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Tentativi di partenariato in Africa subsahariana

Nel documento Scegliere per contare. Rapporto (pagine 43-46)

degli interventi umanitari). Infine, la titolare della Farnesina ha chiesto a gran voce il coinvolgimento dell’Iran nel processo negoziale sulla Siria già a partire dall’estate, nella convinzione che non è attraverso l’isolamento che si annulla il problema dell’influenza iraniana in Siria. Tale coinvolgimento non si è, tuttavia, materializzato, a causa della contrarietà da parte di Stati Uniti e paesi del Golfo in primis, ma anche di alcuni paesi europei quali la Francia.

Seppur non determinante, il contributo italiano ai tentativi di gestione del conflitto in Siria è stato rilevante. L’Italia dovrebbe continuare su que-sta strada, tenendo alta l’attenzione del paese e dell’Europa in generale su questo dossier, e cercando di promuovere specifici interventi mirati per far fronte al dramma umanitario e favorire una soluzione negoziata del con-flitto. In particolare, l’Italia dovrebbe aprirsi alla possibilità di dare asilo ai profughi siriani che continuano a raggiungere la penisola in maniera clandestina. Condividendo il peso di questo impegno, l’Italia potrà acquisi-re maggioacquisi-re influenza sulle importanti scelte politiche e diplomatiche che dovranno essere prese nei prossimi mesi.

In linea con l’approccio negoziale seguito fin qui, l’Italia dovrebbe inol-tre continuare a lavorare per aprire canali di comunicazione tra l’Iran e i paesi occidentali attraverso misure di fiducia (confidence-building) finaliz-zate proprio all’inclusione di questo attore strategico per gli equilibri della regione nel processo negoziale sulla Siria. Su questo versante l’Italia po-trebbe mettere a frutto la credibilità guadagnata presso la nuova leader-ship iraniana, nonché l’esperienza nelle misure di confidence-building nel Mediterraneo.

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frIca suBsaharIana Storicamente, la classe dirigente italiana ha guardato alla parte subsaha-riana del continente africano unicamente attraverso la lente della coopera-zione allo sviluppo e dello schema tradizionale donatore-beneficiario degli aiuti. Negli ultimi anni due fattori principali hanno spinto l’Italia a rivede-re questo approccio: l’evoluzione dello scenario di sicurivede-rezza africano, con il riacutizzarsi dei fenomeni dell’immigrazione clandestina verso le coste meridionali europee e della pirateria nelle acque del Golfo di Aden e dell’O-ceano indiano, e i nuovi processi politici ed economici, inclusi il consolida-mento dell’integrazione regionale e l’incoraggiante performance economica di alcuni paesi. L’ottica ormai prevalente riconosce la necessità di un

par-tenariato strategico con l’Africa subsahariana, che identifichi gli obiettivi politici e gli strumenti più idonei al loro raggiungimento. A tal fine il Mini-stero degli Affari esteri (Mae) è a lavoro su una Strategia Italia-Africa e su una riforma della cooperazione allo sviluppo a lungo attesa, che dovrebbe accompagnarsi all’istituzione di un’Agenzia per la cooperazione allo svi-luppo in Italia.

In termini di priorità geografiche, al di là dell’attenzione riservata ai paesi rivieraschi del Mediterraneo del sud, l’Italia, anche per il suo passa-to coloniale, si è da sempre concentrata sulla regione del Corno d’Africa e sulla Somalia in particolare. Nell’Africa del sud ha mantenuto un forte legame con il Mozambico, derivante dal ruolo giocato dal governo italiano e dalla Comunità di Sant’Egidio nel processo di pacificazione del paese, e rinverdito dalle recenti scoperte di risorse di gas di grande interesse per l’industria energetica italiana. Tuttavia, gli sviluppi recenti suggeri-scono una maggiore attenzione verso i paesi, come il Senegal e la Nigeria, che offrono considerevoli opportunità di collaborazione, sia per le risorse naturali e la crescita economica interna che per la diaspora residente in territorio italiano (gli 870mila immigrati africani sono circa il 20% del totale della popolazione immigrata). Il recente tour africano del ministro degli Esteri Emma Bonino in Africa occidentale - Ghana, Senegal, Sierra Leone e Costa d’Avorio - sembra prefigurare un cambio di passo in questa direzione.

Le risorse di gas e petrolio di recente scoperta nell’Africa subsaharia-na rappresentano per l’Italia usubsaharia-na valida altersubsaharia-nativa alle rotte orientali e all’instabile partenariato con la Russia per garantire un approvvigiona-mento energetico sostenibile. L’Eni è la prima compagnia energetica in-ternazionale in Africa: in Africa subsahariana ha allargato le sue attività di esplorazione e produzione da tre paesi (Angola, Congo Brazaville e Ni-geria) a 11 negli ultimi sette anni. Va da sé che le attività della compagnia sono tenute in gran conto dal Mae per la definizione della propria strate-gia africana (un tavolo Mae-Eni si riunisce ogni tre mesi).

L’Italia è anche molto attiva nel continente africano per il manteni-mento della pace e della sicurezza, prevalentemente nel contesto mul-tilaterale ed europeo. Partecipa, in particolare, ad una serie di missioni civili e militari condotte dalle Nazioni Unite, dall’Unione europea (Ue), dalla Nato e dall’Unione Africana (Ua) nel Corno d’Africa e nella regione del Sahel. Inoltre, la Base logistica avanzata presso Gibuti è utilizzata dal 2013 per fornire supporto logistico alle attività antipirateria nell’area.

Sul piano bilaterale, Nuclei militari di protezione (Nmp) composti dai

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cilieri di Marina della Brigata San Marco svolgono operazioni a supporto delle navi mercantili nazionali nell’area del Golfo di Aden, del Mar Arabico e dell’Oceano Indiano. Un contingente di Carabinieri svolge l’attività adde-strativa nazionale Miadit (Missione addeadde-strativa italiana) a Gibuti, rivolta alle forze di polizia somale principalmente nei settori della sicurezza e del controllo del territorio, nell’ambito di un più ampio progetto formativo pa-trocinato dall’Ua.

Sul fronte europeo, l’Italia ha partecipato alla definizione della politica dell’Ue verso il continente africano cercando di privilegiare le aree geogra-fiche e i settori di più diretto interesse per il paese. L’Italia è entrata in aper-to contrasaper-to con la Francia sulla ripartizione delle risorse dell’African Peace Facility (Apf), uno strumento creato nel 2004 dall’allora Presidente della Commissione europea Romano Prodi per garantire un sostegno finanzia-rio alle giovani istituzioni africane nelle attività di prevenzione e gestione dei conflitti nel continente: Roma vorrebbe garantire un maggior sostegno finanziario alle attività condotte dall’Ue nel Corno d’Africa, mentre Pari-gi preme per un ampliamento degli interventi nelle aree della cosiddetta Françafrique.

In generale, le rivendicazioni italiane a Bruxelles hanno avuto più fortu-na se in sintonia con quelle di attori forti. La rinnovata attenzione europea per il Corno d’Africa, che ha portato fra l’altro al potenziamento della mis-sione Eucap Nestor in Somalia e alla nomina di Alexander Rondos a Rap-presentante Speciale dell’Ue nel gennaio 2012, è stata agevolata dagli in-teressi convergenti di Regno Unito e Stati Uniti, oltre che dalla riemersione del fenomeno della pirateria. In altre occasioni, invece, l’Italia non è stata in grado di esercitare un’effettiva influenza sulle scelte europee. Ad esempio, la posizione italiana a favore di una soluzione federale del conflitto soma-lo, che viene incontro ai timori di Etiopia ed Eritrea che possa instaurarsi un governo somalo centralistico, nonché alle rivendicazioni autonomiste di Puntland e Somaliland, è stata osteggiata dal Regno Unito e non ha prevalso in sede Ue.

Un rilancio delle relazioni tra Italia e Africa subsahariana appare pos-sibile, ma ad alcune condizioni: una riflessione strategica sulle priorità del paese, un aggiornamento delle politiche di cooperazione allo sviluppo, e iniziative mirate ad un maggior coordinamento europeo, di cui l’Italia po-trebbe farsi promotrice in particolare durante il semestre di presidenza dell’Ue.

Nel documento Scegliere per contare. Rapporto (pagine 43-46)