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Capitolo 2: La Guerra del Pacifico

2.1 Il sorgere del militarismo imperialista

Dopo la Prima Guerra Mondiale, in un periodo compreso tra 1920 e il 1930, il Giappone subì una serie di cambiamenti sociali, economici e politici. All’inizio dell’Epoca Taishō nel 1912 il sistema dei genrō, che fino a quel momento avevano influenzato la vita politica giapponese imponendo alle più alte cariche istituzionali uomini provenienti da ambienti strettamente militari, cominciò ad entrare in crisi. Ōkuma e Yamagata, tra i maggiori fautori della politica imperialista giapponese e figure di spicco del sistema genrō, morirono nel 1919 e nel 1920, dopo aver influenzato la politica interna ed soprattutto estera del paese per oltre trent’anni. Dopo la loro morte, il membro di più alto spicco del sistema genrō divenne Kinmochi Saioniji il quale, a differenza dei suoi predecessori, era d’ispirazione liberale e non si oppose con fermezza alle pretese dei liberali dei partiti. Inoltre, le manipolazioni del sistema genrō sulla vita politica civile avevano provocato indignazione nella classe politica ma anche tra la popolazione civile, la quale era attraversata da un’ondata di sentimenti democratici e liberali151. Tra il 1918 e il 1927 con i governi di Takashi Hara, Katō Takaaki e Tanaka Giichi, e soprattutto con il Ministro degli Esteri Kijuro Shidehara (che fu in carica per due mandati tra il 1924-1927 e il 1929-1931) la politica estera giapponese fu indirizzata al compromesso e alla conciliazione piuttosto che all’espansione militarista che aveva influenzato tutto il periodo Meiji e l’inizio dell’epoca Taishō. La diplomazia estera di Shidehara descrive bene la politica liberale giapponese degli anni venti: essa era fondata su due principi fondamentali, che consistevano nella cooperazione con la Gran Bretagna e, soprattutto, con gli Stati Uniti (che rimaneva il maggiore rivale su mare per il Giappone) e una politica non interventista in Cina. Shidehara, consapevole dell’importanza economica degli Stati Uniti per il Giappone, spinse per una politica conciliatoria con Washington

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in modo da evitare attriti tra le due potenze e cercando la cooperazione per arrestare il crescente nazionalismo cinese degli anni venti152.

In questo periodo, di conseguenza, vi furono numerose limitazioni al budget militare. Dopo aver disposto lo smantellamento e la conversione di numerose unità navali dopo la ratifica del Trattato navale di Washington nel 1923, tra il 1922 e il 1925 il Ministero della guerra tolse cinque divisioni all’esercito e tagliò drasticamente il budget della difesa153.

Nonostante dal 1921 al 1931 la scena politica fu dominata da governi di partito, con membri degli ambienti militari solo nei rami della difesa e dei ministeri della marina e dell’esercito, questi non riuscirono ad impedire ai militari di riprendere il sopravvento all’inizio degli anni trenta. La politica estera veniva vista come un segno di passività del governo nei confronti Gran Bretagna e Stati Uniti. Durante la Conferenza navale di Londra, in cui furono riconfermati i termini del Trattato navale di Washington del 1923, l’intromissione del Primo MinistroHamaguchi come Ministro della Marina ad interim, scatenò il malcontento dei vertici della marina, già contrari all’estensione dell’accordo del 1923154.

La politica conciliatoria e non interventista in Cina era mal vista dagli ambienti militari dell’esercito, già esacerbati dai continui tagli fatti al budget militare. La situazione tra il governo e le forze armate era peggiorata nel 1928, quando il Giappone, durante il governo Tanaka, aveva deciso di firmare il patto Briand- Kellog, che prevedeva la rinuncia dell’uso della forza o dell’intervento militare come risoluzione delle questioni politiche nella regione cinese155. Al patto seguì un’ondata di malcontento e violenze tra le file cadette dell’esercito e della marina, che culminarono nell’incidente che portò alla morte del generale cinese Zhang Zuolin ad opera di soldati giapponesi di stanza in Manciuria nello stesso anno. Il governo centrale democratico cominciò a perdere il controllo delle forze armate. Nel 1930 la situazione subì un ulteriore declino. La crisi economica globale iniziata nel 1929 aveva colpito pesantemente il Giappone, che si ritrovò a fare i conti con l’aumento della disoccupazione interna. A causa della debolezza dei partiti nel cercare soluzioni efficaci alla situazione, questa degenerò in numerose proteste antigovernative che, sommate ai fallimenti in politica estera e al

152 Shimamoto-Ito-Sugita (2015: 328). 153 Dickinson (2016: 1 s.).

154 Beasly (1963: 291 s.). 155

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malcontento per il Trattato navale di Washington, provocarono la crescita di movimenti ultranazionalisti, primi tra tutti la Kodō (鼓童 Via imperiale), la Tōseiha (統制派 Controllo) e la Sakurakai (桜会 Società dei ciliegi).

Questo periodo di tensione culminerà nel novembre del 1930, quando alcuni membri dell’associazione segreta ultranazionalista Aikokusha (愛 国 社 Lega Patriottica) si renderanno protagonisti dell’attentato al primo Ministro Hamaguchi. L’attentato al primo Ministro giapponese aprirà una stagione segnata da un’escalation di violenze ai danni si figure governative di spicco che durerà fino alla fino alla fine degli anni Trenta.

La svolta definitiva si ebbe nel 1931. Nei circoli militari, e soprattutto nell’Armata del Kwantung, la politica conciliante di Shidehara in Cina era stata vista come un impedimento alle occasioni di espansione del Giappone in Cina156. I vertici dell’Esercito vedevano con timore le attività del Kuomitang di Chang Kai Shek, che stava prendendo velocemente potere in Cina, ed erano convinti che questi avrebbe ben presto minacciato la situazione di semi indipendenza della Manciuria157. Sin dalla guerra contro la Russia, i giapponesi avevano considerato fondamentale il controllo sulla regione per motivi sia economici e di prestigio internazionale, sia ai fini strategici della sicurezza nazionale. L’esercito voleva invadere la Regione mancese e renderla la “first defense line” dell’impero contro la minaccia comunista dell’URSS, in vista soprattutto di un ipotetico conflitto con quest’ultima, considerata la prima minaccia alla sicurezza giapponese158

. Dopo il ritiro delle armate giapponesi dalla Siberia nel 1922, la situazione di sicurezza del Giappone si peggiorò all’inizio degli anni trenta a causa del riarmo russo. Inoltre, dato il crescente potere e consenso delle forze nazionaliste di Chang Kai Shek, vi era il timore che le attività anti giapponesi, diventate più forti verso la fine degli anni Venti, avrebbero creato una situazione che avrebbe reso impossibile mantenere il controllo sulla regione mancese, che era sede di circa i 2/3 di tutti gli investimenti giapponesi in Cina159. Le tensioni anti giapponesi e l’andamento economico precario dell’economia nazionale

156 Beasly (19: 299). 157 Ibid. 158 Steward (1936: 36). 159 Drea (2009: 2282 s.).

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conseguente alla crisi economica di quegli anni, rischiavano di compromettere l’economia nazionale giapponese già aggravata dalla crisi160

.

Approfittando della precaria situazione interna cinese, e della debolezza del proprio governo nazionale, i vertici militari a Tōkyō e in Manciuria, decisero di inscenare l’attentato allo scopo di trovare un pretesto valido per l’invasione e l’acquisizione della regione mancese. Il 18 settembre 1931 reparti deviati dell’Esercito del Kwantung, comandati dal colonnello Seishiro Itagaki, organizzarono il sabotaggio della ferrovia mancese nei pressi di Mudken, di cui la stessa armata del Kwantung era stata messa a protezione sin dal 1906161. Dell’esplosione della ferrovia, fu data la colpa ai soldati cinesi nella zona, fornendo il pretesto ai giapponesi per un’azione militare. Senza che il governo potesse opporsi, l’esercito occupò la Manciuria forte anche di un grande sostegno popolare in patria.

Le ripercussioni a livello internazionale furono pesanti: la Società delle Nazioni con a capo gli Stati Uniti, denunciò l’occupazione della Manciuria come un atto di guerra contrario alle convenzioni stabilite nel trattato del 1928. Il Giappone, tuttavia, dichiarò che il suo era un atto di auto-difesa dovuto alla crescente tensione antigiapponese in Manciuria162. Il concetto non era nuovo nella mentalità dell’Esercito giapponese che aveva guidato l’azione. I vertici delle forze armate avevano sempre considerato la Manciuria come la chiave per la difesa del Giappone, e questo servì a giustificare agli occhi dell’opinione pubblica l’invasione163

. Soprattutto, il grande appoggio popolare all’iniziativa in Cina mise in crisi il governo, in quanto il sostegno alle forze armate e soprattutto all’Esercito crebbe in tutto il paese, dando modo ai militari di acquisire sempre più potere. Questi, sfruttarono la situazione per screditare l’operato dei partiti e per prendere nuovamente il potere governativo.

Nel 1932 l’invasione della Manciuria era stata praticamente completata e il 18 febbraio fu creato lo stato fantoccio del Manciukuò. Data la pressione interna e la situazione precaria con le forze armate, il governo civile guidato da Wakatsuki Reijiro non riuscì ad imporre il ritiro delle truppe alle forze dell’esercito, preferendo anzi scendervi a patti. Poiché la situazione, soprattutto con le frange 160 Wilson (2014: 172). 161 Ferrell (1955: 66-72). 162 Wilson (2001: 110). 163 Beasly (1998: 301).

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estremiste dei gruppi ultranazionalisti, si era fatta incontrollabile, il governo non potè fare altro che appellarsi all’esercito per ripristinare l’ordine, dato che soltanto le forze armate avevano ormai il potere di tenere sotto controllo le frange estremiste e i gruppi dell’ultradestra. L’Esercito e la Marina, negli anni successivi, ne approfitteranno per estendere il loro potere sullo stato, arrivando ad imporre la propria volontà sull’elezione dei primi ministri, i quali proverranno quasi tutti dagli ambienti militari o comunque vicini ad essi. Era la fine dei governi dei partiti in Giappone e l’ascesa delle forze militari a controllo dello stato.

Nel 1932 il primo Ministro Inukai Tsuyoshi venne assassinato in un attentato da un gruppo di cadetti sovversivi della marina. Da quell’anno fino al 1945, i governi giapponesi sarebbero stati dominati dai vertici delle forze armate, che avrebbero esteso il proprio controllo sulla politica interna ed esterna fino a formare, dopo l’emanazione della legge del 1925 denominata Chihan Ijiho, finalizzata al mantenimento dell’ordine pubblico e che concesse di fatto ampi potere a militari e polizia, uno stato militare fortemente ultranazionalista e dalla politica estera aggressiva.