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Il superamento del giudicato penale contrario alla Cedu

CAPITOLO IV. GLI EFFETTI DELLE SENTENZE DELLA CORTE D

4. Il superamento del giudicato penale contrario alla Cedu

Il principio di sussidiarietà che governa il sistema di accesso alla Corte europea e la correlata imposizione del preventivo esperimento dei rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento nazionale, quale condizione imprescindibile di accesso alla tutela della Cedu, implica che la sentenza Cedu deve rapportarsi con un giudicato interno.

Da qui nasce la questione se il giudicato (che è in quanto tale espressione dell’ordinamento nazionale) possa costituire, o meno, un limite all’applicazione delle sentenze della Corte internazionale.

L’affermazione negli artt. 41 e 46 Cedu del diritto della parte vittoriosa in sede Cedu alla restituito in integrum implica la rinnovazione del giudizio nazionale o la riapertura del processo già esaurito tutte le volte in cui questo sia lo strumento necessario per riattribuire al privato la protezione del diritto fondamentale tutelato dalla Convenzione. Nella giurisprudenza della Corte Edu è, infatti, costante l’affermazione secondo cui “un nuovo processo ovvero la riapertura del

255 P

IRRONE P., L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, op. cit., p. 86 e ss.

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procedimento a richiesta dell’interessato costituiscano in linea di principio un mezzo appropriato per porre rimedio alla constatata violazione”256.

In sede penale, il principio ha avuto riconoscimento nella sentenza Somogyi257, che dava il via ad una vera e propria svolta della giurisprudenza di legittimità favorevole al riconoscimento dell’immediata efficacia delle norme Cedu e del diritto vivente promanante dalla Corte di Strasburgo.

L’indirizzo è stato confermato dalla sentenza Dorigo258

, che ha dichiarato l’inefficacia dell’ordine di carcerazione emesso in esecuzione della sentenza di condanna divenuta definitiva, ritenendo ineseguibile il giudicato dopo l’accertamento della violazione delle regole della Cedu. La Cassazione, nell’escludere la possibilità per il giudice nazionale di rimettere in discussione l’accertamento della violazione operato dal giudice europeo nei confronti dell’imputato, afferma che “il giudice nazionale italiano è tenuto a conformarsi

alla giurisprudenza della corte di Strasburgo, anche se ciò comporta la necessità di mettere in discussione, attraverso il riesame o la riapertura dei procedimenti penali, l’intangibilità del giudicato”.

All’interno di questa traiettoria evolutiva si inscrive anche la sentenza

Drassich259, con la quale la Cassazione ha ammesso un nuovo caso di ricorso straordinario contro le sentenza della Corte di Cassazione, ex art. 625-bis c.p.p. Infine, nella sentenza Scoppola260, che fa seguito alla sentenza della Corte Edu, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, preso atto dell’iniquità e dell’ineseguibilità del giudicato per il fatto nuovo costituito dalla sentenza della Corte dei diritti dell’uomo, la Corte ha giudicato rilevanti l’esigenza di provvedere all’immediata caducazione della decisione viziata, di modificare la pena inflitta con sentenza della Corte di Assise di Appello, rideterminandola. Le sentenze richiamate hanno aperto la strada ad un nuovo intervento, con efficacia erga omnes questa volta, alla Corte costituzionale: mentre in passato aveva giudicato manifestamente infondata la questione (Corte cost. 129/2008),

256 CtEDU, sentenze GC, 1 marzo 2006, Sejdovic c. Italia; 18 gennaio 2011, Guadagnino c.

Francia.

257

Cass. pen., sentenza 12 luglio 2006.

258 Cass. pen., 1 dicembre 2006. 259 Cass. pen., 11 dicembre 2008. 260 Cass. pen., 28 aprile 2010.

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con la sentenza 113/2011 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per la violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. e dell’art. 46 Cedu, l’art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Sempre in tema di giudicato, si segnala la recente sentenza 210/2013, nella quale la Corte costituzionale ha riconosciuto che “il giudicato penale non impedisce al

giudice di intervenire sul titolo esecutivo per modificare la pena, quando la misura di questa è prevista da una norma di cui è stata riconosciuta l’illegittimità convenzionale, e quando tale riconoscimento sorregge un giudizio altamente probabile di illegittimità costituzionale della norma per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.”. La Corte innanzitutto ha ricordato come

l’obbligo di conformarsi alle sentenze definitive della Corte EDU sancito dall’art. 46 CEDU debba intendersi – anche quando la Corte EDU non abbia pronunciato una “sentenza pilota”, né abbia esplicitato l’obbligo per lo Stato di adottare “misure generali” – come implicitamente esteso alla restitutio in

integrum di tutti coloro che, pur non avendo proposto tempestivo ricorso avanti

alla Corte europea, abbiano subito una violazione identica a quella accertata nel caso concreto. In questa prospettiva, ha ritenuto conforme alla logica sottesa all’art. 30, 4° comma della legge n. 87/1953 la possibilità di una modifica parziale del giudicato, nel quadro dell’incidente di esecuzione, a fronte del sopravvenuto accertamento – ad opera della Corte EDU – della illegittimità convenzionale della norma sanzionatoria applicata dal giudice della cognizione, la quale si traduce in una sua illegittimità costituzionale per effetto dell’art. 117, 1° comma Cost. La totale o parziale illegittimità convenzionale e, quindi, indirettamente costituzionale, della norma penale a suo tempo applicata dal giudice della cognizione, si riverbera sulla fase dell’esecuzione, rendendo illegittima – per l’appunto –l’esecuzione della pena medesima, sino a che essa non sia fatta cessare o comunque sia emendata in modo da assicurarne la

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legittimità (e, conseguentemente, l’eseguibilità). Le condizioni per poter beneficiare della sentenza della Corte Edu resa in un altro giudizio sono le seguenti: l’ipotesi in cui debba applicarsi una sentenza della Corte EDU che abbia accertato la violazione di una norma sostanziale della CEDU (e non una sua regola processuale); ci sia identità tra il caso pendente davanti al giudice dell’esecuzione e quello deciso a Strasburgo; il rimedio sia esperibile

direttamente in sede esecutiva, senza che occorra la riapertura del giudizio di

cognizione. La necessità che sussista questo triplice ordine di requisiti è stata confermata dall’ordinanza n. 235/2013.

5. Le sentenze “pilota” e l’esigenza di risolvere i problemi strutturali degli Stati