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Il quadrato semiotico degli stili videoludic

2. Fenomenologia, semiotica e stili videoludic

2.1. Il quadrato semiotico degli stili videoludic

Per enucleare secondo il principio tecnomorfo dell’interattività i possibili stili videoludici, le loro eventuali affinità e le rispettive divergenze, è necessario rintracciare innanzitutto lo schema ricorrente e complessivo mediante il quale la protesi digitale riorganizza gli spazi profondi topici. A tal proposito, proponiamo l’impiego di uno degli strumenti più emblematici della semiotica, il quadrato semiotico, modello che compone e classifica in un ordinamento logico i concetti di una qualsiasi categoria semantica. Secondo la nostra prospettiva, è possibile articolare secondo un quadrato semiotico gli stili videoludici in virtù della natura noetica degli spazi profondi e della protesi digitale. In questa sede si farà riferimento alla struttura del quadrato semiotico di Floch sui generi pubblicitari1, applicato da Alice Giannitrapani entro una

dimensione spaziale2. Si costruiranno due quadrati semiotici,

uno più generico e per questo riferibile anche all’arte figurativa; l’altro applicabile esclusivamente ai videogiochi. Iniziamo dunque con l’abbozzare il primo quadrato semiotico, utile per intercettare una categoria semantica su cui basarsi successivamente. Supponiamo che questa sia la “volontà di rappresentare il reale”, attenendoci al luogo comune secondo cui l’estetica videoludica si basa su una volontà “rappresentazionale”, per cui il mondo di gioco rappresenterebbe illusionisticamente il mondo “reale”. Seguendo l’articolazione prescritta dal quadrato semiotico, un videogioco presenterebbe quindi quattro stili diversi corrispondenti a quattro tipi di “volontà” o “intenzionalità”,

che si trovano in relazione di “contrarietà” (in senso orizzontale), di “contraddizione” (secondo le diagonali), di “complementarità” (in senso verticale): “voler rappresentare il reale”, “voler non rappresentare il reale”, “non voler non rappresentare il reale”, “non voler rappresentare il reale”. Le “volontà” stilistiche individuate corrisponderebbero rispettivamente ai seguenti tipi di spazio profondo, denominati – prendendo in prestito la terminologia di Floch – “referenziale”, “mitico”, “sostanziale”, “obliquo”.

SPAZIO REFERENZIALE SPAZIO MITICO Voler rappresentare il reale Voler non rappresentare il reale

SPAZIO SOSTANZIALE SPAZIO OBLIQUO Non voler non rappresentare il reale Non voler rappresentare il reale

Si precisa che le relazioni dedotte non sono di natura diacronica bensì sincronica, ovvero non descrivono come un videogioco che “vuole rappresentare il reale” (referenziale) sia preso a modello negativo in una fase storica successiva da un secondo che lo contraddice nel “non voler rappresentare il reale” (obliquo). Le dinamiche del quadrato semiotico si devono sempre considerare da un punto di vista acronico, che esprime rapporti logici e non cronologici.

Tuttavia, il quadrato semiotico spaziale così impostato è talmente astratto, se non sillogistico, che rischia di rivelarsi inapplicabile e sterile. Inoltre, la genericità che lo contraddistingue non permette un’analisi mirata del linguaggio videoludico, in quanto le categorie semantiche

ricavate possono essere applicate anche ad altri settori, come l’arte figurativa e, come si è detto, la pubblicità.

È necessario quindi corroborare il presente quadrato semiotico con uno schema più specifico, che contempli non solo la modalità attraverso la quale uno stile possa rappresentare nello spazio il mondo di gioco, ma soprattutto come quest’ultimo possa essere trasformato interattivamente dal giocatore in una dimensione temporale, oltre che spaziale. In altre parole, le quattro tipologie stilistiche sopracitate devono includere la nozione di protesi digitale. In tal senso, gli stili videoludici si differenzierebbero a seconda del modo in cui il giocatore esercita l’eventuale controllo dell’inquadratura rispetto alla gestione (imprescindibile) del simulacro. In definitiva, ciò che vogliamo ipotizzare è che gli stili si diversifichino sulla base del “ritmo narrativo”.

In questa sede, il ritmo narrativo indica la relazione iterativa tra il simulacro e l’inquadratura nel corso della narrazione performativa e cognitiva di un videogioco3. Per ritmo si fa

infatti riferimento all’“iterazione nel tempo di un qualche tipo di schema”4, schema che è stato espresso in precedenza dal

concetto di narratività grazie al quale abbiamo ricavato le fasi topiche della fruizione, ovvero l’acquisizione della Competenza e l’esecuzione della Performance. Dato che il simulacro è sempre manipolabile in ogni videogioco (che non sarebbe interattivo altrimenti), la variante del ritmo narrativo è costituita dalla possibilità di gestire o meno l’inquadratura e dal modo in cui lo sguardo digitale del giocatore è valorizzato rispetto al controllo del simulacro.

Pertanto, gli stili videoludici si distinguerebbero sulla base di quattro ritmi narrativi, correlati e contraddistinti secondo rapporti di contrarietà, complementarietà e contraddizione: “il controllo dell’inquadratura è valorizzato rispetto a quello del simulacro”; “il controllo dell’inquadratura è assente rispetto a

quello del simulacro”; “il controllo dell’inquadratura è alternato a quello del simulacro”; “il controllo dell’inquadratura è subordinato a quello del simulacro”. Definiremo i ritmi narrativi desunti rispettivamente come “dinamismo”, “stasi”, “pulsazione”, “inerzia”.

DINAMISMO STASI

Il controllo dell’inquadratura Il controllo dell’inquadratura è è valorizzato rispetto è assente rispetto

a quello del simulacro a quello del simulacro

PULSAZIONE INERZIA Il controllo dell’inquadratura Il controllo dell’inquadratura

è alternato è subordinato a a quello del simulacro a quello del simulacro

Ad un determinato ritmo narrativo corrisponde un determinato spazio profondo topico. Il ritmo narrativo dinamico scandisce sempre lo spazio referenziale, quello statico lo spazio mitico, il pulsante lo spazio sostanziale e l’inerziale lo spazio obliquo. Spazio mitico, spazio obliquo e i relativi ritmi narrativi rispondono alla funzione “costruita”; i restanti, invece, alla funzione “rappresentazionale”.

SPAZIO REFERENZIALE SPAZIO MITICO Dinamismo Stasi

SPAZIO SOSTANZIALE SPAZIO OBLIQUO Pulsazione Inerzia

Il nesso tra ritmo narrativo e spazio profondo definisce compiutamente il tecnomorfismo videoludico, che consiste, lo si ricorda, nell’interattività, simbolo della relazione biunivoca giocatore-programmatore instaurata dal ciclo della macchina. In virtù della dimensione estetica entro cui opereremo, ci si prefigge di analizzare nello specifico gli stili videoludici e i rapporti che instaurano tra loro secondo lo schema delle coppie wölffliniane, di cui i primi termini descrivono i videogiochi a vocazione costruita (come i mitici), mentre i secondi quelli rappresentazionali (come i referenziali): “lineare”–“pittoresco”, “superficiale”–“profondo”, “forma chiusa”–“forma aperta”, “molteplicità”–“unità”, “chiarezza”– “oscurità”5. Tuttavia, bisogna definire tre premesse riguardo

l’applicazione di queste tipologie in ambito videoludico. In primo luogo, dato che le relazioni espresse non sono diacroniche – come vorrebbe il metodo fenomenologico – ma sincroniche, le coppie wölffliniane saranno intese secondo una prospettiva semiotica, ovvero “non come riferimenti a precisi periodi storici, ma come modalità, interdefinite, di trattare i testi visivi”6. In secondo luogo, le categorie saranno applicate

non solo ad un livello superficiale, cioè come se il videogioco fosse un “testo visivo” tout court, ma anche e soprattutto

all’interattività (livello profondo). Ovviamente, dal momento che Wölfflin nei suoi saggi riferisce le diadi ad opere figurative, nel nostro ambito è necessario riadattarle ad uno spazio mutevole e interattivo e dunque riformularne i concetti originari, sebbene ripresi nella sostanza.

Infine, a differenza dei ritmi narrativi, le coppiewölffliniane non marcano rigidamente le differenze e le peculiarità degli stili, ma aiutano ad esemplificarne le reciproche relazioni da un punto di vista estetico e a illustrarne le caratteristiche principali. Ad esempio, se lo stile obliquo presenta una “forma aperta”, ciò non implica necessariamente che sia contraddistinto anche dalle categorie dell’“oscurità”, della “profondità”, dell’“unità” e del “pittoresco”. In altri termini, le diadi saranno utilizzate come flessibili strumenti operativi e finalizzate a discernere le varie implicazioni espressive e concettuali dei ritmi narrativi, i quali costituiranno invece il fondamento di ogni nostra indagine.

È dunque giunto il momento di mettere in pratica gli attrezzi ermenutici fin qui elaborati e di impiegarli concretamente nello studio di videogiochi “campione”, che possano suggerire ai lettori un modello di analisi per titoli analoghi nella struttura espressiva.