FORME DI RISCRITTURA
I. 2) Il ritmo dell’avventura
L‟ “avventura globale del mondo cortese-cavalleresco”98 rappresentato da Ariosto è all‟origine anche della passione di Calvino per il romanzo d‟avventura come forma romanzesca per eccellenza, attraverso la quale passa inevitabilmente la possibilità di raccontare ancora il presente e il senso dell‟azione dell‟uomo nella storia, come strumento per ritrovare la propria essenza in un universo che ha smarrito il senso della vita come totalità: «Il romanzo è la forma dell‟avventura, il valore proprio dell‟interiorità, il suo contenuto è la storia dell‟anima che si mette in cammino per conoscere se stessa, che cerca l‟avventura per mettersi, attraverso questa, alla prova e, dopo essersi verificata in essa, ritrovarvi la propria essenza”99.
La matrice dei romanzi d‟avventura è costituita dalle “fiabe di prova”, incentrate sul tema della realizzazione di sé attraverso la figura della maturazione raggiunta affrontando un‟avventura che svela al personaggio la sua verità essenziale attraverso la riduzione della realtà, in senso galileiano, a una serie di “cimenti”: protagonista di queste fiabe è spesso un bambino, emblema dell‟essere umano incompiuto, così come i personaggi calviniani rappresentano tutti casi esemplari di incompiutezza, combattuti tra il tentativo di affermazione della propria presenza nel mondo e la rassegnazione all‟omologazione e all‟eteronomia.
Oltre a essere “vere” per il fatto di rappresentare il “destino” di un uomo o di una donna, le fiabe diventano un modello di realismo per la loro capacità di sintetizzare azione, moralità, giudizio, intelligenza: il racconto perfetto è quindi quello in cui si incarna “lo stampo delle favole più remote: il bambino abbandonato nel bosco o il cavaliere che deve superare incontri con belve e incantesimi, resta lo schema insostituibile di tutte le storie umane, resta il disegno dei grandi romanzi esemplari in cui una personalità morale si realizza muovendosi in una natura e in una società spietate”100.
98 Cfr. Sergio Zatti, Il Furioso tra epos e romanzo, cit., p.14. 99 György Lukács, Teoria del romanzo, cit., p. 118.
I personaggi di Calvino non sono quasi mai interamente umani, ma sono “esseri umani smascherati, il cui aspetto esteriore riproduce emblematicamente una determinata condizione storico-esistenziale”101: si tratta spesso di una condizione di mancanza, di incompiutezza o di privazione a cui bisogna porre rimedio, come nel caso del “danneggiamento” che, secondo Propp, è l‟unica funzione comune a tutte le fiabe di magia e che stimola l‟eroe ad affrontare l‟infinita varietà di incredibili avventure che costituisce l‟intreccio della favola.
A questa tipologia si possono far risalire il visconte Medardo, colpito da una palla di cannone che ha separato la sua metà buona da quella cattiva, il giovane Cosimo, che rifiuta di vivere in società per rifugiarsi sugli alberi, riuscendo anche a vivere una storia d‟amore e a incontrare Napoleone, il cavaliere Agilulfo, che non c‟è ma sa di esserci, sempre accompagnato dallo scudiero Gurdulù, che invece c‟è ma non lo sa, fino all‟estremo del Qfwfq cosmicomico, un‟identità astratta, perennemente mutante e desiderante, che riduce il personaggio a una funzione.
Non si tratta tuttavia di un repertorio di iniziazioni riuscite, visto che è più facile incontrare stati di sospensione, di dubbio, per cui l‟asse del racconto si sposta verso un futuro incerto, fino ad assottigliare sempre di più quella speranza, ormai disincantata, che rimane come principio etico irrinunciabile e dalla quale riparte la necessità di un atteggiamento di continua ricerca, di disponibilità a mettere alla prova i propri valori e le proprie conoscenze, sempre nella consapevolezza della loro imperfezione e inadeguatezza: è la condizione dell‟eroe novecentesco dopo l‟Ulysses di Joyce, che non ha più un‟Itaca a cui tornare, per cui il racconto si risolve nell‟epopea problematica della sua identità, nella mancanza di un altrove reale a cui tendere.
Nello stesso tempo, viene messa in discussione la circolarità finalistica del romanzo di formazione, che vede nella quest dell‟eroe una
101 Cfr.Mario Barenghi, Il fiabesco nella narrativa di Calvino, in Dante Frigessi (a cura di), Inchiesta sulle fate. Italo Calvino e la fiaba, Lubrina, Bergamo 1988, p. 65.
esperienza iniziatica che lo trasforma102 e lo porta a una “epifania del senso” con il conseguente “superamento dell‟alienazione”103: non è più possibile delimitare un processo esaustivo, tipico di una cultura dinamica moderna, ma, in termini gadameriani, “il risultato della Bildung […] sussiste come permanente processo di sviluppo e formazione ulteriore”104, come dimostra il finale sospeso del Il barone rampante.
Il modello narrativo della fiaba come racconto di un destino si riflette in Calvino nella predilezione per un tratto determinato di una singolare esperienza umana, senza indugiare sull‟introspezione psicologica o sulla connotazione sociologica del suo personaggio, ma valorizzando i punti cruciali delle prove e delle scelte che meglio evidenziano la tensione tra il protagonista e il mondo esterno, secondo un‟impostazione che per lo scrittore rappresenta “un atto di moralità letteraria” e che si identifica essenzialmente con la giovinezza, momento delle scelte per eccellenza: «Ma il personaggio del ragazzo era entrato nella letteratura dell‟Ottocento per il bisogno di continuare a proporre all‟uomo un atteggiamento di scoperta e di prova, una possibilità di trasformare ogni esperienza in vittoria, come è possibile solo al fanciullo»105.
Nell‟affermazione dell‟invenzione singola come strumento di conoscenza della realtà che svela rapporti sempre inattesi e nuove gerarchie e in cui l‟immaginazione non è mai puramente decorativa e fine a se stessa, ma si accompagna sempre a una vigile e serrata sorveglianza critica e razionale, Calvino rilancia il ruolo insostituibile della letteratura e la necessità che essa tragga conoscenza da tutti i rami del sapere e dell‟esperienza umana, anche dai discorsi scientifici, trasformando lo straniamento in momento conoscitivo: «Mi interessa della fiaba il disegno lineare della narrazione, il ritmo, l‟essenzialità,il modo in cui il senso di una vita è contenuto in una sintesi di fatti, di prove da superare, di momenti supremi. Così mi sono interessato al rapporto tra la fiaba e le più antiche
102 Cfr. Paola Cabibbo e Annalisa Goldoni, Per una tipologia del romanzo d‟iniziazione, in Paola Cabibbo (a cura di), Sigfrido nel nuovo mondo. Studi sulla narrativa d‟iniziazione, La Goliardica, Roma 1983, pp. 13-14.
103 Cfr. Franco Moretti, Il romanzo di formazione, Garzanti, Milano 1986, pp. 102-103. 104 Cfr. Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo (1960), tr. it., Fabbri, Milano 1972, pp. 31-42.
105 Italo Calvino, Natura e storia nel romanzo (1958), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, cit., p. 36.
forme di romanzo, come il romanzo cavalleresco del Medioevo e i grandi poemi del nostro Rinascimento»106.
Quest‟affermazione testimonia la molteplicità di riferimenti con cui Calvino lavora, che si estendono dal poema cavalleresco al romanzo picaresco e d‟avventura, dalla novella al conte-philosophique: si tratta di diverse forme narrative accomunate dal loro essere indipendenti o periferiche rispetto alla tradizione del realismo romanzesco dell‟Ottocento, ormai inadeguato al nuovo contesto epistemologico novecentesco.
Il rifiuto del linguaggio narrativo realistico ottocentesco e la riluttanza a tracciare un quadro globale della vita della collettività sociale, sono dunque il punto di partenza della strategia narrativa unilineare che accomuna l‟opera calviniana al genere fiabesco, determinando la centralità di un unico protagonista che si muove in un contesto spazio-temporale vaghissimo. L‟essenza dell‟essere umano si rivela così nel suo confrontarsi con l‟oggettività delle cose: ne deriva un senso di isolamento e di estraneità curiosamente legato a un atteggiamento decisamente esplorativo di forte apertura verso la realtà, che si realizza tramite l‟azione e la riflessione107.
Oltre a rifiutare soluzioni avanguardistiche, che avrebbero necessariamente comportato una restrizione del pubblico, Calvino ricontestualizza i materiali della tradizione letteraria nell‟opera concreta, subordinandoli al suo progetto originale di scrittore: in questo modo la tensione verso la leggerezza come “reazione al peso del vivere”108 determina la scoperta di una connessione tra l‟immaginario popolare orale su cui si fonda la fiaba, e la funzione esistenziale della letteratura.
Lo schema antropologico originario del bambino abbandonato nel bosco da solo che deve affrontare il mondo, è anche quello alla base de Il
sentiero dei nidi di ragno, in cui Pavese, già nel 1947, individuò un tono
fiabesco-naturale, caratteristico anche degli altri racconti ispirati alla Resistenza: «Stimolato da una materia spessa e opaca, caotica e tragica,
106 Italo Calvino, Tre correnti del romanzo italiano d‟oggi (1959), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, cit., p. 67.
107 Cfr. Michail Bachtin, Il romanzo di educazione e il suo significato nella storia del realismo, in L‟autore e l‟eroe. Teoria letteraria e scienze umane (1979), tr. it., Einaudi, Torino 1988, pp. 195-211.
108 Cfr. Italo Calvino, Leggerezza, in Lezioni americane. Se proposte per il prossimo millennio, cit., p. 37.
passionale e totale, - la guerra civile, la vita partigiana, da lui vissuta sulla soglia dell‟adolescenza, - Italo Calvino ha risolto il problema di trasfigurarla e farne racconto calandola in una forma fiabesca e avventurosa, di quell‟avventuroso che si dà come esperienza fantastica di tutti i ragazzi»109.
In questa prima fase, l‟aspirazione sthendaliana a scrivere romanzi d‟azione in cui “ciò che ci interessa sopra ogni altra cosa sono le prove che l‟uomo attraversa e il modo in cui le supera”110, trova nelle vicende della Resistenza la sua cornice ideale e ribadisce la feconda contaminazione del genere fiabesco con altri apporti riconducibili a una sequenza Hemingway-Sthendal-Ariosto, che rimarrà sempre per Calvino il riferimento della felicità del narrare e della pienezza dell‟ispirazione: «Senza volerlo, mi accadde fin dagli inizi, mentre mi ponevo come maestri i romanzieri dell‟appassionata e razionale partecipazione attiva alla Storia, da Sthendal a Hemingway e a Malraux, di trovarmi verso di loro nell‟atteggiamento (non parlo si capisce di valori poetici ma solo d‟atteggiamento storico e psicologico) in cui Ariosto si trovava verso i poemi cavallereschi: Ariosto che può vedere tutto soltanto attraverso l‟ironia e la deformazione fantastica»111.
L‟ “imperativo” del romanzo sulla Resistenza, che avrebbe dovuto concentrarsi su un eroe positivo e rifondare “una letteratura come epica, carica d‟un‟energia che fosse insieme razionale e vitale, sociale ed esistenziale, collettiva e autobiografica”112, ovvero un‟epica fattiva, sul modello di Defoe, Melville e Whitman, si salda con la tradizione del romanzo picaresco, non solo ribadendo la tendenza ariostesca alla contaminazione ma riconoscendo, implicitamente, l‟impossibilità di un‟epica nel senso classico: «Le deformazioni della lente espressionistica si proiettano in questo libro sui volti che erano stati di miei cari compagni. Mi studiavo di renderli contraffatti, irriconoscibili, „negativi‟, perché solo nella „negatività‟ trovavo un senso poetico. E nello stesso tempo provavo
109 Cesare Pavese, “Il sentiero dei nidi di ragno”, in “L‟Unità”, ed. romana, 26 ottobre 1947, ora in Id., La letteratura americana e altri saggi, Einaudi, Torino 1962, p. 123. 110 Cfr. Italo Calvino, Il midollo del leone (1955), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, cit., p. 19.
111 Cfr. Italo Calvino, Tre correnti del romanzo italiano d‟oggi (1959), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, cit., p. 68.
rimorso, verso la realtà tanto più variegata e calda e indefinibile, verso le persone vere, che conoscevo come tanto umanamente più ricche e migliori, un rimorso che mi sarei portato dietro per anni»113.
Come aveva già notato Hegel, nello spazio narrativo del romanzo, moderna epopea borghese, viene meno la condizione di un mondo originariamente poetico propria dell‟epos, perché la realtà si risolve in prosa, nella quale l‟universalità è sostituita da fini particolari e le avventure sono mere accidentalità nel regno dell‟illusorio e dell‟arbitrario: «Questa relatività dei fini in un ambiente relativo, la cui determinazione e complicazione non si trova nel soggetto, ma si determina esteriormente e accidentalmente, introducendo collisioni accidentali e ramificazioni intrecciantisi reciprocamente in modo fuori dell‟ordinario, costituisce, dunque, l‟avventuroso, che per la forma degli eventi e delle azioni offre il tipo fondamentale del romantico»114.
Ariosto e Cervantes sono per Hegel gli autori nei quali si compie l‟eclissi del mondo cavalleresco, dove “tutta questa avventurosità si mostra […] tanto nelle sue azioni ed avvenimenti, quanto nelle sue conseguenze, come un mondo che si dissolve in se stesso e quindi come un mondo comico di eventi e destini”115: se il primo sviluppa soprattutto il lato favoloso dell‟avventura, che resta in fondo solo un lieve divertimento, il secondo elabora invece il lato romanzesco, intrecciando in una cornice di esplicita ironia “una serie di autentiche novelle romantiche, tese a conservare nel suo vero valore quel che il resto del romanzo dissolve comicamente”116.
Nell‟ Estetica hegeliana l‟avventurosità è quindi ormai espressione della cattiva infinità priva di scopo, di una deriva nell‟indeterminato: in un panorama nel quale l‟epos è inattuale, l‟eroe avventuroso moderno, nostalgico di una totalità perduta, è volto allo scacco e ad approdi mai definitivi, sancendo l‟inesorabilità di un meccanismo narrativo ripetitivo e, nello stesso tempo, insensato, nel quale non gli resta altro da fare che “agire
113 Cfr. Italo Calvino, Prefazione 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, cit., p. XII.
114 Cfr. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetica, a cura di Nicolao Merker, Einaudi, Torino 1967, p. 657.
115 Ibidem, p. 661. 116 Ibidem, p. 662-663.
per agire”, senza poter scalfire l‟invincibile prosaicità del mondo o realizzare un‟opera in se stessa fondata.
Il romanzo popolare e d‟avventura riflette quindi la trasposizione di un problema stereometrico, insolubile in superficie, nello spazio: la tematica epico-cavalleresca, privata della sua originaria generalità speculativa, è costretta a trasferirsi nel concreto spazio letterario, a mutare la propria funzione, assumendo le strutture narrative di un “genere” e le leggi della sua trasformazione.
Analogamente a quanto afferma Hegel, Calvino attribuisce al personaggio di Don Chisciotte un ruolo fondativo rispetto all‟epica moderna, con il quale entra in gioco “una soggettività interna al mondo scritto”: «Il personaggio di Don Chisciotte rende possibile lo scontro e l‟incontro tra due linguaggi antitetici, anzi tra due universi letterari senza alcun punto in comune: il meraviglioso cavalleresco e il comico picaresco, e apre una dimensione nuova, anzi due: un livello di realtà mentale estremamente complessa e una rappresentazione ambientale che possiamo chiamare realistica, ma in un senso del tutto nuovo rispetto al “realismo” picaresco che era repertorio d‟immagini stereotipe di miseria e bruttezza»117.
Per Foucault il personaggio di Cervantes traccia il “negativo” del mondo rinascimentale, perché con esso la scrittura ha cessato di essere “prosa del mondo”, referenziale, e “i segni del linguaggio non hanno più come valore che la tenue finzione di ciò che rappresentano”, introducendo una irreparabile frattura tra parole e cose: «[…] le somiglianze e i segni hanno sciolto la loro antica intesa; le similitudini deludono, inclinano alla visione e al delirio; le cose restano ostinatamente nella loro ironica identità: sono soltanto quello che sono; le parole vagano all‟avventura, prive di contenuto, prive di somiglianza che le riempia; non contrassegnano più le cose; dormono tra le pagine dei libri in mezzo alla polvere. La magia, che consentiva la decifrazione del mondo scoprendo le somiglianze segrete sotto i segni, non serve più che a spiegare in termini di delirio perché le analogie sono sempre deluse. […] La realtà di Don Chisciotte non è nel rapporto tra
117 Italo Calvino, I livelli della realtà in letteratura(1978), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, cit., p. 319.
parole e mondo, ma nella tenue e costante relazione che i segni verbali intrecciano da sé a sé. La finzione delusa delle epopee è divenuta il potere rappresentativo del linguaggio. Le parole si sono chiuse sulla loro natura di segni»118.
Il Don Chisciotte è un modello ideale per Calvino, perché in esso si combinano la concatenazione, ovvero la serialità virtualmente aperta all‟infinito degli episodi (che può essere considerata un retaggio derivante dai romanzi picareschi) e la tecnica dell‟inserzione di novelle a incastro, più propriamente legata alla tradizione epico-cavalleresca, con un‟accentuazione del ruolo dell‟intreccio che comporta la riduzione dei personaggi a funzioni, come nella fiaba, testimoniando lo svuotamento dei paradigmi epici: «Don Chisciotte è un personaggio dotato d‟una iconicità inconfondibile e d‟una ricchezza interiore inesauribile. Ma non è detto che un personaggio per adempiere alla funzione di protagonista debba avere necessariamente tanto spessore. La funzione del personaggio può paragonarsi a quella di un operatore, nel senso che questo termine ha in matematica. Se la sua funzione è ben definita, egli può limitarsi a essere un nome, un profilo, un geroglifico, un segno»119.
Nel passaggio dal Gordon Pym di Poe a Conrad lo schema del romanzo d‟avventure di derivazione robinsoniana120 raggiunge un punto di non-ritorno, interrompendo la narrazione alle soglie della rivelazione e spingendo la ragione in spazi non più misurabili: viene così sovvertita la circolarità tipica della “epistemologia avventurosa”, che prevede il ritorno al punto di partenza e la ricomposizione dell‟ordine.
Calvino stesso sottolinea come per Conrad sembri irreversibile la trasformazione dei valori che informano l‟agire sociale, perché “l‟eroe marinaio e coloniale d‟un tempo, avventuriero leale e cavalleresco” scompare e cede il passo a una torma di funzionari di compagnie coloniali, senza moralità o con utopistici ideali, che finiscono “insabbiati nella
118 Marcel Foucault, Le parole e le cose. Un‟archeologia delle scienze umane (1966), tr.it., Rizzoli, Milano 1996, pp. 62-63.
119 Italo Calvino, I livelli della realtà in letteratura(1978), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, cit., p. 385.
colonia”121, per cui l‟etichetta di letteratura avventurosa si rivela inadeguata e sminuisce la narrativa dello scrittore polacco: «Joseph Conrad in Italia è più nominato che letto. O meglio, i suoi lettori più che nel “pubblico colto” sono tra i clienti delle bancarelle che ricomprano i suoi romanzi nei rossi volumi Sonzogno, in mezzo ai libri d‟avventure di Zane Gray o di Curwood. Ma l‟avventura, in Conrad, è solo la buccia: che egli fu uno scrutatore d‟anime da stare a petto di Dostoevskij (pur odiato da lui), un felicissimo inventore di storie e figure e atmosfere, e uno dei principali artefici, con James e Proust, della rivoluzione (e crisi) nella tecnica narrativa alla fine del secolo scorso (il romanzo marinaro con lui non ha più il suo centro d‟interesse nell‟avventura, ma nel commento psicologico e nella sfumata ricerca della memoria)»122.
Oltre a documentare la ricezione popolare di Conrad e la grande diffusione del romanzo d‟avventura negli anni della sua formazione, Calvino tocca indirettamente la questione dei modelli del genere: per Falcetto l‟anglofilia è una vera e propria “vena carsica” nella produzione dello scrittore ligure, mai ammessa esplicitamente, seguendo la quale è possibile esplorare in modo nuovo la sua “percezione del mondo”123.
Quando afferma che “nella nuova idea di letteratura che smaniavo di fare rivivevano tutti gli universi letterari che m‟avevano incantato dal tempo dell‟infanzia in poi”124, Calvino pensa probabilmente a Kipling, a Conrad, a Stevenson e a Hemingway: si tratta di classici che hanno fornito i modelli per la formalizzazione delle esperienze successive, dei veri e propri “occhi o libri-occhi”125 aperti sull‟esperienza, che confermano la veridicità di quella formazione cosmopolita dello scrittore sanremese che darebbe ragione anche dell‟eccentricità delle sue scelte narrative.
Come conferma Paolo Spriano, che conobbe Calvino dopo il trasferimento a Torino nell‟autunno del 1945, lo scrittore era “il più colto” tra i suoi “compagni coetanei” per il fatto che “non si era soltanto nutrito di
121 Italo Calvino, Joseph Conrad scrittore poeta e uomo di mare, in “L‟Unità”, 6 agosto 1949; ora è in Id., Saggi 1945-85, cit., tomo I, p. 812.
122 Ibidem, p. 811.
123 Cfr. Bruno Falcetto, La tensione dell‟esistenza. Vitalismo e razionalità in Calvino dal Sentiero allo Scrutatore, in Mario Boselli (a cura di), Italo Calvino/1, in “Nuova Corrente”, XXXIV, 99, gennaio-giugno 1987, p. 55.
124 Italo Calvino, Prefazione 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, cit., p. IX. 125 Ibidem.
Hemingway, di Steinbeck, di Faulkner, di Sartre, di Vittorini, come tutti noi”, ma “conosceva a fondo la letteratura, la grande letteratura russa, inglese, francese, italiana” e “aveva anche una mentalità scientifica”126.
Calvino stesso ci parla delle sue letture cosmopolite e dei suoi gusti non sempre propriamente colti, rivelando che “ogni giovane scrittore italiano del tempo rivolgeva la sua attenzione al panorama delle lettere,