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Capitolo III Sposarsi a Città del Messico, secoli XVI-

III. 5 Il rito del matrimonio: desposorio e velaciones

Una volta conseguita la licentia nubendi e avvenute le pubblicazioni, la coppia poteva essere sposata dal proprio parroco. A Città del Messico la maggior parte dei matrimoni si celebravano presso la parrocchia di residenza della sposa, ma nel caso di famiglie agiate era frequente che la cerimonia nuziale, il desposorio, avvenisse in casa della sposa. Lì si recava il parroco, o il sacerdote da lui delegato, per assistere allo scambio dei consensi.80 Se la cerimonia si svolgeva in dimore private, nei libri parrocchiali si registravano spesso anche l’ora ed il luogo della cerimonia, insieme con il nome e la firma del sacerdote che l’aveva presieduta.

Il giorno del matrimonio il parroco indossava la cotta e la stola bianca e usciva sulla porta della chiesa per incontrare gli sposi. Gli sposi attendevano sul sagrato insieme con i testimoni, di solito due per parte, e generalmente con le famiglie «cuya assistencia es decente en este acto». Il sacerdote, tenendo lo sposo alla sua destra e la sposa alla sua sinistra, si rivolgeva agli astanti chiedendo se fossero a conoscenza di cause di impedimento per la celebrazione del matrimonio. Nel caso in cui qualcuno parlasse, si sospendeva la cerimonia «hasta que determine la causa el Ordinario», se invece non risultava nessun impedimento si continuava con il rito dello scambiio de consensi che si svolgeva in questo modo:81 il

sacerdote si rivolgeva prima alla sposa chiedendole: «Señora N, quiere al señor N, que esté presente, por su legitimo esposo y marido?»; dopo averne ricevuto una risposta affermativa continuava domandando: «Otorgase por su esposa y muger, por palabra de presente, assí como lo manda la Sancta Madre Ygelsia?». Dopo aver rivolto le stesse domande allo sposo, il celebrante univa le mani destre dei contraenti82 e, facendo un segno di croce, diceva una

80 Juan Javier Pescador, De bautizados, cit., p. 225

81 Federico R. Aznar Gil ha approfondito la problematica dello scambio dei consensi in particolare presso la

popolazione indigena, mentre Pilar Latasa Vassallo ha studiato le decisioni dei sinodi peruviani su questo tema: Federico R. Aznar Gil, La libertad de los indígenas para contraer matrimonio en Indias, in «Ius Canonicum», 64 (1992), pp. 439-462; Pilar Latasa Vassallo, La celebración del matrimonio en el virreinato peruano, cit., pp. 247-249.

82 L’unione delle mani degli sposi era un gesto di origine antica che si ritrova ad esempio nei riti ebraici e poi nel

matrimonio romano, dove era detto dexterarum iunctio. Negli stati italiani, nel periodo pretridentino il toccamano, o impalmamento, era uno dei segni usati durante gli sponsali con il significato di conferma del patto stipulato tra le famiglie dei promessi. Questo gesto fu accolto anche nella cerimonia religiosa, dove è attestato fin

formula come: «Y de parte de Dios todo poderoso, y de los bienaventurados Apóstoles san Pedro y san Pablo, y de la Sancta Madre Iglesia, os desposo, y este sacramento entre vosotros confirmo. In nomine patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Quos Deus coniunxit homo non

separet», aspergendo poi la coppia con acqua benedetta.83 Concluso il rito dello scambio dei

consensi, il parroco doveva annotare il matrimonio nel registro parrocchiale.84

Ma il lungo percorso matrimoniale si concludeva solo con la solenne benedizione nuziale che gli sposi dovevano ricevere in chiesa dal proprio parroco. Questo atto non era essenziale ai fini della validità del sacramento - per cui era sufficiente lo scambio dei consensi - ma era di antica tradizione nella Chiesa che ne sosteneva l’importanza «para mayor dignidad del matrimonio»,85 ritenendo che, come tutti i contratti, necessitasse di determinate forme esteriori visibili a tutti. Generalmente la benedizione solenne era di precetto per le prime nozze, mentre si soleva evitare nel caso di seconde nozze di almeno uno dei coniugi. Il Rituale Romano lasciava in questo campo libertà di seguire la tradizione locale: nelle Indie, infatti, accanto al sistema più diffuso, è attestato anche l’uso di non benedire le coppie in cui almeno uno dei coniugi si sposasse per la seconda volta.86

dal XIII secolo, dove però era il sacerdote ad unire le mani degli sposi in occasione della benedizione nuziale. Cfr. Daniela Lombardi, Matrimoni di antico regime, cit., pp. 198-202. Il gesto, dunque, fu mantenuto anche dopo il Concilio di Trento e nelle cerimonie in uso nel mondo iberico era ripetuto due volte: al momento dello scambio dei consensi e poi durante il rito delle solenni benedizioni nuziali.

83 Il Concilio di Trento non aveva prescritto formule obbligatorie per la valida celebrazione del matrimonio, ma,

per favorire l’uniformità dei riti in tutta la Chiesa, aveva suggerito quali parole potessero essere usate («Ego vos

in matrimonium coniungo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti»), lasciando libertà di usare parole simili,

secondo l’usanza della regione. Ciò spiega l’uso di una formula per certi versi così distinta dalle scarne parole tridentine. Concilium Tridentinum, sess. XXIV, cap. 1 De ref. matr. Tutte le formule riportate sono tratte da Andrés Saenz de la Peña, Manual de los santos sacramentos, cit., ff. 89r-90v.

84 Solitamente nelle parrocchie di Città del Messico la registrazione del matrimonio (partida de casamiento) era

inserita in un registro diverso da quello delle pubblicazioni e comprendeva la data della celebrazione, i nomi degli sposi e dei loro genitori -sostituiti dal nome del coniuge defunto in caso di matrimonio di vedovi-, la città di origine (natural de ...) e quella di residenza (vecino de ...), raramente la professione dello sposo o dei genitori, i nomi dei testimoni e spesso il nome del sacerdote che aveva celebrato il matrimonio visto che in alcune parrocchie officiavano più parroci e che era frequente che il parroco autorizzasse altri sacerdoti a sposare la coppia.

85 Andrés Saenz de la Peña, Manual de los santos sacramentos, cit., f. 97v.

86 Pedro Murillo Velarde, Curso de derecho canónico hispano e indiano, cit., lib. IV, tit. XXI, n. 192. In Cile, ad

esempio, si usava ripetere le benedizioni nuziali solo nel caso di seconde nozze dell’uomo e non della donna: Justo Donoso, Instituciones de derecho canónico americano, cit., vol. II, p. 413; Justo Donoso, Manual del

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Il Concilio di Trento esortava gli sposi a non coabitare nel periodo che intercorreva tra lo scambio dei consensi e la benedizione.87 In alcune regioni indiane, come le diocesi di Lima e Charcas, sembra che la distinzione tra desposorio e velaciones risultasse di difficile comprensione per gli indigeni, fatto questo che causava frequenti convivenze prima delle benedizioni e comunque toglieva dignità al rito dello scambio dei consensi, come denunciano i concili e sinodi locali.88 La problematica interessava anche la popolazione non indigena, infatti era frequente che alcune coppie vivessero insieme già dopo il semplice scambio dei consensi, che ricevessero le benedizioni nuziali molto tempo dopo il matrimonio o non le ricevessero affatto. Per risolvere la situazione si optò per la celebrazione del desposorio e delle velaciones nello stesso giorno, sia nel caso degli indigeni, sia nel caso di negri e «pobres» in generale.89 Nella Nuova Spagna non sembra che venissero prese misure simili, infatti il III Concilio provinciale si limitò ad accogliere i decreti tridentini senza ulteriori specificazioni.90

Il I Concilio annoverava tra i peccatori pubblici coloro che le coppie che conducevano «vida maridable» senza aver prima ricevuto le benedizioni nuziali,91 mentre il III ricordava solo che le benedizioni dovevano essere impartite dal parroco degli sposi. Infatti nei manuali per i parroci delle Indie, come il Ritual para la recta administracion de los Santos

Sacramentos del domenicano Francisco Sanchez, si legge ad esempio: «amoneste el párroco a

los contrayentes que antes de recebir las bendiciones nupciales no consumen el matrimonio, ni haviten juntos, mas dígales que no pecan en hazer lo contrario».92

Il Concilio di Trento aveva stabilito che in materia di benedizioni nuziali si seguisse la tradizione locale, fatto che stava particolarmente a cuore ai trattatisti americani, che lo

87 Concilium Tridentinum, sess. XXIV, cap. 1 de ref. matr.

88 Il I Concilio Limense spiega infatti che gli indigeni «no entienden bien el sacramento del matrimonio y no

diferencian entre desposorio por palabras de presente y velación y piensan que hasta que se velan no están ligados a permanecer juntos», parte I, c. 48.

89 Per la popolazione indigena ciò era possibile in quanto godevano di privilegio perpetuo di poter ricevere le

benedizioni nuziali durante tutto l’anno, tranne la Settimana Santa, mentre per i negri e i poveri si optava invece per dispensare dalle pubblicazioni e celebrare il matrimonio in un perido in cui non fossero vietate le benedizioni nuziali. Cfr. Pilar Latasa Vassallo, La celebración del matrimonio en el virreinato peruano, cit., p. 250.

90 III Concilio Provincial Mexicano, lib. IV, tit. I De los esponsales y matrimonios, § 2, 5. 91 I Concilio Provincial Mexicano, cost. 6.

92 Questa interpretazione è confermata anche successivamente: Justo Donoso, Manual del párroco americano, o

instrucción teológico-legal dirigida al párroco americano, sus derechos, facultades y deberes y cuanto concierne al cabal desempeño del ministerio parroquial, Libreria de Rosa y Bouret, Paris, 1852, p. 560.

rimarcano costantemente. Nel mondo iberico il rito delle benedizioni nuziali, detto delle

velaciones, in ricordo del velo e della candela accesa che la sposa porta durante la cerimonia,

era particolarmente sentito in quanto coincideva con il momento dello scambio degli anelli e della consegna delle arre alla sposa, raffigurate simbolicamente da tredici monete. 93

La cerimonia delle velaciones iniziava sul sagrato della chiesa, qui infatti gli sposi aspettavano il sacerdote il quale usciva dalle porte della chiesa vestito di «amicto, alba, estola y plubial blanco» e per prima cosa benediva le arre e gli anelli. Quindi lo sposo prendeva uno degli anelli «con los tres dedos de la mano derecha» e recitando un’orazione lo andava ponendo nelle prime tre dita della mano sinistra della sposa iniziando dal pollice: «en el primero [dedo] diga In nomine Patris, en el segundo, & Filii, en el tercero, & Spiritus Sancti.

Amen.». Lo stesso faceva la sposa infilando l’anello nell’anulare sinistro dello sposo. In

seguito il sacedrote dava le arre al marito perché le consegnasse alla moglie dicendo: «Esposa, estas arrhas os doy en señal de matrimonio, y con mi cuerpo os honro, assí como lo manda la Sancta Madre Yglesia de Roma». La donna quindi rispondeva: «Yo las recivo». Infine il parroco univa le mani degli sposi che insieme si dirigevano verso l’altare cantando un salmo.94 Qui il sacerdote iniziava la celebrazione della messa De nuptiis pro sponso et

sponsa95 conclusa la quale esortava i coniugi dicendo: «Ya, hermanos, han recibido las

bendiciones nupciales, según la costumbre de nuestra Sancta Madre Yglesia, lo que les

93 Secondo la tradizione iberica lo scambio degli anelli e delle arre avveniva durante la cerimonia della

benedizione nuziale, in particolare prima della messa solenne a cui gli sposi erano chiamati a partecipare dopo lo scambio dei consensi. Poiché il Rituale Romanum del 1614, nel paragrafo dedicato alle benedizioni, non faceva parola di altre cerimonie oltre alla vera e propria benedizione, i trattatisti indiani si chiesero come avrebbero dovuto agire in merito allo scambio degli anelli e delle arre. La questione è trattata in alcuni manuali per i parroci, ad esempio Andrés Saenz de la Peña scrive: «Supuesto que el Sancto Concilio Tridentino concede que en cada Provincia se retengan las loables costumbres, que huviere recevidas en las ceremonias del matrimonio, y que el Ritual Romano lo advierte assí a los párochos, siguiendolo en esto como en todo lo demás, se celebrarán las bendiciones nupciales con el orden que se ha acostumbrado en las Provincias de España, y de las Indias» Andrés Saenz de la Peña, Manual de los santos sacramentos, cit., f. 99v. Alcuni decenni dopo Francisco Sanchez aggiungeva: «Siguiendo la costumbre, mientras los superiores no determinan otra cosa, ni arras, ni anillos se den, sino es quando se recivan bendiciones nupciales en la missa», Francisco Sanchez, Ritual para la recta

administracion de los Santos Sacramentos, y demas funciones sagradas pertenecientes a los parrocos. Conforme al Ritual Romano publicado por la Santidad de Paulo V y dispuesto don las notas, y privilegios concedidos a los Ministros de las Indias, por doña Maria de Benavides viuda de Juan de Ribera, México 1689, p. 63.

94 Si tratta del Salmo 127: «Beati omnes qui timent Dominum, qui ambulant in viis eius».

95 Se il matrimonio veniva celebrato di domenica o in un giorno di festa il sacerdote celebrava invece la messa

del giorno. Il capitolo cattedrale di Città del Messico si interessò della corretta celebrazione della messa De

Nuptiis nelle parrocchie della città, come appare da una memoria di un canonico della cattedrale nella quale il Rituale Romanum veniva commentato mediante il confronto con le opere di vari autori: Archivo de Cabildo

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amonesto es, que se guarden toda lealtad el uno al otro, que observen pureça, en tiempo de oración, ayunos, y festividad; que el marido ame a la muger, y la muger al marido, como se aman Christo, y su Yglesia, y que permanezcan en el temor de Dios». Aspergeva la coppia con acqua benedetta, univa le loro mani e diceva all’uomo: «Compañera le doy, y no sierva, ámela como Christo ama a su Yglesia».

Il procedimento per potersi unire in matrimonio seguiva questo iter nei casi normali; quando invece la coppia sapeva di incorrere in un impedimento matrimoniale, in particolare di consanguineità o affinità, la procedura era nettamente distinta. Infatti in questi casi era necessaria una specifica dispensa che poteva essere concessa dall’ordinario, oppure in alcuni casi, esclusivamente dal pontefice.

La descrizione dei riti matrimoniali così come si svolgevano nella Nuova Spagna richiamano a mio parere per alcuni aspetti il matrimonio a tappe pretridentino. Infatti, anche se certamente il desposorio, ovvero il momento dello scambio dei consensi, costituiva il cuore delle cerimonie matrimoniali, il rilievo dato alle benedizioni nuziali, tradizione affermata e ormai accettata nel rituale canonico, induceva spesso in errore i fedeli che attribuivano alle benedizioni la facoltà di terminare e perfezionare l’unione sancita dal desposorio e renderla indissolubile. Problemi con gli indigeni che pensano che lo scambio dei consensi non era vincolante. A ciò si aggiunga la complessità terminologica, che poteva provocare confusione concettuale, ad esempio tra le parole “casamiento”, “matrimonio” e “boda”, usate spesso in modo indistinto.

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