Pur presentando forti specificità, il movimento di contestazione studentesca in Italia era dunque inserito in un più ampio rivolgimento politico, sociale e culturale che si era manifestato a livello internazionale nella seconda metà degli anni Sessanta.
Nelle agitazioni che interessarono tutte le principali università italiane durante i primi mesi del 1967, ai temi generali che in quella stagione impegnavano i giovani – ma non solo, come si è visto – di tutta Europa a partire dalle mobilitazioni per il Vietnam, a cui si aggiungevano adesso quelle di reazione al colpo di stato dei colonnelli in Grecia50, si intrecciavano ragioni specifiche legate alla particolare situazione di disagio causata dall’inadeguatezza di strutture che non erano in grado di reggere le nuove esigenze determinate dalle profonde trasformazioni sociali in corso e dall’eccezionale aumento della popolazione studentesca in tutti i gradi di istruzione.
Benessere e consumi, infatti, avevano inciso sulle mentalità e i comportamenti degli italiani, aumentandone la consapevolezza dei propri diritti, mentre crescita della scolarizzazione e processo di urbanizzazione avevano contribuito a far maturare un senso più compiuto di cittadinanza. A testimonianza dello straordinario incremento della scolarizzazione, basti pensare che dai 500 mila iscritti alle scuole media e di avviamento professionale del 1947 si passò al milione e 600 mila del 1962, e che gli iscritti agli istituti superiori raddoppiarono, da 600 mila nel 1955 a un milione e 200 mila nel 196551. Oltre che sugli istituti superiori, la riforma della scuola media unica del 1962 scaricò forti pressioni sull’università. A far registrare un notevole aumento degli iscritti ˗ il numero crebbe in maniera esponenziale: tra il 1962 e il 1968 salirono da 300 mila a 450 mila, un dato di cui si coglie pienamente il significato se si pensa che nel 1950 le matricole erano meno di 20 mila52 ˗ in questo caso, però, pesarono soprattutto una nuova legge del 1961, che consentiva l’accesso alle facoltà scientifiche agli studenti provenienti dagli istituti tecnici, e l’abolizione degli esami di ingresso e del numero chiuso nel 196553.
Nel corso degli anni Sessanta, infatti, fece il proprio ingresso nelle università un numero crescente di figli della piccola borghesia storicamente esclusa dai gradi più elevati dell’istruzione, che adesso voleva sfruttare la possibilità offerta dalla crescita economica di realizzare il desiderio di
50 A poco più di un mese dalle elezioni politiche, con il golpe del 21 aprile 1967 i colonnelli greci guidati da Gheorghios Papadopoulos instaurarono una dittatura militare che sarebbe rimasta al potere per sette anni. Sulla dittatura greca e sulle reazioni in Italia, dove poche settimane più tardi sarebbero stati rivelati i progetti golpisti del generale De Lorenzo, si rimanda a C. Venturoli, Il colpo di stato in Grecia e la Giunta dei Colonnelli. Nodi e interpretazioni storiografiche, in «Storicamente», 8/2012, art. 3, DOI 10.1473/stor127
51
S. Colarizi, Storia del Novecento italiano cit., p. 376 52 Ivi, p. 396
53 R. Lumley, Dal ’68 agli anni di piombo. Studenti e operai nella crisi italiana, Giunti, Firenze 1998, pp. 71-72 [trad. it. di States of Emergency. Cultures of Revolt in Italy from 1968 to 1978, Verso, London 1994]
70 promozione sociale attraverso il conseguimento di un titolo di studio54. Del resto, era lo stesso sviluppo economico ad imporre la scolarizzazione di massa, poiché crescita industriale e dilatazione del terziario richiedevano competenze e specializzazioni, cioè personale tecnico qualificato e professionisti55. Ad ogni modo, la decisione di liberalizzare l’accesso ad un sistema universitario così profondamente inadeguato, equivalse, come ha scritto Paul Ginsborg, ad immettere in esso una «bomba ad orologeria»56.
Oltretutto, immediata conseguenza dell’espansione della popolazione studentesca – un fenomeno che, alla metà degli anni Sessanta, avrebbe riguardato non solo l’Italia, ma, come si è visto, i paesi occidentali in generale – fu la svalutazione del titolo accademico57, che venne progressivamente a perdere il significato di strumento di selezione sociale. In altre parole, in mancanza del sostegno di altre forme di capitale (culturale, sociale ed economico), il solo titolo accademico non garantiva più l’accesso a posizioni di prestigio, facendo così allargare la forbice fra le aspettative di ascesa sociale riposte nel titolo accademico e le possibilità di realizzazione concreta, e producendo, come diretta conseguenza, un crescente sentimento di frustrazione. La «massificazione» dell’università e il conseguente declassamento dei titoli accademici fu un’esperienza comune all’intera generazione che frequentò l’università negli anni Sessanta, un aspetto enfatizzato da molti studiosi del Sessantotto per suffragarne un’interpretazione in termini di conflitto generazionale58
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La storiografia italiana ha individuato nell’utopia rivoluzionaria egualitaria, antisistemica, antiautoritaria, libertaria e anticonsumista il tratto fondamentale dell’intensa ondata della protesta studentesca59. Come è stato sottolineato diffusamente, infatti, l’universo valoriale del Sessantotto si poggiò su egualitarismo, collettivismo, anticapitalismo e antimperialismo. Quest’ultimo aspetto aveva rappresentato già prima dell’esplosione della contestazione studentesca un terreno di divisione all’interno della sinistra italiana, con l’impostazione unitaria e pacifista del PCI rispetto alla mobilitazione per la libertà del Vietnam60, assurto a simbolo della lotta antimperialista,
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M. Flores, A. De Bernardi, Il Sessantotto cit., p. 205 55 S. Colarizi, Storia del Novecento italiano cit., p. 395
56 P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi cit., p. 405 57
A. Ventrone, “Vogliamo tutto”. Perché due generazioni hanno creduto nella rivoluzione 1960-1988, Laterza, Roma- Bari 2012, p. 124
58 M. Tolomelli, Il Sessantotto cit., pp. 25-27, p. 31
59 Cfr. ad es. A. De Bernardi, Il movimento giovanile degli anni Sessanta e il sistema politico, in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni settanta, vol. II, Culture, nuovi soggetti, identità (a cura di F. Lussana, G. Marramao), Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, p. 177
60 A questo proposito, la posizione del PCI era stata chiarita, fra gli altri, da Enrico Berlinguer nella relazione al Comitato Centrale del 23 febbraio 1967 La lotta per la pace e la libertà nel Vietnam e l’impegno del PCI per l’unità del movimento comunista internazionale, «l’Unità», 24 febbraio 1967. Cfr. anche id., Al fianco del Vietnam, «Rinascita», 12 aprile 1968. Negli articoli usciti su «l’Unità» in quella stagione, inoltre, si tendeva sempre a sottolineare l’aspetto unitario della mobilitazione. Sulla tradizionale impostazione pacifista del PCI nella mobilitazione contro la politica estera statunitense si rimanda A. Guiso, La colomba e la spada. «Lotta per la pace» e antiamericanismo nella politica del Partito comunista italiano, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006
71 duramente criticata dalle organizzazioni giovanili e dell’area marxista-leninista61. In una serie di manifestazioni organizzate nella primavera del 1967 furono infatti contestati esponenti della sinistra tradizionale, come accadde a Roma ad Aldo Natoli e Lelio Basso62. L’episodio più noto di questo periodo – in quel caso, però, ad essere contestati furono il democristiano Giorgio La Pira e il socialista Tristano Codignola – ebbe come protagonista lo scrittore Franco Fortini, che in occasione di una manifestazione antimperialista a Firenze criticò apertamente l’impostazione unitaria dei comunisti affermando che «storia ed esperienza mi hanno insegnato che si deve oggi tendere non ad unire ma a dividere»63. A Fortini replicò con una certa durezza Claudio Petruccioli su «Rinascita»64. Come nel resto del mondo occidentale, anche in Italia uno degli aspetti più caratterizzanti del movimento di protesta fu l’antiautoritarismo, espresso nei confronti sia del mondo accademico che delle strutture sociali e delle istituzioni. La mobilitazione all’interno delle università si sviluppò a partire dalla contestazione radicale dei rapporti gerarchici e autoritari su cui si reggeva il tradizionale modello universitario, fortemente criticato tanto per le strutture accademiche che per i contenuti e i metodi d’insegnamento, e a tale modello veniva contrapposta la rivendicazione di una nuova università fondata sull’allargamento degli spazi di democrazia interna. A questa protesta si affiancavano il netto rifiuto della concezione tradizionale della famiglia65, la dura critica tanto verso le forze di governo considerate «nemiche» quanto verso i partiti della sinistra, un’esibita ostilità nei confronti di polizia e magistratura, prese a simbolo della repressione dello stato66. La contestazione, ha ricordato Oreste Scalzone, che fu uno dei leader del movimento studentesco romano, «investiva tutte le istituzioni del sapere sociale organizzato, tutte le forme della comunicazione, tutte le gerarchie, non solo dello stato, ma anche della società civile. C’era una rivolta totale»67
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Nell’ambito dell’antiautoritarismo, del rifiuto della delega, della riscoperta della dimensione collettiva e della partecipazione attiva, della ricerca di un ampliamento degli spazi di democrazia, un ruolo fondamentale fu attribuito allo strumento che più di ogni altro avrebbe caratterizzato il movimento studentesco italiano: l’assemblea, che avrebbe dovuto rappresentare il «luogo» della
61 F. Ottaviano, La rivoluzione nel labirinto: sinistra e sinistrismo dal 1956 alla fine degli anni ottanta, vol. I, Critica al revisionismo e nuova sinistra (1956-1976), Rubbettino, Soveria Mannelli 1993, p. 224
62 Ivi, p. 196
63 L’intervento di Franco Fortini alla manifestazione per la libertà del Vietnam del 23 aprile 1967 a Firenze è pubblicato su «Che fare», n. 8/9, 1971
64 «Quando Franco Fortini, nel corso di una manifestazione studentesca, in mezzo a tante altre deliranti affermazioni, giunge a dire che sul Vietnam non ci si unisce ma ci si divide, o gruppi di provocatori fischiano Codignola e La Pira che aderiscono senza equivoci e reticenze alla lotta per la pace e la libertà del Vietnam, allora esiste un ostacolo, un pericolo che dobbiamo abbattere e spazzare via», C. Petruccioli, Sul Vietnam ci si unisce, «Rinascita», 28 aprile 1967
65 L. Passerini, Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze 1988, p. 37 e sgg. 66
Cfr. G. Crainz, Il paese mancato cit., pp. 236-239; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi cit., pp. 412 e sgg.
67 O. Scalzone, Biennio rosso. Figure e passaggi di una stagione rivoluzionaria (a cura di U. M. Tassinari), Sugarco, Milano 1988, p. 34
72 «presa di parola» diffusa68. L’assemblea, infatti, ha commentato Marco Revelli, costituì la struttura portante del modello di didattica elaborato nel corso delle occupazioni e incarnato dai «controcorsi», un’esperienza che i protagonisti di quella mobilitazione valutano ancora oggi come centrale per la sua carica alternativa sia di metodo che di contenuti rispetto all’insegnamento accademico tradizionale69.
Per quanto riguarda le tematiche al centro della contestazione studentesca, alle più tradizionali battaglie contro i progetti governativi di riforma del sistema universitario ai quali si contrapponevano richieste volte ad una radicale riorganizzazione dell’università, si affiancavano problematiche nuove quali la condizione dello studente, il suo rapporto con il mondo della produzione e più in generale con gli assetti della società, come misero bene in luce una serie di documenti elaborati dagli studenti universitari a partire dalle occupazioni dell’inizio del 1967, quando l’intreccio tra scolarizzazione di massa e inadeguatezza delle strutture fece salire la tensione. Fra questi documenti, uno di quelli che esercitò una maggiore influenza sui movimenti studenteschi, in modo particolare sulle sue componenti operaiste che ponevano la classe operaia al centro di ogni processo rivoluzionario e pertanto sostenevano la necessità di creare «collegamenti organici» tra studenti e movimento operaio70, fu la dichiarazione programmatica nota come le Tesi della Sapienza71, scritta nel febbraio 1967 dagli studenti militanti del nascente «Il Potere Operaio» di Pisa, che proprio in quei giorni avrebbe pubblicato il primo numero dell’omonimo giornale. Un altro testo che sarebbe diventato una sorta di manifesto del movimento fu il saggio Contro l’Università scritto nella primavera del 1968 da Guido Viale, leader degli studenti torinesi, nel quale si arrivava a contestare il concetto stesso di cultura universitaria72.
68 G. Crainz, Il paese mancato cit., p. 220, p. 238
69 M. Revelli, Il ’68 a Torino. Gli esordi: la comunità studentesca di Palazzo Campana, in A. Agosti, L. Passerini, N. Tranfaglia (a cura di), La cultura e i luoghi del ’68, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 212-240
70 M. Tolomelli, Luce sul Sessantotto. Introduzione, in «Storicamente», 5/2009, no. 10. DOI: 10.1473/stor25
71 Tesi della Sapienza in Università: l’ipotesi rivoluzionaria. Documenti delle lotte studentesche Trento, Torino, Napoli, Pisa, Milano, Roma, Marsilio, Padova 1968, pp. 165-185. Oltre a questo volume, che riunisce alcuni dei documenti più noti prodotti dai movimenti studenteschi, si segnala anche Movimento studentesco (a cura di), Documenti della rivolta universitaria, Laterza, Bari 1968, una raccolta di documenti elaborati nei comitati di studio e nelle assemblee degli atenei di Trento, Torino, Milano, Venezia, Firenze e Roma.
72 «L’agitazione è iniziata sottoponendo a critica il concetto di cultura come patrimonio posseduto e elargito dalle istituzioni universitarie. […] Il fatto che le nozioni ammannite dall’università fossero sclerotiche, avulse dai problemi politici e culturali del «mondo esterno», succubi della tradizione accademica e poco interessanti è stato il comune denominatore che ha spinto gli studenti a impostare un tipo di agitazione in cui la cultura venisse affrontata ed elaborata in modo più egualitario, cercando di spezzare l’isolamento della cultura accademica dai problemi politici che travagliano il resto dell’umanità», G. Viale, Contro l’Università, in «Quaderni Piacentini», n. 33, 1968, ripubblicato in Università: l’ipotesi rivoluzionaria cit., p. 109. Fra gli altri documenti che conobbero una rapida diffusione sul piano nazionale si ricorda anche il Manifesto per una università negativa, redatto dagli studenti della facoltà di Sociologia di Trento e pubblicato su «Lavoro politico», n. 2, 1967.
73 Le agitazioni basate su scioperi e occupazioni che si diffusero a partire dal 1967 negli atenei italiani non rappresentavano una novità di per sé73, ma segnavano piuttosto il passaggio dal vecchio movimento studentesco al nuovo, determinato anche dalla crisi irreversibile in cui versavano gli organismi rappresentativi degli studenti universitari legati ai partiti politici, che avevano perso la capacità di direzione e coordinamento delle iniziative studentesche74. Fu proprio nel momento di esordio del nuovo movimento, infatti, che si formò la leadership che avrebbe guidato la contestazione del Sessantotto75. Acquisita una visibilità politica nazionale, questa leadership sarebbe stata protagonista, insieme ad altri dirigenti, a loro volta prevalentemente di origine studentesca, anche della successiva fase della «politicizzazione» della protesta quando si formarono i gruppi della sinistra extraparlamentare76.
Come nel resto del mondo occidentale, anche in Italia nell’anno accademico 1967-68 la protesta del movimento studentesco assunse dimensioni di massa e mentre in Parlamento si svolgeva il dibattito sul progetto di riforma universitaria77, le agitazioni si propagavano da una città altra78.
Tra la fine del 1967 e l’inizio del 1968, infatti, la radicalizzazione della mobilitazione non riguardò soltanto le facoltà di dimensioni maggiori come Palazzo Campana a Torino79 o le università di Pisa, Milano, Genova, Bologna e Napoli, ma raggiunse anche piccole sedi decentrate come Lecce, Siena,
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Fin dal 1963 si erano messe in moto proteste nelle facoltà di Architettura di Torino, Milano e Venezia. A Pisa le prime occupazioni si verificarono nel 1964; anche Firenze e Napoli entrarono in agitazione l’anno successivo (sugli scioperi e sulle occupazioni che si svolsero a Napoli fra il 1965 e il 1967, si rimanda a F. Barbagallo, Lotte universitarie e potere accademico a Napoli nella seconda metà degli anni sessanta, in A. Agosti, L. Passerini, N. Tranfaglia (a cura di), La cultura e i luoghi del ’68 cit., pp. 307-311) e a Trento, alla nuova facoltà di Sociologia, ci furono una serie di occupazioni nel corso del 1966 (cfr. D. Leoni, Testimonianza semiseria sul ’68 a Trento, ivi, pp. 177-179). In linea generale le richieste avanzate dagli studenti avevano riguardato questioni didattiche. Tuttavia, in questa fase era già stata avviata la riflessione sulla trasformazione del ruolo e della funzione dell’intellettuale, del quale si riteneva venisse ridotta l’autonomia a favore di una connotazione progressivamente sempre più «tecnica» e «burocratica» che subordinava il «sapere» alle leggi del mercato. Sulle mobilitazioni studentesche precedenti il ’68 cfr. G. Crainz, Il paese mancato cit., p. 197 e sgg.
74 Sulla parabola degli organismi universitari ufficiali di rappresentanza studentesca cfr. D. Breschi, Sognando la rivoluzione cit., pp. 169-183
75 M. Flores, A. De Bernardi, Il Sessantotto cit., p. 195
76 Alcuni esempi sono Marco Boato, Renato Curcio e Mauro Rostagno a Trento, Luigi Bobbio e Guido Viale a Torino, Mario Capanna a Milano, Oreste Scalzone a Roma, Adriano Sofri a Pisa.
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Il disegno di legge sulla riforma del sistema universitario (n. 2314) era stato presentato fin dal 1964 dal ministro democristiano Luigi Gui. Apertosi nell’autunno 1967, il dibattito in Parlamento si concluse con il ritiro della riforma. Più tardi, il governo, con un decreto legge del luglio 1969, avrebbe deciso di liberalizzare gli accessi all’università consentendo agli studenti di accedere a qualunque facoltà, ma non prese nessun provvedimento, neppure negli anni successivi, per adeguare strutture e organizzazione al massiccio aumento del numero di iscritti. Cfr. ad es. N. Tranfaglia, La modernità squilibrata cit., pp. 86-87
78 Sulla «generalizzazione» del ciclo di lotte studentesche e di occupazioni fra il 1967 e il 1968 si rimanda a A. Mangano, La geografia del movimento del ’68 in Italia, in P. P. Poggio (a cura di), Il Sessantotto cit., p. 237 e sgg., e al volume scritto a ridosso della contestazione C. Oliva, A. Rendi, Il movimento studentesco e le sue lotte, Feltrinelli, Milano 1969
79 Ecco come Marco Revelli ha descritto quella fase nel movimento torinese, una delle realtà, insieme alla facoltà di Sociologia di Trento, fin da subito più attive: «Era incominciato il periodo della “guerriglia culturale”: gli studenti invadono le aule dove i professori tengono lezione, li provocano al contraddittorio, si misurano sul terreno della didattica e delle divisioni del mondo e vincono. E’ il periodo della trasgressione, del gesto, del teatro. L’agitazione diventa una grande rappresentazione in cui ognuno gioca un ruolo libero, conflittuale, creativo», M. Revelli, Il movimento studentesco torinese, in P. P. Poggio (a cura di), Il Sessantotto cit., p. 262
74 Parma, in una spirale di motivi specifici e di solidarietà con le altre sedi contro le misure repressive messe in atto dalle autorità accademiche e dal governo. Cominciata come reazione agli interventi della polizia, essa proseguì con un’altalena di occupazioni, sgomberi, manifestazioni e nuove occupazioni che sarebbe proseguita per tutto l’anno accademico80
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Nel febbraio 1968 la contestazione arrivò anche alla Sapienza di Roma, la concentrazione universitaria più grande del paese. Dopo alcune settimane di azioni dirette, in alcuni casi sfociate in tafferugli fra studenti di sinistra e neofascisti, e parallelamente di trattative con le autorità accademiche, incalzate anche dai partiti che, come il PCI, difendevano la «legittimità politica» della protesta studentesca e criticavano la durezza degli interventi delle forze dell’ordine per sgomberare le facoltà occupate, gli scontri con la polizia del primo marzo a Valle Giulia, sede della facoltà di Architettura, acquisirono il significato di una vera e propria «battaglia». Nel tentativo di occupare la sede universitaria, il fronte unito degli studenti (di sinistra, ma anche di destra) per la prima volta reagì all’uso massiccio di lacrimogeni e manganelli da parte della polizia con pietre, spranghe e l’incendio di una camionetta della Celere. Quell’evento, che provocò un centinaio di feriti, sarebbe stato presto caricato di un particolare valore simbolico e destinato a rappresentare la primogenitura del movimento studentesco italiano rispetto al Maggio francese81. Nell’acceso dibattito pubblico che seguì l’episodio, si distinse, come è noto, la voce di Pier Paolo Pasolini, che, in una poesia pubblicata su «L’Espresso», espresse la propria solidarietà ai poliziotti piuttosto che agli studenti dalle «facce di figli di papà»82.
La «battaglia di Valle Giulia» non solo innescò simili episodi in altre sedi universitarie83, ma fu all’origine anche delle agitazioni che iniziarono a prender piede negli istituti superiori di tutta Italia, dove, anche in questo caso, le tensioni erano il risultato di squilibri e disfunzioni emersi con la scolarizzazione di massa seguita alla legge del 1962 che elevava l’obbligo scolastico fino all’età di quattordici anni e istituiva la scuola media unificata84. Da allora in poi, inoltre, al duro intervento della polizia si accompagnarono numerose iniziative dei rettori, che fecero largo uso di provvedimenti disciplinari, e della magistratura.
80 Id., Movimenti sociali e spazio politico, in AA.VV., Storia dell'Italia repubblicana: II. La trasformazione dell'Italia: sviluppo e squilibri. 2. Istituzioni, movimenti, culture, cit., pp. 399-402
81 Cfr. G. C. Marino, Biografia del Sessantotto. Utopie, conquiste, sbandamenti, Bompiani, Milano 2004, pp. 274-280. 82 P. P. Pasolini, Il Pci ai giovani, in «L’Espresso», 16 giugno 1968
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Fra gli altri, si ricordi ad esempio il primo grande scontro tra studenti e polizia a Milano il 25 marzo, dopo che Cattolica, Statale e Politecnico erano stati temporaneamente chiusi una volta sgomberati. Sulla ricostruzione di questo episodio cfr. M. Brambilla, Dieci anni di illusioni. Storia del Sessantotto, Rizzoli, Milano 1994, p. 25 e sgg., un libro estremamente critico nei confronti dei protagonisti del movimento studentesco.
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Dopo Valle Giulia gli studenti medi entrarono in agitazione in tutto il paese. Per una ricostruzione delle mobilitazioni che investirono l’intero sistema scolastico che tiene conto del coinvolgimento non solo degli studenti, ma anche degli insegnanti, si rimanda a S. Mobiglia, La scuola: l’onda lunga della contestazione, in P. P. Poggio (a cura di), Il Sessantotto: l’evento e la storia cit., pp. 211-229
75 A Torino, ad esempio, furono emessi tredici mandati di cattura contro l’intera dirigenza del movimento, ai quali seguirono circa cinquecento denunce contro altrettanti studenti identificati dalla polizia nel corso delle varie occupazioni di Palazzo Campana. Fu dopo i mandati di cattura del 1