Parte II Composizioni frances
II.1 Ravel L’antico e il moderno
II.1.1 Il vecchio castello Un trovatore all’avanguardia
In ambito musicale, quando si sente parlare di trascrizione si pensa spesso all’appropriazione di una composizione altrui, a un suo rimaneggiamento, a una sua diversa interpretazione; insomma a un brano posto, in ogni caso, su un gradino inferiore rispetto alla composizione originale. La storia della musica ci insegna, però, che in passato, in diverse circostanze, lo stesso brano è stato più e più volte trascritto in versioni per organici differenti, spesso per mano di compositori o comunque di addetti all’ambito musicale che erano in genere estranei all’artefatto originale.
Questo capitava (e capita ancora) al fine di adattare un brano a specifici organici in voga in un determinato periodo storico - basti pensare all’infinità di Arie d’opera ottocentesche, trascritte per voce e pianoforte in modo da entrare in tutti i salotti altolocati (e non). I motivi potevano essere quindi economici (per vendere quante più copie possibili di spartiti), oltre che sociali. Le ragioni potevano essere legate anche all’esercitazione: il brano poteva essere utile per lo studio della tecnica di un determinato strumento. Oppure, semplicemente, il teatro, la sala dei concerti o l’ensemble strumentale di turno non erano in possesso dell’organico richiesto dalla partitura ed era necessario trascrivere la composizione per un diverso gruppo di strumenti.1 I motivi potevano essere anche “ludici” e di
sperimentazione: un brano nato per pianoforte poteva essere trascritto per orchestra, così da estrapolare le sottigliezze timbriche della tastiera tramite i colori della tavolozza orchestrale. Si tende, in genere, ad accettare per buona la trascrizione di un brano se effettuata dall’autore della composizione originale; si pensa, infatti, che egli conosca profondamente la natura del proprio brano e che possa di conseguenza reinterpretarlo come meglio crede. Altra cosa avviene quando è un musicista diverso a trascrivere la composizione: si può cadere allora in gravi errori di comprensione della “poetica” dell’autore, a meno che non si abbia una completa conoscenza della sua tecnica compositiva. Sempre che si intenda rimanere fedeli all’originale.
Se fatta con intelligenza e corretta interpretazione, la versione “alternativa” può sviscerare aspetti latenti, può arrivare a chiarificare certi passaggi, può arricchire su vari fronti la portata espressiva del brano originale. Capita a volte che una composizione non arrivi a
1 Alcune di queste tematiche sono state già toccate nell’Introduzione della prima parte della tesi (Teoria. I trattati
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raggiungere la notorietà fino a quando non venga trascritta per un altro organico.2 È a
quest’ultimo caso che si allaccia Michael Russ quando parla della trascrizione per orchestra di Maurice Ravel dei Tableaux d’une Exposition per pianoforte di Musorgskij: «Musorgsky’s
Pictures at an Exhibition would possibly not have gained its place in the musical canon, even
as a piano work, had it been for Ravel’s transcription».3 E questo, come vedremo, a causa
della scrittura ostica e tutt’altro che pianistica del brano del compositore russo.
Intorno agli anni Venti del Novecento Ravel ha già collezionato una serie abbastanza nutrita di trascrizioni di brani per pianoforte all’organico dell’orchestra, sia di lavori propri che altrui.4 E, per quanto riguarda la trascrizione di brani di altri compositori,
nessuna orchestrazione effettuata da Ravel può competere con quella dei Tableaux d’une
Exposition. In ogni caso, nell’orchestrare i lavori di altri musicisti si può individuare un
comune atteggiamento di fondo nel compositore, che in genere «si attacca strettamente agli originali, eccetto per una tendenza a semplificare i segni di espressione e ad aggiungere quelli di dinamica e di attacco».5
Maurice Ravel (Ciboure, 1875 – Paris, 1937), dopo aver abbandonato lo studio del pianoforte presso il Conservatorio di Parigi, nel 1898 si iscrisse, presso il medesimo Conservatorio, ai corsi di Composizione nella classe di Gabriel Fauré e di Contrappunto e Fuga nella classe di André Gédalge, docenti che, a detta di Ravel, ebbero un’influenza cruciale sulla sua tecnica di scrittura.6 Fu sempre Gédalge, ottimo conoscitore dell’arte della
2 Per approfondire il concetto di trascrizione si veda MALCOM BOYD, voce Arrangement, in The New Grove
Dictionary of Music and Musicians, diretto da Stanley Sadie, London, Macmillan, 2001-20022, vol. II, pp. 65-71. 3 MICHAEL RUSS, Ravel and the orchestra, in The Cambridge Companion to Ravel, edited by Deborah Mawer,
Cambridge, Cambridge University Press, 2000, p. 137.
4 Proprie: Habanera, terzo movimento della Rhapsodie espagnole (1907); Une Barque sur l’océan, terzo movimento
dei Miroirs (1906); Pavane pour une infante défunte (1910); Ma mère l’oye (1911); Alborada del gracioso, quarto movimento dei Miroirs (1918); Deux Mélodies hébraïques (1919); Le Tombeau de Couperin (1919). Di altri autori:
Chovanščina (1913); Les Sylphides (1914); Carnaval (1914); Sarabande (1922); Danse (1922). Per rendersi conto del
valore della pratica della trascrizione in Ravel, basta osservare che «le uniche opere autenticamente orchestrali sono l’Ouverture di Shéhérazade, la Rhapsodie espagnole, Daphnis et Chloé, La Valse, una “fanfare” per il balletto
L’éventail de Jeanne, il Boléro e i Concerts pour piano»: Ravel. Scritti e interviste, a cura di Arbie Orenstein, edizione
italiana a cura di Enzo Restagno, Torino, EDT, 1995, p. L (ed. orig. A Ravel Reader. Correspondence, Articles,
Interviews, New York, Columbia University Press, 1990).
5 MICHAEL RUSS, Ravel and the orchestra, in The Cambridge Companion to Ravel, cit., p. 137 [traduzione mia]. 6 Cfr. BARBARA L. KELLY, voce Maurice Ravel, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, cit., vol. XX,
pp. 864-865. Ravel stesso ha sottolineato l’importanza dei due maestri nella sua formazione: «Je suis heureux de dire, écrira-t-il plus tard, que je dois les plus précieux éléments de mon métier à André Gédalge. Quant à Fauré, l’encouragement de ses conseils d’artiste ne me fut pas moins profitable. » : citato in ROLAND- MANUEL, Ravel, Paris, Mémoire du Livre, 2000, p. 39. In merito alla natura dell’influenza di Gédalge e di Fauré su Ravel si vedano: MARCEL MARNAT, Maurice Ravel, Paris, Fayard, 1986, pp. 66-86; FRANÇOIS PORCILE, La belle époque de la musique française. Le temps de Maurice Ravel (1871-1940), Paris, Fayard, 1999, pp. 45-59 e pp. 81-85. Aggiungiamo che Gédalge ebbe fra i suoi allievi anche Charles Koechlin, Darius Milhaud, Florent Schmitt, Jacques Ibert, Arthur Honegger: tutti compositori che usarono il saxofono nelle loro composizioni per orchestra (e non). Per approfondire la figura di André Gédalge (Parigi, 1856 – Chessy, 1926) si veda ALAIN LOUVIER, voce André Gédalge, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, cit., vol. IX, p. 622.
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combinazione dei timbri, a impartire privatamente a Ravel delle lezioni di strumentazione, durante le quali sembra che il maestro si fosse talmente divertito da rifiutare un qualsiasi pagamento da parte dello studente, cosa che testimonierebbe il talento innato di Ravel per tale disciplina.7 Talento che però venne nutrito da un costante studio.8 Ravel, infatti, si dedicò
alla disamina di diverse partiture orchestrali nonché di alcuni trattati di orchestrazione:
A influire sulla sua tecnica orchestrale furono principalmente le partiture di Rimskij-Korsakov e di Richard Strauss. Aveva perfettamente assimilato i trattati di Berlioz e di Rimskij-Korsakov, e per questioni tecniche consultava spesso la Technique de l’orchestre moderne di Widor. La sua scrittura orchestrale era il frutto di lunghi anni di studi, d’incessanti quesiti posti agli esecutori, di molte sperimentazioni e innumerevoli prove. Le risorse apparentemente illimitate dell’orchestra moderna lo stimolavano, e le sue partiture ampliavano naturalmente le possibilità tecniche e l’estensione di ogni strumento, pur testimoniando una grande attenzione alla linearità della conduzione di ciascuna parte e una ricerca di nuove combinazioni timbriche.9
La descrizione di Arbie Orenstain riassume tutti i mezzi tramite i quali Ravel raggiunse un’indiscussa padronanza della scrittura orchestrale:
- lo studio delle colorite partiture di Rimskij-Korsakov e di Richard Strauss (che all’epoca sicuramente si distinguevano per il loro caratteristico accostamento dei colori dell’orchestra);
- la disamina dei trattati di orchestrazione di Berlioz, Rimskij-Korsakov e Widor;10 - il contatto diretto con i musicisti dell’orchestra;
- la verifica di nuove combinazioni strumentali, nonché l’ideazione di passaggi assai arditi per gli strumenti.
Il talento del nostro compositore nel combinare i timbri degli strumenti ha fatto sì che, poco più che trentenne, precisamente tra il 1907 e il 1908, Ravel abbia dato lezioni di
7 Cfr. FRANÇOIS PORCILE, La belle époque de la musique française. Le temps de Maurice Ravel (1871-1940), cit., p.
84. Come vedremo nel capitolo dedicato a Jacques Ibert, la scienza dell’orchestrazione di Gédalge è stata di grande insegnamento per molti giovani studenti del Conservatorio.
8 Jankélévitch sottolinea l’impegno di Ravel in questo contesto: «Nelle mani di un mago quale è Ravel la tecnica
è lo strumento di una stregoneria, diremmo quasi di una “malía”. I raggiri d’Orfeo, gli strattagemmi per ammaliare l’ascoltatore sono frutto di un lungo tirocinio. Non si nasce stregoni, lo si diventa con lo studio.»: VLADIMIR JANKÉLÉVITCH, Ravel, traduzione di Laura Lovisetti Fuà, Milano, A. Mondadori, 1962, pp. 84- 85 (ed. originale Ravel, Paris, Editions du Seuil, 1956).
9 Ravel. Scritti e interviste, a cura di Arbie Orenstein, cit., p. L. Con gli stessi termini Orenstein si esprime anche
in ARBIE ORENSTEIN, Ravel. Man and Musician, New York, Dover Publications, 1991 (ristampa del 1968), p. 137.
10 Dei trattati di Berlioz (1844) e di Widor (1904) abbiamo già parlato nel capitolo Il saxofono nei trattati di
strumentazione e di orchestrazione francesi; per Principles of Orchestration (1913) di Rimskij-Korsakov non è stata fatta
in questa sede una trattazione approfondita in quanto il compositore russo, come abbiamo già accennato nel capitolo Il saxofono nei trattati di strumentazione e di orchestrazione delle altre nazioni, non si è occupato del saxofono. Per quanto riguarda Widor, è lecito pensare che il suo trattato sia giunto nelle mani di Ravel tramite Gédalge, in quanto entrambi sono stati per molti anni docenti di Composizione presso il Conservatorio di Parigi.
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orchestrazione a un compositore inglese già esperto - e che aveva tre anni più di lui -, presentatogli dal critico musicale Michel-Dimitri Calvocoressi: Ralph Vaughan Williams (1872 – 1858).11 È interessante leggere come si è espresso Vaughan Williams, ricordando ad
anni di distanza le lezioni di Ravel: «Mi insegnò a orchestrare piuttosto per punti che per linee di colore. Per esercizio orchestrai lavori suoi per pianoforte e un po’ di Borodin e Rimskij, autori ai quali fui introdotto da lui».12 Sono evidenti, insomma, l’interesse e la
predilezione di Ravel per l’opulenza dei colori russi.13 Di Rimskji-Korsakov, come abbiamo
visto sopra, oltre alle partiture il compositore ha studiato il trattato di orchestrazione.14
Possiamo quindi supporre una conoscenza approfondita da parte di Ravel della scrittura russa e del suo impiego del colore.15 In merito al metodo di lavoro del compositore francese
sappiamo anche, tramite Roland-Manuel, che gli studenti di Ravel non lo vedevano mai all’opera durante la composizione di un brano, ma avevano modo di osservarlo in più occasioni mentre orchestrava: il musicista cercava sempre di assicurarsi che la scrittura per ogni famiglia di strumenti funzionasse sia da sola sia nell’insieme dell’organico orchestrale.16
Torniamo ora alla Russia, ma passiamo a un altro compositore dal forte legame sia con Rimskij-Korsakov sia con Ravel. Si tratta di Modest Musorgskij. «La maggior gioia, Ravel l’ha provata scoprendo Mussorgskij»;17 questo perché fra i due musicisti intercorrevano
alcune affinità, quali «la stessa minuziosa precisione di notazioni, lo stesso gusto del particolare, la stessa discontinuità capricciosa del discorso, lo stesso realismo puntiglioso»,
11 È interessante il fatto che Ralph Vaughan Williams, come Ravel, abbia fatto più volte uso del saxofono in
orchestra in composizioni quali Job. A Masque for Dancing (1931), Symphony No. 6 (1947) e Symphony No. 9 (1957).
12 ENZO RESTAGNO, Ravel e l’anima delle cose, Milano, il Saggiatore, 2009, p. 162.
13 C’è da dire che in Francia era presente già dagli ultimi decenni dell’Ottocento un interesse particolare per la
produzione musicale russa. L’operato del Gruppo dei Cinque e, prima di loro, di Glinka, era infatti arrivato alle orecchie dei parigini tramite sia le Esposizioni Universali sia l’esecuzione delle loro musiche nelle sale da concerto. Il Boris Godunov di Musorgskij, per esempio, ebbe un ruolo fondamentale su Debussy per la stesura di
Pelléas et Mélisande. A spingere in questa direzione in maniera sistematica fu l’impresario russo Sergej Djaghilev.
Il suo intento era quello di trasportare gli sgargianti colori russi a Parigi; meglio, di «conquérir Paris tout en valorisant l’art russe»: BRIGITTE FRANÇOIS-SAPPEY, La musique en France depuis 1870, Paris, Fayard, 2013, p. 55. Per prima cosa si ebbe una mostra di pittura russa al Salon d’Automne nel 1906; ci fu poi un concerto di musiche russe all’Opéra de Paris, nel 1907; seguì la celebre rappresentazione del Boris Godunov nella versione “manomessa” di Rimskij-Korsakov, nel 1908; infine, nel 1909, giunsero i Ballets Russes con Les Sylphides, balletto su musiche di Chopin che diede il via a una ricca stagione di successi per l’impresario, i suoi ballerini, i compositori e tutta la troupe che partecipava alla realizzazione degli spettacoli. Su tutte queste vicissitudini si vedano nel dettaglio i vari capitoli dedicati all’operato di Djaghilev in FLAVIO TESTI, La Parigi musicale del
primo Novecento. Cronache e documenti, Torino, EDT, 2003.
14 È bene ricordare che nel 1871 Rimskij-Korsakov assunse l’insegnamento di Composizione e di
Strumentazione al Conservatorio di Pietroburgo, a dimostrazione della sua abilità nel campo dell’orchestrazione.
15 È stato Ravel stesso a pronunciarsi in merito all’influenza della produzione musicale russa su quella francese:
«L’école russe contribua pour une bonne part à l’éclosion de la sensibilité musicale de notre génération»: citato in BRIGITTE FRANÇOIS-SAPPEY, La musique en France depuis 1870, cit., pp. 46-47.
16 Cfr. BARBARA L. KELLY, voce Maurice Ravel, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, cit., vol.
XX, p. 868.
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sebbene «ciò che in Mussorgskij era frutto d’istinto, in Ravel è il prodotto di una civiltà, di uno studio, di una raffinatezza estrema».18 Il più emblematico dei compositori dei Cinque,
forse addirittura “il più russo”, con i suoi gesti sinceri e diretti e con il suo gusto per il colore schietto e vivido non poteva non attrarre Ravel.19
Ravel studiò a fondo le partiture del musicista russo, sebbene spesso passate attraverso le mani di Rimskij-Korsakov, che, in quanto amico di Musorgskij, dopo la sua morte aveva interpretato molte arditezze delle sue partiture come errori e si era preso così la libertà di modificarle.20 Ravel, comunque, aveva toccato con mano anche un manoscritto di
Musorgskij: tra marzo e aprile del 1913, a Clarens, in Svizzera, aveva lavorato con Stravinskij alla riorchestrazione di alcune pagine scelte della Chovanščinadi Musorgskij, su commissione di Djagilev;21 nella sua completezza, la preziosa partitura purtroppo andò perduta.
Non c’è da stupirsi, quindi, se Sergej Koussevitzky chiese a Ravel di orchestrare i
Tableaux d’une Exposition di Musorgskij. Koussevitzky, direttore d’orchestra e contrabbassista
russo, si era trasferito a Parigi nel 1920; qui aveva dato vita ai Concerts Symphoniques Koussevitzky, i cui programmi concedevano ampio spazio ai musicisti contemporanei francesi e russi.22 «Ravel, da quel grande creatore che è, non disdegna di strumentare la musica
18 Ibid. Secondo Michael Russ le personalità di Ravel e di Musorgskij sarebbero classificabili su estremi opposti:
il primo distaccato, di affettata indifferenza, convinto che l’arte sia fine a se stessa; il secondo sanguigno, di una crudezza a volte rude e sostenitore dichiarato dell’ideologia populista-realista. Nei due compositori sarebbero riscontrabili, tuttavia, alcuni punti in comune: entrambi vivono un’esistenza isolata, libera da legami affettivi; tutti e due sono attratti, per lo meno in ambito compositivo, dal mondo dell’infanzia, dagli animali e da tutto ciò che si rifà al fantastico e al fiabesco. Cfr. MICHAEL RUSS, Musorgsky: Pictures at an Exhibition, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, p. 79.
19 Caratteristica di tutti componenti del “Gruppetto possente” (non solo di Musorgskji) fu proprio l’ideazione
di un autentico colore russo tramite l’inserzione del folklore popolare nelle loro pagine musicali; il tutto finalizzato alla volontaria ricerca di un’identità culturale nazionale. Ravel fu sicuramente attratto da questo genere di procedimenti e di ideologie artistico-compositive. Per una breve disamina della storia della musica russa dell’Ottocento e dell’operato del Gruppo dei Cinque si veda RENATO DI BENEDETTO, Romanticismo
e scuole nazionali nell’Ottocento (Storia della Musica a cura della Società Italiana di Musicologia, vol. VIII), Torino,
EDT, 1991, pp. 188-200. È da segnalare l’entusiasmo con cui Ravel accolse la rappresentazione del Boris Godunov di Musorgskij al Théâtre des Champs-Elysées il 22 maggio 1913, sebbene eseguito nella versione proposta da Rimskij-Korsakov. La recensione di Ravel della serata venne pubblicata dalla rivista «Comœdia illustré» (V, 17, 5 giugno 1913, pagina non numerata), visionabile in Ravel. Scritti e interviste, cit., pp. 49-51.
20 Rimskij si adoperò assiduamente per completare e diffondere le composizioni che i compagni del Gruppo
dei Cinque avevano lasciate incomplete o imperfette. Il problema sopraggiungeva nel momento in cui il musicista russo metteva mano a brani che secondo lui erano zeppi di errori, ma che in realtà non lo erano, minando seriamente la natura originaria della composizione in questione. Si pensi, fra i tanti esempi, a quello del Boris Godunov di Musorgskij, che tuttavia grazie a Rimskij ottenne una vasta circolazione su scala europea. Cfr. RENATO DI BENEDETTO, Romanticismo e scuole nazionali nell’Ottocento, cit, p. 196.
21 Cfr. ENZO RESTAGNO, Ravel e l’anima delle cose, cit., pp. 28-29. Inizialmente Djagilev incaricò solo
Stravinskij del lavoro. Fu il compositore stesso a chiedere all’impresario la collaborazione di Ravel: Stravinskij era a conoscenza della bravura del musicista francese nel campo dell’orchestrazione e della sua speciale predilezione per Musorgskij. I due compositori, a Clarens, sul lago di Ginevra, soggiornarono nella stessa strada: Ravel, con la madre, all’Hôtel des Crêtes; Stravinskij all’Hôtel Mont-Blanc. La nuova versione di Chovanščina andò in scena al Théâtre des Champs-Elysées, il 15 giugno 1913. La parte redatta da Ravel (40 pagine di partitura) è conservata alla Pierpont Morgan Library di New York. Per queste informazioni si veda ivi, p. 272. 22 Cfr. ENZO RESTAGNO, Ravel e l’anima delle cose, cit, p. 403.
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altrui», e accettò l’incarico di buon grado;23 tanto più che si trattava della composizione di
uno dei suoi autori prediletti.
A Ravel si presentò immediatamente il problema di doversi approcciare, anziché allo spartito originale (che all’epoca sembrava fosse scomparso), alla “revisione” di Rimskij- Korsakov, che il nostro autore non amava per niente. Si rivolse così a Calvocoressi, profondo esegeta musorgskijano, nella speranza di ottenere una copia della partitura originale. Ecco un frammento della lettera spedita da Ravel, da Montfort-l’Amaury, il 3 febbraio del 1922 all’amico musicologo:
[…] attendevo un esemplare dei “Tableaux d’une exposition” edizione originale di Moussorgsky. Ora, ricevo sul momento la notizia che è stato impossibile procurarlo. Ne avreste una copia, e potreste prestarmela per qualche tempo? O conoscete qualcuno che potrebbe farmi questo favore?»24
Ravel fu tuttavia costretto ad accontentarsi dell’edizione Bessel del 1886: l’edizione originale sarebbe stata pubblicata solo nel 1930 da Pavel Lam.25
Il lavoro ebbe dunque inizio, ma non a Monfort-l’Amaury, bensì a Lyons-la-Forêt, nell’Alta Normandia, a casa di un’amica fidata del compositore, madame Dreyfus. Nella tranquillità della campagna normanna Ravel, nel giro di pochi mesi (fra maggio e settembre del 1922) portò a termine la trascrizione, in cui «profuse tutti i possibili sortilegi della scrittura orchestrale».26 Ecco la formazione dell’orchestra ideata da Ravel: 3 flauti, 3 oboi, 3 clarinetti
(di cui uno basso), 1 saxofono contralto in Mi bemolle, 2 fagotti, 1 controfagotto, 4 corni in Fa, 3 trombe in Do, 3 tromboni, tuba, timpani, glockenspiel, campana in Mi bemolle, xilofono, triangolo, raganella, frusta, rullante, grancassa, piatti, piatto sospeso, tam-tam, 2 arpe, celesta, archi.
Ravel iniziò a lavorare dall’ultimo degli episodi dei Tableaux, La grande porte de Kiev; queste sono le parole usate dal compositore a riguardo in una lettera del primo maggio 1922 indirizzata a Koussevitzky:
La “grande porta di Kiev” è alfine terminata. Ho iniziato dalla fine, perché era il brano meno interessante da orchestrare. Ma è difficile immaginare quanto lavoro possa dare una cosa tanto semplice. Il resto procederà molto più alla svelta.27
23 VLADIMIR JANKÉLÉVITCH, Ravel, cit., p. 115.
24 Ravel. Lettere, a cura di Arbie Orenstein, edizione italiana a cura di Enzo Restagno, Torino, EDT, 1998, p.
187.
25 Cfr. ENZO RESTAGNO, Ravel e l’anima delle cose, cit, pp. 404-405. 26 ENZO RESTAGNO, Ravel e l’anima delle cose, cit, p. 405.
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E infatti il lavoro d’orchestrazione fu completato nel settembre dello stesso anno ed eseguito per la prima volta, in occasione dei Concerts Koussevitzky, all’Opéra de Paris il 19 ottobre del 1922, sotto la direzione di Koussevitzky stesso. Il successo fu tale da consacrare il