• Non ci sono risultati.

Il regno notturno di Circe: L’Asino di Niccolò Machiavell

La dimostrazione che il Rinascimento è stato un tempo privilegiato per la figura di Circe e le rivisitazioni del suo mito è stata in parte offerta dai riferimenti letterari a cui si è accennato nel precedente capitolo. Un’ulteriore – e forse più significativa – conferma del fatto che quei secoli di fermento culturale fornirono un terreno fertile alla proliferazione delle immagini di Circe in campo letterario viene anche da alcune opere specificatamente incentrate sul mito della dea. Oltre a rimandi e allusioni simboliche, la figura di Circe trovò un luogo altrettanto favorevole in interi componimenti che la vedevano come vera e propria protagonista77. Uno di questi fu L’Asino di Niccolò Machiavelli (1469-1527). Il cancelliere fiorentino, conosciuto soprattutto per le sue argomentazioni di stampo politico78, si cimentò anche in altri ambiti: fu poeta, narratore, commediografo e filosofo79 – pur mantenendo i motivi politici delle sue principali opere80 – e come

tale ha lasciato una testimonianza non solo delle rappresentazioni letterarie del mito di Circe che circolavano nel periodo rinascimentale, ma anche delle

77 La centralità del ruolo di Circe in queste opere è spesso indicata già dal titolo di copertina: è

il caso, per esempio, della Circe di Giambattista Gelli e del Cantus Circaeus di Giordano Bruno; due testi che avremo modo di affrontare in seguito, negli ultimi capitoli della tesi.

78 Le maggiori sono racchiuse nel Principe (1513), nei Discorsi sopra la prima deca di Tito

Livio (1513-1519) e nell’Arte della guerra (1519-1520).

79 Su Machiavelli come filosofo si veda V. Perrone Compagni, Machiavelli metafisico, in S.

Caroti e V. Perrone Compagni (a cura di), Nuovi maestri e antichi testi. Umanesimo e Rinascimento alle origini del pensiero moderno, atti del convegno internazionale di studi in onore di Cesare Vasoli (Mantova, 1-3 dicembre 2010), Leo S. Olschki, Firenze 2012.

80 M. Arnaudo, Il bestiario di Machiavelli, tra emblematica e naturalismo, in «Italica», 80, 3,

considerazioni sul carattere della donna in quanto tale. Risulta quindi utile, ai fini della nostra indagine, prendere in esame le figure femminili che si trovano nell’opera di Machiavelli, per mantenere lo sguardo su entrambi i fronti di nostro interesse: Circe e la donna in generale.

2.1 La sovrana e la sua ancella

L’Asino, il poemetto satirico scritto in terzine dantesche da Machiavelli nel 1517 e rimasto incompiuto81, racconta le avventure del narratore, che avrebbero dovuto incentrarsi (secondo le intenzioni dichiarate nel primo capitolo) sulla trasformazione del protagonista in un asino82. L’autore, consapevole di vivere in un «tempo dispettoso e tristo»83, si propone di scrivere una denuncia satirica per

mostrare al lettore «come il mondo è guasto»84. E questo «dir male»85 sarà esplicato grazie a due figure femminili centrali nell’opera: Circe, la matrona del regno in cui il protagonista immaginerà di perdersi; e la fanciulla al servizio della dea, che lo condurrà nel luogo in cui potrà scoprire l’intera condizione umana.

81 La tradizionale datazione del poema si fonda su un passo della lettera inviata da Machiavelli

a Ludovico Alamanni il 17 dicembre del 1517: «Io ho letto ad questi dì Orlando Furioso dello Ariosto, et veramente el poema è bello tucto, et in molti luoghi è mirabile. Se si truova costì, raccomandatemi ad lui, et ditegli che io mi dolgo solo che, havendo ricordato tanti poeti, che m’habbi lasciato indetro come un cazo, et ch’egli ha facto a me quello in sul suo Orlando, che io non farò a lui in sul mio Asino». Da queste righe si capisce che Machiavelli stava per mettere mano o stava già lavorando alla stesura dell’Asino verso la fine di quello stesso anno. L’esatta cronologia del poema però rimane ignota, così come il motivo della sua interruzione. Sulle ipotesi a riguardo si veda F. Bausi, Machiavelli, Salerno Editrice, Roma 2005, pp. 145-148.

82 «I vari casi, la pena e la doglia / che sotto forma d’un Asin soffersi, / canterò io, pur che

fortuna voglia.», N. Machiavelli, L’Asino, cit., I, vv. 1-3. Il tema della metamorfosi in asino è ripreso dall’Asino d’oro di Apuleio (II secolo), e si incrocia con sottili allusioni all’idea del viaggio salvifico di matrice dantesca.

83 N. Machiavelli, L’Asino, cit., I, v. 97. 84 Ibid., cit., v. 118.

Dopo un primo capitolo introduttivo, Machiavelli entra nel vivo del componimento. In una sera di inizio primavera il narratore precipita «in un luogo aspro quanto mai si vide»86 e vi rimane intrappolato, circondato dall’oscurità.

Paralizzato dalla paura, sente crescere in sé il timore dopo aver udito il forte rumore di un corno; pensando al peggio, si appoggia a un tronco d’albero. Fatto ciò, ecco che vede una luce in lontananza avvicinarsi sempre di più, accompagnata come da un brusio.

Io era quasi di ogni senso privo, / e, spaventato a quella novitate, / teneva vòlto il volto a ch’io sentivo, / quando una donna piena di beltate, / ma fresca e frasca, mi si dimostrava / con le sue trecce bionde scapigliate. // Con la sinistra un gran lume portava / per la foresta, e da la destra mano / teneva un corno con ch’ella sonava. // Intorno a lei, per lo solingo piano / erano innumerabili animali, / che dietro le venian di mano in mano. // Orsi, lupi e leon fieri e bestiali, / e cervi e tassi e, con molte altre fiere, / uno infinito numero di cingiali.87

Ad avanzare verso di lui è una donna bellissima con in mano un corno e una fiaccola. Si tratta di un’immagine che dovrebbe rassicurarlo sia per l’aspetto piacevole, sia per il fatto di essere portatrice di luce88: un’apparizione luminosa che potrebbe simboleggiare un intervento provvidenziale. Ma tutti i suoi dubbi sul

86 Ibid., cit., v. 21. 87 Ivi, cit., II, vv. 46-60.

88 L’insistenza di Machiavelli nell’evidenziare ripetutamente la luminosità dell’ancella si

spiega dal momento in cui nella qualità primaria della luce si concentra il concetto della bellezza. Per descrivere fisicamente la fanciulla, Machiavelli infatti fa ricorso a varie similitudini che ricordano la luminosità: «Erano i suoi capei biondi com’oro, / ricciuti e crespi, tal che d’una stella / pareano i raggi, o del superno coro. // Ciascun occhio pareva una fiammella, / tanto lucente, sì chiara e sì viva, / ch’ogni acuto veder si spegne in quella.» Ivi, cit., IV, vv. 55-60. Si veda P. Sabbatino, Nei luoghi di Circe. L’Asino di Machiavelli e il Cantus Circaeus di Bruno, in Id., A l’infinito m’ergo. Giordano Bruno e il volo del moderno Ulisse, Leo S. Olschki, 2004, p. 96.

luogo in cui si trova e su che cosa gli accadrà non vengono ancora attenuati, anzi alimentati dallo stupore nel vedere quel corteo spaventoso di animali multiformi.

Il lettore che conosce il mito di Circe potrebbe pensare che quella donna circondata da animali feroci sia proprio la dea, descritta secondo il modello omerico e ovidiano. In realtà il protagonista non si troverà mai al cospetto di Circe, ma ne attraverserà solo il regno, guidato da una delle sue ancelle. La donna infatti si presenta come «una del numer di quelle»89 e si propone di aiutarlo raccontandogli tutti i segreti della sua regina. Innanzitutto spiega di aver ricevuto da Circe il compito eterno di mandriana, e che il lume e il corno le sono necessari per svolgere la sua mansione nel caso in cui cali la notte e non sia ancora rientrata, o nell’eventualità che debba richiamare a sé una bestia smarrita.

Nonostante il ruolo chiaramente protettivo e quindi positivo della fanciulla, quest’ultima è fin da subito descritta da Machiavelli in modo ambiguo, mostrandone il lato angelico e garbato da una parte, ed enfatizzandone i lineamenti più sensuali e maliziosi dall’altra. L’ancella di estrema bellezza e dai lunghi capelli biondi è anche una donna leggera e volubile in amore (frasca) che espone le sue trecce scapigliate come caratteristica della vitalità e passionalità femminile90. Quando ella sopraggiunge «con un modo astuto»91 davanti al narratore il suo volto si apre in un sogghigno, nonostante il saluto sia tanto domestico e pieno di grazia. L’espressione della fanciulla, che oscilla tra un sorriso e un sogghigno, è il segno di un atteggiamento sì amorevole e rassicurante, ma al tempo stesso animalesco e provocante. Machiavelli sta giocando – d’altra

89 N. Machiavelli, L’Asino, cit., II, v. 117.

90 Cfr. Sabbatino, Nei luoghi di Circe. L’Asino di Machiavelli e il Cantus Circaeus di Bruno, in

Id., A l’infinito m’ergo. Giordano Bruno e il volo del moderno Ulisse, p. 96.

parte il suo è uno scritto satirico – con il tema delle caratteristiche primarie che si dovevano ricercare o rifuggere in una donna: l’affabilità e la lascivia. Quando nel terzo libro di una delle opere più significative del primo Cinquecento, Il libro del Cortegiano di Baldesar Castiglione92, si discute sugli elementi che dovrebbero formare la perfetta donna di palazzo, la questione si incentra infatti su questi due aspetti. Oltre a grazia e bellezza, alla donna sono richieste – ovviamente dall’uomo –

una tenerezza molle e delicata93 [e] sopra ogni altra cosa una certa affabilità piacevole, per la quale sappia gentilmente intertenere ogni sorte d’omo con ragionamenti grati ed onesti94. (…) Non deve tampoco, per mostrar d’essere libera e piacevole, dir parole disoneste, né usar una certa domestichezza intemperata e senza freno e modi di far crede di sé quello che forse non è95.

La donna rinascimentale – ossia quella che vive a corte – deve quindi saper praticare i rapporti sociali con ogni sorta d’uomo, senza però mettere in questione la sua virtù (intesa come decoro sessuale) per non correre il rischio di cadere nella lascivia, appunto, o in un amore disonesto. Queste indicazioni sono modellate sopra gli elementi che l’uomo riteneva già propri della condizione femminile, e sono anche finalizzate alla messa in scena rispetto a un occhio che osserva: un occhio maschile, soprattutto96. Tornando a esaminare l’Asino, l’ancella può lasciarsi andare ai suoi istinti e mostrare una personalità maliziosa – che si

92 Sull’importanza del Cortegiano come monumento letterario di un’epoca e sulla sua immensa

fortuna si veda B. Maier, Introduzione, in Il libro del Cortegiano, con una scelta delle Opere minori di Baldesar Castiglione, UTET, Torino 1981, pp. 9-50.

93 B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, cit., libro III, capitolo IV. 94 Ivi, cit., capitolo V.

95 Ibid.

96 A. Quondam, Introduzione, in B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, Garzanti, Milano

svilupperà via via maggiormente nel racconto – proprio perché è estranea a una società maschile. Presto infatti lei stessa rivela che la valle in cui il protagonista è caduto è il regno di Circe, un mondo esclusivamente femminile, in cui alle donne non è imposta nessuna simulazione di decoro. Essendo sotto il comando di colei che sovverte ogni ordine naturale (oltre che mutando le sembianze umane in forme animali, anche autoproclamandosi signora incontrastata di un regno che nella realtà sarebbe spettato esclusivamente a un uomo) l’ancella non è sottoposta alle convenzioni sociali del genere femminile e può comportarsi con una libertà e un’indipendenza inconcepibili in una donna inserita nella società. Il lato sensuale (inteso sia come provocante, sia come sensibile) è anzi condizione necessaria al governo di Circe, perché soltanto chi si lascia corrompere dai sensi, inseguendo piaceri futili e mondani, non mantiene saldi il proprio rigore e la propria ragione, precipitando nel luogo dove si perde qualsiasi libertà97. Il narratore non risponde

direttamente alla domanda sulle ragioni del suo arrivo, e si stringe nelle spalle, ma vorrebbe dire: «mio senno poco, / vano sperare e vana openione / m’han fatto ruinare in questo loco»98.

A questo punto l’ancella si mostra di nuovo comprensiva e senza metterlo ulteriormente a disagio con domande incalzanti gli rivela in quale angolo di mondo sia finito. Attraverso le sue parole entra in scena l’altra figura femminile fondamentale del componimento: Circe, la matriarca che sta al di sopra della fanciulla e di tutta la vicenda. Senza la sua presenza infatti – che per il narratore rimane ancora nascosta – nessuno si troverebbe in quel luogo, né l’ancella stessa né il protagonista sperduto. Il racconto è tutt’altro che rassicurante, ma almeno

97 «Io non vi so ben dir com’io v’entrai, / né so ben la cagion perch’io cascassi / là dove al tutto

libertà lasciai.» N. Machiavelli, L’Asino, cit., II, vv. 22-24.

egli potrà scoprire che cosa si nasconde dietro quella foresta tanto impervia, confrontando ciò che successe in passato con ciò che invece avviene nel presente.

Quando convenne, nel tempo passato, / a Circe abbandonar l’antico nido, / prima che Giove prendesse lo stato, / non ritrovando alcuno albergo fido, / né gente alcuna che la ricevesse, / tanto era grande di sua infamia il grido, / in queste oscure selve, ombrose e spesse, / fuggendo ogni consorzio umano e legge, / suo domicilio e la sua sedia messe99. //

Nella versione machiavelliana la genesi del regno di Circe si fonda su due tragiche rotture: in primo luogo tra la dea e un uomo più potente di lei, e in secondo luogo tra la dea e l’umanità. Costretta a lasciare la sua antica dimora prima che Giove prendesse il potere, Circe cercò a lungo ospitalità tra gli uomini, ma vide chiudersi una dopo l’altra ogni porta alla quale stava bussando a causa della sua reputazione tanto negativa. Non potendo restare nel regno di Giove e neppure tra i mortali per la nomea che la precedeva, Circe si rifugiò in quelle selve nebbiose e lontane e vi stabilì il suo nuovo nido. Soltanto fuggendo da qualsiasi società e legge umana poté quindi diventarne legittima regina100,

governandovi come nemica assoluta degli uomini101. «Tra queste, adunque, solitarie schegge / agli uomini nimica, si dimora, nodrita da’ sospir di questo

99 Ibid., cit., vv. 100-108.

100 Per un’interpretazione dell’immagine di Circe che coniughi genere femminile e politica

nell’opera di Machiavelli si veda H. Fenichel Pitckin, Part III. Women, in Ead., Fortune is a Woman. Gender and Politics in the Thought of Niccolò Machiavelli, University of California Press, Berkeley 1984, pp. 107-169.

101 Il termine vuole indicare l’umanità in generale ma è significativo come nella schiera di

animali trasformati da Circe non compaia quasi mai una donna – controcorrente il libro II de Il Paradiso degli Alberti di G. Gherardi da Prato composto tra il 1517 e il 1525, in cui Circe trasforma in sparviere una figlia che Ulisse aveva avuto prima della partenza per Troia; e La Circe di Giambattista Gelli del 1549, in cui però la donna mutata in cerva è utile all’autore proprio per portare avanti una trattazione anti misogina. Se scegliamo dunque di classificare la parola «uomini» attraverso la categoria di genere, allora Circe, in quanto donna, risulterebbe ostile al solo genere maschile e non a quello femminile. Con lei, infatti, vive in armonia un folto gruppo di donne: «sono al servizio suo molte donzelle, con le quai solo il suo regno governa.» N. Machiavelli, L’Asino, cit., II, vv. 115-116.

gregge. // E perché mai alcun non uscì fuora, / che qui venisse, però mai novelle / di lei si sepper, né si sanno ancora»102. Per l’uomo è possibile accedere al regno di Circe, ma non gli è consentito uscirne – per questo motivo non si conoscono storie su di lei e sul suo regno. Così la fanciulla continua a fornire al protagonista alcune informazioni essenziali, che gli renderanno comprensibile anche il significato di quella schiera di bestie da cui è ormai circondato.

E se mi domandassi, io ti rispondo: / sappi che queste bestie che tu vedi, / uomini, come te, furon nel mondo. // E s’a le mie parole tu non credi, / risguarda un po’ come intorno ti stanno, / e chi ti guarda e chi ti lecca i piedi. // (…) Ciascuna, come te, fu peregrina / in queste selve, e poi fu trasmutata / in queste forme da la mia regina.103

Ogni versione letteraria del mito di Circe insiste sempre su determinati aspetti, che possono essere considerati indispensabili alla sua identificazione: Circe è una donna solitaria e possiede un potere terribile che scaglia contro tutti gli uomini che si trovino al suo cospetto. Nell’Asino Machiavelli insiste particolarmente su questi elementi perché, oltre a inserirli direttamente nella vicenda, spende parte del componimento a raccontarne anche le motivazioni. Viene spiegato infatti come Circe sia arrivata nella foresta in completa solitudine e come il fatto di trasformare in forma animale ogni uomo che capiti sulla sua via privi quest’ultimo della propria felicità104 e invece appaghi lei, «nodrita da’ sospir di questo gregge»105. Il taglio che l’autore sta conferendo al mito di Circe è dunque quello

succeduto all’episodio omerico, secondo cui Circe è una dea sinistra, conosciuta

102 Ibid., cit., vv. 109-114. 103 Ibid., cit., vv. 127-138.

104 «E la cagion del guardare ch’elle fanno / è ch’a ciascuna de la tua ruina / rincresce, e del tuo

male e del tuo danno». Ibid., cit., vv. 133-135.

soltanto per il suo mostruoso potere metamorfico. Nel rivisitare il mito di Circe Machiavelli apporta anche delle modifiche sostanziali per poter adattare il precedente materiale narrativo alle proprie esigenze. Nella variante machiavelliana Circe non trasforma le sue vittime attraverso il filtro magico e la bacchetta, ma per virtù proveniente dal movimento dei cieli. Circe compie la sua magia tramite gli occhi, nell’atto di guardare fisso in volto un uomo. «Questa propria virtù dal ciel gli è data, / che in varie forme faccia convertire, / tosto che ‘l volto d’un uom fiso guata»106. Circe, come una sorta di Medusa107, pietrifica

l’animo umano in un corpo animale attraverso quello che era considerato dall’antichità il più importante dei sensi: la vista. Questa nuova capacità di Circe dona alla dea un’immagine ancora più spaventosa e terribile108. Riuscire a non

fissare lo sguardo in quello di una donna per non cadere in un rischio nefasto – e in questo caso a non essere trascinati dal richiamo dei sensi identificato in Circe – è infatti un’impresa molto ardua109, superabile soltanto grazie all’intervento di

106 Ibid., cit., vv. 139-141.

107 Nella mitologia greca la Gorgone Medusa era una donna che aveva serpenti al posto dei

capelli, lunghe zanne suine, lingua sporgente e il potere di pietrificare dal terrore chiunque incrociasse il suo sguardo. Sull’intero mito di Medusa si vedaGraves, I Miti Greci, p 113 (b; e), p. 156 (e), p. 213 sgg. Per un approfondimento su Medusa come uno dei più rappresentativi mostri femminili si riveda invece C. Mainoldi, Mostri al femminile, in R. Raffaelli (a cura di), Vicende e figure femminili in Grecia e a Roma, atti del convegno Pesaro 28-30 aprile 1994, Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna della Regione Marche, 1995, pp. 69-92.

108 Nella società dell’epoca riuscire a vincere una donna dallo sguardo terrifico era senz’altro

considerata un’impresa che meritava maggiore attenzione rispetto alla vittoria di una donna su un uomo malvagio. Nel 1504, a seguito di alcune sconfitte che Firenze aveva subito nella lotta contro Pisa, fu rimossa da Piazza della Signoria la scultura di Donatello che rappresenta l’eroina biblica Giuditta nell’atto di tagliare il capo a Oloferne, generale assiro che assediava la città ebraica di Betulia, perché considerata come un’ingannatrice che uccide a tradimento un uomo, e quindi causa di sciagure per la città. Al suo posto, come immagine più accettabile e beneaugurante, fu invece collocata la statua del Cellini raffigurante l’eroe mitologico Perseo mentre brandisce la testa di Medusa. Sulla vicenda come caso esemplare del rapporto tra i due sessi si veda G. A. Johnson, Idol or ideal? The power and potency of female public sculpture, in G. A. Johnson e S. F. Matthews Grieco (a cura di), Picturing Women in Renaissance and Baroque Italy, Cambridge University Press, 1997, pp. 222-245.

109 Lo sa bene il protagonista di un mito ripreso da Angelo Poliziano alla fine del XV secolo:

per il desidero di voltarsi a guardare la propria amata Orfeo condannò Euridice a restare per sempre nel regno di Plutone e Proserpina. La reazione di Orfeo però, a dimostrazione della

qualcuno che conosca i metodi per aggirarne l’inganno. L’ancella – come Ermes con Odisseo e Nettuno con Enea – aiuta dunque il protagonista a sfuggire al potere di Circe, affinché non sia scrutato nel profondo attraverso i propri occhi. In un moto trasgressivo verso la sua padrona lo esorta a proseguire carponi per amalgamarsi al gregge, facendolo arrivare indenne a palazzo.

Dopo questo spostamento di luogo – dalla foresta al palazzo – il componimento si focalizza ancora sull’incontro tra la fanciulla e il narratore, continuando a far

Documenti correlati