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Principi e obiettivi della politica dell’immigrazione

Nel documento Scegliere per contare. Rapporto (pagine 58-61)

flessibilità e reattività, che le consentano di adeguarsi all’evoluzione co-stante di un fenomeno per definizione fortemente dinamico. Da molti anni, invece, la politica migratoria italiana sembra incapace di evolversi in risposta alle sfide concrete che ha di fronte. Non che siano mancate le no-vità legislative, che però si sono configurate perlopiù come estemporanei proclami punitivi (verso i migranti, anche regolari), ispirati da obiettivi di consolidamento (o recupero) di consenso, ma costosi e inefficaci anche sotto il profilo repressivo.

Questo vuoto strategico ha caratterizzato innanzitutto la dimensione domestica della politica migratoria, dove la spirale di inconcludente ide-ologizzazione si è avvitata sempre più su se stessa. Ma neppure la poli-tica migratoria estera è rimasta indenne, sia sul versante europeo - nel

8. PrinciPieobiettividellaPoliticadellimmigrazione

rapporto con le istituzioni dell’Unione e con i partner - sia su quello pro-priamente internazionale, relativo alle relazioni con i paesi di origine e di transito dei flussi di migranti e rifugiati.

In ambito Ue, gli esecutivi di centrodestra hanno tenuto una linea di continuità formale con i predecessori, fondandola essenzialmente sull’in-vocazione di un ruolo più forte delle istituzioni sovranazionali e di una maggiore condivisione dei costi associati alla nostra posizione di custodi della frontiera comune.

Sebbene sorretta da un solido consenso bipartisan, questa linea non ha però saputo andare oltre l’enunciazione di principio e tradursi in una strategia negoziale e di alleanze sufficientemente creativa, costante e tec-nicamente credibile.

Non sorprende, quindi, che, anche data l’innegabile difficoltà di una battaglia tendenzialmente minoritaria tra i Ventotto, i risultati siano man-cati. I naufragi dell’autunno 2013, solo quantitativamente più gravi dei tanti che li hanno preceduti, hanno scosso l’opinione pubblica e impresso una momentanea accelerazione all’agenda europea. Ma, nel merito, finora almeno, non siamo andati oltre aggiustamenti marginali su dossier già aperti. Il burden sharing europeo in materia di pattugliamento delle fron-tiere marittime comuni, di attività di search and rescue, e di successiva accoglienza, rimane limitato

Anche nei rapporti con i paesi di origine e di transito, specialmente quelli della riva sud del Mediterraneo, le innovazioni introdotte alla fine degli anni Novanta (‘quote privilegiate’ nei decreti-flussi per un numero limitato di partner strategici; sforzi di coordinamento tra politica migra-toria e cooperazione allo sviluppo) si sono progressivamente atrofizzate, non solo per ragioni di ordine generale aggravate dalla crisi (giro di vite sugli ingressi programmati e sugli aiuti pubblici allo sviluppo), ma anche a causa di una specifica e grave carenza di manutenzione politica ed ese-cutiva.

Questa inerzia non si è sostanzialmente alleggerita con il passaggio prima al governo tecnico e poi a maggioranze politiche allargate. Nono-stante alcuni segnali di attenzione sul piano simbolico - primo fra tutti l’i-stituzione di un ministero ad hoc, privo però degli strumenti istituzionali e operativi che sarebbero necessari - è chiaro che la politica migratoria continua a essere considerata una priorità secondaria, o forse neppure questo, in un’epoca in cui neanche le più evidenti priorità economiche riescono a strappare il sistema politico alla sua introversione.

In una prospettiva programmatica di ampio respiro, tuttavia, non si

può che invocare una profonda revisione di questa miope gerarchia del-le priorità. Un riequilibrio che, per quanto riguarda la dimensione ester-na della politica migratoria, dovrebbe fondarsi su due obiettivi di ordine strategico: rovesciare il processo di ri-nazionalizzazione delle politiche in materia di migrazioni e mobilità di fatto avviato a livello europeo; va-lorizzare la ‘carta migratoria’ nei rapporti con i paesi del Vicinato, spe-cialmente mediterraneo, anche in chiave di sostegno a processi locali di rinnovamento politico, almeno nei pochi casi in cui questi non sono già naufragati.

Alcune tendenze in corso, esacerbate dalla prospettiva di elezioni eu-ropee vicine e temutissime, stanno già erodendo quelli che fino a poco tempo fa erano considerati acquis fondamentali: la libertà di movimen-to per i cittadini europei (tutti, non solo quelli occupati e benestanti) e l’assenza di controlli di frontiera sulla circolazione dei migranti regolari all’interno dello spazio Schengen.

Se queste tendenze oggettivamente dis-integrative si accentuassero, un paese ‘di frontiera’, quale l’Italia è sempre stata e sempre più si trova ad essere, non avrebbe che da perderci. Le determinanti strutturali dell’in-tensificazione della mobilità giovanile in uscita non verrebbero certo at-tenuate, ma tale mobilità verrebbe a prodursi in condizioni sempre più precarie e meno tutelate. Concretamente, se oggi, a Londra e a Berlino, lo spauracchio del benefit tourism è sventolato alludendo soprattutto, e in maniera neanche tanto velata, ai rom dei nuovi Stati membri, una riforma dei meccanismi di allontanamento non potrebbe che essere formulata in termini generali e pertanto suscettibili di colpire qualsiasi giovane euro-peo temporaneamente disoccupato.

Se poi anche Schengen venisse svuotato, il rischio di trasformarci in uno ‘stato cuscinetto’, utilizzato dagli (autoproclamati) core members dell’Unione come capiente argine contro migrazioni indesiderate, ed eventualmente come ‘discarica’ per le frange respinte, non farebbe che aggravarsi.

Da questo punto di vista, l’analogia tra Schengen ed Eurozona è evi-dente: stare in entrambe ci costa ed è senza dubbio necessario lavorare per ridefinire le condizioni della membership; ma i costi di un’eventuale uscita, che accentuerebbe la fragilità insita nella nostra perifericità, sa-rebbero certamente maggiori.

La direzione strategica sommariamente indicata è straordinariamente impervia. Non può ovviamente essere perseguita in solitudine e richiede alleanze che vadano al di là della cerchia degli stati membri mediterranei,

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