Dopo l’elogio della cultura proposto nella prima parte della argumentatio extra causam, Cicerone passa a parlare della poesia e del suo ruolo sociale. A tratti egli sembra proporre anche un’immagine positiva della fruizione estetica, ad es. nel mo- mento in cui afferma che anche chi non è in grado di gustare fino in fondo l’arte, deve tuttavia apprezzare coloro che la pra- ticano: Quodsi ipsi haec neque attingere neque sensu nostro gustare possemus, tamen ea mirari deberemus, etiam cum in aliis videremus
(§ 17). Anche un passo del De legibus, dove la storiografia è di- stinta dalla poesia, in quanto essa mira alla verità e non alla de-
lectatio, farebbe pensare ad un’idea “moderna” della ricezione
artistica: cum in illa ad veritatem cuncta referantur, in hoc ad delec-
tationem pleraque (1.5). Si tratta di uno spunto che Cicerone ri- prende da una tradizione influenzata dall’Aristotelismo, ma che non consente di attribuire a Cicerone un’idea di autonomia della poesia o dell’arte che è in realtà estranea alla sua conce- zione.
Il ruolo che Cicerone assegna alla poesia è infatti di tipo prettamente celebrativo. La poesia di cui egli parla è quella epi- ca e celebrativa: di Archia menziona i componimenti di tipo e- pico, la celebrazione di Mario nella guerra cimbrica e quella di Lucullo nella guerra mitridatica (oltre a quella in fieri sullo stesso Cicerone).
Oltre che queste opere dell’imputato, al § 18 Cicerone elogia anche l’abilità di Archia nell’improvvisare versi, in riferimento con ogni probabilità alla composizione di epigrammi e di versi d’occasione,26 pratica che era corrente nei banchetti e nella riu-
nioni conviviali dell’elite romana, alle quali aprtecipavano an-
26 La produzione epigrammatica di Archia è testimoniata da alcune delle composizioni tramandate sotto il suo nome (cfr. Appendice 4).
che i poeti e gli artisti, per lo più Greci, che vivevano a Roma grazie al supporto e alla protezione offerta loro dalle famiglie dell’aristocrazia. L’elogio di Cicerone non riguarda, però, que- sto tipo di produzione, ma è volto solamente ad evidenziare ai giudici la perizia tecnica di Archia. Cicerone, infatti, era noto- riamente ostile alle tendenze più recenti della poesia latina, improntate sui modelli della poesia ellenistica. Proprio da una sua battuta polemica deriva la denominazione corrente della poesia “neoterica” (quella di Catullo e di altri poeti latini con- temporanei).27
La distanza di Cicerone dalle tendenze più recenti della poe- sia latina non riguardava solamente i generi letterari che questa poesia privilegiava, ma più in generale l’idea di una poesia che si facesse espressione della soggettività dei poeti, e diventasse una forma di linguaggio che prescindeva dalla collocazione so- ciale. Questa tendenza si era affacciata a Roma già con Lucilio, che aveva messo a punto il genere satirico, e poi con Lutazio Catulo e i personaggi a lui legati (i cosiddetti “pre-neoterici”), che avevano adottato i modelli della poesia ellenistica.
I nomi che Cicerone menziona nell’orazione, diversamente, sono tutti di poeti ed artisti che avevano operato sotto l’egida di patroni e protettori: troviamo infatti citati Ennio per il suo legame con Scipione Africano (§ 22) e con Fulvio Nobiliore (§ 27), Accio per l’amicizia con Decimo Bruto Gallego (§ 27) e, in ambiti diversi dalla poesia, gli storici di Alessandro Magno (§ 24) e Teofane di Mitilene, l’intellettuale prediletto di Pompeo (§ 24). Tutti casi caratterizzati da un rapporto di tipo patronale28
27 In una lettera ad Attico del 50 a. C. li definisce con il termine greco νεώώτεροι (neoteroi), poi nell’Orator in latino poetae novi (61); nelle Tusculanae userà la definizione cantores Euphorionis (3.45), cioè imitatori del poeta greco Euforione
28 Il termine “patronale” rende in modo più preciso di “mecenaziano” la natura diseguale del rapporto poeta / patrono.
fra il poeta e il rispettivo protettore, che nel caso di Ennio arri- va ad enfatizzare la protezione accordatagli dagli Scipione an- che dopo la morte, con la notizia, con ogni probabilità falsa, della sepoltura del poeta nella tomba di famiglia degli Scipioni (§ 22).29
La relazione patronale fra poeta e patrono trova riscontro nel compito assegnato alla poesia, che è quello di conservare la memoria delle imprese dei patroni. Questo modello è applicato da Cicerone anche alla poesia di Omero, il cui valore consiste- rebbe nell’aver reso eterno il nome di Achille (§ 24). L’intera argomentazione di Cicerone poggia, in ultima analisi, sul rap- porto poesia / gloria, e sulla funzione, propria delle opere lette- rarie, di memorizzare uomini ed avvenimenti significativi. Memorizzazione di cui Cicerone sottolinea il valore operativo, politico, nel passo in cui esalta il ruolo emulativo che presenta la memoria, anche figurativa, degli eroi del passato: quam mul- tas nobis imagines non solum ad intuendum, verum etiam ad imitan- dum fortissimorum virorum expressas scriptores et Graeci et Latini reliquerunt! (§ 14). Il riferimento alle imagines riecheggia proba- bilmente l’uso delle maschere nei cortei funebri, con le quali venivano rappresentati gli antenati illustri.30
Per misurare la distanza di Cicerone dalle tendenze emer- genti della produzione poetica, e quindi il carattere fortemente conservatore della posizione che egli esprime nella Pro Archia, possiamo confrontare quest’ultima con l’ode conclusiva dell’edizione in tre libri dei Carmina di Orazio (del 23 a.C.), do-
29 Lo stesso Cicerone, nel riferire la notizia, usa il verbo putatur (“si cre- de”). La notizia è riferita anche da altre fonti, ma Suetonio segnala che qual- cuno (quidam) riteneva che le ossa di Ennio fossero state portate dal Gianico- lo nella città natale di Rudie (frg. 9 Reifferscheid).
30 I riferimenti alle arti figurative presenti nell’orazione sono esaminati da E. J. Nesholm, “Language and Artistry in Cicero’s Pro Archia”, in The Classical World 103 (2010), pp. 477-90.
ve il poeta afferma che la propria opera è più duratura del bronzo: exegi monumentum aere perennius (carm. 3.30.1), e che grazie ad esso il suo nome sarà immortale (v. 5: non omnis mo- riar).31 Il ruolo che Orazio si attribuisce quale poeta è piuttosto
diverso, come si vede, da quello delineato da Cicerone: è il proprio nome è conservarsi nel tempo, grazie alla poesia, non quello (o non solo quello) dei personaggi da lui elebrati. L’affermazione rivela una consapevolezza della soggettività e della centralità del poeta che Cicerone avrebbe avuto difficoltà ad ammettere.
Un aspetto peculiare della posizione che Cicerone evidenzia nella Pro Archia è l’insistenza con cui egli è attento ad esaltare il valore “romano” della poesia (potremmo definirlo anche “na- zionale”, anche se il termine presuppone l’idea moderna di na- zione). Questo valore collettivo è rilevato anche nei casi in cui l’elogio interessa in realtà singoli condottieri, nel caso di Archia in particolare Lucullo. Il poema di Archia sulla guerra mitrida- tica, afferma Cicerone, esalta non solo Lucullo, ma insieme l’in- tero popolo romano (§ 21). La notazione risente dell’evoluzione che il genere epico aveva avuto a Roma: se Nevio ed Ennio a- vevano celebrato la storia romana nel suo complesso, a partire dalle origini della città, l’evoluzione più recente del genere pri- vilegiava la celebrazione di singoli personaggi, in aderenza alla tendenza al protagonismo che caratterizzava da tempo lo scon- tro politico a Roma. Cicerone aveva ben presente questa evolu- zione, che egli avversava sul piano politico (e che in questi anni temeva, in particolare, in relazione alle ambizioni politiche di Pompeo e di Giulio Cesare). Non è quindi casuale il fatto che egli insista, nell’orazione, nell’affermare che la celebrazione di singoli personaggi costituiva ipso facto una celebrazione dello stato e dell’intera collettività romana. Questa insistenza era
conseguente al progetto politico portato avanti in questi anni da Cicerone. Un progetto che si rivelò poi fallimentare.