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Il nuovo volto della cooperazione allo sviluppo

Nel documento Scegliere per contare. Rapporto (pagine 66-69)

sicurezza, stabilità e sviluppo e di conseguenza la stretta sinergia fra po-litica estera e popo-litica di cooperazione. Vi è oggi un’unica agenda globale nella quale la cooperazione è concepita non più come uno strumento, ma come un investimento da cui traggono vantaggio, per dirla con la vecchia terminologia, sia i “donatori” sia i “beneficiari”.

Fin dal 2000 le iniziative dell’Italia nel campo della cooperazione allo sviluppo hanno tratto ispirazione dagli Obiettivi di sviluppo del millen-nio (Millenium Development Goals, Mdg), a partire dalla riduzione della povertà. Al tempo stesso l’Italia è impegnata nel processo di adeguamen-to dell’Agenda dello sviluppo post-2015 al mutaadeguamen-to contesadeguamen-to internazio-nale ed è in favore di un’agenda universale in cui confluiscano gli Mdg e gli Obiettivi di sviluppo sostenibili (Sustainable Development Goals, Sdg) concordati alla Conferenza Rio+20. In particolare, l’Italia intende concen-trare l’attenzione su settori di punta come la sicurezza alimentare e la nu-trizione (in vista dell’importante appuntamento di Expo Milano 2015), la

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valorizzazione dello sviluppo rurale integrato basato sul ruolo dei piccoli coltivatori-produttori, l’approccio a uno sviluppo centrato sui partenaria-ti territoriali e la rete di piccole e medie imprese.

L’Italia realizza la sua politica di cooperazione attraverso una pluralità di soggetti: ministeri (in primo luogo Ministero degli Affari esteri, Mae, e Ministero dell’economia e delle finanze, Mef), enti locali, università, Or-ganizzazioni non governative (Ong), cooperative, fondazioni, imprese. Le considerazioni che seguono riguardano soprattutto il Mae, a cui spetta il coordinamento del sistema, e la sua Direzione generale per la cooperazio-ne allo sviluppo (Dgcs).

Sotto il profilo geografico, la presenza della cooperazione italiana si concentra in un numero ristretto di paesi dove è possibile “fare la dif-ferenza”. Per individuarli si tiene conto di una serie di criteri: livelli di povertà, gravi emergenze umanitarie, vicinanza dell’Italia (sia in termini geografici, che di legami storici, economici e di immigrazione), situazioni di conflitto e/o di fragilità nel percorso di democratizzazione, presenza di minoranze, impegni presi. È previsto pertanto che le attività si concen-trino su un numero ristretto - attualmente 24 - di paesi prioritari e su tre aree in cui sviluppare un approccio strategico regionale (Mediterraneo, Corno d’Africa e Sahel).

In base al principio di concentrazione dell’aiuto, la Dgcs opera in ognu-no dei paesi prioritari in un numero limitato di settori di intervento sulla base dell’importanza che essi rivestono per le politiche di sviluppo, del vantaggio comparato che l’Italia ha in quegli ambiti, della possibilità di raggiungere una massa critica di risorse integrando quelle impegnate da altri soggetti italiani, della divisione del lavoro concordata con altri attori, in particolare la Commissione europea e gli stati membri Ue, e degli impe-gni assunti dall’Italia in quelle sedi. I settori da privilegiare sono selezio-nati tra i seguenti: governance, partecipazione democratica, promozione dei diritti umani (in particolare diritti delle donne) e dello stato di diritto;

agricoltura, sicurezza alimentare e acqua; sviluppo umano, con partico-lare riferimento a salute e formazione; sviluppo economico endogeno, inclusivo e sostenibile, del settore privato anche attraverso il supporto al sistema finanziario.

Per la realizzazione delle proprie attività la Dgcs gestisce risorse a dono attribuite sia dalla legge di bilancio che dal decreto missioni internazio-nali, concorre alla realizzazione di programmi a credito d’aiuto in ragione delle disponibilità del Fondo rotativo, attua iniziative di conversione del debito, e realizza operazioni relative al finanziamento di imprese miste.

L’Italia è, come noto, ancora lontana dal raggiungimento degli impegni assunti a livello internazionale dalla comunità dei donatori (0,7% di Aiuto pubblico allo sviluppo - Aps - rispetto al Pil). L’Aps totale dell’Italia per il 2013 è stimato intorno a 2,6 miliardi di euro (di cui circa il 70% di com-petenza del Mef e circa il 13% della Dgcs) equivalente allo 0,16% del Pil.

Ma proprio dal 2013 è iniziata una graduale inversione di tendenza, con un rinnovato impegno di governo e Parlamento ad incrementare gradual-mente le risorse per la cooperazione.

In tale contesto il Documento di economia e finanza (Def) approvato il 7 maggio 2013 ha ribadito per il triennio 2014-2016 l’impegno del gover-no al progressivo riallineamento della cooperazione allo sviluppo italiana agli standard internazionali, con l’intenzione di incrementare le risorse del 10% per ciascun anno del triennio, con il 2013 come anno di riferi-mento. È previsto che l’incremento degli stanziamenti gestiti dalla Dgcs contribuirà a portare l’Aps italiano dallo 0,14% del Reddito nazionale lor-do (Rnl) del 2012 a un valore compreso tra lo 0,28% e lo 0,31% nel 2017.

Al momento, tra Legge di stabilità e il Decreto missioni internazionali (finanziamento limitato al I semestre), le risorse stanziate per il 2014 per la Dgcs ammontano complessivamente a circa 325 milioni (cifra di poco superiore rispetto al 2013, anche se bisogna tener conto che deve essere ancora finanziato il II semestre del Decreto missioni internazionali). Ai fondi a dono si aggiunge la disponibilità di risorse del Fondo rotativo per i crediti d’aiuto, in genere utilizzate per programmi di grandi dimensioni e complessità. Considerato il volume delle risorse attualmente disponibili sul Fondo (circa 300 milioni di euro al netto degli impegni politici già in essere), è prevedibile nel corso del 2014 un accresciuto ricorso al credito.

Infine, va rilevato che il 24 gennaio 2014 il Consiglio dei ministri ha ap-provato un disegno di legge che disciplina la cooperazione internazionale per lo sviluppo e riforma organicamente la legge 49 del 1987. L’obiettivo di fondo è di aggiornare in modo sistematico l’architettura di governance del sistema adeguandola al mutato contesto internazionale, e regolando, in particolare, soggetti, strumenti, modalità di intervento e principi di ri-ferimento maturati nel frattempo nella comunità internazionale.

La nuova architettura si fonda su tre pilastri: 1) la designazione del Mae, ribattezzato Ministero degli esteri e della cooperazione internazio-nale, quale regista dell’azione di cooperazione; 2) l’istituzione di un Comi-tato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (Cics), una sorta di cabina di regia con compiti di coordinamento; 3) la creazione di un’A-genzia tecnica, cui sono affidati gli aspetti gestionali e operativi. Su questi

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