FORME DI RISCRITTURA
I. 3) Una infinita molteplicità di storie
Le mille e una notte è un altro testo fondamentale nella biblioteca
ideale di Calvino, l‟opera che rappresenta l‟emblema di ogni forma di narrazione e in cui lo scrittore ritrova la suggestione del racconto orale interminabile e di una struttura senza autore tipica della spontaneità popolare, della continua frammentazione e disgregazione che diventa tuttavia “chance affabulatoria garante di sopravvivenza”210.
Si tratta di caratteristiche che accomunano la novellistica orientale con la tradizione fiabesca occidentale e sulle quali Calvino ha costruito l‟impianto di Se una notte d‟inverno un viaggiatore, opera che diventa l‟occasione per una riflessione sui meccanismi testuali e sulla
208 Henri Meschonnic, Critique du rythme. Anthropologie historique du langage, Lagrasse, Verdier 1982, pp. 216-217.
209 Id., Se la teoria del ritmo cambia tutta la teoria del linguaggio cambia, in “Studi di estetica”, XXVIII, 21, gennaio-giugno 2000, p. 19.
210 Cfr. Marina Paino, Calvino alle porte di Bagdad, in L‟ombra di Sheherazade. Suggestioni delle “Mille e una notte” nel Novecento italiano, Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 2004, p. 78.
riformulazione del modello di narrazione della fiaba all‟interno della narrativa contemporanea e della letteratura di massa: «Trent‟anni fa mi sono gettato nella foresta del racconto popolare […]. Questa esperienza ha rafforzato in me l‟attenzione per alcuni aspetti, la proliferazione di storie l‟una dall‟altra, le strutture più semplici ed efficaci che sono riconoscibili come scheletro delle vicende più complicate, l‟origine orale dell‟arte del raccontare, origine di cui restano le tracce anche quando quest‟arte si concreta in opere scritte, l‟interesse per le raccolte di novelle indiane, arabe, persiane, la cui influenza è stata sensibile nello sviluppo della novellistica italiana ed europea. Spesso nella letteratura scritta, questa molteplicità infinita di storie tramandate di bocca in bocca è resa attraverso una cornice, una storia in cui si inseriscono altre storie»211.
Già nell‟operazione delle Fiabe italiane Calvino aveva riconosciuto il forte debito nei confronti de Le mille e una notte e dell‟edizione settecentesca di Galland che, alla fine degli anni Quaranta, era stata rivisitata da Francesco Gabrieli, generando anche nello scrittore un interesse più scientifico verso la tradizione italiana, rintracciabile a partire dalla recensione a Propp del 1949212.
Nella raccolta fiabistica del 1956 il racconto Il pappagallo213 riprende esplicitamente la struttura dilatoria delle storie raccontate da Sheherazade, documentando in modo perfetto il modo di procedere dei narratori popolari, attraverso una sorta di parodica mise en abîme: con il pretesto di salvare la verginità di una ragazza dalle brame di un Re corteggiatore, la storia viene continuamente ripresa, la macchina del racconto si rimette in moto nel momento in cui comincia a spegnersi, fino a un classico lieto fine, nel quale il pappagallo-affabulatore, scopre di essere anche lui un Re e di essersi nel frattempo innamorato della sua ascoltatrice che chiede in sposa al padre.
211 Italo Calvino, Il libro, i libri (1984), in Saggi 1945-85, vol. II, cit., pp. 1855-1856. 212 Cfr. Italo Calvino, Sono solo fantasia i racconti di fate?, in “l‟Unità”, 6 luglio 1949; con il titolo Vladimir Ja. Propp, “Le radici storiche dei racconti di fate”, è ora in Id., Saggi 1945-85, vol. II, cit., pp. 1541-1543.
213 Cfr. Italo Calvino, Fiabe italiane (1956), a cura di Mario Lavagetto, Mondadori, Milano 1993, pp. 121-125.
L‟affermazione di una autorialità indefinibile, connaturata ai processi orali di nascita e diffusione delle fiabe, è la cifra che contraddistingue anche le Fiabe del focolare dei fratelli Grimm, il cui intento era “fare un libro anonimo, un libro il cui autore fosse il popolo”214, capace cioè di coinvolgere in un processo di cooperazione ogni singolo lettore e di essere, nello stesso tempo, sintesi di tutte le letture precedenti e momento di apertura verso nuove e potenziali letture future: «Gli autori di questo libro di fiabe […] non sono solo i fratelli Grimm, ma anche le narratrici e i narratori dalla cui voce i Grimm le ascoltarono, e pure coloro da cui essi le avevano ascoltate, e così via tutti gli uomini e le donne che hanno trasmesso questi racconti di bocca in bocca per chissà quanti secoli»215.
Quello a cui pensano i fratelli Grimm non è solo un‟opera suggestivamente priva di un autore individuabile, ma un testo costantemente in potenza più che in atto, un‟ opera aperta, dinamica, che ha già in sé quella “vocazione enciclopedica” che Calvino riconosce alla narrativa romanzesca216 e che la colloca a pieno titolo tra quei “libri tutti da leggere e da ricordare, libri che aprono: verso altri libri e verso il mondo”217.
Il pappagallo è già un modello di narrazione a cornice come sarà Se una notte d‟inverno un viaggiatore, con un narratore che non si limita a
rientrare negli schemi prestabiliti ma si sottrae a essi con “istintiva furberia”, come farà lo stesso Calvino soprattutto nelle opere di carattere più marcatamente combinatorio: «[…] nella stessa costruzione narrativa del
Pappagallo s‟esprime qualcosa di più profondo: l‟intelligenza tecnica di cui
fa sfoggio il narratore, che qui è oggettivata in senso umoristico, nella parodia delle fiabe “che non finiscono mai”. Ed è là per noi la sua morale vera: alla mancanza di libertà della tradizione popolare, a questa legge non scritta per cui al popolo è concesso solo di ripetere triti motivi, senza vera “creazione”, il narratore di fiabe sfugge con una sorta d‟istintiva furberia:
214 Cfr. Italo Calvino, Presentazione a Jacob e Wilhelm Grimm, Le fiabe del focolare, a cura di Italo Calvino, Einaudi, Torino 1970, ora in Id., Saggi 1945-85, vol. II, cit., p. 1566. 215 Ibidem.
216 Cfr. Italo Calvino, Il libro, i libri, in Saggi 1945-85, tomo II, cit., p. 1852.
217 Cfr. Italo Calvino, La “Einaudi Biblioteca Giovani”, in “Libri Nuovi”, VIII, 1, gennaio 1976, ora in Saggi 1945-85, vol. II, cit., p. 1722.
lui stesso crede forse di far solo delle variazioni su un tema; ma in realtà finisce per parlarci di quel che gli sta a cuore»218.
Il regime anonimo e collettivo della narrazione viene evocato, insieme ai temi del mito e del destino, anche nella prefazione del 1955 per una raccolta di fiabe africane219, dove lo statuto precario del narratore individuale e la pluralità delle voci che sono alla base del racconto ricordano l‟analoga tecnica in atto nei racconti della Resistenza, presentata dalla prefazione al Sentiero dei nidi di ragno: «Chi cominciò a scrivere allora si trovò così a trattare la medesima materia dell‟anonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona o di cui eravamo stati spettatori s‟aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un‟espressione mimica. Durante la guerra partigiana le storie appena vissute si trasformavano e trasfiguravano in storie raccontate la notte attorno al fuoco, acquistavano già uno stile, un linguaggio, un umore come di bravata, una ricerca d‟effetti angosciosi o truculenti. Alcuni miei racconti, alcune pagine di questo romanzo hanno all‟origine questa tradizione orale appena nata, nei fatti, nel linguaggio»220.
All‟originaria e inesauribile dimensione orale del raccontare rimanda, in Se una notte d‟inverno un viaggiatore, il “Padre dei racconti”, metafora di tutto ciò che viene prima della scrittura e che è potenzialmente pronto per una nuova reincarnazione, contrapposto alla figura di Ermes Marana, il falsario, simbolo di tutte le contraffazioni operate dalla scrittura ai danni dell‟oralità: in quest‟ottica, oltre a profilarsi una distinzione tra cultura “egemone” e cultura “subalterna”, tra spontaneità orale anonima e produzione letteraria, non è fuori luogo l‟identificazione di Zumthor tra l‟oralità e la vocalità preesistente al senso, perché la prima prepara il luogo in cui il senso può dirsi221.
Il confronto con Le mille e una notte e con le fiabe rappresenta per Calvino un‟occasione di autochiarimento, che, se da un lato specifica quell‟
218 Italo Calvino, Introduzione a Fiabe italiane, cit., p. L.
219 Cfr. Italo Calvino, Prefazione a Fiabe africane, a cura di Paul Radin, Einaudi, Torino 1955, ora in Id., Sulla fiaba, a cura di Mario Lavagetto, Einaudi, Torino 1988, pp. 3-10. 220 Italo Calvino, Prefazione 1964 a Il Sentiero dei nidi di ragno, cit., p. VIII.
221 Cfr. Paul Zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, Il Mulino, Bologna 1984, p. 6.
“elemento fiabesco” che Pavese e Vittorini avevano individuato come peculiare della sua scrittura, dall‟altro gli consente di rapportarsi alla tradizione con assoluta libertà e autonomia, utilizzando e ricontestualizzando nell‟opera concreta i materiali “di genere”, inseriti quindi in un progetto originale, secondo il modo di procedere di un vero poeta orale.
Facendola uscire dal territorio ristretto degli studi etnologici e antropologici, Calvino inserisce la fiaba nel mainstream e la considera il genere letterario esemplare per affrontare il tema della circolazione delle forme letterarie dall‟oralità alla scrittura, e viceversa, cogliendo la connessione profonda tra l‟immaginario popolare su cui si fonda la fiaba e la funzione esistenziale della letteratura, con la sua “ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere”222.
Al narratore popolare e a quella che potremmo definire “funzione Sheherazade” rimanda anche il motivo della procrastinazione delle scadenze di chiusura del racconto, del mantenimento della “suspension of disbelief”, ovvero del principio di piacere che si esprime nella stessa tensione alla serialità della letteratura di consumo223.
Come confessa nella prefazione alle Fiabe italiane, Calvino si immedesima completamente con la concezione dell‟originalità tipica delle culture orali, in cui la creatività non consiste nel creare qualcosa di nuovo dal nulla, ma nel saper adattare i materiali tradizionali in maniera efficace a ogni individuo, situazione e pubblico, recependone l‟ “orizzonte d‟attesa”: « In tutto questo mi facevo forte del proverbio toscano caro al Nerucci: “La novella nun è bella, se sopra nun ci si rappella”, la novella vale per quel che su di essa tesse e ritesse ogni volta chi la racconta, per quel tanto di nuovo che ci s‟aggiunge passando di bocca in bocca»224.
Nella sua traduzione delle fiabe, Calvino conserva molte peculiarità del discorso orale, come l‟andamento prevalentemente paratattico e ridondante del discorso, l‟uso di formule mnemoniche e di motivi ricorrenti
222 Cfr. Italo Calvino, Leggerezza in Lezioni americane, cit., p. 7.
223 Cfr. Mario Lavagetto, “Una scala che affonda nelle viscere della Terra”. Freud e la fiaba, in Alberto Maria Cirese (a cura di), Tutto è fiaba. Atti del convegno internazionale di studi sulla fiaba (Parma), Emme, Milano 1980, pp. 123-139.
organizzati in scansioni ritmiche, l‟assemblaggio di blocchi mobili e intercambiabili con un procedimento combinatorio, che generano l‟effetto
patchwork di una serialità potenzialmente infinita: si tratta di elementi che
poi ritorneranno nelle opere narrative di Calvino, insieme alla preferenza per tutto ciò che è concreto piuttosto che astratto, al ricorso a figure eccessivamente eroiche o bizzarre, più funzionali alla persistenza mnemonica, alla tendenza alla schematizzazione caratteriale contro ogni psicologismo.
Come sottolinea Giovanna Cerina, “anche la fiaba nata direttamente come fiaba scritta esige di essere collocata in una situazione di oralità, seppure di oralità simulata”225: il fatto di introdurre un narratore che finge di rivolgersi direttamente ai lettori-ascoltatori, cosa che avviene anche ne Il
castello dei destini incrociati e soprattutto in Se una notte d‟inverno un viaggiatore, è motivato dall‟esigenza della scrittura di recuperare
l‟esperienza della narrazione orale, perché “il codice fiabesco è la risultante di un‟operazione sincretica dove oralità e scrittura s‟incrociano e si enfatizzano”226.
L‟oralità è uno dei tratti distintivi del codice fiabesco e permane anche dopo l‟attualizzazione in un testo scritto, insieme alla sua potenziale “duttilità” e “trasmutabilità”.
Calvino amplifica inoltre il ritmo e l‟economia espressiva della fiaba, ovvero quelle caratteristiche della narrazione orale in cui egli riconosce il segreto per mantenere viva l‟attenzione dell‟ascoltatore-lettore e il suo desiderio di ascoltare il seguito della storia: la sua operazione non è quindi una semplice traduzione-riscrittura, ma “una felice produzione di fiabe nelle quali sono evidenti il gusto e lo stile dell‟artista: Calvino finisce così per „creare‟ le fiabe italiane, riconducendo all‟unità della propria cifra stilistica le diverse fiabe dialettali assunte come punto di partenza”227.
Una fiaba come La sorella del Conte, che Calvino considera la più bella fiaba d‟amore italiana, è emblematica anche per capire la posizione
225 Cfr. Giovanna Cerina, La fiaba tra oralità e scrittura: aspetti semiotici, in Giovanna Cerina, Cristina Lavinio, Luisa Mulas (a cura di), Oralità e scrittura nel sistema letterario, Atti del Convegno. Cagliari, 14-16 aprile 1980, Bulzoni, Roma 1982, p. 116.
226 Ibidem.
227 Cfr. Cristina Lavinio, La magia della fiaba: tra oralità e scrittura, La Nuova Italia, Scandicci 1993, p. 156.
dello scrittore riguardo alla dialettica di recupero/trasgressione dei generi avviata dalla reazione all‟arte d‟avanguardia: l‟incontro tra i due protagonisti, il Reuzzo e la Contessina si svolge ogni sera con le stesse modalità, ma l‟effetto fastidioso di ridondanza viene evitato grazie all‟allegra musicalità dei dialoghi tra i due e al “sospiro di malinconica gioia sensuale”228.
Ci sono poi fiabe in cui Calvino si prende qualche libertà, per esempio I tre racconti dei tre figli dei tre mercanti, dove la struttura “a cornice”, come ne Il pappagallo, unifica tre avventure diverse all‟interno della vicenda principale e il finale resta sospeso, imitando quelli dei novellieri letterati.
Oltre all‟accentuazione del dialogato e ai frequenti richiami alla situazione reale dell‟enunciazione, in cui interagiscono narratori e narratari, un altro elemento che riproduce il discorso orale è la riproduzione delle ripetizioni che si accompagnano a una organizzazione mnemonica del pensiero: la ridondanza deriva dalla necessità di non interrompersi mentre si pensa a cosa dire dopo ed è intensificata dalla presenza di un uditorio la cui attenzione deve essere mantenuta viva.
Caratteristiche come l‟uso frequente del “racconto singolativo anaforico”229 o di ripetizioni reperibili solo a livello di intreccio e non di fabula, o le descrizioni stereotipe degli attributi dei personaggi, sono motivate sempre dall‟esigenza mnemonica e contraddistinguono la fiaba come genere intrinsecamente orale, svincolato dai criteri di originalità e unicità imposti dal Romanticismo in poi e invece vicino alle forme di comunicazione di massa: «La letteratura orale è infatti governata da un altro tipo di estetica, quella della ripetizione e della fruizione ripetitiva. È un‟estetica „rassicurante‟, che forse corrisponde a un bisogno più diffuso di quanto pensiamo, se sta alla base tanto del fatto che i bambini amano sentirsi raccontare spesso le fiabe che già conoscono, quanto del grande successo popolare di serials o telenovelas, dalla struttura estremamente scontata e ripetitiva. Né si tratta di un tipo di estetica valido solo a livello
228 Cfr. Italo Calvino, La sorella del Conte, in Fiabe italiane, cit., p. 87. 229 Cfr. Cristina Lavinio, op. cit., p. 130.
infantile e popolare; c‟è anzi un intero ambito artistico, quello musicale, in cui la funzione ripetitiva è di regola, dato che tutti amiamo ascoltare spesso i nostri brani preferiti»230.
Anche nelle formule dell‟epica è presente lo stesso modello narrativo mnemonico che informa le fiabe, paragonabile, in senso saussuriano, alla
langue, rispetto alla quale i racconti fiabeschi sarebbero atti di parole231: la varietà della fiaba e la sua tendenza alla contaminazione creativa e intertestuale sono legate alla sua natura di testo orale, che solo la scrittura può fissare in una forma definitiva.
In Calvino i procedimenti dell‟oralità, tipici della fiaba in generale, entrano spesso nelle stesse forme scritte: nelle fiabe, infatti, “si può trovare addirittura un‟esasperazione degli elementi che caratterizzano il genere, con triplicazioni sistematiche, reiterazione quasi ossessiva dei versicoli di scansione e sottolineatura dei momenti cruciali, e così via”232.
Calvino vuole porsi “come anello dell‟anonima catena senza fine per cui le fiabe si tramandano”233, con la consapevolezza di rinnovare una tradizione che altrimenti scomparirebbe: la compresenza ambivalente dei canoni di uniformità e di ripetibilità (in cui Propp aveva individuato la ragione del fascino della fiaba) e di una sorprendente varietà, è sicuramente alla base dell‟interesse per il gioco combinatorio.
L‟esaurimento della tradizione orale come modalità narrativa non provoca necessariamente la scomparsa delle qualità stilistiche e dei valori che essa incarna, che sono trasferibili anche alla narrativa, con una scrittura capace di riprodurre la precarietà e l‟apertura del discorso orale e di superare la resistenza del testo facendosi fluida, molteplice, frammentaria, come la voce.
L‟idea di letteratura che sottende Se una notte d‟inverno un
viaggiatore, come spazio della “mitopoiesi, luogo dei narrabili, repertorio o
combinatoria degli archetipi, crocevia e termine di paragone degli usi del
230 Ibidem, pp. 113-114.
231 Cfr. Roman Jakobson e Pëtr Bogatyrëv, Il folklore come forma di creazione autonoma, in “Strumenti critici”, II, 1, giugno 1967, pp. 223-238.
232 Cfr. Cristina Lavinio, op. cit., p. 108.
linguaggio e delle narrazioni non linguistiche”234, è sicuramente motivata dall‟obiettivo di inglobare nelle strutture narrative le forme della narrazione orale: partendo dalla consapevolezza che “l‟insolubilità di ciò che resta sempre aperto è infinita al pari della sua possibile soluzione”235 e che “il libro unico non esiste, [e] la totalità non può essere contenuta nel linguaggio, e il problema è non solo il scritto‟ ma anche il „non-scrivibile‟”236, non resta da fare altro che scrivere tutti i libri di tutti gli autori possibili, trasformando così il romanzo nel luogo dei possibili narrativi.
Il mito di un‟archifiaba o archiracconto, perfetto, compiuto e onnicomprensivo, da cui sarebbero deducibili tutte le fiabe e tutti i racconti, richiede la messa in discussione della figura dell‟autore e va al di là dei limiti della parola scritta o di qualsiasi sua grammatica, nei termini enunciati anche da Celati e riconducibili sempre al primato della mitopoiesi237: «La fabulazione è in se stessa l‟illimitato divenire e tutte le metamorfosi a cui soggiacciamo: come tale non fissabile, sempre inaugurale e sempre subito perduta. La scrittura la chiama, la cerca con le proprie mosse. Per trovarla deve uscire da se stessa, se riesce a farcela. Il problema dello scrivere oggi è tutto qui»238.
Le fiabe popolari sono per essenza apocrife e sembrano obbedire ai principi elaborati da Ermes Marana nei suoi “sogni”, nei quali regna una incertezza sistematica sull‟identità di chi racconta le storie o le ripete o le contamina o le deforma, introducendo in ognuna di esse “nuovi strumenti”, proprio come avviene nella rielaborazione della tradizione popolare.
Anche in Se una notte d‟inverno un viaggiatore, come in The figure
in the carpet di Henry James, dove la lettura viene paragonata a una partita
di scacchi, chi legge si trova davanti, dall‟altra parte del tavolo, “a ghostler
form”, una figura sfuggente e nascosta: allo stesso modo, nelle fiabe,
234 Cfr. Mario Barenghi, Congetture su un dissenso, in Marco Barenghi e Marco Belpoliti (a cura di), “Alì Babà”. Progetto di una rivista, cit., p. 16.
235 Cfr. Ezio Raimondi, Scienza e letteratura, Einaudi, Torino 1978, pp. 14-15.
236 Cfr. Mario Lavagetto, Per l‟identità di uno scrittore di apocrifi, in Dovuto a Calvino, cit., p. 30.
237 Cfr. Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla letteratura come processo combinatorio), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, cit., p. 172-173. 238 Marco Belpoliti, Settanta, Einaudi, Torino 2001, p. 139.
dall‟altra parte del testo, non c‟è una sola figura, ma ce ne sono molte, il fantasma si è moltiplicato e continua a moltiplicarsi.
Gli autori degli incipit sono nomi o voci anonime, non esistono come personaggi, fanno perdere le loro tracce nella rete intertestuale, dove tutto appare già letto e non riferibile ad alcun io autoriale ben definito, irreperibile nella sua origine: «L‟intertestualità nella quale è situato ogni testo, dal momento che è a sua volta l‟infratesto di un altro testo, non può essere confusa con una qualche origine del testo stesso: ricercare le “fonti”, gli “influssi” di un‟opera significa rispettare il mito della filiazione; le citazioni di cui è fatto un testo sono anonime, irripetibili e tuttavia già lette: sono citazioni senza virgolette»239.
Già in Cibernetica e fantasmi Calvino aveva dato un‟impostazione teorica al tema della scomparsa dell‟Autore, in anticipo rispetto alla cultura letteraria italiana: in Se una notte d‟inverno un viaggiatore ne fornisce una lettura narrativa, creando uno spazio a più dimensioni, in cui si intrecciano e si sovrappongono diverse scritture, nessuna delle quali è originale, visto che