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La riscrittura intertestuale

Nel documento CALVINO E LA RISCRITTURA DEI GENERI (pagine 137-169)

FORME DI RISCRITTURA

I. 4) La riscrittura intertestuale

Fin da Il Sentiero dei nidi di ragno il recupero dei generi si verifica insieme alla loro trasmutazione359, in un processo di trasferimento e dinamismo intertestuale che coinvolge dialogicamente forme di comunicazione diverse e che rappresenta il tentativo di dinamizzare la nozione di testo in senso bachtiniano: «Nel romanzo devono essere rappresentate tutte le voci ideologico-sociali di un‟epoca, cioè le lingue in qualche misura essenziali di un‟epoca: il romanzo deve essere il microcosmo della pluridiscorsività […] Ogni lingua, nel romanzo, è un punto di vista, un orizzonte ideologico-sociale di reali gruppi sociali e dei loro incarnati rappresentanti […] Il romanzo è costruito non su divergenze astrattamente semantiche, né su collisioni semplicemente legate all‟intreccio, ma su una concreta pluridiscorsività sociale”360.

Nella prefazione al Sentiero del 1964, ricordando le perplessità dei suoi “primissimi lettori” riguardo all‟ eccesso di teoria del capitolo nono rispetto alla “rappresentazione immediata, oggettiva, come linguaggio e come immagini” del resto del libro, Calvino rivendica la sua scelta spuria e composita rispetto al dogma allora vigente dell‟unità stilistica, e la giustifica nell‟ottica della molteplicità e dell‟inesauribile ricchezza di stratificazioni che il romanzo riproduce al proprio interno, per cui, più che di “neorealismo”, si dovrebbe parlare di “neo-espressionismo”: «Anche l‟altro grande tema futuro di discussione critica, il tema lingua-dialetto, è presente

358 Italo Calvino, Se una notte d‟inverno un viaggiatore, cit., p. 60.

359 Cfr. Marcello Sechi, La deriva dei generi, in Marcello Sechi e Bruno Brunetti, Lessico novecentesco, Edizioni Graphis, Bari 1996, pp. 8-9.

360 Michail Bachtin, Estetica e romanzo (1934-35), tr. it., Einaudi, Torino 1979, pp. 218-219.

qui nella sua fase ingenua: dialetto aggrumato in macchie di colore (mentre nelle narrazioni che scriverò in seguito cercherò di assorbirlo tutto nella lingua, come un plasma vitale ma nascosto); scrittura ineguale che ora quasi s‟impreziosisce ora corre giù come vien viene badando solo alla resa immediata; un repertorio documentaristico (modi di dire popolari, canzoni) che arriva quasi al folklore…»361.

Dall‟esigenza di articolare nel testo la più ampia gamma possibile di relazioni tra le più varie manifestazioni discorsive della cultura materiale e orale di una determinata epoca deriva per il romanzo una condizione di plurilinguismo e pluristilismo, caratterizzata da una presenza “attiva” delle voci e dei linguaggi che interagiscono e si “inquinano”362 nella rete intertestuale: non si tratta semplicemente di materiale di riporto, di citazioni, perché “nell‟ibrido romanzesco voluto non soltanto e non tanto si mescolano le forme linguistiche, i connotati di due lingue e stili, ma prima di tutto si scontrano i punti di vista sul mondo riposti in queste forme. Perciò l‟ibrido artistico voluto è un ibrido semantico, ma non astrattamente semantico, bensì semantico-sociale-concreto”363.

Al di là del punto di vista fiabesco di Pin, nel Sentiero emerge la forte caratterizzazione storico-sociale della lingua romanzesca, fondata sull‟intersezione di diversi piani linguistici, sulla loro interrelazione dialogizzata e sui dialoghi puri, come presupposti per recuperare il mondo della vita, la sua immediatezza, e trasformare in opera letteraria “quel mondo che era per noi il mondo”, includendo la varietà degli “elementi extraletterari” che “stavano lì tanto massicci e indiscutibili che parevano un dato di natura”: «Esprimere che cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo. Personaggi, paesaggi, spari, didascalie politiche, voci gergali, parolacce, lirismi, armi ed amplessi non erano che colori della tavolozza, note del pentagramma, sapevamo fin troppo bene che quel che contava era la musica

361 Italo Calvino, Prefazione 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, cit., p. XII.

362 Cfr. Cesare Segre, Intertestualità e interdiscorsività nel romanzo e nella poesia, in Teatro e romanzo, Einaudi, Torino 1984, pp. 103-119.

e non il libretto, mai si videro formalisti così accaniti come quei contenutisti che eravamo, mai lirici così effusivi come quegli oggettivi che passavamo per essere»364.

Per Calvino, come per Bachtin, “nel romanzo si attua la scoperta della propria lingua nella lingua altrui, del proprio orizzonte nell‟orizzonte altrui”365: «Avevo un paesaggio. Ma per poterlo rappresentare occorreva che esso diventasse secondario rispetto a qualcos‟altro: a delle persone, a delle storie. La Resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone. Il romanzo che altrimenti mai sarei riuscito a scrivere, è qui. Lo scenario quotidiano di tutta la mia vita era diventato interamente straordinario e romanzesco: una storia sola si sdipanava dai bui archivolti della Città vecchia fin su ai boschi; era l‟inseguirsi e il nascondersi d‟uomini armati; anche le ville riuscivo a rappresentare, ora che le avevo viste requisite e trasformate in corpi di guardia e prigioni; anche i campi di garofani, da quando erano diventati terreni allo scoperto, pericolosi ad attraversare, evocanti uno sgranare di raffiche nell‟aria. Fu da questa possibilità di situare storie umane nei paesaggi che il “neorealismo”…»366.

Per Bachtin nell‟universo dialogico “ogni […] enunciazione trova il suo oggetto, verso il quale tende, sempre, per così dire, già nominato, discusso, valutato, avvolto in una foschia che lo oscura oppure, al contrario, nella luce delle parole già dette su esso. Esso è avviluppato e penetrato da pensieri generali, da punti di vista, da valutazioni e accenti altrui […]. L‟enunciazione viva, che nasce in un determinato momento storico in un ambiente socialmente determinato, non può non toccare migliaia di fili dialogici vivi, intessuti della coscienza ideologico-sociale intorno all‟oggetto dell‟enunciazione, non può non diventare partecipante attiva del dialogo sociale”367.

In quest‟ottica, oltre al Sentiero dei nidi di ragno e ai primi racconti, hanno un particolare interesse le canzoni scritte da Calvino tra 1958 e 1959 per Sergio Liberovici e per Fiorenzo Carpi, in particolare Oltre il ponte,

364 Italo Calvino, Prefazione 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, cit., p. IX. 365 Cfr. Michail Bachtin, Estetica e romanzo, cit., p. 172.

366 Italo Calvino, Prefazione 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, cit., pp. X-XI. 367 Michail Bachtin, Estetica e romanzo, cit., p. 171.

nella quale vengono intrecciati i motivi della lotta partigiana e della sua eredità nel presente attraverso un messaggio d‟amore e di rinnovata consonanza rivolto alla ragazza che ascolta: lo scrittore aderisce al progetto di “Cantacronache”368, che ha l‟obiettivo di riportare nelle canzoni la vita quotidiana della gente, utilizzando le stesse caratteristiche della “canzone di consumo”369 o di evasione, ovvero un linguaggio piano e accessibile a tutti, con forme metriche tradizionali e una musica melodica a effetto emotivo.

Come ha scritto bene Eco, “Cantacronache” rappresenta il tentativo di offrire una opzione “colta” al livello di una cultura di massa, attraverso una educazione del gusto e dell‟intelligenza, che porti a esperienze di consapevolezza più complesse: «Il fatto che la canzone di consumo possa attirarmi grazie a una imperiosa agogica del ritmo, che interviene a dosare e a dirigere i miei riflessi, può costituire un valore indispensabile, che tutte le società sane hanno perseguito e che costituisce il normale canale di sfogo per una serie di tensioni»370.

Riscrivendo un folklore partigiano veicolato attraverso le esperienze e le aspirazioni più comuni, anche Calvino punta su “una canzone che la gente si raccoglie per ascoltare”, mentre “di solito la canzone di consumo viene usata facendo altro, come sottofondo”371 e trasforma in norma il “momento di sosta” che diventa quindi il sostitutivo di ogni altra esperienza intellettuale e non un “sano esercizio di normalità”: proprio per ottenere questo effetto di consapevolezza, di novum cognitivo, con forme in cui si possa riconoscere il pubblico medio, si passa dalla ballata antimilitarista o anticapitalista (in Dove vola l‟avvoltoio? e in Sul verde fiume Po) alla più comune tranche de vie (in Canzone triste) fino al divertissement che si scaglia contro i luoghi comuni (in La tigre).

Anche le canzoni si rivelano così tessuti e variazioni di formule anonime contenute nel linguaggio, citazioni consce e inconsce, fusioni e riprese di altri testi: in La letteratura italiana sulla Resistenza, Calvino

368 Cfr. Alessio Lega, Il cantautore dimezzato. Italo Calvino e la canzone, in “Musica Leggera”, XII, 6, settembre-ottobre 2009, pp. 92-94.

369 Cfr. Umberto Eco, La canzone di consumo, in Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano 1964, pp. 277-296.

370 Ibidem, p. 285. 371 Ibidem, p. 284.

ammette che i migliori risultati raggiunti dalla letteratura della Resistenza sono state “la canzone partigiana e la storia partigiana raccontata”, ovvero “due prodotti poetici di tradizione popolare e orale” che, già all‟epoca, hanno innescato una fitta serie di intrecci intertestuali372.

Nell‟universo delle comunicazioni di massa, non ci sono enunciati isolati dagli altri enunciati, ogni enunciato indica un “complesso di segni”, ogni parola non è mai neutra: il dialogismo investe tutte le pratiche discorsive e genera infinite possibilità di scambio, di mescolanza e di ibridazione.

Ne deriva un sistema semico osmotico, caratterizzato da un grande dinamismo, da un incessante lavoro di forze centrifughe e centripete, di processi di centralizzazione e decentralizzazione che si intersecano nell‟enunciazione: è un‟idea ripresa da Julia Kristeva, per la quale “ogni testo si costruisce come un mosaico di citazioni, […] è assorbimento e trasformazione di un altro testo”373.

La pluridiscorsività operante nel Sentiero è evidente quando Lupo Rosso descrive ai propri compagni l‟assassinio di Pelle e il racconto sembra avere la trama di un fumetto di Mandrake o il ritmo serrato di un film giallo, al quale rinviano anche la forma della spirale, come metafora spaziale dell‟avvitamento in cui non c‟è più via d‟uscita, e il contrasto luminoso: «Pelle smiccia in giù, di traverso. Su ogni rampa di scale sotto di lui, sale un uomo. Pelle continua a salire tenendosi rasente al muro, ma in qualunque punto della scala si trovi, c‟è sempre un uomo dei gap, una o due o tre o quattro rampe di scale sotto di lui, che sale rasente i muri tenendolo sotto il suo tiro. Sei piani, sette piani, la tromba delle scale nella mezzaluce dell‟oscuramento sembra un gioco di specchi, con quell‟uomo in impermeabile ripetuto su ogni rampa, che sale lentamente, a spirale»374.

L‟impermeabile che si moltiplica in una sorta di allucinazione hitchcockiana, fa pensare inevitabilmente a quello di Humphrey Bogart in

Casablanca e all‟ispettore Marlowe di Chandler (Il grande sonno è del

372 Cfr. Italo Calvino, La letteratura italiana sulla Resistenza, in “Il Movimento di liberazione in Italia”, I, 1, luglio 1949; ora è in Id., Saggi 1945-85, tomo I, cit., p. 1494. 373 Julia Kristeva, Semeiotiché. Ricerche per una semanalisi (1969), tr.it., Feltrinelli, Milano 1978, p. 121.

1939, mentre il film di Hawks, sempre con Bogart, è proprio del 1946): il riferimento cinematografico e quello letterario si intrecciano in uno “stock di senso”375, un fenomeno che si verifica anche con le canzoni che fanno spesso da contrappunto alle vicende, come nel caso di Chi bussa alla mia

porta/Chi bussa al mio porton, cantata da Pin prima di un violento incendio

e associata alla figura della Nera.

Nei primi racconti, è frequente la mescolanza tra la vita reale e l‟immaginario del cinema o del mondo di carta dei fotoromanzi, come ne Il

gatto e il poliziotto, nel quale il poliziotto, durante una perquisizione, capita

sotto il tiro di “una ragazza coi capelli lunghi sulle spalle, dipinta, con le calze di seta e senza scarpe, che con voce raffreddata compitava alle ultime luci della sera su di un giornale tutto fatto di figure e di poche frasi in stampatello”376.

Per quanto riguarda i fotoromanzi, sempre nel 1946 erano iniziate le pubblicazioni del settimanale “Grand Hôtel”, una novità nel panorama editoriale italiano, per la presenza di racconti d‟amore fumettati, scanditi in puntate, un tipo di narrazione ripresa a partire dal 1947 anche da riviste come “Sogno” o “Bolero Film” con il fotofumetto: l‟originalità del fumettismo passionale per adulti è dovuto soprattutto a illustratori come Giulio Bertoletti, per la prevaricazione del linguaggio iconico su quello scritto e per l‟effettismo cartellonistico delle sue figure.

Nel Sentiero e in Ultimo viene il corvo, l‟accentuazione iconica di gesti e fisionomie, oltre a riformulare la stilizzazione dei fumetti, rimanda ai codici del cinema comico, alla sua sovradeterminazione semantica dei referenti reali.

Racconti come Si dorme come cani, Dollari e vecchie mondane,

Furto in una pasticceria sono, tra i primi, i più vicini alle comiche

cinematografiche, rilette in chiave zavattiniana.

A questi modelli si può aggiungere quello del primo Queneau di

Pierrot mon ami, tradotto da Einaudi nel 1947, recensito dallo stesso

375 Cfr. Francesco Casetti, Il testo di genere, in Indagine su alcune regole del genere televisivo, Fondazione Angelo Rizzoli, Milano 1977, p. 14.

Calvino, che riassume diversi tipi di spettacolo, dal circo al teatro al cinema: «Le sue storie sono popolate di gente colorata e clownesca, domatori e fachiri, poeti incompresi e prostitute, con disavventure da comica finale, colpi di scena da pochade, sentimentalismi ingenui da vecchio tango, e personaggi sballottati da un continente all‟altro che finiscono sempre per incontrarsi tutti insieme»377.

Lo stesso mondo formicolante e “colorato”, fatto di assembramenti casuali di corpi, di personaggi “fisici” e nel contempo irreali, di gag e azioni che hanno un senso puramente coreografico, è descritto in Dollari e vecchie

mondane: «Sui tavoli c‟erano donne che facevano danze. Per quanto si fosse

fatto c‟erano sempre molti più marinai che donne, pure ognuno che allungasse una mano incontrava una natica o una mammella o una coscia che sembravano smarrite e non si vedeva di chi fossero. Natiche a mezz‟aria e mammelle all‟altezza dei ginocchi. E mani vellutate e artigliate strisciavano in mezzo a quella calca, mani dalle rosse unghie aguzze e dai vibranti polpastrelli, che s‟intrufolavano sotto le casacche, sbottonavano asole, carezzavano muscoli, solleticavano anditi. E bocche s‟incontravano quasi volanti nell‟aria che s‟appiccicavano sotto gli orecchi come ventose e lingue dolciastre e ruvide che insalivano la pelle corrodendola, e labbra enormi con le gobbe di carminio che arrivavano fin nelle narici. E gambe si sentivano scorrere dappertutto interminabili e innumerevoli come i tentacoli d‟un enorme polipo, gambe che s‟intrufolavano tra le gambe e si disbisciavano con colpi di coscia e di polpaccio. E poi parve che tutto stesse dissolvendosi nelle loro mani, e chi si trovava in mano un cappello guarnito di grappoli d‟uva, chi un paio di mutandine coi pizzi, chi una dentiera, chi una calza avvoltolata al collo, chi una gala di seta»378.

La sequenza ha il ritmo vertiginoso di una slapstick comedy, in cui “la struttura del racconto […] è quella di un meccanismo che opera nel senso di una circolarità viziosa, senza una finalizzazione degli atti, risolta

377 La recensione comparve su “l‟Unità” piemontese del 1° giugno 1947; col titolo Raymond Queneau, “Pierrot amico mio”, è ora in Italo Calvino, Saggi !945-85, tomo I, cit., p. 1408.

378 Italo Calvino, Dollari e vecchie mondane, in Ultimo viene il corvo, Einaudi, Torino 1949, p. 203.

interamente nel suo funzionamento interno”379: l‟iterazione, la miniaturizzazione e l‟immediata visività dei gesti escludono ogni indagine psicologica, decostruiscono lo spazio, impongono un principio ritmico sul principio di causalità, producendo così effetti corporei.

Una comicità ballettistica delle situazioni paradossali, della sovrabbondanza gestuale e dell‟eccessivo dispendio energetico, da comica cinematografica degli anni Venti, ricompare soprattutto ne Il cavaliere

inesistente, quando è in scena Gurdulù, il compagno pasticcione di Agilulfo,

col quale instaura una complementarità basata non solo sul contrasto tra invisibilità e eccessiva implicazione materiale, ma anche sulla tradizione della coppia buffa, fatta di segni invertiti, in cui i due personaggi non potrebbero esistere l‟uno senza l‟altro, come se ci si trovasse di fronte a due specchi deformanti, e ci fosse un continuo rovesciamento di difetti: «Il sosia parodico è dato dal riflesso invertito delle qualità di un personaggio nell‟altro»380.

Questa specie di indissolubilità semantica, perennemente ambivalente, oltre a richiamare famose coppie comiche del cinema come Keaton e Arbuckle, Laurel e Hardy, Abbott e Costello, nelle quali il “doppio parodico” è riconoscibile come struttura mitica381, ripropone la complementarità tra Don Chisciotte e Sancio nel capolavoro di Cervantes, riferimento imprescindibile rispetto al tentativo calviniano di fondere il “meraviglioso cavalleresco” e il “comico picaresco”: la stessa matrice è riscontrabile nella coppia de Il conte di Montecristo, in cui Edmond Dantès è un personaggio più contemplativo, mentre l‟Abate Faria rivela subito un bisogno concreto di azione.

Anche nei racconti di Ultimo viene il corvo è frequente la mescolanza tra la vita reale e l‟immaginario di altre forme espressive, come quelli del cinema o del mondo di carta dei fotoromanzi. L‟accentuazione iconica di gesti e fisionomie, oltre a riformulare la stilizzazione dei fumetti,

379 Cfr. Gianni Celati, Finzioni occidentali. Fabulazione, comicità e scrittura, Einaudi, Torino 1975, p. 67.

380 Ibidem, p. 171.

381 Cfr. Giorgio Cremonini, Il comico e l‟altro. Il comico nel cinema americano, Cappelli Editore, Bologna 1984, p. 32.

rimanda ai codici del cinema comico, alla sua sovradeterminazione semantica dei referenti reali.

In Palomar prevale invece il comico più intellettuale, con una forma più debole di ironia, che deriva dalla distorsione autoriflessiva della finalità dei moti e degli atteggiamenti, anche se non mancano effetti di slapstick, per esempio in La contemplazione delle stelle: come ha notato Celati, il signor Palomar “ha movimenti di pensiero astratti e arbitrari, vagamente comici nella loro assoluta inconcludenza; credo produca una commozione paragonabile all‟effetto delle mosse, altrettanto astratte e intime, con cui il gran filosofo Buster Keaton si aggirava nello spazio”382.

Lo stesso Calvino, nelle Lezioni americane, ha descritto questo

humour come “il comico che ha perso la pesantezza corporea […], e mette

in dubbio l‟io e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono”383. Se, da un lato, l‟accento posto sulla funzionalità del personaggio ribadisce la centralità dell‟intreccio e della struttura di genere, particolarmente efficace nel caso del comico, dall‟altro riproduce i meccanismi della serializzazione, che innestano la ricorsività del mito anche nell‟ambito della letteratura di massa, legata a esigenze di riconoscibilità.

I generi sono sottoposti a una continua parodizzazione e a varie interpolazioni, come dimostra soprattutto Il cavaliere inesistente, che si presenta come “un travestimento moderno […] non di una singola opera ma del romanzo cavalleresco in generale, permeato di una fantasia spesso comica e paradossale, e vicina a quella di Giraudoux”384: per Genette non è soltanto un brillante esempio di parodia, ma anche un modello del tutto originale di ipertestualità, visto che nel finale il libro, invitato a leggere se stesso, svolge per la prima volta il ruolo di pubblico.

Se il passo de Il visconte dimezzato in cui la metà buona di Medardo insiste nel leggere brani della Gerusalemme liberata alla pastorella Pamela, sua anonima spasimante, e Pamela incita i propri animali a disturbare la lettura del poema, è una scena da comica chapliniana con accenti”gotici”, il

382 Cfr. Gianni Celati, Palomar, la prosa del mondo, in “Alfabeta”, VI 59, aprile 1984, p. 7. 383 Cfr. Italo Calvino, Leggerezza, in Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, cit., p. 25.

384 Cfr. Gérard Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado (1982), tr.it., Einaudi, Torino 1997, p. 232.

pianto di Cosimo ne Il barone rampante, cui partecipa tutta la natura antropomorfizzata, ha invece i toni patetici e corali dei film di Walt Disney: già nel Sentiero, gli uomini si trasformano in animali o in oggetti grotteschi e caricaturali, come nei cartoons di Paperino e di Topolino.

L‟aspetto comune alla parodia e alla citazione è quello che Hutcheon ha definito la “ripetizione transcontestualizzata”: si tratta di ripetizioni che includono sempre uno scarto, una differenza rispetto all‟originale, e producono effetti ibridi, inediti, risultato dell‟incontro e del processo di riassestamento dei diversi testi coinvolti385.

Si crea in questo modo un vivace dialogismo di allusioni intertestuali che agiscono come tropi, distogliendo l‟attenzione da un testo e indirizzandola verso un altro, una “retorica dell‟imitazione” che effettivamente allarga i confini del testo, anche oltre la tradizione letteraria stessa: l‟elemento nuovo è infatti l‟influenza delle forme di comunicazione di massa.

Il registro comico di Marcovaldo, imperniato su una struttura che

Nel documento CALVINO E LA RISCRITTURA DEI GENERI (pagine 137-169)

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