrizione dei vari strumenti, dal soprano al baritono, e qui Ricci specifica: «Il Sassofono, quasi sconosciuto in Germania, è impiegato nelle Bande Militari dell’America, dell’Italia, del Belgio, dell’Inghilterra e specialmente della Francia, dove è ammesso nell’Orchestra più frequentemente che negli altri paesi», ammettendo quindi che l’orchestra francese è più incline ad accogliere lo strumento; cita, in questo senso, Hamlet di Thomas, Hérodiade di Massenet e L’Arlésienne di Bizet.162 Riporta di seguito alcuni frammenti
tratti da L’Arlésienne. L’autore segnala infine la presenza di quattro saxofoni (soprano in Do, contralto in Fa, baritono in Fa, basso in Do) nella Sinfonia domestica di Richard Strauss del 1904.
161 Ivi, p. 244. 162 Ivi, p. 246.
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Carlo Jachino, Gli strumenti d'orchestra. Tavole sinottiche e testo illustrativo
Carlo Jachino ha pubblicato nel 1950 lo studio Gli strumenti d'orchestra. Tavole sinottiche e testo
illustrativo, che per noi è abbastanza rilevante, in quanto Jachino ha adottato un saxofono
contralto in Fantasia del Rosso e Nero per orchestra, del 1935.163 Come specifica l’autore stesso,
il testo vuole porsi come un «”prontuario” il più possibile completo, sistematicamente concepito, distribuito in tavole sinottiche di facile e rapida consultazione».164 L’autore,
sempre nella Prefazione, sottolinea che in ogni caso il suo lavoro non può andare a sostituire i trattati di Berlioz, Gevaert e Rimskij-Korsakov, che rimarranno sempre dei
capolavori didattici, ai quali occorrerà sempre rivolgersi per attingere notizie sul valore poetico della sonorità dei singoli strumenti, sulla loro utilizzazione estetica, sulla loro combinazione timbrica ai fini di una razionale orchestrazione. Ma una volta letti, questi trattati, e meditati e fatte le dovute riserve per quanto concerne una tecnica in gran parte superata, la presente pubblicazione potrà, come trattato integrativo e riassuntivo, diventare utile, forse necessaria.165
È chiaro quindi che l’intento di Jachino è quello di fornire alcune integrazioni allo studio degli strumenti aggiornate alla seconda metà del secolo XX. Nell’Avvertenza specifica che tutte le considerazioni presenti nel testo sono da riferirsi all’orchestra, alla massa orchestrale, e non alle possibilità virtuosistiche degli strumenti solisti. Anche la classificazione degli strumenti di «uso normale», «meno comune» ed «eccezionale» è da riferirsi all’impiego che ne viene fatto in orchestra.166
Nella sezione generale dedicata agli strumenti a fiato (a bocca e ad ancia) Jachino osserva che «il “vibrato” si ottiene particolarmente bene sui saxofoni».167 Il sax è inserito fra
gli «strumenti a fiato (ad ancia) di uso eccezionale», cosa che ci fa dedurre che il saxofono,
163 Carlo Jachino (Sanremo, 1887 – Roma, 1971) è stato un compositore italiano. Ha inizialmente studiato a
Lucca con E. Camozzi e G. Luporini; ha poi proseguito con Riemann a Lipsia. Dal 1928 al 1933 è stato docente e vice-direttore del Conservatorio di Parma (1928-1933), spostandosi poi al Conservatorio di Napoli (1933- 1938) e al Conservatorio di Roma (1938-1951). Dal 1951 al 1953 è stato direttore del Conservatorio di Napoli; è passato poi al Conservatorio di Bogotà sia col ruolo di docente sia di direttore. Dal 1961 è stato direttore artistico del Teatro San Carlo di Napoli e dal 1967 membro dell’Accademia di Santa Cecilia. La sua produzione musicale si è mossa da una «generosa esuberanza» iniziale, di ispirazione zandonaiana (si pensi all’opera Giocondo
e il suo re), a un «più sorvegliato senso costruttivo», grazie a cui con il Secondo Quartetto è stato premiato a
Philadelphia (insieme a Casella, Bartók e Weiner). Nel secondo dopoguerra ha fatto l’esperienza della dodecafonia e della modalità (Santa orazione alla Vergine Maria, Requiem per una fanciulla morta d’amore). Oltre a Gli
strumenti d’orchestra, Jachino ha scritto anche Tecnica dodecafonica (1948), utile e agile manuale per gli studenti. Cfr.
ROBERTO COGNAZZO, voce Carlo Jachino, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti. Le
biografie, diretto da Alberto Basso, Torino, UTET, 1988, vol. III, pp. 712-713.
164 CARLO JACHINO, Gli strumenti d'orchestra. Tavole sinottiche e testo illustrativo, Milano, Curci, 1950, Prefazione
(p. non numerata).
165 Ibid.
166 Ivi, Avvertenza. 167 Ivi, p. 16.
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intorno al 1950, non fosse ancora considerato uno strumento stabile dell’orchestra.168 Jachino
specifica l’estensione dei saxofoni sopracuto in Si bemolle, sopranino in Fa, sopranino in Mi bemolle, soprano in Do, soprano in Si bemolle, contralto in Fa, contralto in Mi bemolle, tenore in Do, tenore in Si bemolle, baritono in Fa, baritono in Mi bemolle, basso in Do, basso in Si bemolle, contrabbasso in Mi bemolle, precisando che il primo e l’ultimo sono «rarissimamente usati».169 L’autore riporta poi le tavole degli armonici e dei trilli; precisa anche
la possibile velocità di articolazione delle note staccate e la probabile durata delle note lunghe in base al registro e all’altezza della nota.170
Il testo è dunque privo di informazioni storiche riguardanti lo strumento: fornisce delle specificazioni puramente tecniche per il suo corretto impiego in orchestra.
168 Ivi, p. 44. 169 Ibid. 170 Ivi, p. 50.
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Alfredo Casella – Virgilio Mortari, La tecnica dell’orchestra contemporanea
La Premessa del manuale La tecnica dell’orchestra contemporanea di Casella e Mortari contiene alcune precisazioni a proposito della finalità del loro studio e del modo in cui esso è stato redatto;171 Mortari spiega che
La presente opera vuole essere un manuale pratico e aggiornato, che tratta della tecnica e delle possibilità espressive degli istrumenti nell’orchestra contemporanea senza entrare in merito all’arte dell’orchestrare vera e propria, per la quale, più di un trattato, serve un lavoro assiduo, assistito da un bravo maestro, e la conoscenza e lo studio delle partiture dei grandi compositori.172
Si tratta quindi di un lavoro focalizzato più sui singoli strumenti che sull’orchestrazione, anche se non mancano, in taluni casi, osservazioni riguardanti gli impasti sonori.
Sempre nella Premessa viene precisato che gli autori hanno redatto il testo grazie alle loro personali esperienze e a quelle di alcuni colleghi, fra il 1945 e il 1946; Mortari specifica tuttavia che, a causa della morte di Casella poco prima della pubblicazione del volume, il lavoro di controllo e di revisione delle bozze è stato condotto in assenza del secondo autore (Mortari dedica per l’appunto a Casella la pubblicazione del manuale). Aggiunge poi che molti strumentisti professionisti hanno fornito il loro prezioso aiuto per quanto concerne la stesura di alcune sezioni del volume.173 Nella pagina seguente, in cui viene
riportata la lista dei Consulenti, per il saxofono vengono nominati il professor Alfredo Mari (Roma) e il professor Baldo Maestri (Roma).174
Nel loro trattato Casella e Mortari donano ampio spazio allo studio del saxofono. Riportano l’estensione degli strumenti sia della famiglia in Fa e Do sia di quella in Si bemolle e Mi bemolle; specificano che comunque i sax più usati sono quelli della seconda. Ci
171 Virgilio Mortari (Milano, 1902 – Roma, 1993) studiò presso il Conservatorio di Milano con Pizzetti e Bossi,
e si diplomò in Pianoforte e in Composizione presso il Conservatorio di Parma. Insegnò Composizione al Conservatorio di Venezia dal 1933 al 1940 e al Conservatorio di Roma dal 1940 al 1973. Mortari e Casella