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L’applicazione diretta del diritto convenzionale vivente attraverso le

5. La diretta applicabilità della Cedu: prospettive ricostruttive

5.2. L’applicazione diretta del diritto convenzionale vivente attraverso le

La possibilità di applicare direttamente il diritto convenzionale vivente può discendere dalla considerazione di determinate pronunce della Corte di Strasburgo come “deleghe di bilanciamento” di interessi configgenti, deleghe che il giudice nazionale può adempiere direttamente, senza attendere alcuna modifica legislativa o pronuncia costituzionale. La giurisprudenza di Strasburgo non vale solo a chiarire la portata delle disposizioni convenzionali e renderle così più agevolmente utilizzabili dai giudici nazionali. Essa, a volte, sembra indirizzarsi espressamente al giudice interno, come accade nelle ipotesi in cui la Corte, valutando le norme nazionali pertinenti, conclude per l’astratta compatibilità delle stesse con la Convenzione. Pertanto, tutte le volte in cui sussiste tale conformità e contemporaneamente la Corte condanna lo Stato, ne deriva che spetta al giudice nazionale raggiungere il risultato imposto dal sistema convenzionale, o, meglio, dal diritto giurisprudenziale Cedu106, anche in virtù del ruolo di prima istanza di garanzia della Cedu che assumono le autorità giurisdizionali interne.

Nel caso Vermeire c. Belgio107, la Corte è giunta ad accertare la natura auto applicativa di una propria precedente regola giurisprudenziale, in virtù del test, di derivazione comunitaria, della precisione e completezza della norma. Secondo le

105 V

ILLANI U., Sull’efficacia della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano dopo il Trattato di Lisbona, in www.diritticomparati.it

106 G

UAZZAROTTI A., Applicazione immediata del “diritto vivente” Cedu e “diffusione” del sindacato sulle leggi, in FALZEA P., SPADARO A., VENTURA L. (a cura di), La Corte costituzionale e le Corti d’Europa. Atti del seminario svoltosi a Copanello (CZ) il 31 maggio-1 giugno 2002, Giappichelli, Torino, 2003, p. 403 ss.

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parole della Corte, non sussistevano motivi idonei ad impedire ai giudici nazionali “di conformarsi alle conclusioni della sentenza Marckx (…): non era

né imprecisa né incompleta la regola che vietava di operare [a danno della ricorrente, rispetto ai propri cugini] una discriminazione fondata sul carattere naturale del legame di parentela che la univa al de cuius”; “una riforma globale [del diritto di famiglia e successorio]non si imponeva affatto come presupposto indispensabile al rispetto della Convenzione, così come interpretata nell’affare Marckx”.

Questa formula argomentativa può assumere un significato molto pregnante a livello nazionale, potendo essere letta come un “riparto di competenze” tra giudice e legislatore (o amministrazione) circa il potere-dovere di adeguamento agli standard imposti dalla Convenzione. Spesso la Corte Edu opera una ripartizione di tali competenze a livello interno, dalla quale i giudici si sentono investiti di una delega di bilanciamento tra interessi contrapposti ( ad es., tra libertà e ordine pubblico) al fine di superare la rigidità della legge nazionale108. L’esercizio di tale delega può avvenire senza esperire alcun sindacato interno di costituzionalità che, come noto, rappresenta l’emblematico strumento in grado di determinare tale delega di bilanciamento in favore del giudice109.

Un esempio paradigmatico di tale fenomeno si rinviene nella sentenza

Medrano110, in cui la Cassazione ha ritenuto di non poter dare applicazione incondizionata alla disposizione nazionale (art. 86, d.p.r. 309/1990, che associava automaticamente l’espulsione dello straniero alla condanna per reati in materia di stupefacenti), senza aver prima verificato l’applicabilità al caso concreto della norma convenzionale (art. 8, par. 1, da cui la Corte Edu ha estrapolato il divieto di espulsione come corollario del diritto alla conservazione dei propri legami familiari, superabile solo in presenza delle condizioni indicate dall’art. 8, par. 2). Per la Cassazione, tale norma imponeva al giudice interno alcuni adempimenti. Innanzitutto, la verifica dell’esistenza, in capo allo straniero

108 G

UAZZAROTTI A., Applicazione immediata del “diritto vivente” Cedu e “diffusione” del sindacato sulle leggi, in FALZEA P., SPADARO A., VENTURA L. (a cura di), La Corte costituzionale e le Corti d’Europa. Atti del seminario svoltosi a Copanello (CZ) il 31 maggio-1 giugno 2002, Giappichelli, Torino, 2003, p. 405.

109 B

IN R., Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992, p. 91.

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da espellere, di legami familiari stabili sul territorio nazionale; in secondo luogo, la valutazione della proporzionalità tra la gravità del reato commesso dallo straniero e il vulnus inferto alle sue relazioni familiari. Il canone della proporzionalità è, infatti, costante nella giurisprudenza convenzionale, secondo cui, le misure adottate dagli Stati in vista della tutela dell’ordine pubblico, che possono comprendere anche l’allontanamento degli stranieri, nella misura in cui possono incidere sui diritti garantiti dall’art. 8, par. 1 Cedu, “devono risultare

necessarie in una società democratica, ossia giustificate da un bisogno sociale imperioso e proporzionate allo scopo legittimo perseguito”111. La Cassazione ha ritenuto che tale dovere di operare un bilanciamento tra il diritto al rispetto della vita familiare e le esigenze di ordine pubblico fosse implicitamente delegato dalla Convenzione al giudice del caso concreto. La conclusione della sentenza è, infatti, l’annullamento con rinvio allo stesso giudice “perché proceda

all’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, nel rispetto del principio sancito dall’art. 8 della CEDU”. Qui viene in rilievo il valore della

giurisprudenza di Strasburgo quale veicolo della diretta applicabilità della Cedu. La Cassazione ha, infatti, impiegato tale giurisprudenza nella parte in cui vietava espulsioni comminate senza aver previamente operato quel bilanciamento. La chiarezza palesata da tale orientamento di Strasburgo consente al giudice nazionale di non richiedere l’intervento della Corte costituzionale e di applicare direttamente la norma convenzionale. La Corte sembra, quindi, ritenere che, per la Convenzione europea, viga nel nostro ordinamento non solo il principio di presunzione di conformità, ma quello più pregnante della presunzione di operatività delle norme internazionali, già prospettato dalla dottrina112, che obbligherebbe il giudice a compiere il massimo sforzo ermeneutico per consentire alla norma internazionale di esplicare gli effetti interni necessari per giungere alla sua piena e completa applicazione, ricercando e creando le condizioni che consentano l’applicazione della fonte internazionale113

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111 Corte Edu, sent. 26 marzo 1992, Beldjoudi c. Francia; sent. 18 febbraio 1991, Moustaquim c.

Belgio; sent. 21 giugno 1988, Berrehab c. Olanda; sent. 28 maggio 1985, Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito.

112 C

ONDORELLI L., Il giudice italiano e i trattati internazionali, Cedam, Padova, 1974, p. 110.

113 R

ASPADORI F., I trattati internazionali sui diritti umani e il giudice italiano, Giuffrè, Milano, 200, p. 82.

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L’autoapplicabilità della Cedu tramite la chiarezza delle decisioni rese dal suo interprete privilegiato risiede proprio nella regola sul bilanciamento fornita da quest’ultimo che, se non correttamente tradotta dal legislatore, ma neppure espressamente vietata, vale come deroga all’obbligo generale di espulsione dello straniero.

Questo schema della regola sul bilanciamento fornita dalla Corte di Strasburgo può consentire una rilettura dell’impiego a livello interno del materiale normativo convenzionale.

5.3. Le modifiche normative introdotte dal Trattato di Lisbona: l’efficacia