A N G I O L I N A R I C H E T T I
attraverso un gruppo di nazioni nelle quali è possibile tra-sferire le somme ricevute.
Nella situazione presente delle cose le sterline non pos-sono però venire liberamente cambiate in dollari, il che costituisce un serio impedimento al commercio multilate-rale. Sussiste è vero, come scappatoia a tale intralcio, la possibilità di mutare le sterline in dollari al mercato nero ma la cosa comporta dei rischi che non tutti si sentono di affrontare. Di qui la necessità di escogitare un altro sistema. Alla ricerca di questo sistema gli Inglesi hanno teso con tutte le loro forze in quest'ultimo anno, rendendosi conto perfettamente che l'inconvertibilità della sterlina ed il mercato nero che ne consegue sono un serio ostacolo a che la sterlina continui nelle sue funzioni di mercato chiave nel commercio internazionale.
La meta cui si tende, vale a dire la libera converti-bilità delle sterline guadagnate dagli stranieri, è la stessa che l'Inghilterra tentò di raggiungere coll'Accordo Anglo-Americano del 1947, accordo che si risolvette allora in un insuccesso. Oggi però le condizioni si presentano sotto un aspetto più favorevole. La Gran Bretagna infatti non ha più, come nel 1947, una bilancia dei pagamenti deficita-ria. E, fatto forse di maggiore significato, non esiste più una così grande quantità di sterline liberamente fluttuanti per il mondo. Sebbene non si pensi infatti di applicare la convertibilità ai vecchi residuati di sterline, non è sempre facile distinguere le sterline guadagnate recentemente da quelle accumulate in passato. Sussiste però il fatto che le sterline residue sono state ridotte nel loro valore reale dall'aumento dei prezzi e che sono in possesso di mani più forti e sicure che non per il passato. D'altro canto le colonie britanniche hanno aumentato notevolmente il loro eccesso di sterline, e l'Inghilterra può esercitare un con-trollo su di esso, pur rendendosi conto che tale situazione non può durare indefìnitivamente.
La convertibilità della sterlina nel senso fin qui defi-nito è però legata all'aumento di volume del commercio internazionale. Ora è chiaro che, con il sistema presente, gli stranieri hanno una certa riluttanza ad esportare in Inghilterra, poiché ciò che ricevono in pagamento sono
sterline e ciò di cui abbisognano dollari. La convertibi-lità dovrebbe però agire come un incentivo per aumen-tare il commercio. Esiste tuttavia il pericolo che i paesi stranieri possano deviare i loro acquisti dalle merci ster-line alle merci dollari, e che, pur rimanendo costante il volume totale del commercio, si produca una deviazione nella bilancia commerciale a sfavore dell'area della sterlina ed a favore di quella del dollaro. Tale deviazione può prodursi fino ad un certo punto senza alcuna nuova restri-zione. Ma è essenziale, a dire del Nurkse, che gli Ame-ricani tengano presente che, dal punto di vista dei paesi stranieri, una sterlina convertibile è una moneta così spi-nosa come il dollaro stesso. Per modo che tali paesi già in difficoltà per i loro conti in dollari, si troverebbero nella condizione di imporre le restrizioni discriminative in vigore anche alle importazioni di merci sterline.
Questo il pericolo di una convertibilità unilaterale in un mondo i cui rapporti commerciali coll'area del dollaro continuano ad essere in deficit. Ed in ogni caso la con-vertibilità della sterlina considerata in se stessa avrebbe per effetto di aumentare il deficit del commercio mon-diale coll'area del dollaro, ne ci sarebbe da meravigliarsi di questa nuova difficoltà, che l'inconvertibilità è una delle restrizioni con cui viene impedito a forza che il deficit in dollari aumenti.
Ora l'Inghilterra potrebbe indubbiamente, secondo il Nurkse, neutralizzare la situazione cui abbiamo accennato, restringendo i controlli diretti sulle importazioni e persua-dendo coloro che commerciano con essa a diminuire le loro importazioni nell'Inghilterra stessa. Oppure potrebbe re-stringere le sue importazioni in dollari per procurarsi un fondo in dollari disponibile per la conversione da parte degli stranieri. Ma in tal caso la convertibilità si ridur-rebbe ad un gesto privo di significato e ad un accomoda-mento tecnico incapace di risollevare l'economia britan-nica al livello di un tempo.
Alcuni Inglesi propongono perciò che, ad ovviare all'in-conveniente, gli Stati Uniti pongano una certa quantità di dollari a disposizione dell'Inghilterra per turare le falle che si potrebbero produrre. Il che si risolverebbe alla fin fine in una nuova forma di aiuto. Il popolo degli Stati Uniti non è però, nel suo complesso, molto favorevole ad una proposta del genere, per il che essa non ha molte probabilità di venire attuata.
Altro sistema, di cui si è molto discusso di recente da parte britannica, è quello della « sterlina fluttuante ». II che sembra significare un tasso di cambio dollaro-sterlina suscettibile di mutare di giorno in giorno, pur essendo tuttavia soggetto ad una negoziazione ufficiale. U n tasso insomma senza valore fisso di parità, ma non liberamente
fluttuante. Proposta che può essere considerata come un sistema per sminuire il valore in dollari della sterlina, aumentando così il potere di competizione delle esporta-zioni britanniche e bilanciando lo squilibrio che la conver-tibilità cagionerebbe al conto britannico in dollari.
Non sarebbe tuttavia possibile raggiungere risultati del genere se non dopo un po' di tempo. Una sterlina flut-tuante potrebbe invece avere un'altra funzione immediata, quella di attrarre dall'estero capitali privati di specula-zione, fra cui anche dollari. Per il che la Banca d'Inghil-terra, anche senza ottenere un prestito ufficiale, potrebbe riuscire a costituirsi una riserva in dollari, che fosse di valido aiuto nel periodo iniziale di convertibilità della sterlina.
Senza dubbio le possibilità tecniche per rendere la ster-lina e qualche altra moneta convertibile nel senso indi-cato esistono, tuttavia il Nurkse pensa che vi sia ancora molta strada da percorrere prima di addivenire ad una soluzione definitiva, e che sia meglio non compiere ten-tativi destinati a cadere nel vuoto per non far cadere in discredito l'idea della convertibilità. Eminentemente sag-gia dunque la proposta di quell'economista inglese che vuole « che i governi prendano prima le misure neces-sarie in modo che la convertibilità si compia come la logica e fruttuosa conclusione di una politica che è ormai impossibile capovolgere ».
La rimozione dello stato di squilibrio nel commercio e nei pagamenti fra l'area del dollaro ed il resto del mondo libero è condizione essenziale a che ciò avvenga. Essendo la sterlina una moneta che regola dal 40 al 50 per cento del commercio mondiale a nulla servirebbe infatti che la posizione del dollaro si equilibrasse soltanto in Gran Bre-tagna e nella restante area della sterlina. Lo squilibrio del resto del mondo non potrebbe infatti non ripercuo-tersi su di essa.
A raggiungere ovunque l'equilibrio desiderato si pro-pone da molti economisti il seguente sistema di cura. Con-trollo dell'inflazione, correzione del tasso del cambio da parte dei paesi deficitari insieme ad una riduzione delle tariffe doganali e ad investimenti esteri da parte di quei paesi che godono di eccesso di denaro.
Nell'insieme, a parere del Nurkse, non pare che la struttura internazionale dei tassi del cambio sia così fuori quadro come quattro anni or sono. Una correzione del tasso è indubbiamente necessaria in Francia, rimane a discutersi se sia necessaria in Inghilterra, che soltanto una parte dei vantaggi ottenuti coll'ultima svalutazione è an-data perduta.
Da quanto si è detto si rivela chiara la necessità di un controllo sull'inflazione interna in quei paesi che sono in deficit od in un equilibrio precario per quel che riguarda la bilancia estera dei pagamenti. Ciò non significa però che si debba arrivare alla deflazione, ma piuttosto che occorre porre un freno all'inflazione. Si è ripetutamente constatato che un paese a pieno impiego, il quale tenti di ovviare al suo deficit esterno colla svalutazione o con la restrizione delle importazioni, non riesce a raggiungere lo scopo, se non limita le spese fatte in patria dai consu-matori, dal governo e dagli uomini d'affari.
La restrizione delle importazioni e la svalutazione hanno lsj. C R O N A C H E E C O N O M I C H E
di per se stesse effetto inflazionario. Occorre che tale effetto sia bilanciato da un mutamento in senso opposto nel campo interno se si vuole evitare l'inflazione.
Lo stesso ragionamento si può ripetere per quel che riguarda un aumento nelle esportazioni prodotto da una riduzione delle tariffe doganali all'estero, per esempio negli Stati Uniti. Un paese con un forte deficit nel com-mercio estero si serve di merci più che non ne produca, e non può colmare il suo deficit se non si adatta a delle restrizioni interne.
Per esprimersi in termini monetari un deficit nel com-mercio estero di un paese rappresenta una perdita del suo potere d'acquisto. Ora una riduzione di questa perdita richiede una decurtazione nelle spese interne, se non si vuole giungere ad un'ascesa nei prezzi e per conseguenza nuovamente ad una capacità ridotta di esportazione. Se nel periodo attuale si è trascurato di tenere nel conto dovuto quanto abbiamo esposto, ciò è per gran parte dovuto all'influsso della depressione economica anteriore alla guerra. In condizione di disoccupazione generale la relazione non è infatti ugualmente valida, poiché vi è largo campo per una rapida espansione della produzione totale, sia per uso interno che di esportazione. Mentre col pieno impiego tale possibilità non esiste, ed ogni tentativo per correggere il deficit esterno richiede un'azione com-plementare sul flusso del reddito interno.
La necessità di prevenire l'inflazione è stata ricono-sciuta in Europa da tutti i paesi con scarsità di dollari. A giudizio del Nurkse col passare del tempo tale con-trollo andrà però facendosi più difficile nei paesi ad eco-nomia più debole. La dottrina del pieno impiego e del benessere non possono infatti non esercitare una forte attrattiva su alcuni paesi, attrattiva che la facilità odierna delle comunicazioni cogli Stati Uniti non può non aumen-tare di continuo.
Fatta questa constatazione, la necessità di un contri-buto alla soluzione del problema della convertibilità da parte dei paesi a più forte economia si presenta come indispensabile.
La regola americana di reciprocità nelle tariffe doga-nali di negoziazione è senza dubbio una buona regola, ma non è di nessun aiuto a correggere lo squilibrio nella bilancia internazionale dei pagamenti. Certo gli Stati Uniti hanno compiuto notevoli riduzioni nelle tariffe doganali, ma lo hanno fatto soltanto dopo un lungo ed
arduo mercanteggiare ed in cambio di non meno ampie riduzioni all'estero. Ma in economia è assurdo pretendere che tutte le nazioni siano uguali. I paesi più prosperi e più potenti possono far cose che non sono possibili a quelli più deboli con scarse riserve, deficit nella bilancia commerciale estera ed industrie all'inizio che è necessario proteggere.
— Affari, non aiuti — è uno slogan ripetuto volen-tieri dagli Europei. Le tariffe doganali americane, inci-dendo soprattutto sulle merci manufatturate, sono sem-pre state difatti specificamente antieuropee. Per chi non ne fosse convinto basta uno sguardo all'ultimo Economie Survey of Europe. Appare da esso che nel 1951 il volume
reale delle importazioni degli Stati Uniti dall'Europa fu minore che nel 1920. Ed appare anche, fatto che può riuscire sorprendente per molti, che la rimanente area del dollaro (Canadà, Cuba, Messico, Venezuela e Colombia), il cui potere d'acquisto non è che una piccola frazione a paragone di quello degli Stati Uniti importa dall'Europa più che gli Stati Uniti non facciano.
Lo stato presente del commercio internazionale nel mondo può essere considerato più che discreto. Nel 1951, ultimo anno per cui si abbiano dati statistici completi esso superava infatti del 35 % m volume reale il livello del 1937. Nè tale espansione era dovuta soltanto al com-mercio estero americano, ma anche a quello entro l'Europa e nell'area della sterlina. La stasi del 1952 sembra esser stata di poco conto. Il deficit visibile di dollari è dimi-nuito. Nel 1952, prescindendo dagli aiuti militari, supe-rava di poco il bilione di dollari. Ma la deficienza di dol-lari non può essere misurata così semplicemente da una cifra. Gran parte del miglioramento del 1952 fu dovuto infatti, a dire del Nurkse alla restrizione dei controlli e delle discriminazioni, fra cui il drastico taglio delle impor-tazioni nell'area della sterlina. Ora, perchè tutto proceda per il meglio, è necessario non soltanto un equilibrio momentaneo della bilancia dei pagamenti, ma che tale equilibrio permanga stabile senza bisogno delle perniciose restrizioni discriminatorie.
Nulla è più desiderabile della convertibilità della moneta. Ma, poiché i gradi di convertibilità sono diversi, bisogna, secondo il Nurkse, accontentarsi di raggiungere la meta passo a passo. Per ora tali passi non possono essere che modelli e di natura tecnica. Le condizioni basilari per una marcia in avanti sostanziale e durevole non sono state ancora infatti solidamente stabilite.
O.e Uiazalelles & O.
T O R I N O
PROBLEMI
N O S T R I
F R A N C O C O G X O